Contesto storico della conquista della Palestina

 Dalla Bibbia non abbiamo indicazioni  che ci consentano di conoscere l’anno preciso in cui fu effettuata l’invasione della Palestina.  I “quaranta” anni trascorsi nel deserto sono una cifra indeterminata, il cui vero valore dovrebbe essere intorno ai venti effettivi;  possiamo stabilirla con precisione soltanto rivolgendoci agli avvenimenti storici di quel periodo e di quella zona, per determinare quale fosse stato il “momento favorevole” perché un’operazione del genere fosse condotta con successo.

Durante il regno di Merenptah, al momento dell’esodo, la Palestina era saldamente sotto il controllo egizio. Sappiamo per certo, sia dai reperti archeologici che dai resoconti storici che lo era anche trent’anni dopo, al tempo di Ramses III, il secondo sovrano della dinastia successiva, la XX. Nell’ottavo anno del suo regno, infatti, Ramses III condusse una grande campagna militare in Palestina, per fronteggiare un’invasione   dei cosiddetti  “popoli del mare”, Pulasti,  Sicala e altri, che avevano occupato le zone costiere del paese e minacciavano di penetrare in Egitto. I popoli del mare vennero sconfitti e l’invasione dell’Egitto scongiurata, ma Ramses dovette accettare che i Pulasti (Filistei) si insediassero in permanenza nelle città di Gaza, Ascalon, Ashdod ed Ekron, nella fertile pianura della Palestina sud occidentale. In quell’occasione Ramses stabilì una serie di guarnigioni lungo la pista che conduceva all’Egitto, e insediò governatori egizi in parecchie città cananee, come testimoniato da numerosi reperti archeologici su cui compare il suo nome[1].

Dal libro di Giosuè sappiamo che alcune di queste città, come Ghezer, Lakish , Megiddo ecc. (Gs. 12), erano state conquistate, ma non distrutte, dagli israeliti durante la campagna militare condotta da Giosuè. E’ impensabile che essi abbiano potuto conquistare la Palestina combattendo contro i suoi “proprietari”, gli egiziani, e tanto meno contro Ramses III, il più potente sovrano mediorientale di quell’epoca. Pertanto la “conquista” deve necessariamente essere avvenuta durante un periodo di eclissi del potere faraonico in Palestina, se mai ci fu, oppure con il consenso o addirittura l’appoggio di un faraone. Inoltre dalla Bibbia non risulta che abbiano combattuto contro i filistei o altro popolo del mare; tutte le città conquistate sono elencate una ad una e si tratta sempre di popolazioni locali. La conquista, quindi, deve essere avvenuta prima dell’insediamento dei filistei, che incontriamo per la prima volta in Palestina nell’anno ottavo di Ramses III. Poiché gli ebrei devono aver trascorso nel Sinai almeno una quindicina di anni, la finestra temporale si restringe alquanto. Alcune semplici considerazioni ci consentono di limitarla ulteriormente.

Sappiamo che dopo la morte di Merenptah, avvenuta nel 1202 a.C., l’Egitto ha attraversato un periodo buio, durante il quale si sono succeduti alcuni sovrani inetti e privi di autorità, che hanno fatto precipitare il paese nel disordine (vedi tabella seguente).

XIX  DINASTIA

Merenptah

1212 - 1202 a.C.

Amenmesse

1202 - 1199 a.C.

 Sethi II

1199 - 1193 a.C.

Merenptah   Siptah

1193 - 1187 a.C.

Tauseret (regina)

1187 - 1185 a.C.

XX  DINASTIA

Sethnakht

1185 - 1182 a.C

Ramses III

1182 - 1151 a.C

Elenco dei sovrani che si sono succeduti sul trono d’Egitto da Merentah a Ramses III
e loro cronologia  (da Von Beckerat)

Le cronache di quel periodo sono narrate nel  “Papiro Harris I”, scritto durante il regno di Ramses III. Esse dipingono un quadro apocalittico della situazione dell’Egitto durante il regno degli ultimi quattro effimeri sovrani della XIX dinastia, descrivendo una nazione in preda al caos e all’anarchia, con violenze e distruzioni generalizzate. Se questa descrizione risponde al vero, è difficile pensare che in quelle condizioni l’Egitto abbia potuto mantenere il controllo della Palestina, che verosimilmente dovette essere abbandonata a se stessa. Le guarnigioni militari egizie dovettero essere ritirate e impiegate in patria nelle lotte fra le opposte fazioni, per cui le varie città palestinesi si ritrovarono improvvisamente libere e padrone di se stesse; ma nello stesso tempo esposte ad attacchi anche da parte di nemici relativamente deboli come gli israeliti.

