Localizzando il monte Horeb in corrispondenza di Har Karkom, dove il professor Anati ha rinvenuto importanti siti archeologici che attribuisce a Israele e a popolazioni contemporanee, l'intero itinerario dell'Esodo viene a corrispondere, come si è visto, in maniera pressoché perfetta con la descrizione del Pentateuco. Ciò renderebbe la identificazione praticamente certa, se non esistessero gravi problemi di carattere cronologico. Le evidenze archeologiche, infatti, sembrerebbero indicare che l'Esodo sia avvenuto nel millennio III a.C., almeno mille anni prima dell'epoca tradizionalmente ritenuta corretta.
La cronologia biblica è tuttora alquanto dibattuta e ben lontana da una definizione univoca soddisfacente. Fino ad oggi, tuttavia, il dibattito verteva essenzialmente sull'epoca dei patriarchi e la durata della permanenza di Israele in Egitto, che vengono diversamente valutate. Non esistevano invece grossi problemi circa l'epoca dell'Esodo, che la maggioranza degli studiosi colloca nel secolo XIII a.C.
Questa data viene ora messa pesantemente in discussione dal professor Anati. Tutti i siti archeologici riferibili agli Ebrei dell'Esodo ed alle popolazioni contemporanee (Amalechiti, Madianiti, Idumei, eccetera), trovati ad Har Karkom e nell'area circostante, da Ein Kudeirat fino alla valle Uvda, infatti, appartengono al Bronzo antico, e devono quindi riferirsi, secondo Anati, al millennio III. Non sono stati rinvenuti nella zona reperti archeologici riferibili al Bronzo medio e recente, cioè al millennio II, epoca durante la quale, secondo Anati, tutta l'area in questione sarebbe rimasta spopolata (v. specchietto riassuntivo).
Anati colloca la distruzione di Gerico da parte di Giosuè alla fine del secolo XXIII. Di conseguenza l'Esodo e la permanenza degli Ebrei nel Sinai vengono anticipati al secolo XXIV a.C., o agli inizi del XXIII; l'epoca dei patriarchi e la permanenza in Egitto rimangono fissate prima del secolo XXIV e il periodo di formazione del popolo ebreo e dello stato d'Israele (quello descritto nei libri di Giosue e dei Giudici) dal secolo XXIII all'XI a.C.
La situazione, a questo punto, diventa paradossale. Il fatto che il racconto del Pentateuco venga a rispondere in maniera perfetta con l'itinerario tracciabile sul terreno dovrebbe dimostrare al di là di ogni dubbio che l'identificazione di Har Karkom con il monte Horeb è corretta. Nello stesso tempo, però, viene anche dimostrato con altrettanta evidenza che il racconto biblico, almeno per la parte riferibile ai fatti esaminati, è storicamente fondato e corretto, senza imprecisioni, aggiunte o invenzioni di qualche rilevanza.
Entrambe le fonti, quindi, quella archeologica e quella bibliografica, si confermano a vicenda per quanto attiene alle indicazioni topografiche. Nello stesso tempo, però, sembrano smentirsi a vicenda in maniera categorica, perché apparentemente si riferiscono a epoche del tutto diverse. Se infatti il testo biblico è da ritenersi attendibile, il quadro cronologico che emerge dal racconto si colloca nel secolo XII a.C. L'esistenza dei carri da trasporto e dei carri da guerra, dei cavalli e dei cammelli, tanto per citare soltanto alcuni degli elementi "databili" che compaiono in abbondanza nel testo, si riferisce senza possibilità di dubbio ad un'epoca posteriore al XV secolo a.C. L'analisi delle genealogie bibliche, si è visto, conduce allo stesso risultato. I dati archeologici, invece, sembrano escludere l'esistenza di popolazioni stanziali o anche di passaggio nell'area di Har Karkom e del Sinai in generale, nel corso del millennio II a.C.
C'è evidentemente qualcosa che non torna nell'una o nell'altra delle due fonti, quella archeologica da un lato e quella letteraria dall'altro, che pertanto vanno entrambe sottoposte ad un esame critico approfondito.
