La storia geologica della Terra è caratterizzata da lunghi periodi di stabilità, inframmezzati da crisi brevissime e violente, durante le quali si hanno da un lato imponenti eruzioni vulcaniche, orogenesi, cambi climatici, inversioni del campo magnetico, variazioni del livello marino ecc; dall’altro estinzioni di massa, emergenza di nuove specie, cambio radicale degli equilibri ecologici.
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A sinistra le maggiori estinzioni di massa verificatesi nel corso della storia geologica. A destra tipiche stratificazioni geologiche che testimonio improvvisi e radicali cambiamenti delle condizioni ambientali nel passaggio da un’era alla successiva
Le geologia non è ancora in grado di fornire una spiegazione di queste crisi ricorrenti. Vista la contemporaneità di questi fenomeni sono state avanzate ipotesi che esistano relazioni di causa ed effetto fra alcuni di essi; ma non sempre è evidente quale sia la causa e quale l’effetto. Negli ultimi anni si sta facendo strada l’ipotesi che le estinzioni animali siano dovute a catastrofici impatti con comete o asteroidi, perché per alcune di esse, come ad esempio quella del cretacico superiore, che vide l’estinzione in massa dei dinosauri e preparò l’avvento dei mammiferi, si è potuto appurare la coincidenza con la caduta di un asteroide.
Coincidenze con l’impatto di un grande asteroide sono state riscontrate anche in altre estinzioni animali, per cui il rapporto di causa-effetto appare sempre più probabile. Coincidenze, però, sono state riscontrate anche fra estinzioni e variazioni del livello marino, come pure tra estinzioni e manifestazioni di vulcanismo estreme, come la grande colata vulcanica del Deccan, avvenuta alla fine del cretacico, e altri fenomeni geologici, come variazioni climatiche, regressioni, trasgressioni e così via, per cui vari autori hanno avanzato l’ipotesi di un rapporto di causa-effetto fra questi fenomeni e le estinzioni animali. Ma nessuno è riuscito a dimostrare in modo convincente come fenomeni del genere, sia da soli che combinati abbiano potuto produrre catastrofi ecologiche a livello globale.
Elenco delle cause proposte per spiegare le maggiori estinzioni di massa
Ci deve essere una causa ultima che scatena più meno contemporaneamente su tutto il pianeta fenomeni come vulcanismo, orogonesi, moti convettivi del Sima, regressioni, inversioni del magnetismo e cambiamenti climatici permanenti; ma nessuno fino ad oggi è riuscito ad individuarla.
La contemporaneità è un fattore importante per stabilire un rapporto di causa effetto fra estinzioni ed impatti, ma il problema è spiegare come oggetti relativamente piccoli (3 km è il diametro considerato sufficiente perché un asteroide sia in grado di provocare un’estinzione di massa a livello planetario) possano avere effetti catastrofici sull’intero pianeta, sia sulla terraferma che negli oceani.
Secondo le stime di Tom Gehrels (vedi: Tom Gehrels, “Collision with comets and asteroids”, Scientific American, March 96), un asteroide del diametro di 1 chilometro, che colpisca la Terra ad una velocità di 20 km al secondo, libererebbe un’energia equivalente a 10 miliardi di bombe atomiche tipo Hiroshima. L’energia liberata da un asteroide di 3 km dovrebbe essere almeno dieci volte superiore.
Ma per quanto devastanti a livello locale, questi effetti diretti non sono sufficienti da soli a giustificare estinzioni di massa e processi geologici a livello planetario. Paragonato alla Terra, un asteroide del diametro di 3 chilometri è come una minuscola sfera di 7mm di fronte ad una palla di 25 metri. La sua massa è assolutamente trascurabile e non è evidente come possa provocare effetti catastrofici a livello mondiale.
Paragonato alla Terra un asteroide di 3 km di diametro è come una minuscola sfera di 7 millimetri di diametro di fronte ad una palla di 25 metri. Come un granello di sabbia su un campo di calcio. La sua massa è irrilevante e non è in gradi di provocare direttamente una catastrofe che coinvolga l’intero pianeta.
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L’ipotesi più accreditata a livello scientifico è che l’impatto possa provocare una repentina diminuzione della temperatura ed altre perturbazioni climatiche su tutto il mondo, a causa dei materiali iniettati nell’atmosfera. Ma anche in tal caso è difficile giustificare l’entità degli effetti. La quantità di materiali immessi nell’atmosfera è stimata intorno a 100 volte la massa dell’asteroide impattante. Per un asteroide di 3 km la quantità di materiali immessa nell’atmosfera è dell’ordine di a quella immessa dalla più grande eruzione vulcanica recente, avvenuta a Tambora (Indonesia) nel 1815. Quella eruzione, in effetti, ebbe una qualche influenza sul clima terrestre, perché l’estate successiva fu insolitamente fredda su tutto l’emisfero settentrionale (vedi: Stommel H. and Stommel E.: The year without a summer, Scientific American, 240,174,1979). Ma non si può certo parlare di catastrofe a livello mondiale: si trattò di una semplice “increspatura” del clima, che provocò soltanto temporanee difficoltà ad un numero limitato di individui. E non sono stati registrati effetti a livello oceanico.
Un impatto di asteroide o di una cometa possono indubbiamente avere effetti devastanti; ma l’ampiezza dell’area direttamente interessata dalle distruzioni può essere al massimo dell’ordine dei milioni di kmq: una percentuale insignificante della superficie terrestre. Le estinzioni di massa del passato, invece, e i fenomeni geologici associati, sono stati globali e hanno interessato l’intera superficie di tutti i continenti ed anche l’insieme degli oceani, sia in superficie che in profondità. È impossibile giustificare questa globalità come diretta conseguenza di un impatto, anche se fosse avvenuto nel mezzo di un oceano (ma l’asteroide che ha prodotta il cratere Chicxulub e che è ritenuto responsabile dell’estinzione dei dinosauri, per esempio, ha colpito la Terra in un bacino chiuso come il golfo del Messico).
L’unico modo per spiegare gli effetti globali di un impatto, a mio avviso, è di supporre che possa provocare un cambio praticamente istantaneo dell’asse di rotazione terrestre, vale a dire uno slittamento dei poli.
Quanto alla possibilità di spostamento dei poli, è ben noto il fatto che i essi hanno cambiato sovente la loro posizione sulla superficie terrestre nel corso delle passate ere geologiche. I segni lasciati dalle calotte glaciali in Africa e India, il magnetismo residuo nelle rocce, la distribuzione di antiche barriere coralline e dei depositi di carbone e così via, costituiscono nel loro insieme una prova assoluta che i poli hanno girovagato dall’equatore fino alla posizione attuale.
