Per ricostruire correttamente le vicende bibliche è fondamentale stabilire l'epoca in cui visse Abramo. La maggior parte degli studiosi, oggi, non crede che la Bibbia abbia un contenuto di carattere storico. Eppure anche ad un esame superficiale appare evidente che i primi suoi libri sono nati come una saga familiare, vista da un'ottica interna alla famiglia stessa, con l'intero universo ruotante intorno ad essa. E’ un racconto, quindi, che riferisce fatti realmente accaduti, ma che non presta alcuna attenzione al contesto storico generale del periodo e dell'area in questione, se non per quegli aspetti che interessano in qualche modo la famiglia. Perciò gli "agganci" con gli avvenimenti esterni al clan familiare sono, almeno per il periodo dei patriarchi, piuttosto deboli e non identificabili in modo immediato in qualche avvenimento storico conosciuto, per cui esiste una reale difficoltà a inquadrare esattamente la saga di famiglia nel più ampio contesto della storia della Palestina.
Tuttavia è indubbio che nel racconto biblico vi sono riferimenti ad avvenimenti storici di carattere generale, con indicazioni che dovrebbero essere sufficienti a individuare il fatto cui si riferiscono, purché sia stata preventivamente determinata con precisione l'epoca in cui le vicende bibliche si sono svolte. Il problema non è di soluzione immediata, essendo fra i più dibattuti dalla esegesi biblica e tuttora ben lungi dall'essere giunto ad una soluzione univoca.
L'opinione prevalente fra gli esegeti è che Abramo sia vissuto agli inizi del millennio II, più o meno nel secolo XIX a.C., e ciò principalmente in virtù di due ragioni. La prima è di carattere esterno alla Bibbia: si è voluto vedere nel regno di Mari, che prosperò agli inizi del millennio II, il paese di origine di Abramo, ravvisando negli scritti rinvenuti nel palazzo reale nomi e consuetudini di vita che sembrano ricordare quelli biblici[1]. Poiché Mari fu distrutta intorno al 1750 a.C. dal re babilonese Hammurabi, Abramo dovrebbe essere vissuto prima di tale data.
Queste argomentazioni prestano il fianco a critiche piuttosto consistenti. Innanzi tutto la Genesi indica Nahor, in Ur dei Caldei, quale città natale di Abramo e Harran quale sua seconda patria, non Mari. Si può obiettare che forse Nahor e Harran facevano entrambe parte del regno di Mari, ma ciò non risulta dal testo biblico e neppure da documenti storici; appare anzi improbabile per l'epoca attribuita ad Abramo, perché il regno di Mari raggiunse un'estensione considerevole e ottenne un posto di primo piano fra le potenze mediorientali soltanto nella prima metà del secolo XVIII alla vigilia della sua distruzione[2]. D'altra parte non si vede perché il redattore avrebbe dovuto ignorare il nome di Mari, se effettivamente Abramo fosse vissuto entro i suoi confini, dal momento che ha riportato tutte le possibili indicazioni geografiche relative al luogo di origine del patriarca.
Inoltre i documenti ritrovati nell'archivio di Nuzi, città urrita del secolo XVI, dimostrano che i costumi dei patriarchi biblici, soprattutto per quanto concerne matrimoni, eredità, diritto civile e modo di vita, erano straordinariamente simili a quelli in vigore nel regno di Mitanni [3], di cui Nahor e Harran erano sicuramente due centri principali. Esistono quindi ragioni non meno valide di quelle suddette per ritenere Abramo vissuto all'epoca e nel territorio di Mitanni. Ciò farebbe posticipare l'epoca di Abramo a dopo il 1700 a.C. Le argomentazioni di carattere "esterno", quindi, storico, archeologico ed etnologico non portano a risultati univoci e certi.
La seconda argomentazione è basata su alcune indicazioni temporali fornite dalla Bibbia stessa, che, interpretate alla lettera, riportano agli inizi del millennio II a.C. In Genesi 15,13 e Esodo 12,40 si dice che gli Ebrei rimasero in Egitto per quattrocento anni. Tenuto conto delle età dichiarate dei tre patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe (rispettivamente centosettantacinque, centottanta e centoquarantasette anni), e ipotizzando l'Esodo alla fine del secolo XIII si trova che Abramo sarebbe nato appunto nel secolo XIX a.C.
