le piaghe d'Egitto

Il piano di Mosè per convincere gli ebrei a lasciare l'Egitto

La parte più difficile e complessa del piano di Mosè era quella di convincere gli Ebrei a lasciare l’Egitto (Es. 4,1-17), per lanciarsi in un’avventura incerta e rischiosa. “Mosè e Aronne riunirono tutti gli anziani dei figli d’Israele. E Aronne disse tutte le parole che Jahweh aveva detto a Mosè e compì i segni agli occhi del popolo. Il popolo credette e udì che Jahweh aveva visitato i figli di Israele e aveva visto la loro miseria. E si inginocchiarono e adorarono.” (Es.4,29-31)

Il momento era favorevole: le corvées edilizie erano gravose e provocavano forte malcontento fra il popolo. Nondimeno agli occhi degli anziani l’impresa prospettata da Mosè e Aronne doveva apparire poco meno che suicida. Non è credibile che si siano lasciati incantare da qualche trucco magico; Mosè e Aronne dovettero usare argomenti assai più convincenti, sui quali la Bibbia tace (torneremo in seguito sull’argomento). Il risultato finale, in ogni caso, fu che i capi tribù si lasciarono convincere. Tutti insieme studiarono ed organizzarono i dettagli del piano per lasciare l’Egitto. Giurarono, ovviamente, di mantenere il segreto.

Nel frattempo, gli “agitatori” di Mosè lavoravano fra il popolo per creare un’atmosfera di attesa di grandi eventi; ne eccitavano la fantasia; spargevano voci di prodigi; lo entusiasmavano all’idea della fuga. L’eccitazione cresceva man mano che procedevano i preparativi della partenza; si spargevano le voci più incredibili; si vedevano miracoli ovunque.

La narrazione biblica cerca di accreditare la versione secondo cui gli Egizi furono convinti a lasciar partire gli Ebrei sotto la pressione di calamità terribili, provocate da Dio per mezzo di Mosè. Il tentativo è condotto con molta ingenuità ed assoluta trasparenza.

In quei giorni di fermento, in si preparavano grandi cose per il destino del popolo ebreo, la fantasia popolare era sovreccitata ed incline a vedere prodigi ovunque si verificasse un qualche fatto appena fuori dalla norma. E si sa come, nei racconti popolari, un ciocco possa diventare un lupo ed un lupo un intero branco! Soprattutto se c’è qualcuno interessato a spargere voci di miracoli e pronto ad ingigantire i fatti, come dovevano fare appunto gli amici di Mosè in quei frangenti.

La maggior parte della “piaghe”, infatti, sono avvenimenti banali e certamente ricorrenti nell’Egitto. Alcuni sono ridicoli come candidati al titolo di “piaga”. Tutti, in ogni caso, sono esagerati fuor di misura. Un esempio per tutti, la grandine: prima si dice che fu un flagello mai visto, che stroncava uomini, animali e ogni sorta di alberi (Es. 9,24-25). Ma poi la verità viene a galla: il grano non fu per nulla danneggiato, perché ... non era ancora spigato (Es. 9,32)! Una normalissima grandinata primaverile.

La maggior parte degli storici guarda con scetticismo al racconto delle “dieci piaghe”, perché non sono riportate nelle cronache egizie. Sarebbe davvero strano se si trovassero riscontri del genere. Come si è visto per Giuseppe, quando nella Bibbia si parla del “paese d’Egitto”, si intende normalmente quella parte dell’Egitto dove vivevano gli Ebrei. Le “piaghe”, pertanto, furono certamente fatti locali, che colpirono paesi e campagne nei dintorni del Gosen e che ben difficilmente potevano essere riportati a corte per essere iscritti nelle cronache ufficiali.

Certamente gli Egizi non si accorsero neppure di essere stati colpiti da tante calamità straordinarie, in quel periodo; lo furono soltanto nella fantasia degli Ebrei. I quali, d’altro canto, non avevano la possibilità di controllare la reale portata di quelle “piaghe”. Loro, infatti, ne erano regolarmente esenti: faceva parte del prodigio.

L’ultima piaga, la più terribile, e cioè la morte di tutti i primogeniti egizi, fu probabilmente la morte fortuita di un solo primogenito, quello del governatore egizio da cui dipendevano gli Ebrei, e perciò indicato con l’appellativo di “faraone” (Es. 4,23). Era morto la notte stessa in cui gli ebrei si apprestavano a partire. L’indomani mattina, mentre essi si incamminavano, l’intera città risuonava di grida e lamenti di lutto. Nessuno tornò indietro a controllare chi fosse morto realmente.

