Nei lunghi anni trascorsi in territorio madianita, Mosè si dedicò a tre cose, principalmente: la preparazione della propria tomba, la creazione di un esercito degno di questo nome e i contatti con l’Egitto per spianare la strada al ritorno degli ebrei in Palestina. Quando tutto fu pronto tornò ai confini della Palestina, a Cades; questa volta, nel deserto di Zin, passando da Yotvata, Avrona, Ezion Gever e risalendo il Darb el-Aza, fino a Ein Cadeis (Nm 33,33-36).
Israele rimase nella valle di Uvda per 22 anni. Vi si era rifugiato all'indomani della disfatta subita ad opera dei Cananei, nel quinto anno del regno di Merenptah alla fine del 2007 a.C.. Ne partì dopo aver stipulato un patto di alleanza con Sethnackth, il fondatore della XX dinastia egizia, che aveva bisogno di un alleato per la sottomissione della Palestina, mentre lui si dedicava ad impadronirsi del potere in Egitto.
Mosè arrivò a Cades-Barnea nel primo mese (Nm. 20,1) dell'ultimo anno di permanenza nel Sinai: a fine maggio o ai primi di giugno. I successivi tre mesi li trascorse nella elaborazione di un piano di invasione. Mandò certamente esploratori in Palestina, per studiare il terreno e le difese nemiche, in modo da poter mettere a punto una strategia di attacco.
Mosè piantò il campo a Beer Horeshe alla fine del quarto mese, in settembre. Il primo giorno del quinto mese (Nm. 33,38), salì sul vicino monte Hor, dove nel corso di una suggestiva cerimonia Eleazaro venne nominato sommo sacerdote al posto del padre Aronne, che "morì" subito dopo, sul posto stesso.
Trascorsi i trenta giorni di lutto proclamati per la morte di Aronne, gli Ebrei dettero finalmente inizio alle operazioni; era il sesto mese dell'ultimo anno, in novembre. Il monte Hor si trovava al confine del territorio di Edom (Nm. 20,23). Di qui la via più diretta per raggiungere la valle del Giordano era quella di Atarim (Nm. 20,1), che congiunge Nizana ad Hazeva, attraverso Ein Mor (Orma). Per immettersi nella via dovevano tagliare fino a Beer Resisim, lungo la pista che passa per Beer Hafir, in pieno territorio edomita.
Mosè chiese a Edom il permesso di transito. Gli fu negato (Nm. 20,18-21). Pensò bene di lasciar perdere: una guerra contro Edom non rientrava nei suoi piani. Decise di aggirare il territorio edomita (Nm. 21,4), scendendo fino a Beerot Loz e risalendo poi fino ad Ein Mor. Dopo qualche giorno arrivarono sulla pista di Abarim, ad Ein Mor. Ad attenderlo c'era «il cananeo il re di Arad, che dimorava nel Negev» (Nm. 21,1), con un forte esercito. Mosè dovette aprirsi la via con la forza. I Cananei furono annientati: non avevano più di fronte lo stesso esercito che era stato disperso anni prima in quel medesimo luogo.
Arrivato ad Hazeva, nella valle Aravà, Mosè diresse verso nord-est, lasciando in pace i Moabiti di Ar, discendenti di Lot, che gli avevano concesso il transito (Dt. 2, 18-19). Sihon, re di Esbon, invece, non concesse il transito sul proprio territorio; il suo popolo venne sterminato fino all'ultimo infante (Dt. 2,26-35). Stessa sorte subirono i Moabiti che abitavano il Paese ad oriente del Giordano. Nel giro di quattro mesi Mosè si impadronì di tutto il territorio a oriente del Mar Morto e del Giordano.
Il collaudo dello strumento di guerra messo a punto nei lunghi anni di permanenza nel deserto aveva dato esito favorevole: l'esercito ebreo si era rivelato invincibile sul campo. Finalmente poteva iniziare la tanto sospirata conquista.
Mosè da lungo tempo aveva deciso che non sarebbe stato lui a guidarla. Radunò il popolo nella valle di Moab, il primo giorno dell'undicesimo mese, nel primo novilunio di primavera (Dt. 1,3). Tenne il discorso del testamento; poi investì Giosuè del potere supremo; infine salì sul monte Pisga ad ammirare la terra che aveva promesso al suo popolo; e... "morì". Era la fine di marzo o gli inizi di aprile.
Seguirono trenta giorni di lutto, come per Aronne (Dt. 34,8). Nel mese successivo, Giosuè mandò esploratori in avanscoperta (Gs. 2,1), mise a punto un piano di attacco e fece gli ultimi preparativi per la campagna militare.
