Formazione del sistema solare - formazione dei vortici planetari nascita dei satelliti - la regola delle distanze e sua verifica - il sistema solare originario - lo strano caso di Nettuno - velocità di rivoluzione dei pianeti - caratteristiche fisiche dei pianeti e dei satelliti - stelle multiple - pianeti nell’Universo
-o-o-o-o-o-o-o-o-o-o-
La teoria dei vortici, ci ha portato ad intravedere il procedimento che porta alla nascita delle stelle e ci ha offerto una suggestiva panoramica sul grandioso fenomeno della nascita delle galassie.
Ma il nostro obiettivo è ben altro! E’ di arrivare a capire l’origine e la ragione di ciò che ci riguarda da più vicino, e cioè della Terra, dei continenti, della vita e di noi stessi; come pure di sapere se nell'intero Universo siamo i soli esseri intelligenti oppure no. Che senso avrebbero questo sterminato numero di stelle e galassie, se nessuno all'infuori di noi potesse ammirarle! Da questo insignificante granello di polvere che è la Terra, noi spingiamo lo sguardo negli spazi infiniti, cercando di carpirne i segreti. Ci sono nell'Universo altri granelli come il nostro? altri occhi come i nostri a guardare il firmamento? altre menti come la nostra tormentate dalla stessa ansia di conoscenza?
Emotivamente siamo portati a rispondere in modo affermativo. Ma non è il sentimento, bensì la logica che può portarci ad una risposta razionale. E’ appunto ciò che ci ripromettiamo di fare.
Innanzitutto si deve rispondere alla prima domanda, e cioè se esistono nell'Universo pianeti simili alla Terra.
Per poter rispondere occorre prima capire quale sia il procedimento che ha portato alla formazione dei pianeti, e appurare se si tratta di un fenomeno accidentale e straordinario, o invece di un fatto normale e inevitabile nel processo della nascita di una stella.
E’ evidente che la soluzione di questo problema deve scaturire dalla teoria stessa dei vortici in maniera rigidamente logica e sequenziale, senza introdurre nuove ipotesi e postulati indimostrabili.
La teoria cosmogonica standard, quella giudicata corretta dalla maggioranza degli astronomi, sostiene che i pianeti sono nati in seguito all'agglomerazione di una miriade di frammenti rocciosi e metallici, simili alle meteoriti ed agli asteroidi, che avrebbero circondato il sole nelle prime fasi della sua esistenza.
A parte l’estrema difficoltà di spiegare in maniera convincente come questi frammenti abbiano potuto aggregarsi e creare gli attuali pianeti e satelliti, rimane inspiegabile la loro stessa origine. Il grande vortice da cui è nato il sole era costituito esclusivamente di gas molto rarefatti, e non si vede proprio come in questa nube gassosa abbiano potuto formarsi miriadi di frammenti solidi costituiti da rocce e metalli.
Si è pensato ad eventi straordinari, come ad esempio l’emissione di getti di materia da parte del sole stesso, dovuta al passaggio nelle sue vicinanze di un corpo massiccio. Ma prima di affidarci allo straordinario vediamo se esistono spiegazioni più semplici e naturali e soprattutto più logiche e verosimili.
Le stelle, si è detto, hanno origine da grandi vortici che si formano nelle nubi galattiche. Ciascuno di questi vortici, però, costituisce esso pure una nube gassosa; ovvio, quindi, che anche in essa possano, anzi debbano, insorgere dei vortici. Un vortice stellare, quello cioè da cui nasce una stella, ha densità e gradiente di velocità di gran lunga superiori a quelli della nube galattica originaria; di conseguenza i vortici che vi insorgono devono avere dimensioni relativamente piccolissime. Questi vortici minori rastrellano la materia presente lungo ben determinate orbite della nube primaria, ed evolvono e si condensano con lo stesso procedimento che abbiamo visto per la nascita delle stelle, dando origine a dei piccoli corpi solidi, i pianeti;
A loro volta, in questi vortici, che possiamo definire planetari, devono essersi formati nlle frange esterne altri vortici ancora più piccoli, da cui hanno avuto origine i satelliti. Il vortice, infatti, è l’unico fenomeno capace di rastrellare e condensare dei gas dispersi nello spazio.
Stabilito questo, si tratta di appurare quali siano le cause che hanno determinato l’insorgere dei vortici minori, sia planetari che satelliti; quando essi hanno avuto origine; perché ne sono sorti soltanto pochi, distribuiti in un sistema ben ordinato anziché un gran numero sparsi a casaccio; perché alcuni di essi hanno dato origine a grandi pianeti ricchi di satelliti, mentre altri si sono condensati in minuscole sfere prive di satelliti e così via.
In altre parole dobbiamo renderci conto non solo di come nascono i pianeti e i satelliti, ma anche delle ragioni che stanno alla base delle loro caratteristiche fisiche ed orbitali.
Cominciamo dal "quando” hanno avuto origine. La prima domanda che dobbiamo porci è se è nato prima il sole o i pianeti; i pianeti o i satelliti. Un vecchio e radicato pregiudizio, postulato implicito di tutte le teorie cosmogoniche, è che la nascita dei vari componenti del sistema solare sia avvenuta secondo il loro ordine gerarchico: prima il sole, poi i pianeti e infine i satelliti. E’ un postulato, questo, che la teoria dei vortici rifiuta decisamente. Non c’è dubbio, infatti, che quando il grande vortice solare è giunto alla fase finale della condensazione, quando cioè è nato il sole vero e proprio, i vortici planetari dovevano esistere già da tempo ed essere ad uno stadio molto avanzato di condensazione. In caso contrario non esisterebbero i pianeti, perché l’energia irradiata dal sole subito dopo la sua nascita era talmente forte da disperdere completamente, ed in tempo assai breve, non solo l’intero anello gassoso circostante, ma anche ogni vortice minore che non fosse già fornito di un forte centro di attrazione gravitazionale.
L’ordine gerarchico vale senza dubbio per quanto riguarda la formazione dei vortici perché è evidente che prima si è formato quello solare poi quelli planetari e infine quelli dei satelliti. E’ intuitivo però, che la velocità di condensazione dei vortici è tanto maggiore quanto più piccolo è il loro diametro e più alta la loro densità specifica. Perciò quando il sole è nato, i vortici planetari più antichi, pur essendosi formati dopo, dovevano aver già completato il loro processo di condensazione; e lo stesso dicasi dei vortici satellite in relazione al proprio pianeta. In conclusione i primi corpi solidi del nostro sistema planetario furono dei modesti satelliti, cui seguirono i pianeti ed ultimo il sole.
Stabilito che i vortici planetari sono nati prima del sole, è essenziale ora scoprire le cause che hanno determinato la loro formazione. Qualunque sia questa causa, appare fin troppo ovvio che essa deve aver agito in base a ben determinate regole, e non a caso; altrimenti non avrebbe dato origine ad un sistema planetario così ordinato.
Fin dal 18o secolo si è intuito che le distanze dei pianeti dal sole non sono casuali, ma obbediscono ad una regola precisa. Nel 1766 Titius e poco più tardi Bode trovarono che le distanze medie dei pianeti dal sole rispondono approssimativamente ad una legge esponenziale espressa dalla formula nota appunto col nome di Bode-Titius: D = a + 2nb (con a = 0,4; b = 0.3). Essa fornisce, con larga approssimazione, le distanze dei pianeti dal sole in Unità Astronomiche (1 U.A. è una lunghezza pari alla distanza media della Terra dal sole), ponendo successivamente : n = - ¥, 0, 2, 3, 4, 5, 6 ...
