Studiando le civiltà passate ci si trova continuamente di fronte a realizzazioni e conoscenze che risultano inspiegabili in base al livello scientifico e tecnologico di quel tempo e che quindi presuppongono necessariamente l’esistenza di un’antichissima civiltà molto più avanzata.
Tanto per citare uno dei numerosi esempi possibili, l’esistenza di carte nautiche, portolani e planisferi medioevali e rinascimentali (Piri Reis, Oroteus Finaeus, Mercatore ecc) con precisioni in longitudine impossibili a quell’epoca e la rappresentazione dell’Antartide quale si appariva alla fine del Pleistocene, ha indotto uno scienziato come Hapgood a postulare che sia esistita 8 o più mila anni fa una civiltà in grado di cartografare il mondo intero, con estrema precisione.
Ma non è necessario scomodare conoscenze del passato per trovare prove del genere. Anche cognizioni universalmente in uso nella realtà quotidiana dei nostri giorni denunciano una origine, in un passato remoto, da un’ignota civiltà il cui livello tecnologico era molto più avanzato di quello di qualsiasi civiltà antica conosciuta.
È il caso, appunto, di una cosa apparentemente insignificante e priva di ogni significato recondito, come l’attuale unità di misura del tempo, il minuto secondo. E’ l’unità di misura di impiego più universale, che entra in ogni manifestazione della nostra vita ed è una grandezza fondamentale per la descrizione di un qualsivoglia fenomeno fisico. Nonostante la sua importanza, tuttavia, noi ignoriamo quale sia l’origine ed il significato di questa unità di misura, ereditata dagli antichi senza indicazioni circa l’autore, l’epoca e le ragioni della scelta della sua grandezza.
È opinione abbastanza comune che questa unità di misura del tempo abbia avuto origine dagli antichi Sumeri, derivata dal loro strano sisytema di conteggio in base sessagesimale. Infatti il numero 86.400 è chiaramente connesso con questo sistema, perché può essere suddiviso in 24 ore di 60 minuti ciascuna, a loro volta divise in 60 secondi. Stessa origine può essere ipotizzata per la convenzionale suddivisione del cerchio in 360 gradi, ciascuno diviso in 60 ‘, ognuno diviso in 60” di arco.
Il problema è che non abbiamo la più pallida idea di come il sistema sessagesimale dei Sumeri sia stato originato. Appare più verosimile, invece, che sia stata proprio quella particolare unità di misura, il minuto secondo, a dare origine a quel sistema di conteggio sproporzionato, al limite dell’assurdo. E in ogni caso, non sappiamo proprio cosa rappresenti la grandezza di questa unità di misura del tempo. Fu una scelta casuale, oppure rappresenta una durata con una stretta connessione con qualche particolare grandezza astronomica?
Normalmente una unità di misura è stabilita sulla base di una qualche caratteristica significativa del pianeta su cui viviamo. Per esempio, l’unità di misura delle lunghezze, il metro, è stata ottenuta dividendo la circonferenza della Terra per 40 milioni, il che presupponeva una conoscenza preventiva della sua effettiva lunghezza.
Possiamo ragionevolmente aspettarci che l’unita di misura del tempo, il minuto secondo, rappresenti anch’essa una grandezza in qualche modo legata alla velocità di rotazione della Terra intorno a se stessa e intorno al sole, vale a dire alla durata del giorno e dell’anno tropico. Ed infatti è proprio in questo modo che gli scienziati moderni lo hanno inteso e definito.
Il minuto secondo rappresenta la 86.400.ma parte del giorno. Ma di quale giorno? La durata del giorno solare, e cioè quella che trascorre fra due successivi passaggi del sole allo zenit, non è costante, perché la velocità della Terra intorno al sole cambia in continuazione, dal momento che percorre un’orbita ellittica. Il minuto secondo, quindi, non può essere altro che una frazione del giorno solare medio nel corso di un intero anno tropico. Per stabilire la sua durata in modo preciso, quindi, è necessario sapere esattamente quanti giorni solari sono contenuti in un anno tropico.
Ma, di nuovo, di quale anno? Il rapporto fra il giorno e l’anno solare non è costante, perché la velocità di rotazione della Terra diminuisce in continuazione a causa dell’effetto frenante delle maree. Per tale ragione gli scienziati moderni sono stati costretti a scegliere una data ben particolare a cui legare la loro definizione dell’unità di tempo. La definizione ratificata dall’undicesima Conferenza Generale sui Pesi e Misure, nel 1960, fu la seguente:
“il minuto secondo è la frazione 1/31.556.925,9747 del 0 Gennaio, alle ore 12 dell’anno tropico 1.900”.
Il che significa che la lunghezza dell’anno tropico, al 1° Gennaio 1900, a mezzogiorno, è stata preventivamente calcolata in 365,24219878125 (= 31.556.925,9747 x 86.400) giorni solari. Normalmente questo numero è arrotondato al quarto decimale: 365,2422.
Si tratta, però, di una definizione “a posteriori”, che non dice nulla sul reale significato di questa unità e sulle ragioni che hanno determinato la scelta di questa particolare grandezza, che non sembra abbia una qualsiasi relazione significativa con la lunghezza dell’anno.
Chiunque sia, invece, colui che ha stabilito in un passato lontano chissà quanto, questa grandezza, doveva conoscere a priori il numero esatto di giorni solari contenuti in un anno tropico, ed ha scelto quella particolare grandezza con lo scopo di avere un’unità avente una precisa relazione con entrambi.
In altre parole, il valore dell’unita fondamentale di misura del tempo, il minuto secondo, dovrebbe costituire un indizio molto forte che in passato lontano, a noi sconosciuto, è esistita una civiltà globale, capace di misurare la lunghezza dell’anno con una precisione che noi abbiamo raggiunto soltanto alla fine del 19.mo secolo. Questo può essere dimostrando semplicemente percorrendo a ritroso il cammino necessario per stabilire in maniera razionale, non arbitraria, il valore di una unità di una unità di misura del tempo derivata in maniera rigidamente consequenziale dalle grandezze per misurare le quali è stata concepita, e cioè la lunghezza del giorno e dell’anno tropico.
Vediamo in che modo sia possibile stabilire in maniera razionale una unità di misura del tempo che sia strettamente legata ad entrambi, la durata media del giorno e quella media dell’anno tropico.
Fin da quando l’uomo ha cercato di risolvere il problema della misura del tempo, ha guardato al cielo, sforzandosi di trovare se esistesse una precisa relazione fra la durata del giorno e quella dell’anno solare. Questo, infatti, è il problema maggiore alla base di ogni sistema calendariale. Inevitabilmente è arrivato, prima o poi, a scoprire che era possibile mantenere il passo con il sole, aggiungendo un giorno ad ogni sequenza di 4 anni di 365 giorni ciascuno. In questo modo si otteneva un anno la cui durata media era esattamente di 365, 25 giorni. Questo si chiama “anno giuliano”, perché fu introdotto da Giulio Cesare nel 44 a.C.
L'anno giuliano è 0,0078 giorni più lungo della effettiva durata dell’anno solare, assumendo come precisa la durata di 365,2422 giorni. In questo modo, dopo 128 anni abbiamo un intero giorno in eccesso (0,0078 x 128 = 0,998). Pertanto potremmo costruire un calendario con precisione quasi assoluta, aggiungendo un giorno ogni quattro anni di 365 giorni, eccetto che nel 128.mo anno. Si stabilisce così un ciclo di 128 anni (questo ciclo fu scoperto dall’astronomo russo Glasenapp, che alla fine del 19.mo secolo propose una riforma del calendario russo, basata su di esso, che durò una ventina di anni).
In un ciclo di 128 anni abbiamo: 128 x 365,2422 = 46751,0016 giorni. Con un calendario basato su questo ciclo, quindi si avrebbe un errore medio di 0,0016/128 = 0,0000125 = 1/80.000 giorni per anno.