Le teorie attuali attribuiscono questi spostamenti alla deriva dei continenti e a spostamenti superficiali di grandi quantità di materiali, dovuti ai processi di erosione e sedimentazione, che sarebbero in grado di produrre lentissimi spostamenti dei poli: pochi centimetri all’anno, al massimo, ma in milioni di anni possono accumulare spostamenti di migliaia di chilometri. Perché si verifichino i fenomeni descritti, però, è necessario che la variazione sia praticamente “istantanea” in scala geologica. Anche dal seguente diagramma (prodotto dalla facoltà di Geologia di Pisa) sembra evidente che lo spostamento dei poli non è stato graduale e continuo, ma è avvenuto per “salti”. Esistono in effetti indicazioni consistenti che questo si sia prodotto in un recente passato. |
Lo spostamento del polo nord nel corso degli ultimi 300 milioni di anni |
Tra i 50 e i 12 mila anni or sono una enorme calotta glaciale, spessa oltre tre chilometri, si era irradiata dall’area di Hudson, nel Canada orientale, fino a raggiungere verso sud l’attuale latitudine di New York e verso ovest i ghiacciai che scendevano dalle montagne rocciose, in Alaska. Nello stesso periodo il Nord Europa era coperto da calotte glaciali che al culmine della loro espansione raggiunsero le latitudini di Londra e Berlino. La quantità di acqua congelata sulla terraferma era talmente grande, che il livello del mare era sceso di oltre 100 metri rispetto ad oggi. Le teorie attuali, numerose e spesso in contrasto tra loro, cercano di spiegare l’esistenza di queste masse di ghiaccio, eccentriche rispetto ai poli odierni, con il fatto che il clima fosse allora assai più freddo su tutta la Terra. |
Posizione della
calotta |
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L’ipotesi, però è contraddetta dall’assenza di calotte
glaciali in Siberia, che anzi era popolata fin nelle sue regioni più
settentrionali, ben addentro nel mare Artico, da una delle più imponenti
comunità zoologiche mai esistite sulla Terra dal tempo dei dinosauri. 40
milioni di mammut vagavano per le pianure della Siberia e dell’Alaska, ed
insieme ad essi c’erano renne, rinoceronti, cavalli, ippopotami, orsi, leoni,
leopardi, castori, bradipi giganti, cervi dalle grandi corna, cammelli, tigri
dai denti a sciabola e molti altri ancora. |
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Essi si sarebbero spostati molto velocemente nella posizione attuale alla fine del Pleistocene. È mia ferma convinzione che se potessimo analizzare gli spostamenti dei poli verificatisi in passato con la stessa scala dei tempi, troveremmo che sono avvenuti nello stesso modo di quello recente, per “salti”. I salti di poli, quindi, dovrebbero essere un avvenimento ricorrente e piuttosto frequente nella storia della Terra. Sarebbero proprio essi la causa ultima che scatena le ricorrenti crisi geologiche.
Rimane da scoprire, ora, cosa possa provocare un improvviso spostamento dei poli. La risposta può essere una soltanto: impatti di asteroidi o comete. Visto il rapporto dimensionale fra la Terra ed un asteroide di 3 km (25 mt contro 7 mm), questo può sembrare impossibile; ma un’analisi più accurata del problema mostrerà che al contrario questo evento è praticamente inevitabile.
La Terra è un pianeta intrinsecamente instabile, al punto che un urto relativamente leggero (calcoleremo in seguito quanto) è sufficiente per innescare un processo che nel giro di giorni, o al massimo settimane (e quindi praticamente istantaneo in scala geologica) provoca un cambio permanente dell’asse attorno cui ruota la Terra, e quindi uno spostamento dei poli, di grande ampiezza, dell’ordine anche di 10 o 20 gradi (il che significa uno spostamento dei poli di migliaia di km).
Inoltre questo spostamento comporta normalmente anche una variazione dell’inclinazione dell’asse di rotazione rispetto all’eclittica
L’ipotesi che l’inclinazione dell’asse terrestre rispetto all’eclittica e che la posizione dei poli rispetto alla Terra possano variare è stata presa in considerazione fin dal 19° secolo.
Alcuni fra i maggiori geologi dell’epoca, fra cui J.C. Maxwell e Sir George Darwin (figlio del più celebre Charles Darwin), si sono occupati del problema, arrivando alla conclusione che l’effetto stabilizzante dei rigonfiamenti equatoriali terrestri è talmente grande, che non c’è forza ipotizzabile in grado di provocare uno spostamento dell’asse di rotazione rispetto al pianeta stesso, a meno di una “collisione planetaria”. Essi pertanto hanno scartato l’idea di uno spostamento dei poli come impossibile ed in pratica non meritevole di discussione. La loro influenza è stata talmente decisiva, che nessuno, fino ad oggi, ha preso in considerazione tale ipotesi.
Anche la possibilità della variazione dell’inclinazione dell’asse rispetto all’eclittica viene negata, in virtù del principio della dinamica che vuole che in un sistema isolato il momento della quantità di moto rimanga invariato.
Su una cosa Maxwell aveva certamente ragione, e cioè che la stabilità della Terra è assicurata esclusivamente dai suoi rigonfiamenti equatoriali. Se la Terra fosse un corpo perfettamente sferico e omogeneo, una singola persona che camminasse sulla sua superficie sarebbe sufficiente a far slittare i poli per una qualunque ampiezza. Quel che Maxell trascurò totalmente (non era un ingegnere navale) è la presenza sulla Terra di una enorme superficie liquida libera, che in ogni sistema crea instabilità. Durante il grande tsunami che ha colpito l’Indonesia qualche anno fa, si è verificato un significativo slittamento temporaneo dei poli, dovuto proprio all’onda di marea, la cui altezza era soltanto di pochi metri. Ma se si verificasse un’onda di marea dell’altezza di centinaia di metri, nel senso della latitudine, i poli slitterebbero di parecchi gradi. Con conseguenze imprevedibili.
Inoltre Maxwell non conosceva la composizione interna della Terra, con strati liquidi e solidi alteranti; il principio della conservazione del momento non può essere applicato nello stesso modo che a un corpo completamente solido e omogeneo. Ed infatti, a causa della struttura interna del pianeta, il suo momento può cambiare, e in effetti cambia, istante per istante, sia in quantità che in direzione.
Anche l’affermazione che l’inclinazione dell’asse terrestre sia immutabile è palesemente errata. Innanzitutto la Terra non è un sistema isolato, ma è soggetta all’influenza degli astri circostanti. La piccola luna, per esempio, è responsabile quasi interamente di una variazione imponente della direzione dell’asse di rotazione terrestre rispetto alle stelle fisse, dovuta al moto di precessione. Anche l’inclinazione dell’asse rispetto all’eclittica varia in continuazione a causa del movimento di “nutazione”.
Il moto di precessione dimostra in modo incontrovertibile che la direzione del momento della quantità di moto della Terra nel suo complesso non coincide con la direzione dell’asse di rotazione del guscio esterno e varia nel tempo sia in intensità che direzione.
Il movimento di precessione è dovuto all’attrazione gravitazionale della luna (e in misura minore del sole) sul rigonfiamento equatoriale, che sviluppa una coppia perturbatrice milioni di volte più piccola della coppia stabilizzatrice dei rigonfiamenti stessi. Una coppia piccolissima, quindi, che però provoca variazioni macroscopiche del momento della Terra, a causa proprio della composizione interna di quest’ultima. |
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Vediamo perché.
La Terra è costituita da un nucleo solido, del diametro di 2780 km ed un guscio esterno solido dello spessore di 2900 km, con interposto uno strato liquido di 2080 km. che di fatto agisce come un disacoppiatore fra le due parti solide, precludendo qualsiasi possibilità di trasmissione diretta di momento angolare fra loro. |
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L’attrazione lunisolare responsabile del movimento di precessione agisce esclusivamente sui rigonfiamenti del guscio esterno, ma non sullo strato liquido e tanto meno sul nucleo interno. Il moto di precessione, quindi, interessa soltanto il guscio esterno. Ovviamente esso induce per trascinamento dei moti convettivi nello strato liquido interno, che soltanto con molto ritardo trasmettono le variazioni di moto al nucleo solido centrale; ritardo che, viste le masse in gioco e la dinamica di trasmissione del momento angolare, è certamente dell’ordine delle migliaia di anni o anche più.
