Il pianeta Venere, per dimensioni, densità e composizione è praticamente identico alla Terra. Esso dovrebbe quindi avere anche le altre caratteristiche, che dipendono dal processo di condensazione dal primitivo vortice planetario, se non identiche almeno molto simili a quelle terrestri. Dovrebbe avere per esempio una velocità di rotazione all’incirca uguale, di un giro ogni 24 ore, un oceano liquido che copre la maggior parte della superficie, una crosta sotto l’oceano solidificatasi alla stessa epoca del fondo oceanico terrestre, e cioè all’incirca 4,5 miliardi di anni fa, un campo magnetico come il nostro e così via.
Invece Venere ha velocità di rotazione quasi nulla, è totalmente privo di oceano e la sua superficie attuale, formata interamente da lava, si è solidificata non prima di 750 milioni di anni fa (questa data è stata ricavata con buona approssimazione in base al numero di crateri meteoritici contati sulla sua superficie). Inoltre la sua densissima atmosfera è composta per la maggior parte da acido solforico, anidride carbonica e vapore acqueo e provoca un effetto serra così forte, che la temperatura a livello del suolo supera i 730 gradi su tutto il pianeta. Infine non possiede un campo magnetico.
Gli scienziati sono concordi nel ritenere che queste strane anomalie siano dovute ad una qualche immane catastrofe, che ha provocato la fusione dell’intero mantello di Venere, che si sarebbe risolidificato soltanto 750 milioni di anni fa. Al di là questo, però, non vanno. Nessuna ipotesi sulle cause e le modalità di questo disastro.
In base a quanto detto sui salti di poli e le loro cause, però, è abbastanza facile capire cosa sia successo al nostro gemello. L’indizio chiave è costituito dalla quasi totale assenza di momento angolare del pianeta. Non ci può essere dubbio che all’origine esso doveva avere una velocità di rotazione praticamente identica a quella terrestre. Per fermare una rotazione del genere ci vuole un “freno” capace di dissipare completamente il momento di rotazione e quindi una energia enorme, tale da sviluppare una temperatura sufficiente a “fondere” completamente il pianeta. Vediamo allora come questo sia potuto accadere.
Prima dell’evento catastrofico, Venere aveva una composizione certamente simile a quella della Terra, costituito da un nucleo di ferro-nichel del raggio di almeno 3.000 km, quasi interamente allo stato fuso. Sopra di questo il leggero strato del sofe e poi il formidabile guscio del mantello, il sima, dello spessore di almeno 3.000 km. E sopra il sima l’oceano, costituito per la maggior parte di acqua e forse una piccola quantità di idrocarburi, se non erano già stati interamente “bruciati” dall’acqua.
L’atmosfera aveva una densità paragonabile a quella terrestre, ma non possiamo sapere se fosse per noi respirabile o meno; dipende da un certo numero di fattori che non possiamo conoscere, e cioè l’epoca dell’evento, se esistevano ancora idrocarburi sulla superficie oceanica, se si erano già sviluppate forme di vita vegetali e così via. Non sappiamo neppure quale fosse la profondità dell’oceano, che comunque doveva essere inferiore alla nostra, perché, data la maggior vicinanza al sole, aveva potuto salvare una minor quantità di acqua. Molto probabilmente non esistevano continenti analoghi a quelli terrestri, perché è poco verosimile che anche Venere avesse potuto catturare un satellite di Vulcano.
Esistevano certamente, però, migliaia di isole, formate dal materiale degli innumerevoli asteroidi che avevano colpito il pianeta dopo l’esplosione di Vulcano, a partire da circa 3 miliardi di anni fa. Dovevano quindi esistere le condizioni idonee allo sviluppo della vita e alla sua evoluzione, essendo il pianeta soggetto a periodici salti di poli, e quindi sconvolgimenti climatici, dovuti agli urti degli asteroidi.