Viene spontaneo e logico definire l’unità naturale del tempo come la frazione U = 0,0000125 dell’anno solare medio (per un anno di 365,2422 giorni). Pertanto il giorno solare medio viene a contenere esattamente 80.000 di queste unità.
80.000 è un numero tondo che si presta bene alla suddivisione del giorno in parti uguali, costituite ciascuna da un ugual numero di unità U. Per esempio 10 ore di 8.000 unità U ciascuna, a loro volta divise in 20 parti da 400 U e 400 da 20 U, essendo 8.000 =203. Da questa suddivisione può discendere in maniera naturale un sistema di conteggio in base 20, che avrebbe un impatto anche nella struttura del calendario, con la suddivisione dell’anno in mesi di 20 giorni e così via. Esattamente come nei sistemi di conteggio e nei calendari del centro America.
Ovviamente, il fatto che il giorno solare medio contenga esattamente 80.000 unità naturali U è dovuto ad una coincidenza casuale. Quello che non può essere considerato casuale, invece, è il metodo attraverso cui il valore di questa unità è stato stabilito, perché esso presuppone una precisa conoscenza preventiva della durata dell’anno tropico. E in ogni caso, non può certo essere considerata accidentale la trasformazione dell’unità naturale U in una unità di misura del tempo assai più maneggevole, il minuto secondo, grazie ad un preciso moltiplicatore assolutamente non casuale.
La praticità di impiego è il requisito primario di una unità di misura. L’unità naturale U, con la conseguente divisione del giorno in 80.000 parti, non è la migliore in assoluto, perché divisibile soltanto per 2 e per 5. L’ideale per un calendario è avere una grandezza divisibile anche per tre.
Questo si può ottenere facilmente dividendo l’unità naturale U per 1,08; si ha così una nuova unità di misura del tempo, il cui valore è: S = U / 1,08. In questo modo il giorno solare medio viene ad essere suddiviso in 80.000 x 1,08 = 86.400 parti, un umero più conveniente per misurare parti di giorno e di anno.
Pertanto definiremo il minuto secondo S come la frazione 1/1,08 dell’unità naturale del tempo, U.
In conclusione, il minuto secondo non è una durata di tempo stabilita per caso, ma è una grandezza che sta in un preciso rapporto con la lunghezza media del giorno e dell’anno solari e con il ciclo astronomico di 128 anni. È possibile, dimostrare, infatti, che il moltiplicatore 1,08, che trasforma l’unità di tempo naturale in un minuto secondo, lungi dall’essere casuale, è il risultato di una precisa scelta effettuata in un lontano passato, per rendere più pratica e flessibile la divisione del giorno e le struttura del calendario.
Importante notare che l’unità naturale del tempo, U, non è stata stabilita sulla base del numero di giorni interi contenuti in un ciclo di 128 anni (365,2422 x 128 = 46.751, un numero che in teoria una civiltà antica avrebbe potuto ricavare semplicemente contando il numero dei giorni e dei solstizi per un tempo sufficientemente lungo), ma soltanto sulla base della eccedenza di 0,0016 giorni in un periodo di 128 anni, e cioè 0,0000125 = 1/80.000 giorni per anno, una precisione impossibile da ottenere senza la disponibilità di tecnologie e di conoscenze scientifiche, che nessuna delle civiltà antiche a noi conosciute ha mai posseduto.
Qualcuno potrebbe obiettare che la cifra 0,0016 è il risultato di una approssimazione della lunghezza dell’anno tropico al quarto decimale; un scelta che potrebbe apparire arbitraria. La durata dell’anno tropico, si è detto, è stata misurata per il 1° Gennaio 1.900, a mezzogiorno, in 365,24219878125 giorni, e cioè 0,1053 secondi più corta di quella messa a calcolo per determinare la nostra unità di misura.
Gli scienziati moderni sono stati costretti a fissare la durata dell’anno tropico per una data molto precisa, perché questa durata, come si è detto, aumenta gradualmente a causa dell’azione frenante delle maree e di altri fattori non ben conosciuti. Sulla base di antiche osservazioni delle eclissi solari è stato possibile calcolare che la decelerazione media della Terra è di 1,4 millisecondi per secolo. Una semplice operazione consente di calcolare che l’anno tropico durava esattamente 365,2422 giorni solari all’incirca 7.500 anni fa.
Una civiltà in grado di misurare con precisione la durata dell’anno intorno a quella data avrebbe trovato esattamente quel numero e pertanto avrebbe avuto forti indicazioni e motivazioni per stabilire l’unità naturale della misura del tempo, Questa, benché non costituisca un prova diretta, è comunque in buon accordo con l’asserita anzianità di quella grandezza.
Possiamo concludere, quindi con buon grado di attendibilità che l’attuale unità di misura del tempo, il minuto secondo, è il risultato di una scelta effettuata da una civiltà capace di calcolare con grande precisione la durata dell’anno solare medio. Una civiltà sconosciuta, dalla quale tutte le civiltà antiche sono state originate, o quanto meno influenzate. Queste ultime, infatti, hanno lasciato cifre mitologiche e numeri sacri che lo dimostrano con tutta evidenza.
L’introduzione del minuto secondo stabilisce un ciclo di 86.400 anni strettamente connesso con quello di 80.000. Entrambi questi numeri contengono un numero intero di cicli di 128 anni e tutte le grandezze caratteristiche dell’uno possono essere trasformate in grandezze equivalenti nell’altro attraverso il moltiplicatore 1,08.
Sono equivalenti, ma danno origine a strutture del calendario e a sistemi di conteggio molto diversi. In un caso abbiamo un sistema di conteggio ion base 20, una suddivisione dell’anno in mesi di 20 giorni e così via; nell’altro caso un sistema di conteggio in base 60 e conseguenti divisioni del giorno, del mese e dell’anno.
Entrambi i numeri, con il loro moltiplicatore 1,08, possono essere espressi in forme di estrema eleganza, che li rende particolarmente iunteressanti e significativi da un punto di vista matematico e numerico:
80.000 = 128 x 625 = 1.600 x 50 = 27 x 54
86.400 = 80.000 x 1,08 = 128 x 675 = 1.600 x 54 = 27 x 33 x 52
675 = 625 x 1,08 = 54 x 1,08 = 33 x 52
e così via, formando un insieme di numeri davvero impressionante.
La probabilità che tutto ciò sia dovuto ad una coincidenza fortuita è pressocché nulla. Chiunque sia familiare conb con i calendari antichi e i sistemi di conteggio ad essi collegati, con i numeri sacri e le cifre della mitologia, si renderà immediatamente conto che numeri come 80.000, 86.400, 1,08 ed i loro multipli e sottomultipli, rappresentano la conoscenza astronomica e matematica e la numerologia mitologica di tutto il mondo antico. In due aree ben caratterizzate: l’America appartiene all’area dell’unità di tempo naturale, U, avendo adottato un calendario ed un sistema di conteggio interamente basati sul numero 20. Europa ed Asia, invece, appartengono all’area del minuto secondo. Lo prova un impressionante complesso di numeri lasciatici in eredità dalle civiltà antiche, alcuni dei quali ancora in uso oggigiorno (basti pensare alla suddivisione del giorno e del cerchio, e ciè all’intera trigonometria.
In particolare il 108 e i suoi multipli e sottomultipli (54, 216, 432 ecc.) sembra essere numeri dotati di un indubbio significato sacrale, sebbene nessuno, fino ad oggi, sia stato capace di spiegare in maniera convincente la ragione di ciò. Li incontriamo da un capo all’altro del continente eurasiatico e nei contesti più disparati.