In teoria, e per quel che ne sappiamo, l’asse di rotazione del nucleo centrale potrebbe essere scostato anche di una quarantina di gradi rispetto a quello terrestre, e quello complessivo dello strato liquido intermedio anche di una ventina di gradi (la posizione dei poli magnetici potrebbe essere una spia della direzione ed entità dello scostamento). |
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In scala molto minore, anche il momento degli oceani nel loro complesso non coincide con quello del guscio esterno, a causa delle correnti oceaniche.
La direzione del momento angolare risultante del pianeta, quindi, è certamente scostata di un valore che può essere dell’ordine delle decine di gradi rispetto a quella dell’asse di rotazione del guscio esterno e varia indipendentemente dalla precessione, perché ognuno dei 4 strati si muove indipendentemente dagli altri. Anche il valore del momento varia in continuazione.
Il principio della immutabilità del momento angolare vale soltanto se il sistema considerato, oltreché essere isolato, non emette né massa né energia. Nel caso della Terra, il fatto che guscio esterno e nucleo centrale abbiano assi di rotazione sfalsati, induce per attrito nello strato liquido intermedio turbolenza, con dissipazione di energia sotto forma di calore (o anche creazione di campo magnetico), che avviene ovviamente a spese del momento angolare e si traduce quindi in una variazione della quantità e della direzione del momento globale.
Con l’attuale angolo di precessione, la divergenza fra l’asse di rotazione del nucleo solido interno e quella del guscio esterno può variare periodicamente fra 0 e 46 gradi. Maggiore è l’angolo fra loro e più grande sarà la quantità di energia dissipata e quindi il calore irradiato tramite il guscio esterno. Le periodiche variazioni dell’angolo fra l’asse del nucleo esterno e quello del guscio esterno, quindi, provocano periodiche variazioni della temperatura esterna della Terra.
Nell’ipotesi estrema che l’asse di rotazione del guscio esterno risultasse invertito rispetto a quello del nucleo centrale, il momento angolare di entrambi verrebbe dissipato per attrito con lo strato liquido. Se i momenti angolari delle due parti fossero di entità paragonabile, il momento risultante si ridurrebbe a zero, e tutta l’energia legata al momento angolare sarebbe dissipata nel calore sviluppato dall’attrito. (Questo è quanto potrebbe essere accaduto a Venere, pianeta che in teoria dovrebbe avere un velocità di rotazione come quella della Terra e di Marte ed una superficie di antichità paragonabile. Invece la rotazione è quasi nulla e l’attuale superficie si è solidificata non più di un miliardo di anni fa. Nucleo e guscio esterno del pianeta per una qualche ragione potrebbero essere entrati in controfase, annullando reciprocamente la quantità di moto, ed il calore sviluppato nella dissipazione del momento angolare sarebbe stato sufficiente a sciogliere completamente il guscio solido esterno.)
E’ evidente, in conclusione, che l’affermazione che l’inclinazione dell’asse di rotazione terrestre possa variare soltanto se la Terra viene colpita da un corpo celeste di massa paragonabile è errata. Variazioni macroscopiche, infatti, sono costantemente in atto sotto i nostri stessi occhi, dovute a forze insignificanti, come l’attrazione luni-solare sui rigonfiamenti equatoriali.
Parimenti errata è l’idea che una massa planetaria sia necessaria anche per avere uno slittamento dei poli, vale a dire uno slittamento dell’asse di rotazione rispetto alla terra stessa. Per questo, infatti, è sufficiente “riplasmare” i rigonfiamenti equatoriali, vale a dire indurre delle deformazioni sulla superficie del pianeta percentualmente trascurabili (lo spessore dei rigonfiamenti è appena lo 0.3% del raggio terrestre, assolutamente inapprezzabile ad occhio nudo. Slittamenti rilevanti si possono avere con deformazioni dello 0,03%).
Resta da vedere come sia possibile che i rigonfiamenti equatoriali vengano riplasmati. Non è difficile da spiegarsi, se teniamo conto del fatto che almeno il 30% dei rigonfiamenti stessi è costituito dall’acqua degli oceani, che può essere facilmente spostata da un punto all’altro per effetto di forze relativamente. Un’onda di marea dell’ordine delle centinaia di metri, che si muovesse dall’equatore verso i poli, provocherebbe una variazione dell’asse di parecchi gradi.
Tutto quel che dobbiamo fare, quindi, è vedere quale possa essere la causa in grado di provocare un’onda del genere e come quest’onda possa provocare una modifica permanete dei rigonfiamenti equatoriali e quindi uno slittamento “permanente” dei poli.
Si è visto che tutti i fenomeni geologici potrebbero essere spiegati con un improvviso cambiamento dell’asse, e in alcuni casi si è constatata la contemporaneità con un impatto da asteroidi del diametro dell’ordine dei 3 km.
Vista la sproporzione fra i due corpi ( in scala: 7 millimetri per un asteroide di 3 km, contro 25 metri di diametro per la Terra), la possibilità che un impatto del genere possa indurre un salto di poli sembrerebbe da escludersi a priori. La massa di un asteroide, e l’energia associata, sono assolutamente trascurabili; esse non possono in alcun modo provocare direttamente uno spostamento dei poli superiore qualche millimetro!
Se massa ed energia dell’asteroide possono essere trascurati, non è lo stesso per la coppia perturbatrice sviluppata dall’impatto. Per capirne il perché bisogna considerare (fatto stabilito già dallo stesso Maxwell) che la coppia stabilizzatrice della Terra è sviluppata non dall’intera massa del pianeta, ma soltanto dai suoi rigonfiamenti equatoriali e cioè da un anello di materiali avente uno spessore massimo, all’equatore, di 14 chilometri. La sproporzione fra la massa dei rigonfiamenti equatoriali e quella di un asteroide è incomparabilmente più piccola di quella esistente fra quest’ultima e l’intera massa terrestre. Pertanto, data l’alta velocità dell’asteroide (oltre 20 chilometri al secondo; fino a 80 km/sec per una cometa), la coppia impulsiva sviluppata dall’impatto può raggiungere valori di picco molto elevati, tali da uguagliare, anche se per un istante infinitesimo, la coppia di reazione massima sviluppabile dai rigonfiamenti equatoriali.
Per quanto elevata, tuttavia, si tratta pur sempre di una coppia impulsiva, che agisce per un tempo troppo breve per provocare effetti percettibili su un comune giroscopio, rigido e indeformabile.
La Terra, però, non è un giroscopio comune. Innanzitutto è coperta da uno strato di acqua, che introduce un elemento di instabilità, perché reagisce immediatamente ad ogni cambiamento, sia pur minimo, di moto. In secondo luogo, anche la crosta esterna “solida” del pianeta è in realtà plastica ed è facilmente deformata dalla forza centrifuga.