Ovviamente Anati ha tentato innanzi tutto di contestare il quadro cronologico risultante dal racconto biblico, sforzandosi di dimostrare l'inconsistenza degli elementi narrativi che si riferiscono ad un'epoca posteriore al secolo XV ed evidenziando quei passi che potrebbero invece riferirsi ad un'epoca anteriore.
I principali elementi che egli invoca a conferma delle risultanze archeologiche sono:
1.- Gerico
a) il cenno alla casa di Raab, costruita a ridosso delle mura di Gerico, riporterebbe al millennio III sola epoca in cui esistevano case sulle mura in Palestina;
b) identificando la Gerico biblica con Tell es-Sultan, l'unico episodio distruttivo attribuibile a Giosuè risalirebbe al secolo XXIII a.C.
2.- Fonti
Vari
riferimenti storici e letterari dell'Egitto del millennio III a.C. troverebbero
un parallelo nel Pentateuco, il che lascerebbe presumere una certa
contemporaneità. Fra questi Anati elenca:
- il
racconto del comandante egizio Uni, vissuto sotto il regno di Pepi I (dinastia
VI, 2375-2350 a.C.), descrive situazioni che sarebbero comparabili a
quelle che emergono da Esodo;
- le Istruzioni
a Merikare, testo egizio del secolo XXII, conterrebbero precetti simili a
quelli dati agli Ebrei nel deserto del Sinai;
- la
narrazione delle dieci "piaghe" troverebbe una consistente serie di
analogie nelle Ammonizioni di Ipuwer, testo egizio della dinastia VI;
- il
racconto di Mosè in Madian mostrerebbe notevoli analogie con il racconto di
Sinuhe, funzionario del faraone Amen-em-het I (secolo XX);
- il
racconto di Mosè salvato dalle acque avrebbe analogie con la leggenda di
Sargon di Akkad, eroe mesopotamico del secolo XXIII.
Ciascuna di queste argomentazioni presta il fianco a critiche di una certa consistenza. In particolare:
1.- Gerico
a) case sulle mura
Dal racconto di Giosuè non risulta in maniera certa che la casa di Raab fosse costruita sulle mura di Gerico; alcuni elementi sembrano invece indicare che si trovasse sì a ridosso delle mura, ma fuori delle porte della città. Non è possibile, infatti, che i due esploratori inviati da Giosuè abbiano potuto avvicinarsi alla città inosservati, entrarvi e aggirarsi tranquillamente per i vicoli fino a trovare la casa di Raab. Si era in stato di guerra e la cittadinanza era terrorizzata dagli Ebrei (Gs. 2,9); quindi la vigilanza doveva essere stretta e qualunque estraneo notato immediatamente. E infatti i due arrivarono a Gerico di notte (Gs. 2,2), quando le porte della città erano certamente chiuse e si rifugiarono a colpo sicuro nella casa della prostituta; segno che era fuori delle mura. Ciò era probabilmente dovuto alla professione della donna.
Che le prostitute sacre esercitassero fuori delle porte delle città sembra confermato dal fatto che gli Ebrei accolsero Raab e la sua famiglia fra di loro, ma la fecero abitare fuori del campo di Ghilgal (Gs. 6,23), non tanto perché straniera, ma perché prostituta, e dall'episodio di Tamar, che adesca il suocero, Giuda, lungo la via di Timnà, «all'ingresso di Enaim» (Gn. 38,14);
b) ubicazione di Gerico
L'identificazione di Gerico con TelI es-Sultan, effettuata all'inizio di questo secolo dagli archeologi austriaci Ernst Sellin e Carl Watzinger in occasione dei primi scavi, è stata quanto meno precipitosa e non trova conferma nel racconto biblico e tanto meno nelle risultanze archeologiche. Secondo le indicazioni ricavabili dalla Bibbia la Gerico di Giosuè doveva trovarsi una ventina di chilometri più a nord di Teli es-Sultan e doveva essere un villaggio di dimensioni più ridotte. Era situata, infatti, più o meno all'altezza dei guadi che si trovavano a sud di Adama, dove Giosuè attraversò il Giordano (Gs. 3,16), esattamente "di fronte" al monte Nebo, su cui Mosè salì per ammirare la Terra Promessa (Dt.34,1).