Vengono impiegati ricorrentemente nell’architettura sacra (esempi: Angkor Vat, in Cambogia, ha 54 torri, 108 statue ai lati del viale di accesso; 540 (108 x 5) statue di divinità Deva e Asura e così via ; il tempio di Baalbek, in Fenicia, aveva 54 colonne; nella città santa di Lasha, in Tibet, c’erano 108 templi; 108 erano le cappelle del tempio di Padmasambhava e così via); nella letteratura (il re sumero Enlil regalò 108 aromi ad Aadamu; Gudea impiegò 216.000 (108 x 2.000) operai per costruire il tempio a Ningirsu; offriva agli dei 108 diversi tipo di cibo ecc.); nei cicli cosmici di varie mitologie (il ciclo temporale indiano, detto di Manvantara, è di 64.800 (108 x 60) anni; il ciclo di Kalga, anch'esso indiano, corrisponde a 4320 (108 x 40) milioni di anni; la durata del regno antidiluviano nella mitologia babilonese è di 432.000 anni, quella sumera di 108.000 e così via) ed in una miriade di altri contesti legati alla religione e alla mitologia (i rosari buddista e indù hanno 108 grani; il rosario cattolico 54 grani, più 5 al di fuori dell’anello; i libri sacri tibetani del Khagiur consistono di 108 volumi; i Rig Veda hanno 10.800 versetti, con 40 sillabe per versetto, per un totale di 432.000 sillabe; il mitico Valhalla delle saghe nordiche aveva 540 porte, da ciascuna delle quali uscivano 800 guerrieri, per un totale di 432.000).
Tutti questi numeri sono legati al ciclo dei 128 anni, tramite le unità di misura del tempo da esso derivate. Era una conoscenza segreta trasmessa nelle società antiche nell’ambito della classe sacerdotale, che aveva il compito di misurare il tempo. Chi controlla il calendario, infatti, controlla la società. Era una tradizione ancora viva nel Medio Oriente 2.500 anni fa. Come dimostrazione basterà citare una fonte autorevole ed alla portata di tutti, la Bibbia. In Numeri 31, 32-47 si legge:
“Or la preda, cioè quel che rimaneva del bottino fatto da quelli che erano stati alla guerra, consisteva in 675.000 pecore , 72.000 buoi, 61.000 asini e 32.000 persone, ossia donne, che non avevano avuto relazioni carnali con uomini. La metà, cioè la parte di quelli che erano andati alla guerra, fu di 337.500 pecore, delle quali 675 per il tributo all’Eterno; 36.000 bovi, dei quali 72 per il tributo all’Eterno; 30.500 asini, dei quali dei quali 61 per il tributo all’Eterno; e 16.000 persone, delle quali 32 per il tributo all’Eterno…La metà che spettava ai figlioli d’Israele…..fu di 337.500 pecore, 36.000 buoi, 30.500 asini e 16.000 persone. Da questa metà, che spettava ai figlioli di Israele, Mosé prese uno su 50….”
Numeri come 360, 72 e varie combinazioni di essi, sono chiaramente derivati dal calendario solare e li incontriamo continuamente in ogni cultura del mondo. Ma la loro connessione con il ciclo dei 128 anni non è immediatamente evidente. Numeri come 32 e 675 sono invece strettamente associati con il calendario basato sul ciclo astronomico di 128 anni. Anche cifre come il 61, che apparentemente non gli appartengono, sembra che siano funzionali per determinare numeri collegati ad esso.
Per esempio: 30.500+16.000+72+61+50+36+32=46.751, e cioè esattamente i giorni contenuti in un ciclo di 128 anni. Semplice coincidenza casuale? Fosse un caso isolato potremmo essere tentati di pensarlo, anche se le probabilità sono estremamente basse; ma abbiamo visto che la presenza di questi numeri è la norma in tutti i contesti più o meno sacri di tutte le civiltà antiche, per cui il caso è da escludersi. L’ignoto sacerdote ebreo che ha scritto questi versi, certamente più di duemilacinquecento anni fa, conosceva il calendario basato sul ciclo di 128 anni ed ha voluto utilizzare questo passo come “promemoria”; molto probabilmente, criptate nel testo, ci sono altre informazioni relative a questo calendario ed al suo impiego.
Questo semplice passo della Bibbia, da sempre sotto gli occhi di tutti, costituisce una prova certa che i sacerdoti antichi avevano conoscenze scientifiche di livello superiore a quello che riteniamo proprio del loro periodo e che venivano mantenute rigorosamente segrete, ed è per questo quindi che sono andate perdute. Sono sopravvissute ovunque, però, le tracce certe di queste conoscenze, costituite dai numeri da esse derivati, applicati nei contesti più vari, dalle unità di misura del tempo a quelle della trigonometria.
Possiamo escludere che queste conoscenze siano state sviluppate autonomamente (e con gli stessi risultati) da tutti i popoli antichi, anche perché non possedevano i mezzi strumentali e matematici per farlo. Per arrivare a queste unità di misura del tempo e a tutte queste grandezze è necessario infatti conoscere la lunghezza dell’anno con una precisione fino alla quarta cifra decimale, e di qui risalire al ciclo dei 128 anni, che in occidente era ancora ignoto ai tempi della riforma gregoriana.
(L’attuale calendario civile, ereditato dai romani e congelato da papa Gregorio XIII nel 1582, non è certo il più razionale e tanto meno il più preciso fra i calendari. Sono sufficienti 3.300 anni perché esso accumuli una differenza di 1 giorno rispetto all’anno solare. Questo tempo potrebbe essere aumentato a 80.000 anni se si adottasse un calendario basato sul ciclo dei 128 anni, come proposto dall’astronomo russo Glasenapp alla fine del 19.m0 secolo)
In conclusione, possiamo ritenere praticamente certo che una grandezza così insignificante come il minuto secondo, apparentemente privo di ogni significato recondito, sia per se stesso testimonianza vivente che in un lontano passato è esistita una civiltà con un livello scientifico e tecnologico tale da consentirle misure astronomiche precise e calcoli matematici complessi. Una civiltà che è all’origine, o che almeno ha influenzato entrambi, sia le antiche civiltà del continente eurasiatico che quelle americane.
Le prove che troviamo nel sistema di conteggio e nel calendario del Centro America sono non meno importanti di quelle che troviamo nel continente eurasiatico, con una fondamentale differenza; essi derivano con tutta evidenza dall’unità di misura del tempo naturale, U, che costituisce la 80.000ma parte del giorno.
Gli Aztechi, i Maya, i Toltechi, e prima di loro gli Olmechi, avevano in comune un sistema di conteggio basato sul numero 20 ed un calendario basato su un anno ausiliario di 260 giorni (che veniva chiamato “Tzolkin” e veniva considerato sacro), diviso in 20 settimane di 13 giorni (e 13 mesi di 20 giorni), che definiva un periodo secolare di 52 anni. L’anno solare era diviso a sua volta in 18 mesi di 20 giorni ciascuno, per un totale di 360 giorni, a cui venivano aggiunti 5 giorni finali che venivano considerati infausti.
Straordinaria importanza veniva attribuita a tutte le combinazioni di numeri risultanti dall’intreccio dell’anno solare (considerato di 360 + 5 giorni) con quello ausiliario di 260 all’interno di un periodo secolare di 52 anni. Per esempio:
365 x 52 = 260 x 73
360 x 52 = 260 x 72
360 x 13 = 260 x 18
e così via, in un complesso talmente impressionante da far gridare di meraviglia i primi studiosi occidentali che hanno studiato questo calendario.
Questo calendario aveva una importanza fondamentale nelle società centroamericane, perché ne regolava l’esistenza giorno per giorno in modo assolutamente rigido. Esso ha ovviamente esercitato un fascino enorme su generazioni di studiosi, che hanno riempito centinaia di volumi nella sua descrizione. Ma fino ad ora nessuno si è accorto della sua relazione con il ciclo dei 128 anni e perciò nessuno è mai riuscito a spiegare perché e come le popolazioni del Centro America abbiano potuto “inventare” qualcosa di una complicazione e precisione così incredibili.