Si può dimostrare che, a causa di questi due fattori, una coppia impulsiva di direzione ed intensità opportune può innescare un processo che alla fine risulta in un cambiamento permanente dell’asse di rotazione della Terra.
Possiamo studiare il comportamento di un giroscopio, per mezzo della sua ellisse di inerzia, in un caso mai studiato dagli scienziati, perché di scarso interesse pratico: quello in cui esso sia sottoposto ad una coppia perturbatrice dello stesso ordine di grandezza della coppia stabilizzatrice. Nell’appendice matematica alla fine di questo saggio si dimostra che quando la coppia perturbatrice eguaglia quella stabilizzatrice, l’asse di precessione diviene asse permanente di rotazione del giroscopio. Se a quel punto la coppia diminuisce, il giroscopio inizia a “precedere” intorno all’asse di figura, che torna ad essere asse di rotazione soltanto se e quando la copia si annulla completamente. |
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Un impatto sviluppa sulla Terra una coppia impulsiva. Se il valore di quest’ultima supera una determinata soglia, il pianeta cambia istantaneamente il proprio asse di rotazione e lo recupera nuovamente solo quando la coppia impulsiva svanisce del tutto, e cioè un istante dopo. In tal caso non c’è alcun seguito. Se però la coppia non svanisce del tutto, vale a dire se continua a sussistere una coppia, per quanto piccola, avente la stessa direzione, allora la Terra conserva una sorte di “memoria” dell’impatto, consistente in una componente rotazionale estremamente piccola, ma con la particolarità di essere “fissa” rispetto alla Terra stessa.
Sotto la spinta centrifuga di questa minuscola componente rotazionale, masse di acqua cominciano a muoversi per disporsi su un cerchio perpendicolare a tale rotazione e cioè la linea equatoriale da essa individuata. Mano a mano che l’acqua si sposta verso il nuovo equatore, però, la componente rotazionale responsabile del movimento cresce di valore, a spese della componente rotazionale principale; di conseguenza, la forza centrifuga che provoca lo spostamento dell’acqua aumenta, per cui si ha un maggior flusso di acqua verso il nuovo equatore, che a sua volta provoca un aumento della rotazione e così via. E’ un processo che inizia molto lentamente, ma che viene progressivamente accelerandosi, fino a che la forza centrifuga indotta da questa nuova componente rotazionale non diviene sufficiente a provocare la deformazione della crosta terrestre.
A questo punto si ha una improvvisa accelerazione del processo ed in breve tempo il rigonfiamento equatoriale si rimodella intorno al nuovo asse di rotazione, rendendo il movimento di rotazione della Terra nuovamente stabile (vedi appendice matematica allegata).
Questo meccanismo mostra come i poli terrestri, contrariamente a quanto si è sempre postulato, possono effettuare “salti” di migliaia di chilometri nel giro di pochi giorni (il che significa quasi istantaneamente), sotto l’effetto di forze apparentemente trascurabili, come la coppia sviluppata dall’impatto di un asteroide di media grandezza.
Una catastrofe globale, provocata dall’impatto di un piccolo oggetto come un asteroide o di una cometa, può essere giustificata soltanto se si suppone che tale impatto possa provocare uno slittamento macroscopico dei poli in un tempo molto breve. Gli effetti dello spostamento sono ovviamente correlati con l’ampiezza di quest’ultimo, ma anche con la variazione dell’inclinazione dell’asse (che è indipendente dalla prima).
L’ampiezza dello spostamento, invece. non ha alcuna relazione con la massa del corpo impattante. Anche il punto dell’impatto ha un’influenza trascurabile sul risultato finale. Data l’enorme velocità del corpo impattante (compresa fra 20 e 80 km/sec), infatti, l’acqua si comporta e trasmette l’urto come una superficie solida (a questa velocità la materia che si trova di fronte al corpo non ha il tempo di togliersi di mezzo: qualunque essa sia vaporizza istantaneamente, formando una tasca di gas ad altissima pressione, che alla fine esplode).
Vediamo cosa accadrebbe in una circostanza del genere.
Innanzitutto si avrebbe necessariamente un riassestamento rapido, praticamente istantaneo in termini geologici, dei rigonfiamenti equatoriali (da notare anzi, che un riaggiustamento dei rigonfiamenti equatoriali è condizione necessaria e sufficiente per lo spostamento dei poli; modifica dell’ellissoide terrestre e spostamento dei poli, quindi, vanno necessariamente di pari passo). Questo è ottenuto in un primo momento con spostamento soltanto di acqua e subito dopo attraverso un riaggiustamento subitaneo del mantello, a causa della forza centrifuga.
Il riaggiustamento dei rigonfiamenti comporta un abbassamento della crosta in alcune aree, un sollevamento in altre. Per un o slittamento di 20 gradi la deformazione massima della crosta sarebbe dell’ordine del chilometro (distribuito su un arco di 20.000 km., il che significa una variazione dell’ordine di 5 cm per km). Trascurabile in rapporto al diametro della Terra, ma comunque con conseguenze assai rilevanti sulla superficie. In particolare dove i rigonfiamenti crescono si possono avere fratture della crosta, attraverso cui fluirebbero enormi quantità di magma.
L’improvviso dislocamento delle masse continentali in latitudine, inoltre, provocherebbe l’insorgere di formidabili spinte delle masse continentali sui sottostanti strati plastici del Sima (dovute alle forze centrifughe), con la conseguente possibilità di innesco di nuovi movimenti convettivi. Ciò provocherebbe l’inizio di una nuova “deriva” della massa continentale sovrastante, in contrasto con eventuali precedenti derive, e quindi con possibilità di nuovi frazionamenti continentali. Se poi esistono le condizioni sedimentarie idonee (geosinclinali), si avrebbe anche l’inizio di una fase orogenetica.
Il tutto accompagnato a variazioni del livello del mare dovute a variazioni di latitudine dei continenti, oltreché a variazioni climatiche, che favorirebbero la formazione o lo scioglimento dei ghiacci. Si avrebbero anche forti perturbazioni del campo magnetico terrestre, con possibilità di inversione della polarità, dovute a variazioni delle correnti di circolazione nello strato ferroso liquido intermedio.
Gli effetti sui sistemi ecologici e sulle specie viventi sarebbero imponenti, con possibilità di estinzioni di massa, a causa di due fattori distinti:
1- Distruzione diretta di una percentuale elevata di esseri viventi, dovuta ai fenomeni disastrosi innescati dallo spostamento di poli, in particolare:
· innalzamento temporaneo fortissimo del livello del mare sulla maggior parte delle coste del mondo. L'acqua degli oceani giocherebbe un ruolo assai importante agli effetti distruttivi. Dobbiamo aspettarci ampie fluttuazioni del livello marino in gran parte del mondo: una enorme onda di marea, di altezza dell’ordine delle centinaia di metri o più, si muoverebbe lentamente intorno al globo.
· venti uraganici e piogge torrenziali su tutto il pianeta. Nel complesso, oceani ed atmosfera seguono il movimento di rotazione della Terra, ma non sono legati ad essa. Se la rotazione della Terra cambia direzione, essi continuano per inerzia nel loro moto precedente, almeno inizialmente, scatenando uno spaventoso uragano su tutti i continenti. Soltanto dopo qualche tempo l’attrito con la superficie costringerà l’atmosfera a seguire il nuovo movimento.
