Studiando le civiltà passate ci si trova continuamente di fronte a realizzazioni e conoscenze che risultano inspiegabili in base al livello scientifico e tecnologico di quel tempo e che quindi presuppongono necessariamente l’esistenza di un’antichissima civiltà molto più avanzata.
Tanto per citare uno dei numerosi esempi possibili, l’esistenza di carte nautiche, portolani e planisferi medioevali e rinascimentali (Piri Reis, Oroteus Finaeus, Mercatore ecc) con precisioni in longitudine impossibili a quell’epoca e la rappresentazione dell’Antartide quale si appariva alla fine del Pleistocene, ha indotto uno scienziato come Hapgood a postulare che sia esistita 8 o più mila anni fa una civiltà in grado di cartografare il mondo intero, con estrema precisione.
Ma non è necessario scomodare conoscenze del passato per trovare prove del genere. Anche cognizioni universalmente in uso nella realtà quotidiana dei nostri giorni denunciano una origine, in un passato remoto, da un’ignota civiltà il cui livello tecnologico era molto più avanzato di quello di qualsiasi civiltà antica conosciuta.
È il caso, appunto, di una cosa apparentemente insignificante e priva di ogni significato recondito, come l’attuale unità di misura del tempo, il minuto secondo. E’ l’unità di misura di impiego più universale, che entra in ogni manifestazione della nostra vita ed è una grandezza fondamentale per la descrizione di un qualsivoglia fenomeno fisico. Nonostante la sua importanza, tuttavia, noi ignoriamo quale sia l’origine ed il significato di questa unità di misura, ereditata dagli antichi senza indicazioni circa l’autore, l’epoca e le ragioni della scelta della sua grandezza.
È opinione abbastanza comune che questa unità di misura del tempo abbia avuto origine dagli antichi Sumeri, derivata dal loro strano sisytema di conteggio in base sessagesimale. Infatti il numero 86.400 è chiaramente connesso con questo sistema, perché può essere suddiviso in 24 ore di 60 minuti ciascuna, a loro volta divise in 60 secondi. Stessa origine può essere ipotizzata per la convenzionale suddivisione del cerchio in 360 gradi, ciascuno diviso in 60 ‘, ognuno diviso in 60” di arco.
Il problema è che non abbiamo la più pallida idea di come il sistema sessagesimale dei Sumeri sia stato originato. Appare più verosimile, invece, che sia stata proprio quella particolare unità di misura, il minuto secondo, a dare origine a quel sistema di conteggio sproporzionato, al limite dell’assurdo. E in ogni caso, non sappiamo proprio cosa rappresenti la grandezza di questa unità di misura del tempo. Fu una scelta casuale, oppure rappresenta una durata con una stretta connessione con qualche particolare grandezza astronomica?
La definizione scientifica del minuto secondo
Normalmente una unità di misura è stabilita sulla base di una qualche caratteristica significativa del pianeta su cui viviamo. Per esempio, l’unità di misura delle lunghezze, il metro, è stata ottenuta dividendo la circonferenza della Terra per 40 milioni, il che presupponeva una conoscenza preventiva della sua effettiva lunghezza.
Possiamo ragionevolmente aspettarci che l’unita di misura del tempo, il minuto secondo, rappresenti anch’essa una grandezza in qualche modo legata alla velocità di rotazione della Terra intorno a se stessa e intorno al sole, vale a dire alla durata del giorno e dell’anno tropico. Ed infatti è proprio in questo modo che gli scienziati moderni lo hanno inteso e definito.
Il minuto secondo rappresenta la 86.400.ma parte del giorno. Ma di quale giorno? La durata del giorno solare, e cioè quella che trascorre fra due successivi passaggi del sole allo zenit, non è costante, perché la velocità della Terra intorno al sole cambia in continuazione, dal momento che percorre un’orbita ellittica. Il minuto secondo, quindi, non può essere altro che una frazione del giorno solare medio nel corso di un intero anno tropico. Per stabilire la sua durata in modo preciso, quindi, è necessario sapere esattamente quanti giorni solari sono contenuti in un anno tropico.
Ma, di nuovo, di quale anno? Il rapporto fra il giorno e l’anno solare non è costante, perché la velocità di rotazione della Terra diminuisce in continuazione a causa dell’effetto frenante delle maree. Per tale ragione gli scienziati moderni sono stati costretti a scegliere una data ben particolare a cui legare la loro definizione dell’unità di tempo. La definizione ratificata dall’undicesima Conferenza Generale sui Pesi e Misure, nel 1960, fu la seguente:
“il minuto secondo è la frazione 1/31.556.925,9747 del 0 Gennaio, alle ore 12 dell’anno tropico 1900”.
Il che significa che la lunghezza dell’anno tropico, al !° Gennaio 1900, a mezzogiorno, è stata preventivamente calcolata in 365,24219878125 (= 31.556.925,9747 x 86.400) giorni solari. Normalmente questo numero è arrotondato al quarto decimale: 365.2422.