Per n = 3, che cade fra Marte e Giove, non esiste un grande pianeta; al suo posto c’è una fascia occupata da un enorme numero di piccoli corpi, detta "fascia dei pianetini”. La regola non vale, neppure in larga approssimazione, per quanto riguarda la distanza di Nettuno. Non vale neppure per Plutone; ma le caratteristiche fisiche ed orbitali di questo corpo celeste sono talmente diverse da quelle dei rimanenti pianeti solari, da far ritenere che sia estraneo alla loro famiglia.
Per quanto empirica, inesatta e parziale, la regola di Bode-Titius mostra chiaramente che non può essere stato il caso a presiedere alla nascita dei pianeti. Quindi dobbiamo ritenere che la forza che ha provocato l'insorgere dei vortici planetari abbia agito secondo un procedimento ben preciso e ripetibile; un procedimento, cioè, universale, valido per tutti i vortici stellari dell'Universo. Un procedimento che dovrebbe valere anche per la formazione dei satelliti. A parte le dimensioni e la densità non c’è differenza sostanziale fra un vortice stellare ed uno planetario; perciò è evidente che la stessa regola che presiede alla formazione dei pianeti deve presiedere anche alla formazione dei loro satelliti.
La regola di Bode-Titius invece, non contempla le distanze dei satelliti dai rispettivi pianeti. Ma, come si è detto, è una regola empirica e di validità limitata, che non ci è di alcun aiuto per capire il processo di formazione di vortici satellite in seno ad un vortice-madre. Se riusciremo a scoprire la chiave di questo processo avremo trovato una regola estensibile a tutti i pianeti e satellite dell'Universo.
Innanzitutto è necessario individuate la forza che provoca l’insorgere dei vortici minori. Escludiamo subito l’irradiazione solare dal momento che il sole è nato in una fase successiva; e poi non si spiegherebbe una così ordinata distribuzione dei pianeti; non parliamo poi dei satelliti!
Per la stessa ragione possiamo escludere anche eventuali azioni magnetiche e la turbolenza naturale del disco gassoso, che tutt’al più possono aver dato origine ad effimeri moti vorticosi, sparsi caoticamente in tutto il volume del disco.
Non rimane quindi che una forza: quella gravitazionale. Ma esercitata da chi? Un vortice gassoso esercita a notevole distanza un’azione gravitazionale praticamente identica a quella di un corpo solido di uguale massa; ma al suo interno l’azione gravitazionale è diffusa, e non si vede proprio come possano esistere zone perturbate in modo particolare.
E’ probabile, però, che nel vortice in determinate fasi della sua vita esistano zone critiche agli effetti della turbolenza, nelle quali potrebbero sorgere spontaneamente vortici minori stabili; questi costituirebbero poi dei punti ad azione gravitazionale concentrata suscettibili di perturbare il rimanente del disco gassoso in maniera differenziata.
Nelle fasi finali della condensazione di un vortice quando il nucleo raggiunge una determinate temperatura il trasferimento di materia dalla periferia al centro viene interrotto.
Non così il rastrellamento di materiali galattici che vengono ad addensarsi nelle zone periferiche del vortice, dove si crea una situazione tale per cui inevitabilmente insorgono vortici minori. Quando si forma un vortice esso rastrella velocemente i gas presenti nell'orbita in cui ruota, raggiungendo ben presto una massa considerevole; a questo punto inizia ad esercitare azioni gravitazionali a distanza come se fosse un vero e proprio pianeta. E’ facile ed intuitivo prevedere che la sua azione gravitazionale sul rimanente del disco gassoso interno deve esercitarsi in maniera differenziata da orbita ad orbita.
Grazie a questa azione in una ben determinata orbita interna deve formarsi un secondo vortice; questo a sua volta perturba una particolare orbita più interna ancora, provocandovi la formazione di un altro vortice e così via.
E’ da notare che una volta innescato, il processo di formazione dei vortici planetari deve essere relativamente molto veloce. Infatti, data l'alta densità e l'alto gradiente di velocità del vortice stellare, i vortici planetari devono impiegare un tempo assai breve per rastrellare i gas presenti lungo l’orbita che percorrono. Forse il tempo necessario è dell’ordine delle centinaia di millenni, per i pianeti esterni, e assai meno per quelli interni. Ma già dopo pochi anni dalla formazione, tutti i vortici planetari devono essere in grado di esercitare azioni gravitazionali sensibili. Per i satelliti questi tempi devono essere ancora più ridotti.
E’ ovvio che i satelliti devono essersi formati con lo stesso identico procedimento dei pianeti: nella frangia più esterna del vortice planetario è insorto un primo vortice satellite, che con la sua azione gravitazionale ha provocato l’insorgere di un secondo e cosi via.
Non tutti i satelliti, però, devono necessariamente avere questa origine. Alcuni infatti possono essere frammenti vaganti nello spazio, catturati dal pianeta in una fase qualsiasi della sua vita. Chiameremo "satellite naturali" i primi, quelli cioè formatisi dal vortice planetario stesso; "satelliti acquisiti” i secondi che hanno una origine estranea al vortice del pianeta cui sono aggregati. Distinguere gli uni dagli altri è facile ed immediato. Poiché i satellite naturali si sono formati in seno al vortice planetario nel modo che si è visto, devono rispondere a quattro requisiti fondamentali:
a) La loro orbita deve avere eccentricità molto contenuta e giacere più o meno sullo stesso piano dell’equatore del pianeta-madre, vale a dire sul piano centrale dell'antico vortice planetario.
b) Il movimento di rivoluzione del satellite intorno al pianeta deve avere lo stesso senso di rotazione di quest’ultimo (ammesso che questo non abbia subito modifiche nel tempo).
c) Le distanze dei satelliti dal pianeta-madre devono rispettare la stessa regola delle distanze dei pianeti rispetto al sole, che ricaveremo fra poco.
d) Infine devono avere caratteristiche fisiche simili a quelle di un vero e proprio pianeta; devono essere cioè corpi sferici, a densità crescente dall’esterno verso l’interno, e con una composizione che non si discosta molto da quella del pianeta madre.
A questi requisiti, ovviamente, devono rispondere anche i pianeti naturali rispetto al sole e tutti i pianeti e satelliti naturali dell’universo.
Quei satelliti (o pianeti) che non rispondono a questi requisiti, con tutta evidenza non si sono formati nel vortice gassoso da cui è nato il corpo madre e pertanto devono essere stati catturati in epoca successiva, o sono stati rimossi dalla loro orbita primitiva per un qualche accidente. Poiché la cattura è un fatto casuale, essi devono presentare caratteristiche orbitali del tutto casuali e quindi chiaramente riconoscibili dalle prime.
Su questa base il censimento dei satelliti è presto fatto; basta consultare uno specchietto dei loro dati fisici ed orbitali per distinguere immediatamente i primi dai secondi.