· terremoti fortissimi in tutte le aree interessate ad un riaggiustamento dell’ellissoide terrestre; è ovvio che aggiustamenti dell’ellissoide terrestre di questa entità non possono avvenire senza che si verifichino ampie fratture nella crosta e nel mantello, le quali provocherebbero terremoti tali da far impallidire i più rovinosi terremoti di oggigiorno
· temporaneo irrigidimento del clima su tutta la terra, dovuto all’effetto combinato di questi fenomeni, più le polveri immesse nell’atmosfera dall’impatto.
· Fenomeni distruttivi locali dovuti all’effetto diretto dell’impatto.
2- Sconvolgimento degli equilibri ecologi e “disadattamento” di un gran numero di specie, dovuti a cambiamenti climatici permanenti.
Lo spostamento dei poli comporta uno slittamento delle zone climatiche, le precedenti calotte polari si sciolgono per riformarsi in corrispondenza dei nuovi poli e si hanno variazioni di correnti aeree e oceaniche, che comportano ulteriori variazioni climatiche locali. Assai più importante e generalizzato è l’effetto della variazione dell’inclinazione dell’asse rispetto all’eclittica, perché da essa dipendono le differenze climatiche stagionali, che hanno importanti conseguenze sulle capacità di accumulo dei ghiacci, e la diffusione della flora e della fauna. Una elevata inclinazione dell’asse comporta inverni polari seguiti da estati tropicali, per cui si ha un ridotto accumulo di ghiacci, poiché le nevi invernali vengono sciolte dalle alte temperature estive a qualunque latitudine: le calotte glaciali polari e montane si riducono ed il livello dei mari aumenta.
La diffusione della flora e della fauna viene a dipendere strettamente dalla latitudine, perché il numero di specie capaci di superare il periodo critico invernale diminuisce con l’aumentare della latitudine. Una inclinazione ridotta dell’asse determina invece un forte accumulo dei ghiacci su tutte le montagne e nelle zone polari (con conseguente diminuzione del livello marino), perché non si verifica scioglimento estivo. Le differenze stagionali ridotte favoriscono lo sviluppo della fauna e la sua diffusione dall’equatore verso i poli. Tali variazioni climatiche, unite agli effetti distruttivi immediati, comportano cambiamenti profondi degli ecosistemi, con la sparizione di specie non adattate al nuovo andamento climatico e lo sviluppo di altre meglio adattate.
Un salto di polo, quindi, comporta la possibilità di estinzioni di massa e l’innesco di un rapido processo evolutivo che porta allo stabilirsi di nuove specie su gran parte del pianeta.
Le variazioni climatiche sulla Terra, quindi, sarebbero dovute principalmente a spostamenti dei poli e variazioni dell’inclinazione dell’asse sull’eclittica. A questi vanno aggiunti gli effetti di altri fattori, che sembrano avere influenza sul clima, come i cicli astronomici di Milankovitch, le variazioni dei gas-serra nell’atmosfera e così via.
Dal momento che si parla di gas-serra, è interessante notare che dai carotaggi effettuati nelle calotte glaciali antartica e groenlandese risulta che la loro concentrazione nell’atmosfera varia sempre dopo un cambiamento delle temperature medie, mai prima. Questo significa che ad ogni condizione climatica della Terra corrisponde una specifica concentrazione dei gas-serra, in equilibrio con questa condizione. Oggi l’equilibrio è rotto dalla massiccia immissione di CO2 a causa delle attività umane. Questo certamente ha un qualche effetto sul clima, che però non dovrebbe essere permanente. Quando gli umani smetteranno di immettere gas-serra nell’atmosfera, la loro concentrazione dovrebbe tornare, prima o poi, alla condizione di equilibrio.
Perché l’impatto da parte di un corpo celeste dia luogo ad un salto dei poli, è necessario che siano verificate le due seguenti condizioni:
a) che la coppia d’impatto sia sufficiente a eguagliare la coppia di reazione massima della Terra nella direzione dell’urto, anche per un solo istante. Ciò significa che non solo il corpo deve avere massa e velocità adeguate, ma che anche il braccio della coppia deve essere sufficientemente ampio .
b) La coppia di attrazione lunisolare sui rigonfiamenti terrestri deve avere lo stesso segno di quella sviluppata dall’impatto.
Questa seconda condizione ha chiaramente una probabilità di essere verificata del 50%. Quindi, in ogni caso la probabilità che un impatto dia luogo ad un salto di polo è inferiore a questo valore, qualunque sia la grandezza dell’oggetto. Relativamente indipendente dalla massa dell’oggetto è anche la probabilità che esso possa sviluppare una coppia di valore adeguato. Determinante a tal fine, infatti, è il valore del “braccio” della coppia. Se l’urto è diretto esattamente verso il centro della Terra, non si ha nessuna coppia, qualunque sia la massa e velocità dell’oggetto. Viceversa, se l’impatto è molto angolato, quasi tangente alla superficie terrestre, anche un oggetto di modeste dimensioni può sviluppare una coppia rilevante. Significativa ai fini del valore del picco di accelerazione, e quindi della coppia sviluppata, dovrebbe essere anche la compattezza o meno dell’oggetto e la natura del terreno nel punto dell’impatto.
Queste variabili rendono obiettivamente impossibile una valutazione precisa della probabilità che l’urto possa sviluppare una coppia di valore adeguato. Possiamo tuttavia ragionevolmente ritenere che essa non sia superiore al 10% per oggetti con diametro superiore al mezzo chilometro e che diminuisca velocemente al di sotto di questo limite.
Le probabilità che la Terra venga colpita da un oggetto avente una grandezza dell’ordine del chilometro sono piuttosto elevate. Responsabile di ciò è una categoria di oggetti celesti che gli astronomi chiamano col nome di “Oggetti Apollo”, applicato ad una classe di asteroidi, il cui perielio (cioè il punto orbitale più vicino al sole) si trova all'interno dell'orbita della Terra. Al giorno d'oggi si conoscono all'incirca 100 oggetti Apollo del diametro di almeno 1 chilometro. Il numero di Apollo con un diametro di almeno 1 chilometro è stimato essere fra 1000 e 2000.
Poiché il perielio degli Apollo giace all'interno dell'orbita terrestre, ne consegue che, grazie alla precessione delle orbite, queste vengono ad intersecare periodicamente l'orbita terrestre. In questa occasione c'è effettivamente una possibilità di impatto, la cui probabilità viene valutata nell'ordine di 5.10 -9 all'anno per ciascun singolo Apollo.
Valutando il numero di oggetti con un diametro superiore a 1 chilometro in circa 1000, si ha una probabilità di 4 impatti ogni milione di anni. Questa probabilità cresce esponenzialmente col diminuire del diametro degli oggetti, fino a divenire di un impatto ogni pochi secoli per oggetti di 100-200 metri di diametro.
La probabilità calcolata concorda, in quanto ordine di grandezza, con la statistica degli impatti subiti dalla Terra negli ultimi 600 milioni di anni (G.W. Wetherill, “Gli Oggetti Apollo”, Scientific American ,Maggio 79 - Tom Gehrels, “Collision with comets and asteroids”, Scientific American, march 96) . Se la Terra fosse priva di oceani e atmosfera presenterebbe una superficie butterata di crateri come quella della luna e di Mercurio. Sul nostro pianeta, invece, i processi di erosione e sedimentazione cancellano rapidamente le tracce degli impatti meteoritici.