La sua origine è sempre rimasta avvolta nel mistero. La spiegazione di questo calendario si trova immediatamente se si considera il ciclo dei 128 anni e l’unità di misura del tempo naturale.
Essendo il numero 128 uguale a 2 elevato alla settima potenza (27), l’adozione di questo ciclo offre la possibilità di concepire intere famiglie di calendari perpetui, tutti con la medesima precisione.
Il procedimento è il seguente:
1.- Si considera la lunghezza dell’anno solare di 365 giorni esatti per tutta la durata di un periodo costituito da S = 4n anni (che chiamerò “periodo secolare”).
2.- Al termine di ogni periodo secolare si aggiungono n giorni
3.- Al completamento di un ciclo C = 128n, pari a 32 periodi secolari, non si aggiungono gli n giorni.
Qualunque sia il valore di n, alla fine di un ciclo di n.128 anni noi avremmo la stessa situazione astronomica esistente all’inizio (se era un solstitizio, sarebbe nuovamente un solstizio). Inoltre, cosa qualificante di questo calendario, ogni ciclo C contiene un numero intero sia di anni ausiliari e solari che di settimane.
L’elemento determinante per la costruzione di un calendario razionale, però, è la suddivisione in settimane, necessaria per spezzare il mese in periodi più corti. Questa presenta un problema: qualunque sia la durata prescelta per la settimana, non avremo mai un numero intero di settimane in un anno solare (anche scegliendo una settimana di 5 giorni si avrebbe uno sfasamento di 1 giorno ogni 4 anni). Per ovviare a questo inconveniente si ricorre all’impiego di un “anno ausiliario”, formato da un numero intero e fisso di settimane, e di durata tale che il numero di anni solari e di anni ausiliari in un periodo secolare sia costante.
Se si adotta l’unità di misura naturale del tempo, U, si può ottenere una famiglia di calendari di questo tipo considerando l’anno solare diviso in 18 mesi di 20 giorni ciascuno, più 1 mese finale di 5 giorni, ed utilizzando una settimana di lunghezza n da 1 a 18 giorni, che si ripete all’infinito, e un anno “ausiliario” di lunghezza pari a 20 settimane.
I parametri caratteristici di questa famiglia di calendari sono sintetizzati nella seguente tabella:
n durata settimana (giorni) |
T = 20 n durata anno ausiliario (giorni) |
S = 4 n durata per. secolare (anni solari) |
C = 128 n durata di un ciclo (anni solari) |
|
1 |
20 |
4 |
128 |
|
2 |
40 |
8 |
256 |
|
3 |
60 |
12 |
384 |
|
4 |
80 |
16 |
512 |
|
5 |
100 |
20 |
640 |
|
6 |
120 |
24 |
768 |
|
7 |
140 |
28 |
896 |
|
8 |
160 |
32 |
1024 |
|
9 |
180 |
36 |
1152 |
|
10 |
200 |
40 |
1280 |
|
11 |
220 |
44 |
1408 |
|
12 |
240 |
48 |
1436 |
|
13 |
260 |
52 |
1664 |
|
14 |
280 |
56 |
1792 |
|
15 |
300 |
60 |
1920 |
|
16 |
320 |
64 |
2048 |
|
17 |
340 |
68 |
2176 |
|
18 |
360 |
72 |
2304 |
|
L’anno ausiliario è sempre formato da 20 settimane di n giorni, o se si preferisce da n mesi di 20 giorni ciascuno.
Inoltre fra l’anno solare e l’anno ausiliario c’è uno straordinario intreccio di numeri, che può addirittura apparire magico, ma che è dovuto in realtà al fatto che tra loro esistono le seguenti relazioni:
1) 360 x 4n = T x 72
2) 72T + (5x4n) +n = (72+1)T + n = 1461 n = (360 + 5) 4n + n
La formule 2) esprimono il numero di giorni e settimane contenuti in ognuno dei 32 periodi secolari di un ciclo completo (ad eccezione dell’ultimo, che ha una settimana in meno degli altri).
1461 è il numero di giorni contenuti in 4 anni giuliani ((365,25 x 4= 1461) e rappresenta un rapporto ricorrente nei calendari. Si chiama anche “numero sotico”, dal nome del “periodo sotico” egizio, che durava appunto 1461 anni.
Il ciclo completo, pari a 128 n anni, contiene (1461x32) - 1 = 46751 settimane di n giorni (altro numero caratteristico di questo ciclo, perché è il numero esatto di giorni contenuti in 128 anni).
E’ evidente che il calendario centroamericano appartiene alla famiglia di calendari descritti nella tabella e precisamente quello avente una lunghezza della settimana pari a 13 giorni. Qualsiasi altra durata prescelta per la settimana darebbe luogo ad un calendario del tutto analogo e agli stessi “magici” intrecci di numeri
Rimane da capire a quale scopo una civiltà avanzata avrebbe dovuto inventare un calendario apparentemente così complicato e come poteva usarlo in modo semplice, alla portata di tutti e non soltanto di una ristretta casta di sapienti. In realtà si tratta di un calendario relativamente semplice ed estremamente razionale.
L’interesse di questa famiglia di calendari, infatti, non sta soltanto nella sua precisione assoluta, nella eleganza della sua struttura e nelle innumerevoli possibilità che offre, ma anche nel fatto che essa è caratterizzata da una settimana di n giorni che “gira” all’infinito ed è un sottomultiplo intero rispetto sia all’anno ausiliario, che al periodo secolare e al ciclo. A loro volta l’anno solare e l’anno ausiliario sono sottomultipli precisi del periodo secolare. Pertanto ci sono precise relazioni matematiche fra tutte queste durate temporali.
Ciò consente di realizzare un vero e proprio “orologio” astronomico, valido per qualunque lunghezza della settimana, facile da usare e in grado di mantenere indefinitamente il sincronismo con l’anno solare. Non solo, questo stesso orologio è una sorta di almanacco perenne, capace di misurare e rappresentare in maniera semplice e immediata tutte le grandezze astronomiche di un qualche interesse, come l’ora del sorgere e tramontare del sole, il conteggio progressivo dei giorni, delle settimane e degli anni, le eclissi di sole e di luna, il movimento dei pianeti e delle costellazioni dello zodiaco e così via.
Orologi-almanacco di questo tipo, infatti, sono stati incisi sulla pietra diverse volte nel Messico precolombiano. Verosimilmente essi riproducono la parte frontale di un qualche meccanismo conservato con la massima cura dalla classe sacerdotale, in quanto considerato sacro.
Ovviamente questa è soltanto un’ipotesi, dal momento che non ci sono informazioni circa il ritrovamento di meccanismi del genere (cosa del tutto improbabile, anche ammesso che esistessero, perché nascosti molto bene in nascondigli segreti oppure distrutti dagli dalla furia iconoclasta degli spagnoli), in grado di provare la veridicità di questa affermazione. Ma si può raggiungere un grado di verosimiglianza molto elevato percorrendo il processo di costruzione di un orologio basato su questa famiglia di calendari.
Il meccanismo è estremamente semplice ed è costituito da un disco centrale che rappresenta il “sole”, vale a dire un giorno solare intero. Al suo interno una lancetta segna le ore, effettuando un giro completo in un giorno, più o meno come nei moderni orologi. (È possibile, anzi ci sono disegni che lo suggeriscono, che altri due dischi interni, con relativa lancetta, rappresentino le ore e i minuti). Rispetto agli orologi moderni, però, la maggior parte delle rappresentazioni centroamericane riportano una riga orizzontale che divide in due parti il quadrante: quella superiore “oscurata” a differenza di quella inferiore.
Il significato di questa linea è chiaro. Negli almanacchi moderni viene regolarmente riportata l’ora del sorgere del sole e del tramonto, erp una certa latitudine e longitudine. È un’informazione di notevole interesse nella vita di ogni giorno, ma nessuno degli orologi moderni è in grado di fornirla. Eppure è molto semplice e pratico realizzarla. Vediamo come.