Non considerando per ora il sistema di Nettuno, che esamineremo a parte, i satelliti sicuramente naturali, che hanno cioè avuto origine in seno al rispettivo vortice planetario sono in totale 16, rispettivamente 4 a Giove, 7 a Urano e 5 a Saturno. Nettuno possiede sicuramente alcuni satelliti naturali, fra cui il più grande, Tritone, ha un diametro di 2.700 km. Il sistema dei satelliti di Nettuno, però, è completamente scompaginato, per cui c’è il fondato sospetto, se non proprio la certezza, che sia stato pesantemente perturbato dall’intrusione di un qualche corpo estraneo. Questi potrebbe essere proprio Tritone, che presenta caratteristiche fisiche simili a quelle dei pianeti nani che si trovano oltre l’orbita di Nettuno, Plutone, Eris ed Orcus, classificati dagli astronomi col nome di “plutini”, formatisi isolatamente nella frangia più esterna del vortice solare. Un fatto interessante, che conferma la loro origine indipendente, è che essi possiedono a loro volta un minisatellite con caratteristiche fisiche e orbitali tali da farlo classificare come naturale.
La Terra possiede un satellite, la luna, che ha sicuramente avuto origine in un vortice planetario, ma non in quello terrestre. E’ stato acquisito successivamente, a seguito di un incidente che vedremo più avanti.
Oltre ai satelliti naturali i pianeti posseggono un numero variabile di satelliti acquisiti, di norma frammenti irregolari di varia natura e dimensioni, che si muovono su orbite in gran parte casuali. I pianeti maggiori, Giove, Saturno, Urano e Nettuno ne possiedono a decine ed altri se ne scoprono in continuazione. Marte ne possiede almeno due (che potrebbero anche essere naturali). Mercurio e Venere non possiedono satelliti di nessun tipo.
Indagheremo più avanti quale sia l’origine dei satelliti acquisiti e le ragioni che hanno determinato una distribuzione cosi irregolare sia degli uni che degli altri. Prima dobbiamo scoprire quale sia la regola cui devono obbedire le distanze sia dei pianeti che dei satellite naturali.
Si è detto che un vortice planetario, una volta accumulata una quantità sufficiente di materia, perturba la porzione interna del disco gassoso solare provocando l'insorgere di un secondo vortice planetario e così via in un processo a catena. Si tratta ora di stabilire, naturalmente a priori senza cioè basarci sui dati orbitali noti dei pianeti, quale sia l’orbita, o le orbite, sulle quali i vortici planetari ( e quelli dei satelliti) esercitano in massimo grado la propria azione perturbatrice ed in che modo quest’ultima agisce.
E’ un problema matematico non eccessivamente difficile, ma non è necessario affrontarne la soluzione per questa via. Si dà il caso, infatti, che questo problema sia già risolto in un modello naturale, il quale fornisce già pronta una soluzione della cui esattezza non è possibile dubitare. Si è già accennato all’esistenza della fascia dei pianetini, che si estende fra Marte e Giove; si tratta di un enorme numero di piccoli corpi sparpagliati su una fascia larga parecchi milioni di km. Questa, diciamo così, "nube” di corpuscoli subisce in misura notevole l’azione gravitazionale del pianeta che occupa l’orbita esterna immediatamente successiva: Giove. Tale azione consiste principalmente nel fatto che i corpi che si muovono lungo orbite particolari vengono richiamati verso orbite più esterne; vengono cioè rallentati e richiamati verso Giove stesso. Queste orbite e soltanto queste, che sono evidentemente quelle soggette in misura preponderante all’azione perturbatrice del pianeta, vengono ripulite accuratamente da ogni corpuscolo grande o piccolo che sia, e si presentano vuote, tanto che gli astronomi le hanno chiamate "lacune di commensurabilità".
Le principali di queste lacune si trovano in corrispondenza delle orbite cui compete un periodo di rivoluzione pari ad 1/2 e 1/3 di quello di Giove (un corpo che si trovasse su una di queste orbite per compiere un giro intorno al sole impiegherebbe un tempo esattamente uguale alla metà oppure un terzo di quello impiegato dal pianeta).
Potremmo anche tentare di capire perché ciò avvenga, ma non è il caso di perderci troppo tempo: è fuori dubbio che succede e quindi, per i nostri scopi, possiamo anche accettarlo senza spiegazione.
Ora sappiamo con esattezza e certezza quali sono le orbite maggiormente perturbate da un vortice planetario, e come si esplica l’azione perturbatrice.
Stando al nostro modello naturale il primo vortice planetario, quello di Nettuno, formatosi sulla frangia esterna del vortice solare (probabilmente a causa delle perturbazioni esercitate dai vortici dei plutini), esplicò la sua azione gravitazionale principalmente sulle orbite cui competeva un periodo di rivoluzione pari ad 1/2 ed 1/3 del proprio. I gas che si trovavano su queste orbite vennero rallentati e richiamati verso l’esterno del disco; ma in tal modo provocarono, nella fascia immediatamente successive, addensamenti di materia e moti turbolenti, che inevitabilmente causarono l’insorgere di numerosi piccoli vortici.
Per alcune buone ragioni ( illustrate dal Lagrange in un suo noto studio) due o più vortici indipendenti non possono convivere su una stessa orbita o su orbite vicine. Inevitabilmente quelli di una stessa orbita prima o poi si fondono in un unico vortice. Se invece sorgono diversi vortici in orbite separate, ma relativamente vicine il più forte di essi esercita sugli altri azioni gravitazionali tali da dissolverli.
In definitiva quindi l'azione di un pianeta sulle orbite a periodo 1/2 ed 1/3 del proprio porta alla formazione di un solo vortice stabile, e quindi di un solo pianeta a ridosso dell'una oppure dell'altra delle suddette orbite.
Il pianeta più esterno del sistema solare, Nettuno, possiede un periodo di rivoluzione di 164,79 anni [1]. Secondo quanto si è detto, dovremmo trovare il pianeta immediatamente successivo, Urano, su un’orbita con periodo di poco superiore a 82,4 (pari ad 1/2) oppure 54,9 (pari a 1/3) anni. E infatti Urano ha un periodo di 84 anni poco superiore a 82,4. A sua volta Urano deve aver provocato la nascita di un pianeta a ridosso dell’orbita cui compete un periodo di 42 anni, oppure di quella con periodo 28; e così via fino a Mercurio.
La stessa identica cosa, ovviamente, deve essere accaduta nei vortici planetari dove il primo satellite, formatosi sulla frangia più esterna, deve aver provocato l’insorgere di un vortice a ridosso dell'una o dell'altra delle due orbite maggiormente perturbate e così via fino al satellite più interno.
Il nostro ragionamento ci ha portato finalmente alla individuazione di una regola non empirica cui debbono rispondere, se non abbiamo commesso errori logici, tutti i pianeti ed i satelliti naturali dell’Universo, primi fra tutti quelli del sistema solare. Possiamo formulare tale regola nel seguente modo: ogni pianeta o satellite naturale deve avere un periodo di rivoluzione poco superiore ad 1/2 oppure 1/3 del periodo di rivoluzione del pianeta o satellite esterno immediatamente successivo.
Certamente questa regola è suscettibile di ulteriori perfezionamenti. Ad esempio è possibile che la scelta fra le orbite 1/2 ed 1/3 non sia casuale, ma dipenda da fattori ben precisi quantizzabili matematicamente. In tal caso la regola delle distanze potrebbe essere espressa in una formula matematica precisa, che ci consentirebbe di predeterminare a priori la costituzione di un qualsiasi sistema planetario partendo soltanto dai dati fisici della nube galattica originaria. Ci consentirebbe quindi di conoscere con una certa approssimazione la quantità e i dati orbitali dei pianeti e dei relativi satelliti di tutte le stelle a noi note.