Ma in zone particolari, come ad esempio lo scudo canadese, che sono state recentemente raschiate dai ghiacci, le tracce degli antichi impatti sono state rimesse a nudo ed è possibile quindi farne una conta precisa. Sulle base di esse G. W. Wetherill ha valutato che il pianeta, negli ultimi 600 milioni di anni, sia stato colpito da almeno 1500 oggetti aventi un diametro superiore ad un chilometro; in buon accordo, quindi con le stime calcolate. |
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I calcoli relativi alla coppia impulsiva sviluppata da un impatto, mostrano che il valore di soglia necessario ad innescare uno slittamento dei poli potrebbe essere raggiunto al limite anche con asteroidi con un diametro dell’ordine di mezzo km., i quali presentano una probabilità di impatto dieci volte superiore a quella di asteroidi di un km. Slittamenti subitanei dei poli, da pochi gradi ad un paio di decine di gradi, potrebbero quindi essere la norma nella storia geologica della Terra. Essi sarebbero i responsabili primi dei grandi processi geologici che caratterizzano questa storia ed in definitiva del processo di evoluzione delle specie.
I sistemi ecologici, infatti, tendono a raggiungere l’equilibrio con l’ambiente ed ogni specie ad adattarsi ad una ben precisa nicchia ecologica. Quando questo adattamento è completato cessa ogni spinta evoluzionistica. Lunghi periodi di stabilità comportano una grande diversificazione delle specie, ma un “congelamento” della loro evoluzione. Periodiche distruzioni dei sistemi ecologici e variazioni delle condizioni climatiche comportano continui riadattamenti delle specie sopravvissute e sono quindi il motore dell’evoluzione.
Se questa l’ipotesi presentata in questa memoria venisse verificata in pratica (cosa possibile tramite opportune ricerche nell’Antartide, per esempio), gli impatti di asteroidi e comete dovrebbero essere riconosciuti come la causa prima dei grandi processi geologici del passato e l’intera storia geologica della Terra dovrebbe essere riveduta.
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Le componenti rotazionali in un giroscopio libero perturbato sono legate fra loro dalla seguente relazione, dovuta al Laplace, la quale esprime il principio della conservazione dell’energia:
1) Jo W2 = Jo w2 + Jp wp2 = Ji wi 2
dove:
W = velocità di rotazione del giroscopio non perturbato
w = velocità di rotazione del giroscopio intorno al suo asse principale
wp = velocità di precessione
wi = velocità di rotazione istantanea del giroscopio
Jo = momento d’inerzia principale del giroscopio
Jp = momento d’inerzia rispetto all’asse di precessione
Ji = momento d’inerzia rispetto all’asse di rotazione istantanea
Il valore della coppia perturbatrice sviluppata da una forza generica Fp, formante un angolo b con l’asse di figura del giroscopio, è dato evidentemente dalla:
2) Cp = R Fp senb
dove R è il braccio della forza, ossia la distanza del suo punto di applicazione dal centro del giroscopio.
Il movimento di precessione wp del giroscopio avviene sempre intorno ad un asse equatoriale, che però è diverso istante per istante in modo tale che l’asse di figura viene a muoversi su una superficie conica, con vertice al centro e apertura 2 b. Esso viene quindi a ruotare con velocità angolare wpa intorno ad un asse parallelo alla forza stessa, che chiameremo asse di precessione apparente, per distinguerlo da wp (vedi fig. 1).
Il valore della wpa è dato dalla formula :
3)
.
fig.1
Le relazioni 1), 2) e 3) consentono di studiare esaurientemente il comportamento di un giroscopio libero perturbato, con un metodo essenzialmente grafico.
Dato un giroscopio, disegniamo, sulla base della sua ellisse di inerzia, un’altra ellisse i cui semiassi siano rispettivamente:
Ciascun raggio dell’ellisse r(q) , con q = 0 ¸ 2p, avrà ovviamente il valore:
dove J q è il momento d’inerzia di un asse formante un angolo q con quello di figura.
Posto W2 = 1 , per la 1) ciascun raggio r(q) è proporzionale alla velocità angolare che il giroscopio deve avere intorno all’asse q per mantenere invariata l’energia iniziale (vedi fig.2)
Le estremità delle frecce rappresentanti W ed wi , quindi, cadono sempre sull’ellisse, mentre tutte le altre componenti rotazionali si trovano sempre all’interno di essa. Questa ellisse consente di analizzare esaurientemente il comportamento delle varie componenti rotazionali del giroscopio, legate come sono dalla relazione 1) (vedi fig. 2).
fig. 2
Il significato di queste componenti è facilmente intuibile. Un giroscopio soggetto ad una coppia di ribaltamento reagisce sviluppando una coppia esattamente uguale e contraria. Questo viene ottenuto ruotando istante per istante intorno ad un asse, wi , diverso da quello di figura e tanto più sbilanciato quanto più grande è la coppia perturbatrice. La wi è la risultante del movimento di rotazione attorno all’asse di figura e della rotazione, wp, attorno ad un asse equatoriale. In ogni istante si ha ovviamente: wi2 = w2 + wp2.
Quando un giroscopio è soggetto ad una coppia perturbatrice Cp, di valore crescente, wp cresce, per cui la wi si sposta in direzione della wpa.
Quando la Fp raggiunge un valore Fpa uguale a quello sviluppato dal giroscopio ruotante intorno all’asse di wpa (vedi calcoli più avanti),avremo evidentemente ;
wi = wpa.
In questo momento l’asse di rotazione istantanea viene a coincidere con l’asse di precessione apparente. E’ questa una condizione particolarissima in cui il sistema costituito dal giroscopio e dalla coppia perturbatrice si comporta come un giroscopio non perturbato, con un’unica componente rotazionale, W’, fissa rispetto allo spazio ed al corpo giroscopico stesso, il cui asse diventa asse di rotazione principale del sistema.
Se a questo punto la forza Fp torna a diminuire, il sistema di comporta come un giroscopio cui venga applicata una coppia di valore:
fig. 3
Il nuovo asse di rotazione comincia pertanto a precedere intorno all’asse di figura; la wi’, di conseguenza ripercorre il cammino inverso, portandosi in direzione di quest’ultimo. Il valore e la direzione delle varie componenti rotazionali del giroscopio in questo caso sono rappresentati in fig.3 e 4.
fig. 4
Per il principio di conservazione dell’energia, si avrà evidentemente:
A parità di forza perturbatrice Fp, la velocità di rotazione istantanea è esattamente la stessa sia nel tragitto di “andata” che in quello di “ritorno”. Si ha cioè sempre wi’ = wi . Variano invece in maniera sostanziale le altre componenti rotazionali. In particolare w’p ha direzione opposta a wp . Questo si giustifica con il fatto che mentre nel tragitto di “andata” è l’asse di figura che ruota intorno all’asse di wpa , in quello di “ritorno” avviene il contrario, e cioè l’asse di wpa, che ora è fisso rispetto al corpo del giroscopio, viene a ruotare intorno a quello di figura.
