Nato a Firenze nel 1930, da famiglia ebraica, sfuggito miracolosamente ai rastrellamenti nazisti nel '44, Anati era riuscito a riparare in Israele, dove aveva completato gli studi, laureandosi in archeologia e preistoria all'università di Gerusalemme. Negli anni dal '53 al '55 svolse, per conto del Dipartimento delle Antichità di Israele, un'esplorazione archeologica nel Negev centrale.
Un giorno, mentre stava ispezionando delle vestigia nabatee e romane, vide alcune figure incise su una roccia dalla patina scura. Mostravano un personaggio con l'arco e la freccia ed alcune figure di stambecchi. Erano le prime figure rupestri che vedeva. Fu una folgorazione, la nascita di una passione che doveva nel giro di pochi anni farne il massimo esperto mondiale di arte rupestre e l'iniziatore di una nuova branca nelle ricerche archeologiche. Nei giorni che seguirono trovò altre rocce istoriate nella stessa area.
L'anno successivo intraprese la prima esplorazione per il censimento dell'arte rupestre del Negev. Fu allora che, su un vasto altipiano coperto da una allucinante distesa di selce nera, rispondente al poetico nome beduino Gebel lded, Monte delle Ricorrenze, scoperse una delle più grandi concentrazioni di rocce istoriate che avesse mai incontrato. Dovevano trascorrere 25 anni, tuttavia, prima che avesse l'opportunità di tornare sul posto e di studiarle.
Nel frattempo Anati aveva aggiunto ai suoi titoli accademici una specializzazione in etnologia e un dottorato in lettere alla Sorbona di Parigi e le specializzazioni in antropologia e scienze sociali ad Harvard. Nel 1959, durante una vacanza in Italia, aveva fatto il suo primo incontro con quelli che gli abitanti della Valcamonica da tempi immemorabili chiamano "pitoti", le figure incise a centinaia di migliaia sulle rocce della valle. Fu amore a prima vista. Cinque anni dopo, nel '64, fondava il Centro Camuno di Studi Preistorici, che iniziava la valorizzazione di uno fra i più imponenti patrimoni artistici della preistoria.
Ben presto Anati era stato riconosciuto a livello mondiale come l'iniziatore e massimo esperto di una nuova branca della ricerca archeologica e veniva conteso da varie Nazioni per la valutazione e valorizzazione del proprio patrimonio artistico preistorico. A questo punto non poteva ignorare i luoghi delle ricerche giovanili, dove era nata la sua passione per l'arte rupestre. Nel 1979 tornò finalmente sull'altipiano coperto di selce, che nel frattempo aveva assunto il nome ebraico di Har Karkom, il Monte dello Zafferano. Si fece assegnare la concessione archeologica del monte e dei suoi dintorni, per un totale di 200 chilometri quadrati, ed iniziò l’esplorazione sistematica del territorio. Quattro anni dopo Har Karkom doveva diventare noto in tutto il mondo come "il monte di Dio", quello dove Mosè aveva ricevuto le tavole della legge.
Non fu una scoperta immediata e tanto meno programmata. Per i primi tre anni non gli passò neppure per la mente che quell'altipiano avesse una qualche relazione con la Bibbia, anche se alcune delle incisioni rupestri gli ricordavano temi biblici, e la quantità e la tipologia dei siti archeologici che andava scoprendo, villaggi, altari, piattaforme, tombe, luoghi di culto e via dicendo, lo avevano convinto che quella era un'area del tutto speciale. Finché‚ un giorno, la folgorazione: lungo il greto sassoso di un wadi, fra i resti di un villaggio sgranato al riparo di un basso costone, scoperse dodici massi allineati in duplice fila davanti ad una pietra sacrificale. Gli vennero alla mente le parole della Bibbia: "... e la mattina, levatosi per tempo, Mosè eresse a piè del monte un altare e dodici cippi, per le dodici tribù di Israele.
Quel giorno Anati "scoperse" di aver scoperto il monte sacro ai suoi avi.