Per il momento tuttavia dobbiamo accontentarci del risultato conseguito; sempreché, ovviamente, la regola venga confermata dalle distanze dei pianeti del sistema solare e dei loro satellite naturali. Passiamo quindi immediatamente a questa verifica cruciale.
Vediamo innanzitutto i pianeti. Urano, come si è detto, ha un periodo di 84 anni, poco superiore alla metà di quello di Nettuno; Saturno di conseguenza deve avere un periodo di rivoluzione poco superiore a 42 oppure 28 anni: e infatti è di 29,46 anni. Il pianeta successivo, Giove, avrà un periodo superiore a 14,75, oppure 9,8 anni; troviamo che è di 11,86: un valore che non contraddice certo la regola, ma che tuttavia è superiore a quel che ci si potrebbe aspettare, compreso cioè fra i 10,5 e gli 11 anni.
Vediamo subito, però, che non si tratta di un’anomalia bensì di un "incidente". Il pianeta successivo a Giove, infatti, non esiste; al suo posto troviamo una miriade di frammenti minuti sparpagliati su una fascia larghissima.
La cosiddetta “teoria standard”, quella comunemente accettata dagli astronomi, propende nel ritenere che questi frammenti siano nati direttamente dalla nebulosa originaria come sono ora. Questa ipotesi, però, è inconciliabile con la teoria dei vortici: è impossibile pensare ad una miriade di minuscoli vortici indipendenti e stabili ciascuno dei quali abbia dato origine ad un minipianeta, il cui diametro va dall'ordine dei centimetri a quello dei chilometri. Tanto più che normalmente i pianetini maggiori di cui conosciamo la forma sono tutt’altro che sferici. Le orbite di questi pianetini, inoltre, sono quanto di più vario e disordinato si possa pensare; molti addirittura invadono le orbite dei pianeti maggiori, penetrando fin quasi all'altezza di Mercurio, oppure spingendosi fino a Saturno ed oltre; moltissimi escono dal piano dell’eclittica per valori considerevoli. Senza contare il fatto che sono costituiti dai materiali più disparati: alcuni sono costituiti interamente da metallo allo stato puro, normalmente ferro e nichel, altri, la maggioranza, con circa il 75% del totale, da rocce carbonacee ed un altro 15% da silicati. In ogni caso tutte rocce e metalli che si sono certamente formati all’interno di corpi massicci, a pressioni e temperature molto elevate [2].
In passato era opinione prevalente fra gli astronomi che fossero i resti di un grande pianeta esploso. Attualmente, invece, prevale la teoria che siano pezzi di un pianeta che non si è mai formato, perché per qualche ragione non hanno potuto aggregarsi.
La ragione principale per cui questa seconda ipotesi ha prevalso, sta nel fatto che la massa totale di tutti gli asteroidi conosciuti è molto piccola, probabilmente non superiore al 5% della massa della nostra luna, troppo poco per rappresentare i resti di un pianeta degno di questo nome.
Purtroppo, la difficoltà di spiegare in maniera convincente come da una nube di gas e fine pulviscolo abbiano potuto formarsi grandi blocchi di metalli allo stato puro, rocce plutoniche e simili è di gran lunga superiore (per non dire impossibile) a quella di spiegare come la maggior parte della massa di un antico pianeta massiccio esploso nella fascia degli asteroidi abbia potuto essere espulsa da quella stessa orbita. Vedremo in seguito che anzi è un fatto prevedibile, insito nella causa stessa che può aver provocato l’esplosione del pianeta.
I pianetini, quindi, non possono essere altro che frammenti di un grande pianeta formatosi fra Giove e Marte, e successivamente esploso a causa di un qualche accidente, sulla cui natura indagheremo in seguito, e infine precipitato nel sole.
Ovviamente la sua scomparsa, oltre che riempire il sistema solare di detriti, deve aver provocato un certo squilibrio nel sistema dei pianeti. Giove, non essendo più soggetto alla sua azione gravitazionale deve essersi allontanato dal sole, spostandosi in direzione di Saturno e rallentando la sua corsa. Ciò spiegherebbe il suo periodo di 11.8 anni, anziché 10,5¸11 come ci si aspetterebbe in base alla regola delle distanze. Il suo spostamento deve aver influito in maniera via via decrescente anche sui rimanenti pianeti esterni.
Dall’altra parte Marte deve essersi spostato invece in direzione del sole, ed in misura decrescente anche, la Terra, Venere e Mercurio.
In definitive la scomparsa del 5o pianeta, che chiamerò Vulcano per la sconquasso che ha provocato, ha avuto come conseguenza un allargamento dei rimanenti pianeti rispetto alla sua primitiva orbita. Il sistema solare non è quindi il modello ideale per verificare la regola delle distanze. Ma nonostante tutto vediamo che essa è ben rispettata. Procediamo il nostro esame. Vulcano doveva avere un periodo di rivoluzione intorno ai 5,5 anni, oppure 3,7. Entrambi queste orbite sono compatibili con la regola delle distanze, perché entrambi possono aver dato origine al vortice di Marte esattamente nell’orbita in cui si trova attualmente. Marte, infatti, ha un periodo di rivoluzione di 687 giorni (circa 1,9 anni), di poco superiore rispettivamente a metà e un terzo dei due possibili periodi di Vulcano. Il periodo di rivoluzione della Terra è di poco superiore alla metà di quello di Marte (343 giorni). Il periodo di Venere deve essere poco superiore a 180, oppure 120 giorni; è infatti di 224. Quello di Mercurio sarà poco superiore a 112, oppure 75 giorni: è di 88.
Possiamo quindi affermare che la regola delle distanze ora stabilita è rispettata senza eccezioni dai pianeti del sistema solare.
Parlando di satelliti notiamo innanzitutto che l’esplosione di Vulcano ci fornisce la spiegazione che cercavamo circa l’origine di quelli acquisiti. Evidentemente essi sono frammenti del pianeta o i suoi stessi satelliti naturali, sospinti dall'esplosione verso le orbite dei pianeti vicini, da cui sono stati catturati. Ovvio che le distanze dei satelliti acquisiti, come pure i loro dati fisici e orbitali sfuggano a qualunque tentativo di classificazione, essendo del tutto casuali.
I satelliti naturali, invece, devono obbedire ai quattro requisiti di cui si è detto dianzi, e quindi anche alla regola delle distanze.
Prima di passare alla verifica, tuttavia, sarà bene cercare di prevedere se esistono cause naturali che possano aver modificato in qualche misura i rapporti di distanza dei satelliti, ed in quale senso, onde evitare di trovarci di fronte a sorprese tipo quella di Vulcano.
Innanzitutto osserviamo che i satelliti hanno una massa relativamente modesta e sono quindi facilmente “influenzabili” dal passaggio nelle vicinanze di un corpo estraneo per esempio una grande cometa oppure dall'urto di un grosso frammento di Vulcano. Che siano stati più o meno sottoposti ad un intenso bombardamento di meteoriti non è possibile dubitare, se dobbiamo giudicare dalla Luna e dalle immagini che i satelliti artificiali ci hanno riportato di Marte, di Mercurio ed in genere di ogni altro corpo solido del sistema solare.
Un certo scompiglio nelle compagini dei satelliti deve per forza essersi verificato, e quindi dobbiamo aspettarci alcuni valori leggermente anomali. Sarebbe da stupirsi del contrario.