Dividiamo il quadrante dell’orologio in 24 ore, anziché 12. Poi fissiamo una latitudine e longitudine di riferimento, ovviamente quella che ci interessa. In tal modo una semplice linea orizzontale indicherà l’ora del sorgere del sole (a destra) e quella del tramonto (a sinistra) per quella data latitudine e longitudine prescelte. Nella parte superiore della linea è notte, in quella inferiore è giorno.
Un apposito algoritmo muoverà giorno per giorno la linea in su o in giù a seconda della stagione, in modo da mantenere sempre aggiornate le ore del sorgere e tramontare del sole. È un meccanismo estremamente semplice che ci consentirebbe di conoscere ogni giorno, con una semplice occhiata tutto sui movimenti del sole e sulle ore di luce e di buio. Informazioni che oggi vengono fornite soltanto da almanacchi specializzati e per latitudini e longitudini di loro scelta, che raramente coincidono con quelle in cui viviamo.
L’orologio si basa sulle relazioni 1) e 2); la sua realizzazione, pertanto, è pressoché obbligata. Il meccanismo base è costituito dalla ruota centrale, che conta le ore del giorno (come si è visto). Un anello immediatamente esterno conta i giorni della settimana ed è pertanto diviso in tante parti quanti sono questi giorni (che possono essere regolati da 1 a 20; l’orologio, infatti funziona correttamente per qualsiasi lunghezza della settimana, che può essere scelta a piacere) . L’anello avanza di uno scatto al giorno e compie un giro completo dopo n scatti, cioè una settimana.
Collegate agli anelli centrali ci sono due lancette, una lunga ed una corta, che puntano su una ruota esterna divisa in 20 parti.
La lancetta lunga conta i giorni e avanza di uno scatto ogni giorno solare. La lancetta corta conta le settimane, e avanza di uno scatto ogni volta che la ruota interna completa una settimana (di n giorni).
Un giro completo della lancetta lunga rappresenta un mese di 20 giorni.
Un giro completo della lancetta corta rappresenta 20 settimane, cioè 1 anno ausiliario completo (T=20n).
Per le relazioni 1) e 2) si ha che:
- la lancetta lunga compie 73 giri completi ogni 4 anni di 365 gg ;
- la lancetta corta compie 73 giri completi ogni periodo secolare (4.n anni di 365 gg)
Al termine del periodo secolare, quindi, le due lancette si vengono a trovare in fase sullo zero, avendo la lancetta lunga effettuato n volte i giri della corta.
A questo punto per rifasare il calendario con l’anno solare bisogna aggiungere n giorni, cioè una settimana. Ciò si può ottenere in vari modi, per esempio arrestando momentaneamente la lancetta lunga e facendola avanzare soltanto al termine della settimana, assieme alla lancetta corta. Il nuovo periodo secolare inizia perciò con le due lancette in fase sull’1, che diventa il nuovo zero di riferimento.
In questo modo ciascuno di 20 periodi secolari successivi viene ad essere caratterizzato da un differente giorno di inizio, il che comporta che ciascun anno degli n gruppi di 4 anni che costituiscono un periodo secolare comincerà sempre nello stesso giorno. In tal modo ciascuno dei 20 periodi secolari successivi sarà caratterizzato da una diversa quaterna di giorni con cui iniziano gli n gruppi di quattro anni che lo costituiscono. Per esempio, con una settimana di 13 giorni si ha un periodo secolare di 52 anni, che moltiplicato 20 dà 1040 anni. Basta sapere il giorno di inizio di un qualsiasi periodo secolare per posizionarlo correttamente in questo intervallo. È soltanto una delle molte caratteristiche e possibilità offerte da questo calendario.
L’operazione si ripete identica per 31 periodi secolari. Al termine del 32.mo periodo secolare il meccanismo deve provvedere ad azzerare il tutto, senza aggiungere la solita settimana, ed ha inizio un nuovo ciclo di 32 periodi secolari. E così via indefinitamente. Alla fine di ciascun ciclo avremo la stessa situazione astronomica dell’inizio, per quel che riguarda il sole.
É un meccanismo molto semplice in grado di fornire direttamente tutte le grandezze necessarie per tenere sotto controllo il trascorrere del tempo:
- Numero delle ore e dei giorni
- Numero dei mesi di 20 giorni (giri completi della lancetta lunga)
- Numero degli anni ausiliari di 20 settimane (giri completi della lancetta corta)
Con questi elementi possiamo visualizzare, per mezzo di appostiti contatori, tutte le informazioni di un qualche interesse in un calendario. Vediamo quali possano essere.
Innanzitutto la data attuale, e cioè il giorno del mese dell’anno solare e il giorno dell’anno ausiliario. Questi dati possono essere visualizzati ai lati del meccanismo centrale in quattro piccole finestre, due per la data solare e due per la data ausiliaria.
Dobbiamo poi posizionare queste date nel calendario, contando il tempo trascorso da una data iniziale di riferimento, che potrebbe essere l’inizio del periodo secolare Per esempio, nel calendario civile moderno, noi spesso aggiungiamo alla data del giorno anche il numero progressivo dall’inizio dell’anno sia del giorno che della settimana e dividiamo l’anno in semestri o trimestri e così via.
Le stesse suddivisioni possono essere fatte in maniera più razionale in questo tipo di calendario, grazie alle relazioni esistenti all’interno di un ciclo ausiliario, formato da n gruppi di 4 anni. Una possibile suddivisione è suggerita dal fatto che 4 anni solari contengono esattamente 72 + 1 mesi di 20 giorni (per la precisione 72 mesi di 20 giorni e 4 di 5 giorni). 72 è il prodotto di 4 per 3 per 6, per cui ognuno dei quattro anni di un gruppo può essere suddiviso in tre semestri.
In tal caso il contatore dovrà mostrare il numero dell’anno nel gruppo di quattro (1-4), poi il numero del semetre di quell’anno (1-3) e infine il numero del mese all’interno del semestre (1-6). E naturalmente dovrà esserci un’indicazione da 1 a n che identifichi la posizione del gruppo di quattro anni all’interno del periodo secolare ausiliario. In tal modo il giorno in questione è posizionato in maniera univoca rispetto all’anno solare.
Poi bisognerà posizionare il nostro giorno rispetto al periodo secolare ausiliario, il che potrà essere ottenuto con un contatore identico al primo, dal momento che un periodo secolare ausiliario è costituito da 72 + 1 anni ausiliari (ciascuno costituito da 20 settimane di n giorni).
Gli stessi contatori possono essere utilizzati per conteggiare i giorni in un gruppo di quattro anni solari, e il numero delle settimane in un periodo secolare, grazie al fatto che 4 anni contengono esattamente 1460 giorni ((72 + 1) x 5 x 4) e un periodo secolare 1460 settimane (a cui va aggiunta una settimana alla fine del ciclo, per mantenere la sincronia con il sole).
I nostri contatori, pertanto, potrebbero avere il seguente aspetto:
C’è un’altra informazione richiesta ad un calendario omnicomprensivo e cioè il numero esatto di giorni trascorsi da una data iniziale di riferimento. Questa informazione non è strettamente utile nella vita di tutti i giorni, ma è essenziale per astronomi, storici e archeologi. Lo strumento in uso oggi per questo scopo è stato fornito dal filosofo francese Juste Scaliger nel 1583, quando pubblicò un libro dal titolo “Opus Novum de emendatione temporum”, nel quale stabiliva un calendario universale basato sul conteggio dei giorni trascorsi da una data particolare, che egli stabilì fosse il 1° Gennaio – 4712 (anno giuliano) a mezzogiorno.