E proprio qui sta la spiegazione della catastrofe. Lo si capisce facilmente esaminando la situazione cinematica attuale della Terra. Consideriamo le varie parti che la compongono, il nucleo solido più interno di ferro-nichel, quello liquido immediatamente successivo, sempre di ferro-nichel, il mantello solido che lo avvolge interamente e infine il sottile strato liquido degli oceani. Questi quattro strati non sono collegati meccanicamente tra loro, per cui si muovono indipendentemente l’uno dall’altro. Essi hanno quindi certamente momenti angolari la cui direzione è diversa per ciascuno strato. Gli oceani, per esempio, seguono nel loro complesso il moto rotatorio della crosta solida su cui poggiano, ma ci sono correnti oceaniche dirette dall’equatore ai poli e viceversa, che alterano il momento angolare globale delle acque, che in tal modo non coincide in direzione con quello della crosta.
Il fenomeno più importante, però, che provoca forti divergenze fra gli assi di rotazione dei vari strati, è quello della precessione. La precessione è dovuta all’attrazione gravitazionale del sole e della luna sui rigonfiamenti equatoriali, che crea una coppia che tende a raddrizzare l’asse terrestre. Questa coppia, però, agisce esclusivamente sul guscio esterno solido e non su quelli interni, men che meno sullo strato liquido. Ora, supponiamo che in un certo istante gli assi di rotazione dei tre strati siano allineati nella stessa direzione. L’attrazione lunisolare costringe il guscio esterno a precedere, per cui il suo asse di rotazione esegue un giro intorno alla verticale all’eclittica ogni 25.000 anni circa, con apertura di 46 gradi. L’attrazione lunisolare, però, non ha alcun effetto sullo strato liquido di ferro-nichel, che continua, quindi, grazie alla legge della conservazione del momento angolare, a ruotare intorno al suo asse iniziale. Solo nel punto di contatto con il mantello comincia per trascinamento a seguire il moto di precessione.
Questo trascinamento si trasmette gradualmente anche al resto dello strato liquido, ma con grande ritardo, probabilmente dell’ordine di parecchie migliaia di anni. E con ancora maggior ritardo si trasmette al piccolo nucleo solido interno, sempre grazie all’attrito fra lo strato liquido e quello solido. Quindi alla fine di un giro di precessione, dopo 25 mila anni, l’asse di rotazione della crosta esterna, che normalmente viene considerato asse di rotazione dell’intero pianeta, torna nella direzione originaria: ma quello globale dello strato liquido successivo potrebbe essere diametralmente all’opposto del cono di precessione, mentre l’asse di rotazione del nucleo solido interno si troverà certamente in posizione intermedia.
Quindi, a causa della precessione la direzione degli assi di rotazione dei tre strati che costituiscono la Terra non può mai essere coincidente, perché essi possono divergere l’uno dall’altro fino ad un massimo di 46 gradi. Di conseguenza il momento angolare risultante dalla combinazione dei tre sarà certamente diverso da quello apparente a chi osserva la terra dall’esterno. Ovviamente l’attrito fra le superfici solide e quella liquida e la turbolenza indotta nello strato liquido saranno tanto maggiori quanto maggiore è l’angolo fra i tre assi di rotazione. E altrettanto ovviamente l’attrito dissipa energia, che si traduce in un rallentamento della velocità di rotazione globale e in un corrispondente aumento della temperatura. In altre parole, l’energia cinetica viene trasformata in calore, e il calore prodotto sarà tanto maggiore quanto maggiore è la divergenza fra i tre assi di rotazione.
Il calore in eccesso viene dissipato attraverso il mantello, provocando un aumento della temperatura superficiale. Questi aumenti hanno certamente un andamento ciclico, che intuitivamente dovrebbe essere abbastanza vicino al periodo di precessione.