In secondo luogo, sappiamo che tutti i satelliti inducono sul proprio pianeta delle onde di marea, come quelle provocate dalla luna sulla Terra. Queste maree hanno l’effetto di rallentare la velocità di rotazione del pianeta ma nello stesso tempo rallentano anche la velocità di rivoluzione del satellite. L’ordine di grandezza di questo fenomeno è piuttosto piccolo, ma moltiplicato per miliardi di anni diventa senz’altro apprezzabile. Dobbiamo quindi aspettarci che i satelliti naturali, specie i più vicini, si siano allontanati dai rispettivi pianeti, e che pertanto la regola delle distanze, indipendentemente dagli scompigli occasionali, non sia più verificata in modo così perfetto com’era all'origine.
Ciò premesso, vediamo nei seguenti specchietti i periodi di rivoluzione previsti e quelli effettivi dei satellite naturali di Giove (5). Saturno (8) e Urano (5):
|
Satelliti naturali di Giove |
|||||||||
|
satellite |
periodo rivoluzione attuale (giorni) |
orbite perturbate |
Orbita perturbata che ha dato origine al satellite |
||||||
|
1/2 |
1/3 |
||||||||
|
Callisto |
16,69 |
|
|
|
|||||
|
Ganimede |
7,16 |
9,8 |
6,5 |
1/3 |
|||||
|
Europa |
3,55 |
3,6 |
2,4 |
1/2 |
|||||
|
Jo |
1,77 |
1,77 |
1,18 |
1/2 |
|||||
|
V |
0,50 |
1,1 |
0,59 |
1/3 |
|||||
|
Satelliti naturali di Saturno |
|||||||||
|
satellite |
periodo rivoluz attuale (giorni) |
orbite perturbate |
Orbita perturbata che ha dato origine al satellite |
||||||
|
1/2 |
1/3 |
||||||||
|
Giapeto |
79,33 |
|
|
|
|||||
|
Iperione |
21,28 |
39,66 |
26,44 |
1/3 |
|||||
|
Titano |
15,95 |
10,64 |
7,09 |
1/2 |
|||||
|
Rhea |
4,52 |
7,98 |
5,32 |
1/3 |
|||||
|
Dione |
2,74 |
2,26 |
1,51 |
1/2 |
|||||
|
Tetide |
1,89 |
l,37 |
0,91 |
1/2 |
|||||
|
Encedalo |
l,37 |
0,95 |
0,63 |
1/2 |
|||||
|
Mimas |
0,94 |
0,69 |
0,46 |
1/2 |
|||||
|
Satelliti naturali di Urano |
|||||||||
|
satellite |
periodo rivoluz attuale (giorni) |
orbite perturbate |
Orbita perturbata che ha dato origine al satellite |
||||||
|
1/2 |
1/3 |
||||||||
|
Oberon |
13,46 |
|
|
|
|||||
|
Titania |
8,71 |
6,73 |
4,49 |
1/2 |
|||||
|
umbriel |
4,14 |
4,35 |
2,9 |
1/2 |
|||||
|
Ariel |
2,52 |
2,07 |
1,38 |
1/2 |
|||||
|
Miranda |
1,3 |
1,26 |
0,84 |
1/2 |
|||||
|
Innanzitutto osserviamo che nessuno dei valori effettivi dei periodi di rivoluzione si discosta in misura notevole da quelli previsti, il che costituisce un'ottima conferma della validità della regola delle distanze.
La corrispondenza però non è perfetta; la regola impone che la distanza sia superiore ad un determinato limite, mentre in alcuni casi essa risulta inferiore, anche se di poco.
Inoltre ci sono alcuni casi leggermente anomali, come quelli di Iperione, Rhea e Titano, per i quali sarebbero più corretti valori del periodo di rivoluzione rispettivamente intorno ai 30, 6 e 7,5 giorni anziché 21, 4,5 e 8,7.
In entrambi i casi però si tratta di anomalie esattamente prevedibili, per cui non compromettono il valore della regola delle distanze. In linea generale confermano quello che già sappiamo dall’esperienza, e cioè che i satelliti vengono “rallentati” dalle maree che essi stessi provocano sul pianeta madre, provocando una dilatazione delle loro orbite; inoltre, essendo corpi relativamente piccoli, sono maggiormente soggetti a deviazioni a causa di urti da parte di asteroidi vaganti o di comete.
La verifica della regola delle distanze è stata ampiamente positiva e ci ha confermato la sua validità. Abbiamo potuto anche constatare che il nostro sistema planetario ha subito, in epoca successiva alla sua formazione, un notevole scompiglio, dovuto alla scomparsa del pianeta Vulcano.
La regola ci consente di rimettere un po’ di ordine fra i pianeti e di risalire senza difficoltà a quella che doveva essere la loro effettiva posizione all'origine.
Vulcano, si è detto, doveva trovarsi a ridosso dell'orbita avente periodo 1/2 oppure 1/3 di quello di Giove; entrambi infatti sono compatibili con la regola delle distanze per quel che riguarda il pianeta successivo, Marte. Tuttavia notiamo che la massima concentrazione di pianetini si ha a cavallo dell'orbita con periodo 1/3, mentre pochissimi sono oltre l’orbita con periodo ½.. Vulcano pertanto doveva avere un periodo di rivoluzione poco superiore a un terzo di quello di Giove.
|
Distribuzione degli asteroidi in relazione al periodo di rivoluzione di Giove. La massima concentrazione si ha tra le orbite 1/3 e 1/2 . Il pianeta scomparso doveva trovarsi in questa fascia. |
Possiamo quindi procedere a ricostruire le orbite dei pianeti nel sistema solare originario con una discreta approssimazione. Le riportiamo nel seguente specchietto, mettendole a confronto con quelle attuali.
Pianeta Periodo Rivoluzione Periodo Rivoluzione Orbita successiva
originario attuale perturbata
Nettuno 164,79 anni 164,79 anni 1/2
Urano 84,0 anni 84,02 anni 1/3
Saturno 29,40 anni 29,46 anni 1/3
Giove 10,40 anni 11,86 anni 1/3
Vulcano 3,90 anni ------ 1/3
Marte 750 giorni 687 giorni 1/2
Terra 390 giorni 365 giorni 1/2
Venere 230 giorni 224 giorni 1/2
Mercurio 88 giorni 88 giorni 1/3
A questo punto forse non è fuori luogo fare un confronto fra la tanto celebrata regola di Bode-Titius [3], per la distanza dei pianeti nel sistema solare, e la nostra. La prima è empirica e valida non per tutti i pianeti; inoltre non è estendibile ai satelliti e non ci dice nulla sui sistemi planetari delle altre stelle, perché non risponde ad alcun criterio logico. La nostra, invece, è ricavata a priori, non ha eccezioni, è ugualmente valida sia per i pianeti che per i satelliti, ed infine dobbiamo ritenerla di carattere universale, perché insita nel meccanismo stesso di condensazione dei vortici gassosi.
Nel censimento dei satellite naturali ed acquisiti del sistema solare quelli di Nettuno non sono stati inclusi fra i primi e neppure fra i secondi.
A prima vista potrebbe sembrare facile decidere, ma non è così. In effetti Nettuno rappresenta un caso strano, apparentemente incomprensibile in base alla teoria dei vortici, proprio a causa dei suoi satelliti. Nettuno è un pianeta molto simile al pianeta interno immediatamente successivo, Urano, sia per dimensioni che per composizione. Dovrebbero aver avuto una storia ed una evoluzione abbastanza simili.