La situazione militare in Palestina non era cambiata granché dal lontano giorno di quella prima ricognizione effettuata proprio da Giosuè. Era cambiata, invece, e molto, quella politica: dopo la morte di Merenptah, l'Egitto fu travagliato da mortali problemi dinastici; quattro sovrani si avvicendarono in rapida successione, dopodiché seguirono alcuni anni di anarchia, durante i quali «l'Egitto era governato solo da funzionari e governatori delle singole città». L'impero in Asia si sgretolò, precipitando nel caos; scomparve qualsiasi parvenza di autorità centrale e ogni singolo villaggio, ogni tribù diventarono padroni di se stessi [1].
Era cambiato anche il popolo ebreo. La nuova generazione era ben diversa da quella nata e cresciuta in Egitto. S'era forgiata alla dura vita del deserto; alla scuola feroce dei beduini ostili, Era ben armata e addestrata. Soprattutto era disciplinata e compatta intorno ai propri capi supremi e alla nuova religione, e con la coscienza di avere Dio e il nuovo faraone dalla propria parte.
Appena rientrati gli esploratori mandati a spiare Gerico, Giosuè dette inizio alle operazioni militari. Primo atto: l'attraversamento del Giordano, il confine tanto a lungo proibito. Nei pressi del campo c'era un guado (Gs. 2,7). Era il 18 giugno 1183 a.C. (Gs. 3,15). Non è il periodo di piena per il Giordano, ma neppure di magra. Il fiume scorreva pigramente entro le sue sponde, a un livello medio-basso. In ogni caso, tuttavia, attraversare il guado con greggi, tende e masserizie poneva dei problemi. Giosuè volle iniziare l'impresa, ripetendo, nel suo piccolo, l'exploit di Mosè: "prosciugando" le acque del Giordano. Lui, però, dovette farlo sul serio. Un'impresa non eccezionale: anche i Longobardi "deviarono" un fiume per seppellire il loro re. Spedì una squadra di "genieri" a Adam, città a fianco di Zaretan (Gs. 3,16), una località a monte, che si prestava particolarmente bene per quel servizio. Intanto organizzava l'esercito e preparava materialmente e spiritualmente il popolo.
Quando tutto fu pronto, al segnale convenuto la squadra di Adam deviò il fiume e ben presto il guado rimase all'asciutto. Si rinnovò il miracolo del passaggio del Mar Rosso, con grande impressione ed emozione dell'intero popolo. Era il decimo giorno del nuovo anno (Gs. 4,19).
Giosuè piantò il campo a Ghilgal, una località poco distante da Gerico. Da qui partirono le operazioni militari. La strategia adottata fu quella di affrontare i nemici uno alla volta, il più rapidamente possibile, in modo da evitare che si formassero leghe ed eserciti troppo potenti.
Primo obiettivo Gerico, che sorgeva non lontano dai guadi del Giordano ed era cinta da una cerchia di mura; per quei tempi e per i mezzi bellici degli Ebrei, veramente poderose. Giosuè aveva trovato il loro punto debole; aveva mandato avanti apposta due "spie" per individuarlo (Gs. 2,1). Mentre l'intero esercito, coi sacerdoti in testa, si dava da fare per distrarre gli abitanti della città, sfilando intorno alle mura per sei giorni consecutivi, una squadra di "genieri" scavava sotto le fondamenta di un tratto di muro. Scavava e puntellava [2].
Quando tutto fu pronto, il settimo giorno, Giosuè inscenò un grande spettacolo: l'esercito sfilò per ben sette volte intorno alle mura (Gs. 6,15). I Gerichesi erano tutti assiepati in cima al muro, intorno intorno, a godersi lo spettacolo. Al momento opportuno: fiato alle trombe, via i puntelli e... un tratto di muro rovinò fragorosamente (Gs. 6,20). Gi Ebrei si precipitarono in massa nella breccia, prima che gli esterrefatti difensori potessero accorrere, e la città fu presa. Fu una carneficina orrenda. Tolta una famiglia di "collaborazionisti" (Gs. 6,25), non venne lasciato vivo nemmeno un animale. La città fu saccheggiata e rasa al suolo.
Stessa sorte toccò ad Ai, pochi giorni dopo, altra città reale, presa con uno stratagemma. Seguirono Maccheda, Libna, Lachis, Ghezer, Ebron, Debir e così via. Uno dopo l'altro ben trentun re furono uccisi, i loro popoli sterminati, le loro città distrutte.
Quando Giosuè ritenne di aver conquistato un territorio sufficiente per i suoi Ebrei, saggiamente decise di non sfidare oltre la fortuna e interruppe le operazioni militari.
I tempi della conquista
Quanto tempo impiegarono gli Ebrei a conquistare la Palestina? La descrizione della Bibbia è molto particolareggiata e consente di ricostruire con precisione gli avvenimenti, tranne che per un particolare: i tempi. E’ una cosa che disturba; non ci sono, nel libro di Giosué e in quelli successivi, indicazioni di una qualche consistenza da cui si possa desumere in modo attendibile la durata dell'intera operazione.