Considerazioni di carattere militare, poi, inducono a ritenere che la città avesse non più di un migliaio di abitanti ed un perimetro murario di 400-500 metri al massimo. Infatti le modalità con cui Giosuè condusse l'assedio (processioni intorno alle mura, con arca e sacerdoti in testa), presuppongono che egli possedesse una superiorità numerica schiacciante, almeno di 10 a 1. Il perimetro delle mura si può valutare, tenendo presente che prima dell'attacco finale l'esercito ebraico fece per ben sette volte il giro della città (Gs. 6,15): non è pensabile che abbia coperto un percorso globale superiore a una decina chilometri.
Sulla base di queste indicazioni l'ubicazione più probabile della Gerico di Giosuè è in corrispondenza delle rovine di H. Fasa-il, all’altezza di Adama, una delle città della Pentapoli, rinomata per i suoi guadi sul Giordano.
Tell es-Sultan corrisponde invece in maniera perfetta alle indicazioni fornite dalla Bibbia per la città di Sodoma (Gn. 13,3-13), centro principale della valle del Giordano, distrutto da un grande incendio all'epoca di Abramo (Gn. 19,24), cioè nel secolo XV a.C., come risulta appunto dalle datazioni al radiocarbonio, e ricostruita mezzo millennio dopo con il nome di Gerico
2.- Fonti egizie
Il parallelo tra i fatti storici e letterari egizi del millennio III citati da Anati e quelli biblici è opinabile e il legame cronologico fra di essi non dimostrabile.
Nessuna delle argomentazioni portate da Anati a sostegno delle evidenze archeologiche, quindi, sembra dotata di un valore probante, se disgiunta da una qualche prova risolutiva. Rimane da vedere se i dati archeologici sono davvero così categorici e definitivi da non lasciare adito a interpretazioni o spiegazioni diverse. Elementi fondamentali della datazione sono frammenti di ceramiche rinvenuti in strutture abitative che Anati attribuisce agli Ebrei dell'Esodo e/o alle popolazioni locali con cui essi entrarono in contatto, che appartengono al Bronzo antico. Nessun reperto attribuibile al Bronzo medio e recente è stato rinvenuto nell'area di Har Karkom. Anche un frammento di vaso di alabastro egizio, rinvenuto a Beer Karkom, sembra risalire al millennio III a.C. Coltelli di selce rinvenuti in strutture abitative intorno a Har Karkom (i siti denominati « a plaza") non sono databili, ma secondo Anati potrebbero risalire al millennio IV. Non sono stati rinvenuti fino ad oggi reperti organici databili col radiocarbonio.
Questo è il quadro archeologico che ha indotto Anati ad affermare che l'intera area interessata all'Esodo rimase spopolata durante tutto il periodo che l'esegesi tradizionale assegna alle vicende bibliche. Stando alle conclusioni di Anati, anzi, l'intera penisola del Sinai sarebbe rimasta spopolata per tutto il millennio Il a.C., ad eccezione di alcune miniere sfruttate dagli egizi e di qualche stazione militare e commerciale lungo la costa mediterranea. Una simile conclusione lascia sconcertati. Anche ipotizzando condizioni climatiche assai più dure di quelle attuali, cosa di cui peraltro non esistono evidenze dirette, è difficile immaginare che un'area così vasta sia rimasta completamente vuota per così lungo tempo, e proprio in coincidenza con un periodo di grande sviluppo economico, politico e demografico della regione, quale fu quello del Nuovo Regno.
