Salomone seppellì suo padre Davide
“con tutta la magnificenza dei funerali reali: sotterrò con lui molta e abbondante ricchezza la cui quantità si può desumere facilmente da quanto sto per riferire: ... allorché Ircano, sommo sacerdote, fu assediato da Antioco soprannominato Eusebes, figlio di Demetrio, volle dargli del denaro affinché togliesse l’assedio e togliesse l’esercito, non avendo altra risorsa, aprì una delle camere della tomba di Davide e prelevò tremila talenti e ne diede una parte ad Antioco, così ebbe fine l’assedio.
Dopo l’intervallo di molti anni, re Erode aprì nuovamente un’altra camera e portò via una grande somma di denaro. Nessuno di loro, tuttavia, giunse fino alle casse dei re, poiché erano state abilmente sepolte in terra in modo che non potevano essere viste da alcuno che entrasse nella tomba. Ma di queste cose a noi basta quanto riferito”. (Antichità Giudaiche, VII, 392)
Così Giuseppe Flavio cerca di dare un’idea delle favolose ricchezze che erano state nascoste nella caverna dove era stato sepolto il re Davide.
Giuseppe Mattia, che assunse il nome di Flavio dopo che Vespasiano gli risparmiò il supplizio della croce, concedendogli la libertà, la cittadinanza romana ed alla fine la sua stessa residenza privata romana, riduttivamente etichettato come “storico ebreo” dalla maggior parte degli storici, apparteneva alla prima delle 24 famiglie sacerdotali che gestivano il tempio di Gerusalemme e discendeva direttamente, per parte di madre, da Ircano. Conosceva bene i fatti in questione, perché si trattava di faccende di famiglia, anche se erano accadute due secoli prima.
Giuseppe Flavio scriveva la sua storia verso la fine del primo secolo d.C.; Ircano “aprì il sepolcro di Davide intorno al 137 a.C. e
ne estrasse tremila talenti d’argento e, partendo da tale somma, divenne il primo re dei giudei a spesare truppe straniere. Strinse amicizia e alleanza militare con Antioco, lo accolse in Città. con abbondanza e generosità aiutò il suo esercito con tutto ciò di cui aveva necessità. E quando Antioco fece la spedizione contro i Parti, Ircano uscì con lui.” (Antichità Giudaiche, XIII, 249 seg)
Forte del suo esercito mercenario, Ircano conquistò poi le città siriane di Medaba e Samoga e tutta la Samaria, distruggendo il tempio dei samaritani, eretto duecento anni prima su autorizzazione di Alessandro Magno. A sud conquistò infine l’intero paese degli idumei, cui impose la circoncisione e l’adozione della religione ebraica, estendendo così i confini del regno di Giuda anche oltre quelli che erano stati gli antichi confini del grande regno di Israele ai tempi di Davide e Salomone. Tutto grazie a quei tremila talenti, una cifra colossale per quei tempi, prelevati da quella tomba che incredibilmente nessuno, sembrerebbe, aveva mai “alleggerito”, prima di lui.
Un prelievo che a quanto pare aveva appena intaccato le disponibilità di quella favolosa caverna, perché non erano ancora trascorsi cento anni che
“Erode, saputo che Ircano, uno dei re che lo avevano preceduto, aveva aperto il sepolcro di Davide e preso tremila talenti d’argento e che ve n’era ancora una notevole quantità, bastante a pagare tutti i suoi prodighi regali, per parecchio tempo meditò di mettere le mani su di esso.
Così una notte aprì il sepolcro e vi entrò dentro ... portando con sé esclusivamente i suoi amici più fidati. Tuttavia, a differenza di Ircano non trovò monete, ma solo una dovizia di oro e depositi preziosi e portò via tutto. Era intento a farne una ricerca più accurata giungendo fino a rompere e aprire le casse nelle quali si trovavano i corpi di Davide e di Salomone. Si dice, però, che due persone della guardia del corpo, nell’entrare, furono consumate da una fiamma e lo stesso re ne fu atterrito...”(Antichità Giudaiche, XVI, 179 seg).