Essenziale è il fatto che lungo l’asse di wpa si ha una componente rotazionale fissa rispetto al corpo del giroscopio. Ciò significa che il giroscopio conserva “memoria” della posizione del nuovo asse di rotazione. La componente rotazionale, e con essa la “memoria”, vengono cancellate soltanto quando la Fp si annulla totalmente. Se la Fp non dovesse annullarsi, il giroscopio conserverebbe indefinitamente due componenti rotazionali, entrambi intorno ad assi fissi rispetto a se stesso.
Il comportamento della Terra in presenza di una coppia perturbatrice è assimilabile a quello di un giroscopio, con una importante differenza, dovuta al fatto che il pianeta non è un solido omogeneo e indeformabile, ma è costituito da parti interne ed esterne liquide e da un guscio solido intermedio, dotato di alta plasticità e facilmente deformabile sotto l’effetto delle forze centrifughe. Ogni componente rotazionale del pianeta esercita sulle sue parti una forza centrifuga, in conseguenza della quale si hanno deformazioni e/o movimenti di massa, che a loro volta influiscono sulle componenti rotazionali e tendono costantemente ad annullare ogni eventuale coppia di reazione.
Se ad esempio costringiamo un giroscopio indeformabile a ruotare intorno ad un asse diverso da quello di figura, esso sviluppa una coppia di reazione che rimane costante nel tempo.
Anche la Terra, costretta a ruotare intorno ad un asse diverso da quello di figura, svilupperebbe inizialmente una coppia di reazione. La stessa forza centrifuga responsabile di questa coppia, tuttavia, agirebbe sulle masse plastiche e liquide, provocando deformazioni e/o spostamenti, tendenti a ricostituire l’ellissoide intorno al nuovo asse di rotazione. Di conseguenza la coppia di reazione diminuirebbe, fino ad annullarsi completamente dopo un certo tempo.
Noi non conosciamo forze in grado di costringere la Terra a ruotare intorno ad un asse diverso da quello di figura per un tempo sufficientemente lungo a completare un tale processo. Sappiamo, però, che il pianeta viene periodicamente colpito da grandi bolidi ad alta velocità, i quali sviluppano una coppia di ribaltamento di durata molto breve, ma che può avere un valore di picco assai elevato, dello stesso ordine di grandezza della coppia di reazione massima sviluppabile dalla Terra (vedi al paragrafo successivo i relativi calcoli).
Vediamo, con l’ausilio dei grafici di fig.2 e 4 cosa succede in questo caso.
Non appena la coppia sviluppata dall’impatto comincia a crescere, la wi si porta in direzione della wpa , parallela alla direzione dell’urto, fino a coincidere con essa se l’impatto sviluppa una coppia impulsiva di intensità sufficiente. In quell’istante l’asse di wpa diventa asse permanente. Non appena la coppia impulsiva diminuisce, l’asse wi torna velocemente in corrispondenza di quello di figura iniziale, ma con modalità radicalmente diverse da quelle del tragitto di “andata”, come si vede da fig. 4 Non appena l’impulso cessa, un attimo dopo, la Terra dovrebbe tornare nuovamente a ruotare intorno al suo asse naturale e tutto dovrebbe finire lì, ma non è detto.
Perché la “memoria” del nuovo asse di rotazione venga cancellata ed il giroscopio torni a ruotare intorno all’asse di figura, è necessario che la coppia perturbatrice si annulli “completamente”. Purtroppo, ci sono buone probabilità che questo non avvenga. Sappiamo che la Terra è soggetta in permanenza ad una coppia perturbatrice dovuta all’attrazione gravitazionale esercitata dal sole e dalla luna sui rigonfiamenti equatoriali. Questa coppia è di un ordine di grandezza dieci milioni di volte più piccolo di quella sviluppata dall’urto; ma il suo ruolo è fondamentale.
Se al momento dell’impatto essa ha segno contrario rispetto a quello sviluppato nell’urto, appena l’impulso si esaurisce, la Terra recupera istantaneamente il primitivo asse di rotazione e tutto finisce lì. Gli unici effetti sarebbero quelli distruttivi immediati prodotti dall’impatto.
Se invece essa ha inizialmente la stessa direzione della coppia impulsiva prodotta dal bolide, si somma a quest’ultima e contribuisce, nel suo piccolo, allo spostamento subitaneo della posizione dei poli. Pochi istanti dopo, la coppia impulsiva si annulla, ma quella lunisolare rimane e, per quanto piccola, è pur sempre maggiore di zero e quindi sufficiente ad impedire che la “memoria” dell’asse intorno a cui la Terra ha ruotato per un breve istante venga cancellata.
In questo caso la Terra viene a comportarsi in realtà come un giroscopio con asse di figura coincidente con quello assunto nell’istante dell’impatto, soggetto ad una coppia perturbatrice costante, di entità praticamente uguale e segno contrario a quella impulsiva sviluppata dal bolide. Vediamo in figura 5 la situazione che si viene a determinare in questo caso.
a b
fig.5
I grafici 5.a e 5.b rappresentano la situazione delle componenti rotazionali della Terra immediatamente prima (a) e dopo (b) l’impatto, nel caso in cui la coppia lunisolare abbia lo stesso segno di quella sviluppata dall’urto. (Nella figura le componenti rotazionali di precessione sono molto esagerate, ai fini esplicativi; in realtà sono dell’ordine del milione di volte più piccole della rotazione principale. Il ragionamento, tuttavia, non cambia).
La situazione in apparenza non è cambiata, perché wi è esattamente uguale ad w’i, ed anche w’ è dello stesso ordine di grandezza della velocità di precessione iniziale wpa, milioni di volte più piccola della rotazione principale.
C’è però una differenza fondamentale: a questo punto la w’ è l’unica componente rotazionale “fissa” rispetto al corpo della Terra. L’asse di w’ , quindi, è asse di rotazione permanente e per quanto piccola sia la rotazione intorno ad esso (un milione di volte più piccola della rotazione principale), esso esercita pur sempre una forza centrifuga, debolissima, che tende a formare un rigonfiamento equatoriale rispetto al proprio asse (che sarebbe dell’ordine della decina di metri).
Se la Terra fosse un giroscopio rigido indeformabile, questa situazione permarrebbe immutata indefinitamente. Il pianeta, però, è coperto da un sottile strato di acqua, molto pronta a reagire ad ogni cambiamento di moto.
Si comincia quindi con l’avere un leggero spostamento di liquidi verso la nuova linea equatoriale. Mano a mano che ciò avviene, la w’ torna ad aumentare, quindi cresce la forza tendente a far spostare i liquidi verso il nuovo equatore, e così via, in un processo che parte molto lentamente, ma va via via accelerandosi fino a che la forza centrifuga non diviene sufficiente far deformare il guscio plastico. Dopo un certo tempo, quindi, l’ellissoide si ricostituisce intorno al nuovo asse di rotazione, e la Terra torna nuovamente in condizioni di stabilità, ma con asse di rotazione e poli spostati.
Il valore della coppia di reazione di un giroscopio, quando ruota intorno ad un asse diverso da quello di figura, può ricavarsi (vedi fig. 6), considerando la coppia elementare sviluppata dall’elemento di massa dm, che gira intorno all’asse di rotazione istantanea wi:
fig. 6
dove:
Fi = dm wi2 r i = dm wi2 ro cos b è la forza centrifuga;
b = ro senb è il braccio della coppia.
Avremo perciò:
dove dJo = dm ro2 è il momento d’inerzia della massa dm rispetto all’asse principale.
