Ad Har Karkom esistono i resti del più grande (e forse unico) accampamento ellenistico di tutta l’area del Sinai, catalogato dal Prof. Anati con la sigla BK 480; evidenza incontestabile che tra il terzo ed il primo secolo a.C. una grande spedizione partita dalla Palestina raggiunse la valle Karkom. Quando avvenne e chi la guidò?
Non c’è niente nella cronaca di Giuseppe Flavio, o di un qualsiasi altro storico della Giudea, che possa far pensare ad un qualsiasi collegamento con Har Karkom, o alla mera possibilità che una spedizione della portata evidenziata dal sito archeologico BK 480 possa essere stata organizzata da uno qualsiasi dei protagonisti della storia giudaica da Alessandro fino ai Maccabei. Non c’è il benché minimo accenno, infatti, ad un qualsivoglia interesse da parte di qualcuno di essi per le terre che si trovavano a est e a sud del Mar Morto. Il primo ad affacciarsi su quei territori e ad interagire con i loro abitanti è Giuda Maccabeo.
Ai tempi di Geremia Har Karkom si trovava in territorio ancora madianita, o per essere più precisi, cushita. Al tempo dei Maccabei, invece, vi troviamo già insediati i Nabatei, che probabilmente avevano assorbito i madianiti della regione. Questo risulta sia dalle cronache storiche che dai resti archeologici, che mostrano la presenza dei Nabatei nella valle in contemporanea alla presenza ellenistica.
I Nabatei, però, non occupavano l’intera Giordania, come ai tempi della guerra giudaica, ma soltanto una piccola porzione di territorio incentrata su Petra e Avdat, a cavallo della valle Arabà, a sud del Mar Morto. E costituivano con tutta evidenza una tribù, o meglio un piccolo regno indipendente. Il resto della Giordania era allora ancora saldamente sotto il controllo siriano.
Fino all’avvento dei Maccabei la Giudea era stato un territorio vassallo, che non aveva relazioni altro che con i propri sovrani, i Tolomei egizi dapprima, i Seleucidi siriani poi. E’ soltanto con Giuda Maccabeo, che si rivoltò con successo contro i Siriani ed acquisì una relativa autonomia da essi, che iniziarono i rapporti con le nazioni confinanti.
Di particolare interesse, perché apparentemente senza un motivo specifico, sono i rapporti che Giuda Maccabeo intrattenne con i Nabatei. Giuseppe Flavio riferisce che, dopo aver combattuto vittoriosamente contro i siriani in Galilea “Giuda Maccabeo e suo fratello Gionata passarono il fiume Giordano e, coperta la distanza di tre giorni di cammino da esso, giunsero ai Nabatei dove furono accolti in modo pacifico” (Ant. Giud. XIII, 335).
Giuseppe non spiega il motivo di quella visita e non dice neppure dove Giuda si sia recato esattamente. La capitale era Petra, per cui dobbiamo ritenere che si sia recato in quella città; ma di lì ad Har Karkom, che rientrava nei domini dei Nabatei, il tragitto è breve. Dobbiamo presumere che Giuda vi si sia recato in ricognizione in cerca di qualcosa che gli stava molto a cuore; non si capirebbe altrimenti il motivo di quella visita, che a quanto viene riferito, sembrerebbe di semplice di cortesia.
Giuda, infatti, si limitò a raccontare il disagio dei Giudei “rinchiusi nelle fortezze e nelle città della Galaadite” ed i Nabatei a consigliarlo di attaccare. Tutto qui; non c’è il minimo accenno a trattati di alleanza, richieste di aiuti o simili, cose che Giuseppe Flavio non mancava mai di sottolineare. In ogni caso Giuda tornò al nord, distrusse la città di Bosrà (futura capitale della provincia romana nabatea), azione che gli era stata richiesta dai nabatei, e proseguì con successo la sua guerra contro i siriani ed i loro alleati, arrivando ad ottenere una relativa indipendenza, tanto da permettersi di stipulare un trattato di alleanza con Roma. (Ant. Giud. XII, 419).
Giuseppe non riferisce più di suoi contatti con i Nabatei. Che scopo poteva mai aver avuto quella sua visita? A quanto è dato capire dal seguito della storia, Giuda doveva essersi recato presso i Nabatei per assicurarsi libero transito nel loro territorio ed effettuare una ricognizione nell’area del monte Horeb, allo scopo di riconoscerlo e di valutare le difficoltà ed i problemi di una eventuale successiva spedizione di ricerca.
Come sommo sacerdote, infatti, sapeva che sul monte esisteva una caverna segreta ricolma di tesori, ma non aveva idea di dove si trovasse esattamente il monte e soprattutto di dove si trovasse l’ingresso alla caverna. Dai tempi della distruzione di Gerusalemme da parte di Nabuccodonosor, infatti, nessun ebreo si era mai più recato dalle parti del monte Horeb. L’ultimo che risulti era stato proprio Geremia.
Fu Giuda Maccabeo stesso, probabilmente, a chiedere ai Nabatei di accompagnarlo sul posto e di indicargli la montagna sacra, giustificando la propria curiosità in modo perfettamente credibile con la sua fede religiosa, che aveva avuto origine proprio su quel monte, e guardandosi bene, ovviamente, dall’accennare al vero motivo di quella visita.