A quanto pare, quindi, Erode desistette dal depredare la tomba assai prima di averne esaurite le disponibilità. In ogni caso dovette portare a casa una cifra di tutto rispetto, perché con essa riuscì a finanziare una delle più frenetiche ed imponenti attività edilizie mai portate a termine nella storia da un singolo sovrano. Ricostruì il tempio di Gerusalemme con una grandiosità senza pari, facendone una delle meraviglie del mondo, dopo aver letteralmente reinnalzato e spianato il monte Moryah.
A detta di Giuseppe Flavio (Ant. Giud. XV, 380)
“Erode diede inizio a questo lavoro straordinario, la ricostruzione della casa di Dio, a sue proprie spese ... riteneva che l’adempimento di questa impresa sarebbe stata l’impresa più insigne di quelle finora compiute e sufficiente ad assicurargli una memoria immortale”.Costruì una fortezza imponente sull’Erodion, dotandola di immense cisterne sotterranee. Niente comunque, al confronto della fortificazioni e delle cisterne costruite sulla rocca di Masada, sulla riva del Mar Morto, su cui edificò anche un grandioso palazzo, terrazzando la montagna in modo da ricavarne alcuni dei più bei belvedere dell’intera Palestina, per il piacere personale suo e dei suoi ospiti.
E ancor più grandioso fu il palazzo reale che si edificò a Gerico. Per non parlare delle altre opere di carattere pubblico; per dirla con le parole stesse di Giuseppe Flavio:
“mi pare che non ci sia alcun bisogno di parlarvi delle varie costruzioni che abbiamo erette nella nostra regione, nelle città della nostra terra ed in quelle dei territori conquistati, come dei più bei ornamenti con i quali abbiamo abbellito la nostra nazione, avendo coscienza che voi tutti le conoscete benissimo”.(Ant. Giud., XV, 384)
Per edificare Versailles Luigi XIV aveva impoverito la Francia. Erode fece anche di più, ma “a sue proprie spese”, o meglio a spese di quella misteriosa caverna che già aveva finanziato le guerre e le conquiste di Ircano, e che sembrava possedere immense risorse non ancora “utilizzate”.
Di che caverna si trattava? E soprattutto, dove si trovava? Sul primo punto non sembra possano esserci dubbi: si trattava di una tomba. Giuseppe afferma che era la tomba di Davide. Ma poi aggiunge che insieme a Davide c’era anche Salomone. Si tratta quindi, con tutta evidenza, di una tomba di famiglia. Altrettanto evidente è il fatto che era costituita da più vani; Giuseppe ne cita almeno due, ma si lascia scappare che “le casse dei re erano state abilmente sepolte in terra in modo che non potevano essere viste da alcuno che entrasse nella tomba”. Il che significa che c’erano altri vani segreti, che nè Ircano né Erode erano riusciti, o avevano voluto penetrare; forse perché spaventati dalle trappole mortali che essi nascondevano.
Quanto all’ubicazione, Giuseppe Flavio non si pronuncia, ma lascia comunque intendere che si trovasse a Gerusalemme. Su questo punto non è affatto credibile. Diciamo pure che non è possibile.
Fra Davide e Ircano ci sono almeno ottocento anni. Non è possibile che una tomba dotata di un tesoro tanto favoloso, situata in pieno centro cittadino, o nei suoi immediati dintorni, sia rimasta inviolata per tanto tempo, attraversando indenne sovrani empi, come Manasse, invasioni straniere e ricorrenti distruzioni e ricostruzioni della città e del suo tempio.
L’esempio egizio, a questo proposito, è illuminante: neppure una (se si eccettua quella di Tutankamon, che comunque era già stata violata in tempi antichi) delle sue tombe reali è scampata alla completa spoliazione dei suoi tesori ed alla profanazione delle mummie.
Per essere scampata per così tanto tempo alla sorte comune, quindi, la tomba di Davide doveva trovarsi ben lontana da Gerusalemme, in un luogo segreto, al di fuori della portata di ogni potenziale spogliatore.
C’è infine un’ultima considerazione da fare. La quantità di tesori presenti nella caverna era troppo imponente per essere stata raccolta nel corso della vita di un unico sovrano; tanto meno di un sovrano come Davide, che ha speso ogni sua risorsa in guerre continue e la cui capitale, Gerusalemme, a giudicare dai resti archeologici, non era certo in grado di rivaleggiare con una qualunque città egizia.
Da dove venivano, dunque, quei tesori; chi li aveva raccolti e quando?
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