Questo ci induce a ritenere che Israele abbia approfittato del vuoto di potere che doveva esistere allora in Palestina per invaderla, presumibilmente negli anni fra il 1193  ed il 1185 a.C., durante il regno di Siptah o della regina Tauseret, contando sull’inerzia del sovrano in carica. Quello su cui non potevano certamente contare, invece, era su una durata indefinita dell’eclisse dell’autorità egiziana, che prima o poi sarebbe stata certamente ristabilita, come in effetti avvenne. Nel pianificare l’invasione Mosè doveva necessariamente tenere nel debito conto questo fatto e studiare qualcosa per evitare rappresaglie da parte degli egiziani. Ciò spiegherebbe le disposizioni disumane che egli lasciò a Giosuè alla vigilia dell’invasione. Egli infatti gli aveva ordinato di sterminare tutti gli abitanti delle città conquistate, fino all’ultimo infante, ordine che Giosuè eseguì puntualmente in tutte le zone conquistate.

Un ordine così atroce ed apparentemente ingiustificabile poteva avere una sola ragione: eliminare definitivamente la possibilità che in futuro qualcuno potesse rivendicare il possesso di quelle terre. Una volta che un faraone energico avesse ripreso il controllo della Palestina, si sarebbe trovato di fronte al fatto compiuto, senza nessun postulante che lo sollecitasse a ristabilire l’ordine precedente, con nuovi sudditi che gli rinnovavano la propria lealtà e tacitavano eventuali suoi scrupoli di coscienza con enormi donazioni. Mosè, infatti, aveva ordinato che tutti gli oggetti di valore razziati nelle città conquistate, oro, argento, metalli e vesti preziose,[2] fossero messi da parte per “Jahweh”, intendendo con questo nome il divino sovrano dell’Egitto.

Il ragionamento fila e  sarebbe anche convincente, se non fosse per alcuni cenni precisi nel libro di Giosuè, che inducono a delineare un ben diverso scenario. Da essi, infatti, si deduce che gli ebrei invasero la Palestina, se non addirittura su esplicita richiesta di un faraone, quanto meno con il suo consenso e appoggio. Il fatto rivelatore accadde un giorno  quando,

mentre era vicino a Gerico, Giosuè alzò gli occhi e vide di fronte a sè un uomo con la spada in pugno. Gli andò incontro e gli domandò:
- Sei dei nostri oppure un nemico?’
Egli rispose:
- Né uno dei vostri né un nemico. Sono il capo dell’esercito di Jahweh, e ora vengo ad aiutarti.
Giosuè  si gettò con la faccia a terra e gli domandò:
- Quali sono i tuoi ordini? (Gs. 5, 13-14)

Anche qui, evidentemente, se vogliamo dare un senso storico al racconto, per Jahweh dobbiamo intendere non un Dio sovrannaturale, ma il divino sovrano dell’Egitto, il faraone. Questi versetti testimoniano che appena varcato il Giordano Giosuè si incontrò con il comandante dell’esercito egiziano e si mise ai suoi ordini. Subito dopo, infatti, in segno di sottomissione e come pegno di assoluta fedeltà, fece circoncidere tutti i maschi di Israele. La circoncisione era un’usanza egiziana e veniva imposta a tutti i sudditi del faraone. Gli ebrei che erano usciti dall’Egitto erano tutti circoncisi, ma quelli nati nel deserto del Sinai, al di fuori del controllo del faraone, non lo erano. Giosuè provvide a circonciderli subito dopo l’incontro con il comandante  egizio (Gs. 5, 2-8).

Che l’ordine fosse stato dato dallo stesso faraone è confermato anche dal fatto che la Bibbia ripete più volte che esso era stato impartito a Mosè da Jahweh in persona, senza alcuna giustificazione apparente[3].

Questo spiega la relativa facilità dell’invasione della Palestina da parte degli ebrei, nonostante il loro numero relativamente esiguo (poco più di cinquemila combattenti in tutto). Essi vennero in pratica utilizzati dal faraone per riconquistare territori che evidentemente si erano sottratti al suo controllo. Israele ebbe l’ordine di sterminare le popolazioni ribelli e di rimpiazzarle, impossessandosi delle loro terre e del loro bestiame. Tutto l’oro e gli oggetti preziosi razziati, invece, dovevano essere consegnati al faraone; ordine che Giosuè eseguì scrupolosamente, arrivando a giustiziare un’intera famiglia della tribù di Giuda, colpevole di aver nascosto alcuni oggetti preziosi dopo la distruzione di Gerico (Gs. 7, 21-26).


[1]Pierre Grandet, Ramsèss III - Histoire d’un règne, Pigmalyon, Paris, 1993
[2]Tutto l’argento, l’oro e gli oggetti di rame e di ferro sono cosa sacra per Jahweh e devono entrare nel tesoro di Jahweh” (Gs. 6, 19). Chi trasgrediva quest’ordine veniva giustiziato, come successe ad Acan dopo la presa di Gerico: “Avevo visto nel bottino un bel mantello di Sennaar, duecento sicli d’argento ed un lingotto d’oro … ne sentii bramosia e li presi” (Gs. 7, 21).
[3] Gs, 11, 15-20 : “Come aveva comandato Jaweh a Mosè suo servo, Mosè ordinò a Giosuè e Giosuè così fece: non trascurò nulla di quanto aveva comandato Jaweh a Mosè.….. Era per disegno di Jaweh che il loro cuore si ostinasse nella guerra contro Israele, per votarli allo sterminio, senza che trovassero grazia, e per annientarli come aveva comandato Jaweh  a Mosè


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