Urano ha una schiera di satelliti naturali ben ordinata, di massa e dimensioni crescenti dall’interno verso l’esterno e perfettamente rispondenti, almeno all’origine, alla regola delle distanze. Nettuno, quindi, dovrebbe avere a sua volta una schiera di satelliti naturali altrettanto numerosa e ben ordinata. Invece fra i suoi satelliti regna lo scompiglio. Ne sono stati individuati almeno 13, di dimensioni variabili dai 28 km di Psamate ai 2.700 di Tritone.
Satelliti di Nettuno |
||||
Nome |
Diametro |
|||
Nettuno III |
58 km |
~0,19×1018 kg |
0,294 giorni |
|
Nettuno IV |
80 km |
~0,37×1018 kg |
0,311 giorni |
|
Nettuno V |
148 km |
~2,10×1018 kg |
0,335 giorni |
|
Nettuno VI |
158 km |
~3,70×1018 kg |
0,429 giorni |
|
Nettuno VII |
208×178 km |
~4,90×1018 kg |
0,555 giorni |
|
Nettuno VIII |
436×416×402 km |
~50×1018 kg |
1,122 giorni |
|
Nettuno I |
2700 km |
21,4×1021 kg |
-5,877 giorni |
|
Nettuno II |
340 km |
~31×1018 kg |
0,99 anni |
|
Nettuno IX |
60 km |
~0,09×1018 kg |
-5,15 anni |
|
Nettuno XI |
38 km |
~0,09×1018 kg |
7,98 anni |
|
Nettuno XII |
38 km |
~0,09×1018 kg |
8,67 anni |
|
Nettuno X |
28 km |
~0,015×1018 kg |
-24,96 anni |
|
Nettuno XIII |
60 km |
~0,09×1018 kg |
-25,67 anni |
I primi otto della lista hanno l’aria, per forma e dimensioni, di essere satelliti naturali, anche se Larissa e Proteo sembra siano stati deformati da un urto o da un apporto rilevanti di materiale estraneo, posteriormente alla loro formazione. Se guardiamo ai dati orbitali, invece, soltanto i primi sei rispondono grosso modo ai requisiti di satelliti naturali, essendo ordinati per distanza e dimensioni in ordine crescente. Dobbiamo presumere, quindi, che si siano formati direttamente nel vortice gassoso di Nettuno.
I due satelliti successivi, invece, Tritone e Nereide, sono totalmente anomali. Tritone, il gigante della compagnia, è addirittura in contro rotazione rispetto a Nettuno e ai primi sei satelliti, mentre Nereide, pur ruotando nel verso giusto, ha un’orbita estremamente ampia rispetto a quella dei satelliti interni, molto eccentrica e inclinata di una quarantina di gradi. I rimanenti 5 satelliti hanno tutti orbite molto più ampie di quella di Nereide (dai 5 ai 25 anni di periodo) e tre di essi hanno orbite controrotanti, come quella di Tritone.
Quasi certamente Tritone appartiene alla categoria dei Plutini; per una qualche ragione è entrato nel sistema satellitare di Nettuno creandovi lo scompiglio e rimanendone catturato.
I Plutini, e cioè i mini pianeti esterni aventi caratteristiche analoghe a quelle di Plutone, hanno un periodo orbitale all’incirca di 248 anni. I principali plutini conosciuti sono i seguenti:
DATI FISICI E ORBITALI DEI PLUTINI |
||||
Nome |
Diametro |
Periodo |
||
38083 |
180 km |
? |
245,787 anni |
|
90482 |
840-1880 km |
0,62-7 · 1021 kg |
247,492 anni |
|
134340 |
2300 km |
13 · 1021 kg |
248,540 anni |
|
28978 |
< 822 km |
? |
248,627 anni |
|
38083 |
300-700 km |
? |
250,358 anni |
Una caratteristica comune ai plutini è che la loro orbita si avvicina o addirittura interseca quella di Nettuno. Niente di strano o di eccezionale, quindi, che qualcuno di essi sia stato “catturato”. E poiché la cattura è avvenuta in modo casuale, possono essere entrati in orbita attorno al pianeta nello stesso senso di rotazione, oppure in senso contrario.
Tritone, il gigante fra i satelliti di Nettuno, è senza dubbio un “plutino” catturato dal pianeta. Ha infatti le stesse caratteristiche fisiche e dimensionali di Plutone, al punto che alcuni astronomi li considerano “gemelli”. L’unica grossa differenza è costituita dal fatto che non possiede a sua volta un satellite. È questa una caratteristica abbastanza comune nella classe dei plutini. Plutone, con un diametro di 2.300 km, ha un satellite di grandi dimensioni, Caronte, con un diametro di 1.270 km. Anche Issione, Huya e Orco hanno a loro volta un satellite, per cui questa sembra essere una caratteristica abbastanza comune nei plutini.
Tritone, che coi suoi 2700 km di diametro è il più grande fra tutti i plutini conosciuti, doveva avere a sua volta un satellite, che, a giudicare da Caronte, poteva avere un diametro dell’ordine dei mille km. Il suo ingresso in orbita attorno a Nettuno non può non aver creato scompiglio nella compagine dei satelliti naturali del pianeta. Per poter essere catturato, infatti, doveva necessariamente perdere buona parte della sua energia cinetica e questo poteva avvenire soltanto se entrava in collisione, o in stretta relazione, con uno o più dei satelliti di grandi dimensioni di Nettuno. Questo, o questi, a loro volta sono stati “lanciati” da Tritone fuori dal sistema satellitare di Nettuno e si sono dispersi nello spazio. Altri guasti li deve aver provocati il suo satellite. Questa la situazione prospettata dagli astronomi per spiegare le peculiarità dei satelliti di Nettuno.
Se così è andata, come sembra probabile, per non dire inevitabile, si prospetta un interessante scenario, che può spiegare in maniera soddisfacente l’esplosione del pianeta Vulcano, o quanto meno l’espulsione dalla sua orbita originaria. Questo può essere avvenuto soltanto se il pianeta è stato colpito in pieno da un corpo di grandi dimensioni, dell’ordine delle migliaia di km, lanciato ad una velocità paragonabile a quella delle comete, compresa fra 50 e 80 km al secondo. Perché non da uno dei satelliti di grandi dimensioni strappato dalla sua orbita da Tritone?
È uno scenario perfettamente plausibile. Lanciato verso il sole come da una fionda, il satellite è “precipitato”, acquisendo via via sempre maggior velocità fino ad eguagliare quella delle comete, che provengono dalla stessa fascia di Kuiper. Caso ha voluto che nella sua corsa verso il sole sia stato intercettato dal pianeta Vulcano, con conseguenze catastrofiche per entrambi.
Una volta noti i parametri caratteristici della nube galattica originaria, dovremmo essere in grado di determinare a priori, con buona approssimazione, il sistema che ne nascerà, e cioè: massa della stella, estensione del sistema planetario, numero e posizione dei pianeti, massa e densità di ciascuno di essi, ed infine anche la consistenza dei sistemi satellitari di ciascuno di essi.
Naturalmente questo ambizioso obiettivo potrà essere raggiunto soltanto quando sarà sviluppato un modello matematico attendibile.