Questo calendario è impiegato correntemente dagli astronomi e dagli storici per stabilire e comparare le date di eventi astronomici (come eclissi, congiunzioni ecc.) e di eventi storici, ricavate da differenti sistemi calendariali. Per esempio, la correlazione di Thompson e le altre relative al giorno iniziale del calendario maya sono basate proprio sul calendario universale di Scaliger.
Il modo più semplice per conteggiare i giorni è quello di impiegare una serie di registri collegati alla lancetta lunga, quella che avanza di uno scatto ogni giorno (da 1 a 20). Un primo registro conta i giri completi della lancetta da 1 a 18 (il numero dovrebbe essere 20, ma in questo esempio seguiamo lo stesso sistema di conteggio dei maya), vale a dire un anno di 360 giorni. Una volta completato l’anno il registro ricomincia daccapo, ma fornisce un input al registro successivo, che conta da 1 a 20, per un totale 7.200 giorni. Quando anche questo registro è completato, ricomincia daccapo, fornendo un input ad un terzo registro in cascata, che conteggia 20 inputs, per un totale di 144.000 giorni. Un ultimo registro, infine conteggia n volte il contenuto del precedente, vale a dire la durata di un grande ciclo completo .
Il numero totale dei giorni trascorsi dall’inizio del grande ciclo si ottiene semplicemente sommando il contenuto di ciascuno dei quattro registri più il numero indicato dalla lancetta lunga.
In tal modo l’orologio-calendario fornisce un conteggio “corto” che tiene conto dei giorni, settimane, mesi e anni all’interno di un periodo secolare ausiliario (chiamato dai maya “calendar round”) e regola l’intera vita della società, ed anche un conteggio “lungo”, che fornisce il numero totale di giorni trascorsi dall’inizio del ciclo calendariale.
Il conteggio “lungo” divide il calendario in n periodi di 400 anni (di 360 giorni), ciascuno composto da 20 gruppi di 20 anni e così via. Una data di questo calendario deve riportare il giorno e il mese sia dell’anno solare che di quello ausiliario, insieme al numero totale dei giorni trascorsi dall’inizio del calendario, indicato dal contenuto dei quattro contatori in cascata, più il giorno indicato dalla lancetta lunga, esattamente come nelle seguenti date maya:
8 . 14 . 3 . 1 . 12 1 Eb 0 Yaxkin,
8 . 11 . 7 . 13. 5 3 Chicchan 8 Kankin
La prima data identifica il 1.253.912.mo giorno dall’inizio del calendario (8 baktun, 14 katun, 3 tun, 1 mese e 12 giorni) e i giorni rispettivamente dell’anno solare e di quello ausiliario. La seconda identifica il giorno 1.233.885.mo (8 x 144.000, + 11 x 7.200, + 7 x 360, + 13 x 20, + 5) e le date correnti solare e ausiliaria.
Con l’aggiunta dei contatori, il meccanismo centrale del nostro orologio-calendario avrà più o meno il seguente aspetto:
Questa rappresentazione non intende in alcun modo di interpretare il significato preciso delle rappresentazioni del calendario azteco e di quello maya. È soltanto un esempio di quali informazioni potrebbero essere rappresentate nel meccanismo centrale di un calendario di questo tipo e di come potrebbero essere organizzate. In Messicoi sono state trovate diverse rappresentazioni del meccanismo centrale dei un orologio-calendario di questo tipo e tutte presentano lo stesso identico schema di base. È verosimile ritenere che essi forniscano tutti le medesime informazioni sugli anni solari e ausiliari, anche se rappresentate con “stili” diversi.
Pietra del sole
Teocalli
Un’informazione che è sempre presente negli almanacchi moderni è la fase del ciclo lunare, con tutto ciò che è ad essa collegato, come eclissi di sole e di luna. Sono poi rappresentati i movimenti del sole nello zodiaco, e cioè i segni zodiacali, il movimento dei pianeti e i rispettivi anni sinodici, previsioni di congiunzioni, eclissi ecc.
Tutte queste informazioni dovrebbero essere rappresentate nel nostro orologio astronomico, in modo da avere una visione sintetica globale di tutto quel che succede nel cielo giorno per giorno, e di poter fare previsioni su fenomeni futuri.
Queste informazioni possono essere rappresentate con anelli esterni e finestre intorno al meccanismo centrale, che visualizzano quei fenomeni astronomici ed astrologici che hanno un rapporto costante con gli anni solari o ausiliari, come ad esempio la posizione del sole nello zodiaco, i cicli lunari, gli anni sinodici dei pianeti e così via. Anche la precessione degli equinozi può essere controllata, tramite un lento slittamento dello zodiaco.
Tutte queste grandezze sono indipendenti dalla lunghezza della settimana, che tuttavia è l’elemento più importante in un calendario, perché è quello che ha il maggior impatto sulla vita quotidiana di una società ed è quello che determina la lunghezza dell’anno e del periodo secolare ausiliari (per esempio, una settimana di 8 giorni comporterebbe un anno ausiliario di 160 giorni ed un periodo secolare di 32 anni, anziché 260 giorni e 52 anni rispettivamente per una settimana di 13 giorni – come nel calendario centroamericano).
La lunghezza della settimana può essere cambiata a piacere, per cui sull’orologio deve essere chiaramente indicata la selezione effettuata. L’aspetto finale del nostro orologio astronomico, quindi risulterà alla fine più o meno come nella figura seguente.
Lo scopo di questa lunga descrizione non è di proporre una alternativa al calendario civile moderno (impensabile al giorno d’oggi), ma di mostrare quale sia la logica su cui è basato il calendario in uso nel Centro America presso le civiltà azteca, maya, tolteca e prima ancora quella olmeca. Era un calendario basato su un anno ausiliario di 260 giorni, diviso in 20 settimane di 13 giorni (o 13 mesi di 20 giorni, se si preferisce) e un periodo secolare di 52 anni solari. Questi, a loro volta, erano divisi in 18 mesi di 20 giorni ciascuno, più un mese finale (senza nome) di 5 giorni.
È del tutto evidente che questo calendario appartiene alla famiglia di calendari descritta sopra. Non sappiamo quale sia il motivo della scelta del 13 come lunghezza della settimana. È possibile che questa scelta sia stata determinata dal fatto che una lunghezza dell’anno ausiliario di 260 giorni è un sottomultiplo di grandezze astronomiche di qualche interesse, come ad esempio l’anno sinodico di Marte, che è di 780 (= 260 x 3) giorni. Anche l’anno sinodico di Venere , 584 giorni, ha un rapporto intero sia con l’anno solare che con quello ausiliario di 260 giorni, poiché 584x65=260x146=365x104, (dove 65 = 260/4).
È indubbio, infatti, che le civiltà centroamericane davano una enorme importanza agli anni sinodici dei pianeti, in particolare Venere e Marte. Un’altra possibile ragione per cui Venere era considerata un pianeta speciale potrebbe essere il fatto che 365/584=0,625= 80/128, il che costituisce una straordinaria coincidenza
Una possibile obiezione è costituita dal fatto che secondo la maggior parte dei cronisti dell’epoca (ma non tutti), maya e aztechi non avevano anni bisestili. Molto probabilmente essi aggiungevano una intera settimana soltanto al termine del periodo secolare, come è richiesto appunto da questo tipo di calendario, recuperando in tal modo tutto il ritardo accumulato. È inverosimile, infatti, che essi ignorassero lo slittamento dell’anno solare rispetto al calendario, dal momento che possedevano tutti i mezzi per stabilire con precisione la data dei solstizi.
Alla fine di ogni periodo secolare di 52 anni si era accumulato un ritardo di 13 giorni, e cioè esattamente una settimana. Questi 13 giorni, aggiunti ai 5 giorni finali dell’anno, considerati infausti, formavano un mese supplementare di 18 giorni (stesso numero dei mesi in un anno solare), che poneva termine al ciclo sotto il segno del terrore e della morte. Era il mese durante il quale, secondo le tradizioni, ci si aspettava accadesse la fine del mondo. Per scongiurare questo pericolo i sacerdoti aztechi compivano delle terrificanti carneficine. Migliaia di prigionieri venivano sacrificati, mentre la popolazione rimaneva barricata nelle case in preda al terrore. Questi giorni erano talmente infausti che non erano mai nominati e neppure conteggiati: semplicemente non esistevano. Nessuna meraviglia che le cronache europee di quel periodo non ne facciano menzione.