Le cifre che si riferiscono alla permanenza in Egitto e all'età dei patriarchi, tuttavia, vengono contraddette dal buon senso, innanzitutto: i personaggi biblici, e in primo luogo i patriarchi, erano uomini che dobbiamo ritenere sotto tutti i riguardi come normali; non è credibile che siano vissuti realmente per tutti gli anni che vengono loro attribuiti. Per quanto remoti siano i fatti narrati, essi sono avvenuti pochi millenni or sono; da allora l'uomo non può essere mutato biologicamente in misura apprezzabile; né alcuna fonte storica del periodo e della zona narra di uomini dotati di virtù o longevità eccezionali. Se per il religioso può apparire irrilevante il fatto che i patriarchi siano vissuti per secoli, per lo storico ciò appare quanto meno inverosimile.
Una forte corrente esegetica moderna supera questa difficoltà ipotizzando che i tre patriarchi non fossero persone fisiche, ma "dinastie", e parlano di "cicli" di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, come di periodi storici caratterizzati dalle gesta di vari protagonisti, che poi la tradizione popolare avrebbe "sintetizzato" in tre personaggi singoli. Non si capisce bene come vengano considerate in questa ottica le figure di Sara, Giuseppe, Mosè, Giosuè e altri protagonisti del Pentateuco, cui vengono attribuite età largamente superiori al secolo. Sta di fatto, comunque, che da questa ipotesi deriva una maniera di considerare il testo biblico tale da togliergli preventivamente qualsiasi attendibilità.
Il testo, infatti, diviene una semplice traccia, non vincolante, che si ammette contenere un qualche nucleo di verità storica, ma non chiaramente individuabile e definibile da un punto di vista spaziale e temporale. In tal modo qualunque indicazione esterna, di carattere storico e archeologico, per quanto incerta e nebulosa, viene ad assumere importanza prioritaria rispetto al testo biblico, che ciascuno si sente autorizzato a distorcere e interpretare a proprio arbitrio.
Ciò appare irragionevole e inaccettabile, tanto più che una lunga serie di precise indicazioni, di natura non numerica e quindi maggiormente attendibili, fornite dalla stessa Bibbia, smentisce nettamente le cifre in argomento. Per esempio, quando in Genesi 15,13 si dice che gli Ebrei sarebbero rimasti in Egitto per quattrocento anni, si precisa subito dopo (Gn. 15,16) che quel periodo corrisponde a quattro generazioni, il che è in aperta contraddizione con la suddetta cifra. I quattrocento anni di permanenza in Egitto, inoltre, sono sconfessati dalle genealogie fornite per i protagonisti delle vicende dell'Esodo, appartenenti tutti dalla quarta alla sesta generazione dopo Giacobbe. Calcolando mediamente venticinque anni per ogni generazione, si trova che la permanenza in Egitto non può essere durata più di un secolo.
[1] W. Keller, La Bibbia aveva ragione, Garzanti, Milano 1981, 5, pp.60 ss.
“I
documenti del regno di Mari forniscono per la prima volta la prova inaudita che
le storie dei patriarchi contenute nella Bibbia non sono "pie
leggende" (..) Nomi di persone che compaiono nella storia dei patriarchi
biblici ricorrevano non solo come toponimi, ma risultarono effettivamente nomi
di singole personalità; e non è affatto un caso raro e insolito che dei
ricercatori portino alla luce tavole di terracotta che contengono perfino il
nome del padre dei patriarchi, Abramo”.
Queste
sorprendenti testimonianze a favore della provenienza di Abramo da Mari, però, vengono infirmate dal fatto che “tra coloro
che portavano il suo nome si trovano, sulla base di testimonianze scritte
portate alla luce a Ugarit, persino un egizio e un cipriota. Un eminente
archeologo della Bibbia, padre Roland De Vaux, trovò questo fatto strano e
inquietante...”. Ci sono inoltre "conferme delle testimonianze bibliche
che collegano l'epoca dei patriarchi con un periodo della storia dell'antico oriente
posteriore di circa mezzo millennio (...) Tali conferme emersero dall'archivio
di Nuzi. I documenti scritti provenienti
da questa città urrita dei Mitanni (1500 a.C. circa) chiariscono non solo l'antico diritto
urrita, ma ne rivelano anche la straordinaria consonanza con le usanze dei
patriarchi contenute nei testi biblici ”.
Risulta anche che “certe rappresentazioni dell'epoca
dei patriarchi biblici (questa volta in campo religioso) trovano corrispondenza
nei testi della città di Ugarit, il cui periodo classico viene fra il XV e il
XIV secolo a.C ”.
[2] W. Von Soden, Mari e il regno di Shamshiadad I d'Assiria e in “I Propilei ” cit., vol I, pp. 685-703.
[3] V. l'affermazione del Keller sulla città urrita dei Mitanni alla precedente nota 5.