Fra le decisioni prese dall’organizzazione mitraica all’indomani della vittoria di Costantino contro Massenzio, ce n’è una in particolare che è sempre sfuggita all’attenzione degli storici, ma che ha avuto conseguenze importantissime nella storia futura. Di essa non abbiamo alcuna conferma diretta contemporanea, ma in base all’esame delle vicende storiche successive possiamo dare per certo che sia stata presa allora.
Fu probabilmente a Milano, in occasione dell’incontro di Costantino e Licinio, nel 313, in quella stessa riunione che aveva attribuito la carica imperiale in perpetuo alla Gens Flavia. Come provvedimento collaterale, inteso a separare anche fisicamente il potere civile da quello religioso, si dovette stabilire che la sede dell’imperatore e della sua amministrazione rimanesse per sempre ben lontana da Roma.
E’ un dato di fatto incontestabile, infatti, che da quel momento in poi nessun imperatore “romano” risedette mai più a Roma. L’ultimo imperatore a risiedere nella capitale fu Massenzio, che aveva innalzato e rafforzato le mura aureliane in modo da renderla imprendibile [1] .
Costantino entrò in città da vincitore, ma non gli fu consentito di stabilirvisi, e dovette quindi cercare un’altra sede per la sua corte. Prima di costruirsi una capitale su misura sul Bosforo, risedette a Milano, Arles, Treviri, Aquileia, Sirmio e Serdica.
Nel frattempo, però, continuò a profondere enormi risorse per abbellire Roma di monumenti, basiliche, chiese e altri edifici pubblici grandiosi. [2] Una frenesia edilizia come raramente si era verificata in passato, la quale costituisce la dimostrazione più evidente che la città continuava ad essere la vera capitale dell’impero. Questa sua posizione non fu mai messa in discussione, come mai fu tagliato il flusso di rifornimenti che serviva a mantenere la sua esuberante popolazione.
Cosa impediva, dunque, a Costantino di stabilirsi a Roma? E perché mai gli imperatori d’occidente elessero a propria sede amministrativa una cittadina sperduta in mezzo alle paludi, come Ravenna, pur continuando a dedicare enormi risorse alla difesa e al mantenimento di Roma? Le spiegazioni di questo fatto, indubbiamente enorme, che si incontrano nei libri di storia, quando si incontrano, sono sempre vaghe, generiche e tutt’altro che convincenti.
Il meglio che gli storici sono riusciti a produrre a questo proposito è che Ravenna fosse più facilmente difendibile di Roma. Spiegazione ridicola, oltre che falsa, perché agli inizi del quarto secolo non era ipotizzabile alcuna minaccia esterna alla città di Roma.
A parte Diocleziano, che vi risiedette soltanto per quattro settimane, prima di Costantino tutti gli imperatori romani, da qualunque parte dell’impero provenissero, avevano sempre posto la propria capitale a Roma. Come si spiega che a nessuno dopo di lui venne mai l’idea di porre la propria sede in quello che rimaneva pur sempre il “caput mundi”? Fu libera scelta di tutti gli imperatori “romani” da Costantino in poi, indipendentemente l’uno dall’altro, o piuttosto una imposizione dell’organizzazione occulta sacerdotale?
La prima alternativa appare inverosimile e da scartarsi a priori. Rimane la seconda. Nell’attribuire la carica imperiale in perpetuo alla Gens Flavia, l’organizzazione sacerdotale dovette prendere anche dei provvedimenti che tutelavano la propria indipendenza e il proprio potere.
Fu una decisione che si spiega unicamente con l’esistenza di due poteri: uno pubblico, costituito dall’imperatore, che era capo dell’esercito e dell’amministrazione pubblica. L’altro occulto, costituito dall’organizzazione sacerdotale stessa, dotata di un potere esclusivamente morale, esercitato attraverso il sistema delle logge mitraiche, ognuna presieduta da un Pater, che riconosceva l’autorità del Pater Patrum, che risiedeva Roma, nella grotta del Vaticano. Strettamente collegato a quest’ultimo era il potere religioso del vescovo cattolico di Roma, che dallo stesso Vaticano esercitava il proprio primato su tutti i vescovi dell’impero.
I due poteri non potevano convivere nella stessa sede. L’organizzazione occulta era l’espressione delle famiglie sacerdotali nel loro complesso e quindi si arrogava un potere superiore a quello dell’imperatore, che apparteneva ad una sola di quelle famiglie. Non ricoprendo alcuna carica pubblica di carattere politico, amministrativo o militare, cercò di assicurare la propria esistenza e indipendenza, mantenendo fisicamente le distanze dalla sede dell’amministrazione imperiale.