Anche i 5 giorni del mese finale di ciascun anno, che i maya chiamavano “uayeb” (senza nome), e del quale non è mai stata trovata una rappresentazione grafica, erano considerati non-esistenti. È per questo, infatti, che l’anno veniva considerato di 360 giorni.
Ci sono stati vari tentativi per spiegare l’origine di un calendario dalle caratteristiche così insolite e controintuitive. Ma fino ad oggi nessuno è riuscito a fornire una spiegazione verosimile e a scoprire quando e dove esso sia apparso per la prima volta. L’unica certezza è che si tratta di un calendario molto antico, che era in uso già presso le più antiche civiltà centroamericane conosciute. Non c’è traccia da cui si possa dedurre una graduale evoluzione di questo calendario da forme più semplici, come per esempio in quello romano. Esso compare fin dall’inizio in tutta la sua complessità e potenzialità. Anzi, sembrerebbe che la capacità di sfruttare tutte le sue caratteristiche iniziali e il suo potenziale sia andata gradualmente perdendosi.
Per esempio, era relativamente facile, anche in caso di catastrofi e di morie di sacerdoti, mantenere la conoscenza della struttura e la capacità di impiego del conteggio “corto”, e cioè nell’ambito di un periodo secolare di 52 anni. Ma le caratteristiche del calendario per periodi di più lunga durata potevano essere perdute facilmente, a causa del lungo periodo che passava tra un’operazione e la successiva, durante il quale si succedevano numerose generazioni di sacerdoti. Ci sono chiari indizi, infatti, che ci sia stata una perdita di conoscenza per qual che riguarda il calendario maya; ma sarebbe troppo lungo e tecnico parlarne in questa sede.
Chi ha dato origine ai calendari centro americani
È evidente che il calendario del Centro America è basato sul ciclo di 128 anni ed è derivato dalla unità di misura del tempo naturale, U, che la 80.000.ma parte del giorno solare medio. Dobbiamo ritenere, quindi, che sia stato concepito dalle stesse persone che hanno originato quella unità di misura del tempo. Persone che appartenevano ad un civiltà sufficientemente avanzata per misurare con precisione la lunghezza dell’anno sinodico.
Dobbiamo presumere che l’unità di misura del tempo naturale, U, ed il minuto secondo erano impiegate da due diverse popolazioni, o nazioni, appartenenti allo stesso orizzonte culturale, che si differenziavano l’una dall’altra adottando differenti sistemi numerici e calendariali.
Evidentemente emigranti, o sopravvissuti, che impiegavano l’unita di misura del tempo naturale atterrarono sulle coste del Centro America, dando origine o influenzando le civiltà di quell’area. Essi dovevano avere al proprio seguito diversi orologi astronomici, più o meno complessi e completi, dai più semplici che fornivano soltanto le informazioni essenziali in maniera semplice, agli oggetti più artistici ed elaborati, che fornivano ogni possibile informazione astronomica.
Questi oggetti dovevano essere conservati con la massima cura, ma prima o poi dovettero smettere di funzionare e la maggior parte di loro dovette andare distrutta o perduta. Alcuni di essi, però, dovettero essere considerati oggetti sacri e conservati con la massima cura durante un periodo di tempo di alcuni millenni. Essi furono rappresentati, incisi sulla pietra, sui simboli più importanti di quelle società, come altari di templi e troni di re. É così che le loro rappresentazioni sono giunte fino a noi.
Probabilmente gli artisti che li rappresentarono sulla pietra non erano più in grado di capire il vero significato di quegli oggetti e della maggior parte dei simboli che vi comparivano, sia perché erano corrosi dal tempo, sia perché non erano a conoscenza dei principi scientifici che stavano alla loro base. In ogni caso possedevano diverse rappresentazioni di orologi dello stesso tipo, alcuni molto semplici e lineari, altri estremamente elaborati. Tutti, comunque, presentavano la stessa identica struttura di base, segno che si trattava di oggetti della stessa categoria, con funzioni similari: orologi-calendari.
Il calendario del Teocalli
L’immagine di uno degli orologi calendario meglio conservati è stata incisa sul trono del Teocalli, a Tenochtitlan. Il meccanismo centrale è piuttosto schematico, senza rappresentazioni di dei o animali. È comunque perfettamente riconoscibile l’orologio centrale, che indica le ore del giorno, diviso in giorno e notte da una linea orizzontale. Altri due cerchi esterni conteggiano probabilmente le settimane e i mesi di 20 giorni. Il tutto circondato da contatori e registri organizzati esattamente come nell’esempio che si è visto e nella Pietra del Sole, che vedremo fra poco. Gli anelli esterni rappresentano cicli astronomici che possiamo soltanto indovinare, quasi sicuramente connessi alla luna, ai pianeti e allo zodiaco.
L’artista che realizzò questa scultura, stava copiando un oggetto reale, non certo rappresentando un concetto astratto. Oggetti dello stesso genere furono riprodotti in varie altre località (soprattutto la parte essenziale e cioè l’orologio centrale e i vari contatori).
Tutti rappresentano lo stesso identico schema di base del meccanismo centrale, per cui si deve ritenere che riproducano oggetti aventi le stesse funzioni.
La rappresentazione più bella, elaborate, complete e artistica di un orologio astronomico è stata scolpita dagli aztechi a Tenochtitlan, nel 1492, pochi anni prima dell’arrivo degli spagnoli. È noto come il “calendario azteco”, o Pietra del Sole, un enorme molite de diametro di quasi quattro metri, uno spessore di un metro e un peso di 15 tonnellate. Una chiara indicazione della grande importanza dell’oggetto che quella pietra intendeva riprodurre.
Importanza testimoniata anche dalla cura con cui gli aztechi nascosero quel manufatto; esso fu scoperto casualmente soltanto nel dicembre del 1790, sepolto nel “Zocalo”, la piazza principale di Mexico City.
La Pietra del Sole
Esaminandola, per prima cosa notiamo, bene in evidenza proprio in cima al disco, il numero 13 che stabilisce la lunghezza della settimana e di conseguenza la durata dell’anno ausiliario (chiamato “tzolkin” dai maya). Al centro è chiaramente riconoscibile il meccanismo dell’orologio astronomico, con il “dio” sole proprio al centro, che rappresenta le ore del giorno e i giorni della settimana.
Due lancette, una corta e l’altra lunga, puntano ad un anello esterno, diviso in 20 settori, uno per ciascun giorno dei mesi dell’anno ausiliario. Attorno all’orologio centrale ci sono contatori e registri che dobbiamo ritenere contengano le informazioni rilevanti per stabilire la data sia nel conteggio lungo che in quello corto. Attorno a questo primo anello ce n’è un secondo diviso in 40 settori, ciascuno dei quali mostra 5 “unità” all’interno, per un totale di 200 unità. Potrebbero rappresentare i 200 anni sinodici di Marte contenuti in 600 anni ausiliari di 260 giorni o chissà cos’altro.
L’anello successivo è diviso in 8 settori, ciascuno contenente 10 divisioni. Potrebbero rappresentare gli 80.000 anni di un grande ciclo (128 x 625), o gli 80 anni sinodici di Venere contenuti in un ciclo di 128 anni solari o qualche altra grandezza astronomica di interesse. Per esempio, se supponiamo che l’anello rappresenti un ciclo di 1664 anni (32 x 52), ciascuna delle 80 divisioni rappresenta un periodo di 20,8 anni solari, e cioè esattamente 13 anni sinodici di Venere, un numero molto significativo, dal momento che coincide con la “scala” di questo calendario.
