L'aver determinato con precisione e attendibilità le vicende di Giuseppe, ci consente un altro exploit che può apparire incredibile: dare un nome ed un volto a quel personaggio che quasi trent’anni prima aveva lottato con Giacobbe sulle rive dello Jabbok e che, a quanto pare, ebbe una importanza decisiva nella vita del patriarca. Sembrerebbe che dall'incontro di lotta libera sostenuto da Giacobbe a Peni-el con l'angelo sia nata una duratura amicizia fra i due. L'angelo era, si è detto, il comandante della guarnigione egizia a Mahanaim, massima autorità dell'impero in quel settore della Palestina, con il potere di decidere autonomamente se concedere o meno il transito ai forestieri.
Regnava allora l'effimero faraone Ay, insediatosi sul trono d'Egitto con l'aiuto determinante di Haremab. L'energico generale era già stato "consociato" al trono dal faraone ed in quel momento risiedeva presumibilmente a Tebe, ma continuava a mantenere il controllo dell'esercito. Compito principale dell'esercito egizio era di mantenere l'ordine nelle provincie dell'impero egizio e difenderle da incursioni dall'esterno. Le guarnigioni più importanti, quindi, erano dislocate fuori dal territorio egizio vero e proprio, principalmente nel settore settentrionale, in Siria e Palestina. E’ ovvio che a capo delle guarnigioni il comandante supremo dell'esercito avesse messo ufficiali fedeli a tutta prova; questo è tanto più vero nel caso di Haremab, che aveva fatto dell'esercito uno strumento personale per il suo ambizioso progetto di scalare il trono.
Non può esserci quindi il minimo dubbio che il comandante della guarnigione di Mahanaim, all'epoca in cui Giacobbe tornò in Palestina, fosse un ufficiale fedele a Haremab. Come pure non c'è dubbio, dal momento che lo dicono le stesse cronache egizie, che Haremab, quando si insediò sul trono, innalzò alle massime cariche dello stato i suoi ufficiali più capaci e fedeli (è questa una regola storica). Con tutta probabilità, quindi, l'ufficiale di Mahanaim fece una brillantissima carriera politica e pochi anni dopo l'incontro con Giacobbe era a Tebe a fianco di Haremab e veniva promosso alle più alte cariche dello stato.
Verso la fine del regno di Haremab, abbiamo visto, un altro personaggio legato a Giacobbe, il suo figlio prediletto Giuseppe, veniva tratto dal carcere e nominato funzionario ad Avaris dal visir del Paese del Nord, Pramsess. Resta da capire il perché dello straordinario favore accordato da costui ad un forestiero come Giuseppe. La giustificazione addotta da Genesi, secondo cui fu l'interpretazione di un sogno a provocare il miracolo, non è molto convincente. Pramsess era rimasto senza dubbio favorevolmente impressionato dalle capacità divinatorie del giovane Giuseppe, ma fu certamente qualcosa di assai più profondo che lo indusse a toglierlo dalla prigione e farne un suo funzionario di primo grado. Doveva aver conosciuto in precedenza il padre di Giuseppe e nei suoi confronti doveva nutrire sentimenti di rispetto e amicizia. Lo prova l'ansia che dimostra di vedere, o rivedere, Giacobbe: "Prendete il vostro padre e venite da me (...) prendete il vostro padre e affrettatevi e venite al più presto" (Gn.45,18-19)
Quando e come aveva potuto nascere un'amicizia così profonda e duratura fra due uomini tanto lontani? L'origine va probabilmente ricercata in quel solitario incontro di lotta libera sostenuto da Giacobbe sulle rive dello Jabbok, a Peni-el. L'"angelo" contro cui lottò doveva essere proprio lui, il "comandante delle truppe" Pramsess. Può sembrare romanzesco, ma è l'unica spiegazione in grado di giustificare coerentemente i fatti, sulla base degli elementi che possediamo.
Pramsess certamente aveva svolto parte del suo servizio militare in Palestina; essendo il più brillante degli ufficiali di Haremab (altrimenti non sarebbe stato da lui associato al trono) senza dubbio era comandante di una guarnigione importante, come poteva essere quella di Mahanaim, che controllava la frontiera orientale della Palestina. Nulla osta, quindi, all'ipotesi che l'ufficiale comandante di Mahanaim, quando Giacobbe transitò di lì, fosse proprio lui.