Per un giroscopio costituito da un ellissoide di rotazione avremo pertanto (vedi fig. 7):
4) C = (Jo - Jp) wi2 senbcosb = ½ Jr wi2 sen2b
dove Jr = (Jo - Jp) è il momento d’inerzia del solo rigonfiamento equatoriale.
fig7
Dalla relazione 4) si vede che un giroscopio è in grado di sviluppare una coppia di reazione soltanto quando Jo ¹ Jp. Se fosse una sfera perfetta, infatti, esso ruoterebbe indifferentemente intorno ad un qualsiasi asse e non si avrebbe alcuna componente stabilizzante. In una sfera omogenea, infatti, tutte le forze centrifughe si bilanciano reciprocamente e non si ha alcuna coppia di reazione, qualunque sia l’asse di rotazione. Soltanto i ‘rigonfiamenti” sviluppano una coppia di reazione, quando ruotano intorno ad un asse diverso da quello di figura.
Dalla 4) si vede che la coppia di reazione massima sviluppabile da un giroscopio è:
Cm = ½ Jr wi2
Il valore di wi è sensibilmente uguale a quello della rotazione normale, per cui possiamo porre:
wi2 » (2p / 8,64)2 1010 = 5,28 . 109
Il calcolo della Jr può essere fatto in modo indiretto, utilizzando i calcoli sviluppati da Gallen e da Deininger per conto dello stesso Hapgood (vedi riquadro a parte), la forza centrifuga sviluppata dai rigonfiamenti equatoriali per effetto della rotazione terrestre è pari a:
Fo = 4,1192. 1019 kg.
Per un calcolo approssimativo possiamo porre:
Jr @ Mr Ro2
Fo @ Mr wi2 Ro2 = Jr wi2 / Ro
dove Mr è la massa dei rigonfiamenti ed Ro il raggio della Terra.
Si ha quindi:
Jr = Fo Ro / wi2 @ 5 1034 kgmt2
Ed infine, grazie all’equazione 4), avremo:
4’) C = ½ Jr wi2 sen2b = 1,38 sen2b kgmt.
Per b = 45o avremo:
C @ 1,38 1026 kgmt
che è la massima coppia di reazione sviluppabile dalla Terra.
Per la relazione 4) un asteroide che colpisca la Terra, per spostare l’asse di rotazione di un certo angolo, ad esempio di 20° (per un solo istante si intende), deve poter sviluppare una coppia impulsiva di valore:
C20° = 8,87 . 10 25 Kgmt.
E’ pertanto immediato calcolare le caratteristiche dimensionali e cinematiche che tale corpo deve possedere.
La forza impulsiva Fi sviluppata nell’impatto con la Terra è data dalla formula classica:
Fi = Ma a
Dove:
a = dv/dt è l’accelerazione che il corpo subisce nell’impatto
Ma è la massa dell’asteroide
Per il calcolo dell’accelerazione, a, possiamo assumere che l’asteroide al momento dell’impatto abbia una velocità, v, compresa fra 25 e 75 km/sec., cioè la media di quella constatata per gli oggetti Apollo. Poniamo pertanto:
v = 5 . 10 4 mt/sec.
Per il calcolo di dt dobbiamo affidarci ad una stima. In via del tutto prudenziale, basandoci sulla profondità dei crateri conosciuti, possiamo assumere che la profondità del cratere provocato dall’impatto sia di ½ km; ciò significa che la velocità del corpo passa da 5.104 mt/sec a 0, nello spazio di ½ chilometro. Possiamo valutare l’intervallo di tempo in cui ciò avviene nell’ordine del centesimo di secondo, cioè:
dt = 0,01 sec.
L’accelerazione media subita dal corpo sarà pertanto:
am = dv/dt = 5.104 / 0,01 = 5. 106 m/sec2
Il picco di accelerazione è certamente molto superiore; per un calcolo prudenziale possiamo assumere che sia il doppio del valore medio. Si avrà pertanto:
a = 5.10 4 / 0.005 = 10 7 mt/sec2
E pertanto si avrà:
Fi = Ma . 10 7 kg
La coppia sviluppata da questa forza sarà evidentemente :
Ci = Fi . Ri
dove: Ri è il braccio della forza.
Il valore di Ri può essere compreso fra 0 e Ro@6,4 106 mt., e cioè il valore del raggio terrestre. Per ragioni statistiche possiamo porre:
Ri = ½ Ro = 3,2 106 mt
Il valore della massa dell’asteroide sarà pertanto:
Supposto che il corpo abbia una densità di 3 Kg/dm3, si ha un volume di:
Va = 0,92 km3
Un asteroide litico, quindi, del diametro dell’ordine del chilometro. Questo calcolo, tuttavia, è prudenziale, per cui possiamo realisticamente ritenere che un oggetto avente un diametro dell’ordine del mezzo chilometro sia ampiamente sufficiente a sviluppare una coppia del valore richiesto per un salto di poli di grande ampiezza.
Siano le equazioni della sfera e dell’ellissoide di rotazione rispettivamente:
1) x2 + y2 + z2 = b2
2)
dove l’asse y è l’asse di rivoluzione. Sia dM la massa dell’anello generato dalla rotazione del rettangolo dxdy intorno all’asse y. Avremo:
3) dM = 2pdx dxdy
dove d è la densità. Per ogni particella dell’anello l’accelerazione centrifuga è la stessa, ed è uguale ad w2 x, dove w è la velocità angolare in radianti al secondo.
La forza centrifuga dF esercitata dall’anello è data quindi dalla:
4) dF = w2x dM = 2pdw2x2 dxdy
Integrando l’equazione 4) rispetto ad x ed y avremo:
5)
Nell’espressione 5) F è espresso in dine, quando d è in grammi per centimetro cubo e a e b in centimetri. La quantità w può essere sostituita con 2pn, dove n è il numero dei giri per secondo. La Terra esegue un giro completo mediamente in 86.164,09 secondi solari, per cui n = 7,28 10-5.
Calcolo della forza centrifuga prodotta dalla rotazione dei rigonfiamenti equatoriali (La formula 5) è applicata considerando lo spessore del rigonfiamento di 13,3443 miglia all’equatore, in diminuzione graduale fino ad annullarsi ai poli):
Calcolo:
1)
Dove: s = densità in gr/cm3
a = raggio terrestre all’equatore in cm
b = raggio terrestre ai poli in cm
w = 2 - n r = rps
2) F = p4sn2. b(a3 - b3)
dove s = 2,7 gm/cm3
n = 1/86.164
b = 6,402 . 108 cm
a = 6,4165 . 108 cm
3) F = 4,0368 . 1025 dine = 4,1192. 1019 kg.
Bibliografia:
Charles Hapgood, “The Path of the Pole”, Chilton Book Co, Philadefphia, 1970
R. F. Deimel, “Mechanics of the gyroscope. The dinamics of rotation”, Dover Edition, 1950
G.W. Wetherill, “ The Apollo objects”’Scientific American, May 79
Tom Geherels, “Collision with Comets and Asteroids”’ Scientific American, March 96
E. Spedicato, “Apollo objects, Atlantis and the deluge: a catastrophical scenario for the end of the last glaciation”, Quad. 90/22, 1990, Bergamo University, Italy
A. Allam and P.B. Wignall, Mass Extinctions and their aftermath, Oxford, 2000