L’anello successivo è diviso in 32 settori e quello finale in 64, numeri entrambi collegati al ciclo di 128 anni (1/4 e 1/2). Interessante è anche il simbolo che compare 6 volte sull’anello esterno, una sorta di rettangolo con 5 punti all’interno e tre tacche sul bordo superiore. Potrebbero rappresentare grandezze collegate ai cicli lunari, come ad esempio i 99 (3 x 33) mesi lunari ed i 5 anni venusiani contenuti in 5 anni solari.
Ci sono poi 12 figure di animali, che potrebbero rappresentare altrettanti segni zodiacali, La fascia esterna, infine, è divisa in 20 sezioni, ciascuna delle quali contiene 5 tacche, forse relative ad una qualche grandezza del conteggio “lungo”.
Tutte queste sono soltanto ipotesi buttate lì al solo scopo di mostrare quale potrebbe essere il genere di informazioni fornito dalle varie sezioni dell’orologio-almanacco. Molto probabilmente anche i sacerdoti aztechi non erano più in grado di interpretare correttamente i vari dettagli del disco. In ogni caso appare del tutto verosimile che gli scultori aztechi abbiano riprodotto fedelmente un oggetto reale meccanico, al punto che saremmo in grado di fabbricare un orologio astronomico, perfettamente funzionante, identico alla rappresentazione della Pietra del Sole. Tutto quel che dobbiamo fare è decidere quali informazioni vogliamo trasmettere nelle sue varie finestre ed anelli.
La Pietra del Sole costituisce una delle tante prove che si stanno accumulando a favore dell’esistenza di una civiltà molto avanzata, che sarebbe esistita in un lontano passato da qualche parte nel mondo.
La domanda che sorge immediatamente è: “Chi fece questo orologio astronomico e quando?” Una risposta precisa e attendibile potrebbe essere data dalla rappresentazione stessa.
Spesso su oggetti di pregio del tipo di quello rappresentato c’è una firma, un’etichetta o un marchio che identifica in qualche modo l’autore e/o il paese da cui provengono. Qualcosa del genere potrebbe essere rappresentato nella parte inferiore della “Pietra del Sole”, dove è illustrata una scena che non è funzionale nel meccanismo dell’orologio e sembra piuttosto strana.
L’interpretazione convenzionale di questa immagine è che rappresenti due “serpenti piumati” che ingoiano due uomini. Ci sono, però, alcuni dettagli in essa che non hanno senso con questa interpretazione. E’ evidente che l’artista azteca ha scolpito la pietra osservando direttamente l’orologio meccanico, od una sua riproduzione fedele. Sembra però che non abbia capito cosa fosse rappresentato nel modello da cui stava copiando e, quindi, che abbia introdotto alcune piccole modifiche per ottenere una rappresentazione che avesse senso per lui. Se noi potessimo scoprire che cosa rappresentava veramente il suo modello, avremmo delle indicazioni sull’origine del dispositivo meccanico rappresentato sulla Pietra del Sole.
Possiamo affrontare il problema esaminando l’immagine pezzo per pezzo, cominciando dalle due figure umane. Se le isoliamo dal resto della rappresentazione otteniamo un’immagine chiaramente definita, che ha di per se stessa un senso completo.
Essa rappresenta due persone, con alcuni attributi significativi che li caratterizzano come due “dei”, o comunque due personaggi di altissimo rango. Gli orecchini, o meglio i piatti auricolari, per esempio, sono un attributo tipico degli “dei” in tutta l’America Centrale (notare che anche il Dio-sole al centro della pietra ha orecchini dello stesso tipo), India, Cina e Sud-est asiatico. Anche il loro “copricapo” è tipico degli “Dei” nelle stesse aree.
Il soggetto è chiaro e coerente e quindi possiamo ritenere, per questa parte, che non sia stata introdotta nessuna modifica significativa dallo scultore, rispetto al suo modello. Eventuali modifiche, quindi, dovrebbero essere state introdotte nella restante parte della rappresentazione.
Esaminando la figura, si identifica subito una prima possibile modifica nei “copricapi” dei due supposti serpenti. È probabile che nel modello originale avessero una forma simmetrica e che una delle due estremità sia stata leggermente modificata dallo scultore per rappresentare le “narici” dei due mostri. Una seconda ovvia modifica, poi, fu fatta per dar loro degli occhi.
Se ripristiniamo la forma originale dei copricapi e cancelliamo gli occhi dei serpenti, otteniamo un’immagine che dovrebbe essere vicina a quella del modello originale
La nuova immagine è chiara, coerente ed ha perfettamente senso per noi: invece di due improbabili “serpenti” che ingoiano due teste umane, essa rappresenta due elefanti ben riconoscibili, del tipo indiano, con la proboscide alzata, che fanno da sfondo a due “dei”. Questa era, con tutta probabilità, l’immagine rappresentata nel modello che lo scultore della “Pietra del Sole” stava ricopiando. Era un’immagine, però, che non poteva avere senso per un azteca, il quale non conosceva nulla che assomigliasse ad un elefante. Quindi, egli dovette cambiare alcuni dettagli, in modo da ottenere una rappresentazione che avesse senso per lui.
“Un marchio di fabbrica” costituito da due “dei” con sullo sfondo due elefanti, da dove mai può venire? La prima risposta che viene in mente è dal sud-est asiatico, India o Indocina. La civiltà indiana possedeva conoscenze molto avanzate nel campo dell’astronomia e della matematica ed era in grado di costruire congegni meccanici piuttosto complicati e ha lasciato numeri sacri collegati al ciclo dei 128 anni. Ma non abbiamo prove che fosse in grado di costruire meccanismi del genere, né che avesse mai elaborato un calendario sul tipo di quello centroamericano, basato sull’unità di misura naturale del tempo. Fra l’altro non ci sono prove che abbia mai avuto contatti con l’America.
L’India, però, non è il solo posto dove esistessero nei tempi antichi elefanti del tipo rappresentato nella Pietra del Sole. Un fatto a cui viene data poca pubblicità dagli studiosi è che anche in Sud America esistevano elefanti fino alla fine del Pleistocene, circa 11.500 anni fa. Non si trattava di mammuth, che erano diffusi nel nord America ed in tutta l’Asia e l’Europa. Erano veri e propri elefanti, di aspetto simile a quello indiano, da cui però gli scienziati tengono a distinguerli, chiamandoli col nome di “mastodonti”.
Di dove venissero non si sa; sta di fatto che le loro ossa si trovano ovunque, anche in relazione con l’uomo, come nel famoso sito archeologico di Monte Verde, in Cile, i cui occupanti vivevano 12.500 anni fa proprio cacciando il mastodonte. Elefanti e antiche civiltà misteriose fanno del Sud America un candidato più convincente dell’India come luogo d’origine del calendario meccanico azteca.
Ma in tal caso la data si sposta a prima della fine del Pleistocene, quando i mastodonti scomparvero dal Sud America. La stessa epoca in cui Platone sostiene esistesse Atlantide. Anche quest’isola, la patria per eccellenza degli “dei”, a detta di Platone pullulava di elefanti, al punto che se dovessimo immaginare un “marchio” per l’Atlantide, quello rappresentato dalla Pietra del Sole sarebbe tra i più indicati e suggestivi. L’orologio meccanico riprodotto sulla pietra dall’ignoto scultore azteco era un prodotto di quella civiltà, costruito per misurare i millenni, con materiali in grado di durare per tutto il tempo necessario.
Sarebbe quindi Atlantide la misteriosa e antichissima civiltà che per prima ha misurato la lunghezza dell’anno solare con una precisione della quarta cifra decimale e che ha concepito quelle unità di misura del tempo da cui sono derivati i calendari ed i sistemi numerici di tutto il mondo antico.