Ma anche senza formule matematiche qualche previsione qualitativa al riguardo della massa e densità dei pianeti e satelliti si può fare ugualmente come già per le orbite. I pianeti sono nati da vortici minori formatisi in seno al grande vortice solare. Basterebbe quindi conoscere la distribuzione della materia e del gradiente di velocità all'interno di questo disco gassoso per conoscere le dimensioni e la composizione dei vortici minori che si formano in qualunque punto di esso e perciò, in definitiva, le caratteristiche fisiche dei pianeti. Lo stesso ragionamento vale per i satelliti.
Per quanto riguarda la distribuzione della materia due sono i fattori che interessano maggiormente: la densità della nube gassosa e la percentuale dei vari elementi di cui era composta.
Il vortice è formato per la quasi totalità di idrogeno; tutta via sono presenti, in piccole percentuali, anche atomi di sostanze più pesanti Queste ultime, si è detto, tendono a migrare nelle zone centrali di un vortice; la loro percentuale, quindi, deve crescere gradualmente mano a mano che si passa dalla periferia al nucleo, dove è massima.
A partire dal momento in cui si interrompe il flusso di materia dalla periferia al centro deve verificarsi un leggero addensamento di materia nelle estreme zone periferiche ed un aumento della turbolenza, che provocano l'insorgere del primo vortice planetario.
Al momento della formazione dei pianeti, quindi, la distribuzione della densità e della percentuale di elementi pesanti in un vortice gassoso stellare dovrebbe essere la seguente: massima al centro, poi rapidamente decrescente mano a mano che ci si sposta verso l’esterno ed infine nuovamente crescente, anche se in misura molto ridotta.
Quanto al gradiente di velocità, esso deve crescere gradualmente dalla periferia verso il centro, in accordo con la legge di Newton. All'incirca come nel seguente grafico qualitativo:
Gradiente di velocità e densità nel vortice solare in formazione (dall’esterno al centro)
Questo grafico dovrebbe consentirci di trarre delle previsioni di massima in merito alle caratteristiche fisiche dei pianeti, la cui posizione è riportata in scala.
Cominciamo dalla densità e cioè dal peso specifico dei pianeti. La densità di Nettuno dovrebbe avere un valore non troppo basso, data la percentuale relativamente alta di elementi pesanti nella frangia esterna del disco; tale valore dovrebbe scendere nei pianeti successivi ed infine aumentare notevolmente nei pianeti più interni. Mettendo in grafico le effettive densità dei pianeti infatti otteniamo una curva che si avvicina molto a quella tracciata per via teorica
Densità effettiva dei pianeti confrontata alla densità originaria del vortice planetario
Questa corrispondenza da un lato ci conferma l’attendibilità del nostro ragionamento dall'altro ci consente di ricavare con una certa approssimazione anche la densità media del pianeta scomparso Vulcano che dovrebbe risultare non superiore ai 2 kg/dm3. La leggera anomalia di Venere è soltanto apparente: tenendo conto della costipazione la sua densità effettiva risulta assai più vicina a quella teorica prevista.
I vortici più vicini al sole e più recenti devono aver subito in misura piuttosto considerevole l’azione smantellatrice della luce solare e aver ceduto buona parte della materia catturata a cominciare dai gas più leggeri. La densità dei pianeti interni, quindi, deve risultare più elevata di quella prevedibile in base esclusivamente alla distribuzione di elementi pesanti nel vortice solare.
Veniamo ora alla massa dei pianeti. Questa è legata, come si è detto, alla densità della nube originaria e al gradiente di velocità che determinano le dimensioni del vortice planetario e la velocità di rastrellamento dei gas. Il primo di questi fattori agisce prevalentemente sulla massa finale del corpo; è presumibile infatti che, a parità di dimensioni del vortice, la sua massa risulterà tanto maggiore quanto più grande è la densità della nube circostante.
Il secondo invece influisce prevalentemente sulle dimensioni del vortice stesso: tanto maggiore il gradiente di velocità, tanto più piccolo, a parità di altre condizioni, risulterà il diametro del vortice.
I due effetti, quindi, sono contrastanti ed è difficile, senza il modello matematico, poter dire quale dei due prevale nelle varie condizioni agli effetti della massa finale dei pianeti. E' presumibile che nelle zone più esterne del vortice prevalga la densità e poi, mano a mano che ci si avvicina al centro, l’effetto del gradiente di velocità prenda decisamente il sopravvento. In tal caso la massa dei pianeti dovrebbe crescere gradualmente, dall'esterno verso l’interno, fino ad un limite massimo e poi decrescere rapidamente.
Vediamo in pratica come stanno le cose: Nettuno ha una massa 17 volte superiore a quella della Terra; esso si è formato in una zona con densità poco più alta e gradiente di velocità più basso di quelli della zona in cui si è formato Urano (14 volte la massa terrestre); e infatti la sua massa è superiore a quella di quest’ultimo.
Da Urano in poi la massa dovrebbe crescere rapidamente, perché cresce rapidamente la densità ed in misura minore anche il gradiente di velocità. Saturno, infatti, ha massa 95 e Giove 318 volte quella terrestre. Di Vulcano non sappiamo nulla. A partire da Marte, però, abbiamo una brusca e notevolissima diminuzione che appare del tutto sproporzionata alle variazioni di densità e gradiente di velocità.
In parte il fenomeno è giustificato dalla perdita di massa dei vortici interni dovuta all'azione disgregatrice della luce solare. Ma non è questo il solo fenomeno che contribuisce a ridurre le dimensioni dei pianeti interni, ma anche un altro di cui non abbiamo tenuto conto.
Quando si dice che le caratteristiche di un vortice sono determinate da quelle della nube in cui si forma, ci si riferisce ad una nube praticamente inesauribile, infinita agli effetti del percorso coperto dal vortice.
Nel caso dei pianeti (e satelliti) questo presupposto non è del tutto valido perché il loro vortice si muove e cattura gas lungo un percorso circolare obbligato, che è tanto più breve quanto più interna l’orbita percorsa. Dopo un certo numero di giri, quest’ultima sarà ripulita completamente e da quel momento il vortice cesserà di accumulare materiale pur essendo fisicamente in grado di accumularne altro. Pertanto, la quantità di materiale che un vortice planetario può catturare, a parità di altre condizioni, è tanto più piccola quanto più stretta l’orbita che percorre.
Nel caso dei pianeti esterni la lunghezza dell’orbita è tale che probabilmente, agli effetti dell'accumulo di materia, può considerarsi infinita; le dimensioni di questi ultimi, perciò, saranno determinate principalmente dalle caratteristiche della nube. Per i pianeti più, interni, invece la lunghezza dell’orbita è talmente piccola da risultare determinante nel dimensionamento del vortice.
In conclusione, le piccole dimensioni dei pianeti interni sono dovute principalmente a tre fattori: alto gradiente di velocità della nube; azione smantellatrice della luce solare; ed infine ridotte dimensioni delle orbite. Qual è il peso di ciascuno di questi fattori? Difficile dirlo.