La composizione di Venere doveva essere analoga a quella della Terra, che ha un nucleo solido, circondato da una spessa camicia liquida a sua volta contenuta entro una crosta solida. Questi tre strati, a causa della precessione, hanno necessariamente momenti angolari diversi
Ma cosa succederebbe se invece di 46 gradi (che pure sono una quantità notevole) la differenza nella direzione degli assi di rotazione del guscio esterno e di quelli interni si avvicinasse a 180 gradi? Se, in altre parole, il mantello esterno entrasse in controrotazione rispetto al nucleo centrale? Non occorre un genio per capire che le due masse controrotanti si frenerebbero a vicenda e la loro energia cinetica verrebbe interamente trasformata in calore. Nella zona di contatto la temperatura aumenterebbe velocemente, fino a fondere progressivamente l’intero mantello esterno.
Contemporaneamente la velocità di rotazione del pianeta si ridurrebbe gradualmente. La velocità di rotazione finale dipenderà dal momento angolare delle due masse controrotanti. Se i momenti sono più o meno equivalenti, la velocità di rotazione risultante sarà quasi nulla. E’ appunto il caso di Venere, che presenta una velocità di rotazione molto bassa: 1 giro ogni 243 giorni, fra l’altro in senso retrogrado, il che significa che il momento del guscio esterno doveva essere leggermente superiore a quello del nucleo interno.
Quel che è successo a Venere è chiaro.
Ogni salto di polo, dovuto all’impatto di un asteroide, provoca una divergenza
fra l’asse di rotazione del mantello e quello del nucleo interno. Sono
necessarie decine o forse centinaia di migliaia di anni prima che essi tornino
più o meno a coincidere (senza tener conto di una eventuale precessione).
Quindi se gli urti sono sufficientemente distanziati, gli assi di rotazione
esterno ed interno non sono mai troppo divergenti. Quel che probabilmente è
accaduto, è che si sono avuti invece urti ravvicinati che hanno provocato
slittamenti della crosta mediamente nella stessa direzione, fino a portare il
guscio esterno in controrotazione rispetto a quello interno. A quel punto il
pianeta era condannato. Le giornate cominciarono ad allungarsi; il mantello
iniziò a surriscaldarsi e a fondere a partire dall’interno. Dopo qualche tempo
l’acqua dell’oceano cominciò a ribollire, fino ad evaporare completamente,
mentre la crosta sottostante si liquefaceva liberando enormi quantità di
diossido di zolfo, SO2 , che combinandosi con
il vapore acqueo, H2O, formò immense
quantità di acido solforico, H2SO4,
che insieme al vapore acqueo residuo e all’anidride carbonica, dovuta alla
combustione degli idrocarburi, costituisce la densissima atmosfera attuale del
pianeta.
Quando accadde tutto ciò? Difficile dirlo senza un modello matematico che consenta di calcolare il tempo necessario perché l’enorme quantità di calore sviluppata dalla conversione del momento angolare abbia potuto essere smaltita. Centinaia di milioni o miliardi di anni? Di sicuro sappiamo che la superficie di Venere ha iniziato a solidificarsi nuovamente circa 750 milioni di anni fa. Il disastro deve essere avvenuto almeno qualche centinaio di milioni di anni prima.
C’era vita sul pianeta a quel momento? Le condizioni erano analoghe a quelle della Terra e quindi dobbiamo presumere che esistesse. Ma quanto evoluta? Sulla Terra ci sono voluti 3 miliardi di anni, dall’esplosione di Vulcano, per produrre una specie intelligente, 600 milioni dal primo apparire di una grande quantità di forme di vita complesse, all’inizio del Cambriano. Venere potrebbe aver avuto a disposizione forse un paio di miliardi di anni. Sufficienti per sviluppare forme di vita intelligenti? Non possiamo escluderlo. Se però era un mondo coperto da un unico immenso oceano, costellato da migliaia di piccole isole, l’evoluzione deve aver seguito un percorso molto diverso che non sulla Terra. Di più non si può dire.