Dalla stessa lettura del testo biblico appare abbastanza evidente che le dieci “piaghe” non ebbero alcuna influenza sulla decisione degli Egizi di autorizzare gli Ebrei a recarsi nel deserto, per compiere sacrifici al loro Dio (mai li autorizzarono a lasciare il paese). Ne ebbero moltissima, invece, nel convincere gli Ebrei a partire; a lasciare una condizione tutto sommato di agiatezza e sicurezza (Es.16,3), per imbarcarsi in un’avventura nebulosa. Non sapevano a cosa andavano incontro e quanto a lungo avrebbero rimpianto quella decisione!

I preparativi per la partenza richiesero mesi: bisognava disfarsi di ogni proprietà non trasportabile, barattandola con oggetti preziosi [1], possibilmente senza rimetterci troppo; bisognava attrezzarsi per un lungo viaggio, acquistare carri, approvvigionare viveri, granaglie, armi e via dicendo. Il tutto cercando di dare nell’occhio il meno possibile. E tuttavia quei preparativi non potevano passare inosservati agli occhi degli egiziani. Ormai la notizia che gli Ebrei si apprestavano ad abbandonare il Paese doveva essere di pubblico dominio. Questo, naturalmente, non poteva non essere previsto nel piano di Mosè.

In quanto pastori seminomadi, gli Ebrei avevano quasi certamente la più ampia libertà di movimento: potevano andare e venire, radunarsi senza dover chiedere il permesso a nessuno (e infatti Aronne andava e veniva come gli pareva dal Sinai). Purché non sconfinassero dal territorio loro assegnato, invadendo pascoli destinati ad altri. Ma se volevano andare nel deserto … padroni! Quasi certamente vi si recavano a pascolare, dopo le piogge. Nessuno immaginava che potessero abbandonare di propria spontanea volontà i pascoli assegnati, lasciando “la terra migliore di tutto l’Egitto”.

Di fronte a quei preparativi di partenza, però, e alle voci insistenti che circolavano, il governatore da cui dipendeva Israele cominciò a preoccuparsi. Non poteva certo permettere che gli Ebrei se ne andassero in massa, privando l’economia locale di uno dei suoi pilastri. Il faraone, come minimo, l’avrebbe destituito.

Convocò i capi tribù e chiese spiegazioni. Quelli negarono di voler abbandonare l’Egitto; carri, viveri, oro e preziosi vari servivano per un grande raduno nel deserto: “Lasciaci andare per il cammino di tre giorni nel deserto, per sacrificare a Jahweh, nostro dio, perché non ci colpisca con la peste o con la spada(Es. 5,3)

Il visir nicchiava: “Andate a sacrificare al vostro dio nel Paese(Es. 8,21). Impossibile: “Non possiamo certo fare così, perché è un abominio per gli egiziani se sacrifichiamo a Jahweh, nostro dio; sacrificando un abominio ai loro occhi, non ci lapideranno forse? Andremo nel deserto a tre giorni di cammino per sacrificare a Jahweh, nostro Dio, come ci aveva detto(Es. 8,22-23).

Il visir chiese garanzie: lasciassero nel paese donne e bambini (Es. 10,11). Neanche parlarne: “Andremo coi nostri giovani e i nostri anziani, andremo coi nostri figli e le nostre figlie, col nostro gregge ed il nostro armento, perché è per noi una festa di Jahweh” (Es. 10,9). Lasciassero il bestiame (Es. 10,24). No: “Anche i nostri greggi verranno con noi: non ne resterà un’unghia, perché da quello prenderemo per servire Jahweh e non sappiamo con che cosa servire Jahweh, finché non arriveremo laggiù” (Es. 10,25-26).

Alla fine, dopo laboriose trattative, si accordarono: gli Ebrei potevano andarsene dove pareva loro, con quello che volevano; solo, avrebbero dovuto accettare la presenza di un forte contingente di truppe egizie, incaricate di sorvegliarli. A loro spese, naturalmente. Erano le condizioni previste e propugnate da Mosè.

Gli Egizi si sentivano tranquilli. Il visir di Pi-Ramsess controllava la via della Palestina e aveva a sua disposizione le truppe migliori e più veloci d’Egitto; le migliori del mondo! Seicento carri da guerra (Es. 14,7) furono messi alle costole degli Ebrei: se avessero tentato una qualsiasi cosa sarebbero stati fatti a pezzi. Era tutto previsto nel piano di Mosè.


[1]Dalla Bibbia sembrerebbe più una "donazione" che un baratto. La logica, tuttavia, porta ad escludere l'ipotesi della donazione, per i seguenti motivi:
- a quale titolo gli Egizi avrebbero dovuto regalare agli Ebrei ingenti quantità di oggetti preziosi? Perché erano loro simpatici? Per ricordo? Per indurli a par­tire in fretta e per sempre? Sembrano ipotesi molto fragili e contraddittorie;
-  gli Ebrei si apprestavano a lasciare per sempre l'Egitto; è logico, umano e del tutto certo che dovettero cercare di vendere eventuali beni immobili. Non esi­stendo allora il denaro, chiesero in cambio oggetti preziosi.


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