Possiamo però farci un'idea dell'importanza dell’azione smantellatrice della luce solare, osservando quel che avviene nei satelliti. E’ ovvio che quanto si è detto fino ad ora è valido anche per essi, con la differenza che i satelliti interni non sono stati soggetti a forti irradiazioni da parte dei pianeti. Le loro caratteristiche fisiche, quindi, devono essere determinate soltanto dai parametri del vortice planetario in cui sono nati. Vediamo ad esempio le dimensioni dei satelliti naturali di Saturno:
Satellite periodo (giorni) diametro (km) densità
Mimas 0,94 400 1142
Encedalo 1,37 500 1000
Tetide 1,89 1060 1006
Dione 2,74 1120 1498
Rhea 4,52 1630 1236
Titano 15,94 5150 1881
Iperione 21,23 410x260x200 1250
Giapeto 59 1440 1025
Come si vede a partire da Titano, il gigante della compagnia, le dimensioni dei satelliti diminuiscono notevolmente, ma in maniera graduale. Da qui possiamo renderci conto della grande importanza che la luce del sole ha avuto nella formazione dei pianeti più interni, i cui vortici sono stati in gran parte smantellati quando erano ancora in corso di condensazione.
In particolare si capisce perché nessuno di questi pianeti possieda satelliti naturali. Le dimensioni iniziali dei loro vortici probabilmente erano tali da consentire la formazione di satelliti. Quando il sole si è formato, però, il loro processo di condensazione era appena agli inizi. Il "vento solare” li investì con violenza e ne dissolse la parte esterna dove erano in via di formazione i piccoli vortici satelliti. Soltanto il nucleo più interno ha potuto condensarsi e dar vita al pianeta prima di essere completamente smantellato.
Si è visto che stelle, pianeti e satelliti nascono tutti nello stesso identico modo, dalla condensazioni di vortici gassosi. La differenza sta nel "rango" di questi vortici: primario per le stelle, secondario per i pianeti, terziario per i satelliti e così via.
A questo punto sorge un piccolo problema: quale criterio dobbiamo seguire per distinguere una stella da un pianeta, un pianeta da un satellite? Dobbiamo basarci sullo stato fisico del corpo, oppure sul rango del vortice da cui ha avuto origine?
Normalmente noi definiamo stelle quegli astri che brillano di luce propria; tutti gli altri sono pianeti, satelliti o qualcosa altro. Ma non è detto che un corpo nato da un vortice primario brilli necessariamente di luce propria; come non è detto che uno nato da un vortice secondario, e cioè un pianeta, sia necessariamente spento.
Il fatto che un astro bruci o meno non dipende dal raggio del vortice che lo ha generato, ma esclusivamente dalla quantità di materia accumulata e dalle modalità della condensazione. Se nel processo di condensazione la temperatura raggiunge un limite sufficiente ad innescare la combustione atomica, allora avremo un astro brillante; in caso contrario, un astro spento. E' principalmente una questione di massa. Nulla vieta che da vortici primari nascano stelle “spente", o che da vortici secondari abbiano origine pianeti brillanti, e cioè vere e proprie stelle. Come nulla vieta che vortici terziari, purché di adeguate dimensioni, abbiano a loro volta dei satelliti.
Il limite di massa che separa i corpi brillanti da quelli spenti dipende dalla velocità di accumulo della materia e da altri fattori. Notiamo che la più piccola stella nota ha una massa che è appena l'8% di quella del sole e cioè circa 25 volte la massa di Giove. Il limite, quindi, dovrebbe aggirarsi intorno a quel valore.
E' presumibile che in un vortice primario molto esteso si formino pianeti con una massa di gran lunga superiore a questo limite; essi quindi brilleranno come vere e proprie stelle, e i loro satelliti saranno dei veri e propri pianeti, magari forniti a loro volta di satelliti. In questi sistemi planetari, quindi, ci sarà non uno ma due o più soli aventi masse paragonabili.
Sistemi del genere sono tutt'altro che rari nell'Universo: pare infatti che almeno il 20% dei sistemi planetari della galassia possieda due “soli”, ed un altro 5% più di due. Sono le cosiddette "stelle multiple". Esse si formano nelle nubi galattiche che hanno un basso valore del gradiente di velocità, e che danno quindi origine a vortici molto estesi.
L’ipotesi iniziale dei vortici ci ha portati passo passo, lungo una linea logica senza forzature ed arbitrarietà, a capire come nascono le galassie, le stelle, i pianeti e i satelliti. Ci ha reso conto del perché le stelle hanno determinate caratteristiche fisiche; perché sono nati i pianeti e i satelliti e perché stanno su quelle orbite e non su altre, ed hanno quella massa e densità. Ci ha messo in grado di prevedere, entro certi limiti, cosa troveranno i nostri pronipoti visitando altri sistemi solari.
Guardando le stelle del firmamento, ora possiamo figurarcele esattamente come sono, ognuna col suo ordinato corteo di pianeti: qui quelli grandi coi loro satelliti; là quelli piccoli come la nostra Terra. Ora siamo certi che intorno ad ogni stella ruota almeno un mondo ospitale, in cui potremmo trovarci come a casa nostra. Almeno 100 miliardi di “Terre" dovrebbero esistere soltanto nella nostra galassia.
Ma saranno proprio come la nostra Terra con gli stessi oceani e continenti? e con piante ed animali? Ci saranno, su quelle terre lontane esseri intelligenti e popoli, città e guerre come da noi? 0 il nostro pianeta invece è un mondo privilegiato che, unico fra miriadi di miliardi di suoi simili, ha avuto dalla sorte la straordinaria ventura di essere popolata da creature intelligenti?
Sono domande cui non si può rispondere sulla spinta dei sentimenti o in base soltanto a considerazione più o meno filosofiche. Le risposte devono scaturire da elementi e indizi concreti; dalla conoscenza precisa degli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia della Terra e l’evoluzione della vita, e delle loro cause. Dobbiamo infatti renderci conto se gli avvenimenti terrestri sono estensibili agli altri pianeti simili dell'Universo, oppure no.
[1] Anche Nettuno, con tutta probabilità si è formato a causa dell’azione perturbatrice esercitata dai “plutini”, mini pianeti formatisi indipendentemente sulla frangia più esterna e turbolenta del vortice solare e troppo lenti e lontani l’uno dall’altro per fondersi in un unico vortice. Il loro periodo di rivoluzione medio è di 248 anni; Nettuno si è formato a ridosso di un ‘altra delle orbite da loro maggiormente perturbate, quella dei 2/3 di periodo, corrispondente a poco più di 160 anni.
[2] Vedi The Cambridge Guide to The Solar System, pgg. 387-407
[3] La formulazione
originale era: d = (n + 4)/10 , dove n assume i valori 0, 3, 6,
12, 24, 48...
Questa formulazione
è stata rivista in tempi moderni e resa più aderente alla realtà, nel seguente
modo:
d
= (0,4 + 0,3 x k) UA, dove k assume (dal secondo valore) valori
corrispondenti alle potenze di due: 0, 1, 2, 4, 8, 16, 32, 64, 128.... Fra gli
otto pianeti, Nettuno è l'unico a discostarsi in maniera rilevante dal valore
teorico, calcolato con questa formula, eminentemente empirica.
vedi precedenti:
- Come nascono le galassie e le stelle
vedi successivi:
- Esplosione del pianeta Vulcano
sue conseguenze nel sistema solare
- Come si è formata la Terra
Origine della luna e dei continenti
- L'evoluzione della Vita e le sue cause
Lo sviluppo dell'intelligenza
- Il futuro della specie umana
Prevedibili linee di evoluzione
- Possibilità di rapidi spostamenti dei poli
- La vicenda del pianeta Venere
Torna a:
- Pagina iniziale