Si possono tuttavia distinguere due fasi nettamente separate e con caratteristiche affatto diverse. La prima fase è quella dell'invasione vera e propria, durante la quale il popolo ebreo, unito sotto la guida di Giosuè, penetra in Palestina e conquista vaste porzioni di territorio, prevalentemente nelle zone montagnose. La fase termina con la spartizione della Palestina fra le tribù ebree, in altrettanti territori che comprendevano anche vaste zone non ancora soggiogate. Nella seconda fase, ciascuna tribù provvede invece per proprio conto a completare la conquista del proprio territorio.
La seconda fase ha una durata largamente indeterminata ed occupa l'intero periodo dalla morte di Giosuè all'avvento di Samuele. La prima fase è pur essa indeterminata, ma in ogni caso di durata assai più limitata. L'esegesi tradizionale normalmente la fa durare alcuni anni, fino ad un massimo di quaranta. Non c'è praticamente nulla, tuttavia, nel testo biblico, che possa far pensare ad una campagna militare protrattasi per anni. Al contrario, diversi elementi inducono a ritenere che sia durata soltanto pochi mesi.
In primo luogo l'età di Giosuè: era già «molto vecchio» (Gs. 13,1) quando attraversò il Giordano (lo troviamo, infatti, al fianco di Mosè fin dall'inizio dell'Esodo, già uomo maturo, in grado di comandare un esercito in battaglia. Era, però, «ministro di Mosè dalla sua giovinezza» (Nm. 11,28); il che significa che Giosuè era giovinetto quando ancora Mosè abitava in Egitto, prima della forzata fuga nel Sinai. Poteva avere al massimo quindici anni meno di Mosè). Le operazioni militari sotto la sua guida, quindi, non possono essere durate per molti anni.
In secondo luogo, considerazioni di carattere militare, strategico e logistico, inducono a ritenere che la campagna militare di Giosuè sia durata pochi mesi soltanto, come quella appena conclusa sotto la guida di Mosè, che aveva portato alla conquista di tutto il territorio a oriente del Mar Morto e del Giordano. L'esercito ebreo era costituito dalla totalità dei maschi adulti; non è concepibile che potesse condurre campagne militari che durassero ininterrottamente per anni.
D'altra parte, non esistono, nel libro di Giosuè, elementi che possano far pensare a interruzioni delle operazioni militari in questa fase: le operazioni iniziarono dopo la celebrazione della Pasqua e terminarono soltanto con la spartizione del territorio, certamente meno di un anno dopo; la narrazione, infatti, è molto precisa e dettagliata; se ci fosse stata qualche altra Pasqua intermedia, avrebbe dovuto riportarlo.
Infine, alle operazioni in Palestina parteciparono tutti gli adulti (Nm. 32,20-22) delle tribù di Ruben, Gad e della mezza di Manasse, che avevano lasciato le proprie donne, con vecchi, bambini, mandrie ed averi, sole al di là del Giordano. Essi tornarono alle proprie case soltanto dopo la spartizione del territorio (Gs. 22,1-10). Non è concepibile che abbiano potuto lasciare da soli, in balia di qualsiasi malintenzionato, donne e bambini, con tutti i propri averi, per anni: dovevano essere passati appunto solo pochi mesi.
Possiamo quindi ragionevolmente ritenere che la campagna militare condotta da Giosuè, iniziata in giugno, si sia conclusa entro la stessa estate. Entro l'autunno ogni tribù era già insediata nel territorio avuto in sorte; si doveva essere non oltre la metà del «quarantunesimo» anno dall'inizio dell'Esodo.
[1] “A Merenptah seguirono, nel giro di quindici o venti anni, quattro o, com'è probabile, cinque re, dopo i quali l'Egitto sprofondò nel caos di un nuovo interregno. Di questo ci informa un cronista che ha descritto il periodo senza sovrani, durante il quale il paese d'Egitto era governato solo da funzionari e da governatori delle singole città” (J.A. Wilson, Diciannovesima e ventesima dinastia, in “I Propilei”, Mondadori 1973, vol. I, p. 561).
[2] Sulle cause del crollo della mura di Gerico sono state fatte le ipotesi più svariate, il che appare sorprendente. La tecnica di scavare di nascosto sotto le mura e puntellarle, per poi farle crollare al momento opportuno, era ben nota e largamente praticata proprio in Palestina. Giuseppe Flavio descrive un episodio del genere avvenuto durante l'assedio di Gerusalemme (Guerra Giudaica, V, 2, 4): “Giovanni aveva scavato una galleria dall'interno dell'Antonia fino ai terrapieni, puntellando la cavità mediante pali che reggevano l'opera dei romani; ad un certo punto introdusse nella galleria della legna spalmata di pece e bitume e vi appiccò il fuoco. Quando i pali furono consunti dal fuoco, la galleria rovinò e con un tremendo boato fece sprofondare il terrapieno”.
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La conquista della Palestina