Esistono, però, dei riscontri precisi e diretti nella Genesi, i quali provano che la persona che liberò dalla prigione Giuseppe ad Avaris era la stessa che aveva tratto dai guai Giacobbe a Mahanaim. Che Giacobbe fosse allora in un mare di guai non c'è dubbio; come non c'è dubbio che sia stato l'intervento del comandante egizio della guarnigione a salvarlo. Lo ammette lo stesso Giacobbe, quando battezza quel luogo "Peni El, perché ho veduto il Signore faccia a faccia e la mia vita è stata salvata" (Gn.32,30). Versetto che non significa "ho visto il Signore in faccia e ciononostante non sono morto", come vorrebbero la maggior parte degli esegeti, ma va messo in relazione con il versetto Gn.32,11: "Salvami, ti prego, dalla mano di mio fratello Esaù."
Questa preghiera Giacobbe la rivolse “all’angelo", l'ufficiale comandante di Mahanaim; e che essa sia stata esaudita è lo stesso Giacobbe che lo conferma, quando in Genesi 48,16 benedice Giuseppe, invocando sui suoi figli il favore "dell’angelo che mi ha liberato da ogni male". Benedizione che acquista un significato particolare se si considera che il suddetto "angelo" era in quel momento il superiore diretto di Giuseppe. Ma che fosse stato amico e protettore di Giacobbe lo si deduce dai successivi versetti di Genesi 49,23-24. La loro traduzione è molto controversa ed il significato impenetrabilmente oscuro, se si prescinde dalla presente spiegazione. La Volgata così dice: "Lo amareggiarono e contesero con lui, gli portarono invidia gli armati di frecce. Il suo arco si appoggiò sul forte e le catene delle sue braccia e delle sue mani furono spezzate per mano del Potente di Giacobbe, indi uscì egli pastore e pietra di Israele." Dall'ebraico si traduce: "Il suo arco resta forte, le sue braccia e le sue mani sono state agili per opera del Protettore di Giacobbe, di colui che è il pastore e pietra di Israele". La Bibbia di Gerusalemme: "E' rimasto intatto il suo arco e le sue braccia si muovono veloci per le mani del Potente di Giacobbe ...". La Bibbia concordata: "Lo hanno perseguitato con le loro frecce. Ma il Dio Potente di Giacobbe lo ha aiutato...".
Questi versetti si riferiscono a Giuseppe ed il loro vero significato dovrebbe essere: "... le catene delle sue e delle sue braccia furono spezzate per opera del Protettore di Giacobbe...". Ciò che conta, in questo versetto, più che il significato è l'appellativo con cui viene indicato il personaggio benefattore di Giuseppe, che equivale ad una esplicita ammissione di suoi precedenti rapporti con il padre Giacobbe. Quando infatti Pramsess liberò Giuseppe dal carcere, Giacobbe non era ancora venuto in Egitto; la parola "protettore" quindi, si riferisce a qualcosa accaduto in precedenza: una protezione che Pramsess esercitò nei confronti di Giacobbe quando si trovava in Palestina e che dovette giocare un ruolo molto importante nella vita del patriarca; evidentemente, quindi, nei confronti del fratello Esaù.
L'angelo che lottò con Giacobbe a Peni El doveva essere, in conclusione, lo stesso Pramsess. Da quell'incontro nacque fra i due una solida amicizia, che si può presumere sia valsa anche in seguito a proteggere il patriarca dalle conseguenze della distruzione di Sichem, operata sconsideratamente dai suoi figli Simeone e Levi. Dopo di allora i due si persero di vista. E' probabile che per quanto riguarda Giuseppe le cose siano andate più o meno come racconta la Bibbia, e che sia stata proprio la sua attitudine a interpretare i sogni a portarlo di fronte a Pramsess. Il Gran Visir del Paese del Nord riconobbe in lui il figlio del suo vecchio amico Giacobbe, che lui stesso, un quarto di secolo prima, aveva salvato sulle rive dello Jabbok dalla furia vendicatrice di Esaù: più che la sapienza di Giuseppe fu l'emozione di quei lontani ricordi che dovette consigliarlo in quel momento.