Roma, capitale morale dell’impero, era e doveva rimanere proprietà della famiglia sacerdotale in quanto tale, non di singoli imperatori, che inevitabilmente avrebbero combattuto e neutralizzato (come fece Diocleziano e come avrebbero fatto successivamente gli imperatori bizantini) un potere al di fuori del loro controllo e in grado di condizionarli. L’unico modo per evitare questo concretissimo rischio, era quello di allontanare fisicamente l’imperatore e la sua amministrazione dalla città, assicurando a quest’ultima una sorta di extraterritorialità rispetto al rimanente dell’impero.
Un preciso e dettagliato riferimento a questa decisione è probabilmente costituito da un famoso documento dell’ottavo secolo, noto come “Donazione di Costantino”, che viene presentato come un decreto di Costantino indirizzato a papa Silvestro.
In esso l’imperatore concede al papa e a tutti i suoi successori uno status al di sopra del suo stesso “trono secolare”, nonché onori e rendite imperiali (insignia et regalia). Egli cede al papa il palazzo del Laterano (il che è storicamente accertato), la città di Roma e “tutte le province, luoghi e città d’Italia e delle regioni occidentali”. A causa di queste donazioni egli muove la capitale in oriente. Egli dichiara inoltre la supremazia del papa sui patriarcati orientali.
Questo documento fu scritto quasi certamente intorno al 754, durante il pontificato di Stefano II e viene pertanto ritenuto unanimemente un falso. Il che è certamente vero per la forma, ma non per il contenuto. Le evidenze storiche, infatti, dimostrano che esso riflette fedelmente una decisione presa al tempo di Costantino, cioè in quel fatidico 313, perché da allora in poi di fatto la giurisdizione su Roma e l’Italia centrale fu sempre esercitata dal Senato e dalla Chiesa.
Di più, l’evidenza storica dimostra che da allora in poi l’intero impero occidentale fu “zona d’influenza” riservata a Roma e l’autorità imperiale si limitava a provvedere alla sua difesa contro i nemici interni ed esterni.
La decisione di separare la sede dell’amministrazione imperiale da Roma fu sempre rispettata e certamente essa ha cambiato il corso della storia in maniera che non possiamo neppure immaginare. E’ uno sterile esercizio di fantasia, d’accordo; ma proviamo per un momento a pensare come sarebbero potute andare le cose se Costantino avesse posto la sua capitale a Roma e se da allora in poi essa fosse rimasta per sempre, come lo era stato in precedenza, sede imperiale. Sarebbe mai esistito un impero romano d’oriente? Avrebbero mai i barbari prevalso sull’occidente? Sarebbe mai caduto l’impero romano? E cosa ne sarebbe stato del papato e del cristianesimo?
Inutile lanciarsi in ipotesi. Queste domande, comunque, danno la misura della portata storica di quella decisione, cui nessun documento contemporaneo dedica il minimo cenno, ma che l’evidenza dei fatti dimostra essere stata presa proprio in quell’occasione.
Questa separazione portò di fatto alla divisione dell’impero in due parti, una soggetta all’autorità religiosa della Chiesa (o meglio, in un primo tempo, a quella dell’organizzazione sacerdotale che la controllava), l’altra a quella politica dell’imperatore d’oriente; anche se formalmente l’autorità di entrambi si estendeva sulla totalità dell’impero.
Una soluzione di compromesso che per lungo tempo sembrò poter funzionare. Per secoli, infatti, le relazioni fra il vertice politico della famiglia, l’imperatore, e quello religioso, rimasero molto strette, anche se spesso conflittuali, e i due vertici si sostennero e legittimarono a vicenda, ma in due mondi politicamente e territorialmente ben distinti e separati.
Era inevitabile, però, che prima o poi si dividessero definitivamente e seguissero ognuno una propria strada. E’ indubbio, infatti, che la decisione di vietare agli imperatori “romani” di risiedere a Roma, presa come abbiamo visto con tutta probabilità nel 313 a Milano, fu la causa prima della cosiddetta caduta dell’impero romano d’occidente, avvenuta appena un secolo e mezzo dopo. Gli storici sono quasi unanimi nell’attribuirne la caduta all’irrompere entro i suoi confini di una serie ininterrotta di popolazioni barbariche, ma un’analisi obiettiva dei fatti mostra una realtà ben diversa.