Quasi certamente salì sul monte, con suo fratello Gionata, e si dette una bella occhiata intorno, per rendersi esatto conto della situazione e dei problemi che una spedizione di ricerca avrebbe dovuto affrontare. Non possiamo dubitare, infatti, che egli abbia progettato una spedizione e a tale scopo abbia chiesto ai Nabatei libero transito al monte per i Giudei, a scopo di culto. Il “consiglio” che i Nabatei gli fornirono di attaccare Bosrà fu forse il prezzo da essi richiesto per concedergli quell’autorizzazione.
Le vicende della guerra non consentirono a Giuda Maccabeo di realizzare la progettata spedizione al monte Horeb. Qualche tempo dopo, infatti, fu sconfitto e ucciso dal generale siriano Bacchide, che risottomise la Giudea, uccidendo tutti i sostenitori dei Maccabei su cui riuscì a mettere le mani. I fratelli superstiti di Giuda Maccabeo, Simone, Gionata e Giovanni, si rifugiarono nel deserto, al di là del Giordano (Ant. Giud. XIII, 7 e seg.), inseguiti da Bacchide con tutto il suo esercito.
E’ a questo punto che Gionata, succeduto a Giuda nel comando, fece qualcosa apparentemente senza senso: “egli mandò suo fratello Giovanni, detto pure Gaddi, dagli Arabi Nabatei, per lasciare il suo equipaggiamento presso di loro, fino a quando non dovesse combattere contro Bacchide: essi erano, infatti, amici dei Giudei” (ib. XIII, 10).
Giuseppe Flavio evidentemente non racconta tutta la verità, che forse neppure lui conosceva per intero; ma non poteva non essere colpito dalla stranezza di quella decisione. In quel momento Gionata si trovava in una situazione disperata, trovandosi a fronteggiare l’intero esercito di Bacchide; ma invece di raccogliere ogni uomo ed ogni mezzo a disposizione, distaccò una parte delle proprie forze, al comando del fratello Giovanni, mandandole presso i Nabatei, non a sollecitare aiuti come sarebbe stato logico, ma per “lasciare il suo equipaggiamento”.
Di che cosa si trattava? Evidentemente non di equipaggiamento di carattere militare, di cui aveva bisogno proprio in quel momento. Se si privò della presenza di suo fratello Giovanni e dei suoi uomini in quei frangenti, doveva essere per una ragione di estrema importanza. E l’equipaggiamento di Giovanni, dal momento che non poteva essere di carattere militare, doveva consistere in attrezzature di scavo e di una carovana di animali da soma.
In altre parole, Gionata, proprio in quel momento disperato, aveva dato attuazione al progetto di suo fratello Giuda Maccabeo, mandando il fratello Giovanni, con operai e attrezzature adeguate, nel paese dei Nabatei alla ricerca della tomba sul monte Horeb, nella speranza di potersi procurare i mezzi necessari a rovesciare le sorti della guerra. Giovanni non arrivò mai al monte Horeb, almeno secondo quanto riferisce Giuseppe Flavio: “mentre era in cammino verso i Nabatei, i figli di Amareo tesero un agguato a lui e ai suoi compagni fuori dalla città di Medaba e, spogliatili di quanto portavano, uccisero Giovanni e tutti i suoi uomini” (Ant. Giud. XIII, 11).
Gionata e Simone vendicarono presto la morte del fratello Giovanni, uccidendo in un agguato Amareo e tutti i suoi parenti (Ib., XIII, 18-21), ma dovettero restare alla macchia per diversi anni, braccati dai loro avversari, fino a che un nuovo sovrano ad Antiochia, Alessandro Bala, figlio di Antioco Epifane, non richiamò Gionata a Gerusalemme, nel 153/2 a.C., insediandolo nella cariche che erano state a suo tempo ricoperte da suo fratello Giuda. Gionata passò il resto della sua vita a guerreggiare per consolidare il suo potere ed allargare i confini della Giudea, fino a che non fu ucciso in battaglia dal generale siriano Trifone, nel 144/3 a.C.
Al suo posto l’ultimo dei fratelli Maccabei, “Simone, fu scelto come sommo sacerdote dalla moltitudine, e nel primo anno del suo pontificato liberò il popolo dalla servitù dei Macedoni, sicché non dovettero più pagare loro un tributo”. Riuscì anche a cacciare la guarnigione siriana da Gerusalemme, conquistando la piena indipendenza della Giudea, per la prima volta dal tempo di Nabucodonosor.
Finalmente aveva la possibilità ed i mezzi per attuare l’impresa in cui i suoi fratelli Giuda e Gionata avevano fallito e che era costata la vita al fratello Giovanni: trovare la “caverna del tesoro”. Dovette pianificare la spedizione con estrema cura e nel più grande segreto e a comandarla designò la persona di cui più si fidava al mondo, il suo figlio primogenito Ircano (cui aveva dato come primo nome quello del defunto fratello Giovanni).
Il resto lo sappiamo: Ircano riuscì nell’impresa e tornò a Gerusalemme carico di denaro, giusto in tempo per salvare il trono.
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