Tanto più che esistono innumerevoli testimonianze storiche di questa epoca relative a popolazioni nomadi provenienti dal Sinai: Tutmosi III, nel trentanovesimo anno del suo regno, effettuò la sua quattordicesima campagna militare contro tribù di beduini che dal Sinai facevano incursioni nell'Egitto nordorientale; Amenofi II dichiara di avervi catturato quindicimila beduini; all'epoca di Ramsess II un funzionario di frontiera dichiara di aver lasciato entrare in Egitto « una tribù di beduini provenienti da Edom»; Ramsess III combatté contro i « beduini del monte Seir»; il monte Seir è citato anche su un obelisco di Ramsess II, e delle tribù sashu che «vivevano nel territorio di sabbia» sono cosparse le cronache delle dinastie XVIII, XIX e XX. Dove vivevano queste popolazioni?
Se ll «paese di Edom» e il « monte Seir» di cui parlano i documenti di Ramsess II e Ramsess III sono gli stessi citati dalla Bibbia, e non si vede perché non dovrebbero esserlo, necessariamente essi dovevano trovarsi nei luoghi attraversati da Israele durante l'Esodo e quindi, nonostante l'assenza di evidenze archeologiche, dovevano essere abitati almeno nei secoli XIII e XII a.C.
Resta da chiarire il mistero dell'assenza di ceramica del bronzo recente in tutta l'area del Sinai. Qualcuno cerca di risolvere il problema ipotizzando che gli ebrei dell'Esodo fossero in numero così limitato e il loro passaggio sia stato così fugace da non lasciare tracce databili. Questa ipotesi contrasta con la fonte biblica, che parla di una permanenza ai piedi del monte di circa un anno e di molti anni nel Sinai. Ma soprattutto essa trascura un elemento essenziale e cioè che Israele entrò in contatto con popolazioni certamente residenti nella zona e che pertanto devono necessariamente aver lasciato tracce della loro permanenza, databili alla stessa epoca del passaggio degli Ebrei.
Rimane da verificare tuttavia la possibilità che queste popolazioni e gli stessi Ebrei dell'Esodo non facessero alcun uso di ceramica e i frammenti rinvenuti nelle loro strutture abitative siano resti di popolazioni precedenti che essi stessi vi avrebbero trasportato e abbandonato.
Questa ipotesi sembrerebbe confermata non solo dal fatto che i reperti di tipo ceramico rinvenuti nelle strutture abitative e nei pressi sono tutti frammenti e non è stato rinvenuto un solo oggetto completo, ma anche da un esame accurato del racconto biblico. Nel Pentateuco vengono nominati spesso oggetti d'uso quotidiano impiegati dagli Ebrei: tende, coltelli, spade, piatti, coppe di metallo, otri, sacchi, vesti, bastoni, pelli e così via. Gli unici cenni a oggetti di ceramica o strumenti litici sono:
a) Rebecca a Nahor, nella Mesopotamia settentrionale, attinge acqua al pozzo con una brocca (Gn. 24,15);
b) Zippora, moglie madianita di Mosè, circoncide il figlio Ghersom con un coltello di selce (Es. 4,25). Coltelli di selce sono stati utilizzati anche da Giosuè per circoncidere gli Ebrei a Ghilgal (Gs. 5.3).
A parte questi, non vengono mai citati nel testo oggetti di ceramica o litici che fossero di uso comune presso Israele prima della conquista della Palestina; questo, pur non costituendo una prova in senso stretto, è comunque una chiara indicazione della possibilità che Israele, non facendo alcun uso di ceramica, non poteva lasciare dietro di sé reperti di questo genere.
C'è da notare che tutte le popolazioni con cui Israele entrò in contatto nel deserto avevano la stessa origine; Madian, infatti, era figlio di Abramo (Gn. 25,2), Amalek nipote di Esaù, fratello gemello di Giacobbe (Gn. 36,12) e Edom era lo stesso Esaù (Gn. 25,30). Avevano quindi presumibilmente tutte la stessa impronta culturale e gli stessi costumi. Nessuna di esse, quindi, stando al racconto biblico, doveva fare uso di ceramica; i frammenti sulla cui base sono state datate le strutture abitative rinvenute nell'area di Har Karkom, pertanto, potrebbero essere elementi "inquinanti” appartenuti a popolazioni anteriori, raccolti e abbandonati in situ dagli occupanti di quelle strutture.