La deposizione di Romolo Augustolo, nel 476, fu l’atto finale di una crisi dell’istituto imperiale in occidente che era iniziata nel momento stesso in cui Costantino costruì la sua nuova capitale sul Bosforo. O meglio, nel momento stesso in cui fu presa la decisione di separare fisicamente il vertice politico/amministrativo da quello religioso dello stato.
Da allora in poi l’imperatore dell’occidente, quando ci fu, ebbe sempre un’autorità limitata, completamente asservita, anche sul piano prettamente civile, agli interessi della Chiesa di Roma e delle famiglie che la controllavano, e cioè i grandi proprietari terrieri che costituivano la nuova onnipotente classe senatoriale di quella parte dell’impero.
La cosa appare evidente fin dalla morte di Costantino. In quell’occasione, infatti, Roma impose come imperatore dell’occidente il figlio minore Costante, cattolico, in luogo del fratello Costantino II, ariano, nominato dal padre. E i successori Valentiniano e Graziano furono succubi della Chiesa, in particolare del papa Damaso e di Ambrogio da Milano, che fra l’altro costrinsero Graziano a deporre il manto pontificale e successivamente a cooptare come augusto Flavio Teodosio, campione dell’ortodossia cattolica.
Benché spagnolo, eletto in occidente, Teodosio si trasferì immediatamente a Costantinopoli. Egli fu l’ultimo imperatore a riunire sotto il suo dominio l’intero impero romano. Alla sua morte, nel 395, esso fu diviso fra i due figli Arcadio, che ottenne l’oriente, e Onorio che ebbe l’occidente. Era una cosa normale, fin dai tempi di Diocleziano, ma questa volta la divisione fu definitiva, anche se al momento nessuno se ne rese conto.
Da allora in poi, i destini delle famiglie sacerdotali che facevano capo all’imperatore, da un lato, e al papa dall’altro cominciarono a seguire strade diverse.
In oriente la famiglia sacerdotale andò incontro ad una progressiva perdita di potere e di autonomia a favore della carica imperiale. La Chiesa orientale venne completamente asservita all’imperatore, che ovviamente tendeva ad eliminare ogni potere in grado di condizionare il proprio potere personale. L’organizzazione sacerdotale occulta, quindi, ammesso che avesse una sua rete di “logge” in oriente, venne progressivamente esautorata e svuotata di significato e finì con lo scomparire.
In occidente, invece, fu la carica imperiale a perdere progressivamente importanza e potere, fino a scomparire del tutto, lasciando il potere interamente nelle mani dell’organizzazione delle famiglie sacerdotali e del papa di Roma che ne era l’espressione.
Onorio (395-423) e Valentiniano III (423-455), furono imperatori più di nome che di fatto, perché in realtà il potere politico era nelle mani dell’esercito e di chi lo comandava, le tre più grandi figure militari di questo secolo: Flavio Stilicone, Flavio Costanzo e Flavio Ezio, che erano l’espressione degli interessi dei grandi proprietari terrieri dell’Italia e delle Gallie, prima fra tutti la Chiesa cattolica.
Gli imperatori dei successivi 21 anni furono meteore passeggere e insignificanti, che di fatto non esercitarono alcun potere, ma furono anzi fonte continua di instabilità e conflitti.
Alla fine fu lo stesso Senato romano a decretare la “caduta” dell’impero d’occidente. La carica imperiale si “spense” senza traumi, lasciando il posto ad un occidente in apparenza disgregato e suddiviso fra varie entità barbariche indipendenti, ma in realtà più unito e autonomo che mai sotto la guida della Chiesa di Roma, a cui continuavano a far capo tutti i vescovi dell’occidente.
Evidente testimonianza che la fine dell’impero non significò la fine dei privilegi delle famiglie di origine sacerdotale, ma segnò l’inizio di una nuova fase della loro storia, in cui il loro potere, non più condizionato dalla figura carismatica di un imperatore onnipotente, divenne completo e stabile come mai lo era stato in passato, sotto l’ombrello protettore di eserciti di mestiere barbarici, che lo difendevano contro minacce provenienti da qualsiasi direzione.
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[1] Massenzio fu costretto dal senato ad affrontare il suo rivale Costantino fuori dalle mura, onde evitare alla città I disagi di un lungo assedio.
[2] Richard Krautheimer, Rome – Profile of a city, 312-1308, Princeton University Press; cap. 1