Si tratta, però, di una definizione “a posteriori”, che non dice nulla sul reale significato di questa unità e sulle ragioni che hanno determinato la scelta di questa particolare grandezza, che non sembra abbia una qualsiasi relazione significativa con la lunghezza dell’anno.
Chiunque sia, invece, colui che ha stabilito in un passato lontano chissà quanto, questa grandezza, doveva conoscere a priori il numero esatto di giorni solari contenuti in un anno tropico, ed ha scelto quella particolare grandezza con lo scopo di avere un’unità avente una precisa relazione con entrambi.
In altre parole, il valore dell’unita fondamentale di misura del tempo, il minuto secondo, dovrebbe costituire un indizio molto forte che in passato lontano, a noi sconosciuto, è esistita una civiltà globale, capace di misurare la lunghezza dell’anno con una precisione che noi abbiamo raggiunto soltanto alla fine del 19.mo secolo. Questo può essere dimostrando semplicemente percorrendo a ritroso il cammino necessario per stabilire in maniera razionale, non arbitraria, il valore di una unità di una unità di misura del tempo derivata in maniera rigidamente consequenziale dalle grandezze per misurare le quali è stata concepita, e cioè la lunghezza del giorno e dell’anno tropico.
L’unità naturale di misura del tempo, U
Vediamo in che modo sia possibile stabilire in maniera razionale una unità di misura del tempo che sia strettamente legata ad entrambi, la durata media del giorno e quella media dell’anno tropico.
Fin da quando l’uomo ha cercato di risolvere il problema della misura del tempo, ha guardato al cielo, sforzandosi di trovare se esistesse una precisa relazione fra la durata del giorno e quella dell’anno solare. Questo, infatti, è il problema maggiore alla base di ogni sistema calendariale. Inevitabilmente è arrivato, prima o poi, a scoprire che era possibile mantenere il passo con il sole, aggiungendo un giorno ad ogni sequenza di 4 anni di 365 giorni ciascuno. In questo modo si otteneva un anno la cui durata media era esattamente di 365, 25 giorni. Questo si chiama “anno giuliano”, perché fu introdotto da Giulio Cesare nel 44 a.C.
L'anno giuliano è 0,0078 giorni più lungo della effettiva durata dell’anno solare, assumendo come precisa la durata di 365, 2422 giorni. In questo modo, dopo 1/0,0078 ^ 128, 2 anni abbiamo un intero giorno in eccesso. Pertanto potremmo costruire un calendario con precisione quasi assoluta, aggiungendo un giorno ogni quattro anni di 365 giorni, eccetto che nel 128.mo anno. Si stabilisce così un ciclo di 128 anni (questo ciclo fu scoperto dall’astronomo russo Glasenapp, che alla fine del 19.mo secolo propose una riforma del calendario russo, basata su di esso, che durò una ventina di anni).
In un ciclo di 128 anni abbiamo: 128 x 365.2422 = 46751.0016 giorni. Con un caledndario basato su questo ciclo, quindi si avrebbe un errore medio di 0.0016/128 = 0.0000125 = 1/80,000 giorni per anno.
Viene spontaneo e logico definire l’unità naturale del tempo come la frazione U = 0.0000125 dell’anno solare medio (per un anno di 365,2422 giorni) .Pertanto il giorno solare medio viene a contenere esattamente 80.000 di queste unità.
80.000 è un numero tondo che si presta bene alla suddivisione del giorno in parti uguali, costituite ciascuna da un ugual numero di unità U. Per esempio 10 ore di 8.000 unità U ciascuna, a loro volta divise in 20 parti da 400 U e 400 da 20 U, essendo 8,000 =203. Da questa suddivisione può discendere in maniera naturale un sistema di conteggio in base 20, che avrebbe un impatto anche nella struttura del calendario, con la suddivisione dell’anno in mesi di 20 giorni e così via. Esattamente come nei sistemi di conteggio e nei calendari del centro America.
Ovviamente, il fatto il giorno solare medio contenga esattamente 80.000 unità naturali U è dovuto ad una coincidenza casuale. Quello che non può essere considerato accidentale, invece, è il metodo attraverso cui il valore di questa unità è stato stabilito, perché esso presuppone una precisa conoscenza preventiva della durata dell’anno tropico. E in ogni caso, non può certo essere considerata accidentale la trasformazione dell’unità naturale U in una unità di misura del tempo assai più maneggevole, il minuto secondo, grazie ad un preciso moltiplicatore assolutamente non casuale.
L’unità di misura del tempo fondamentale, il minuto secondo
La praticità di impiego è il requisito primario di una unità di misura. L’unità naturale U, con la conseguente divisione del giorno in 80.000 parti, non è la migliore in assoluto, perché divisibile soltanto per 2 e per 5. L’ideale per un calendario è avere una grandezza divisibile anche per tre.
Questo si può ottenere facilmente dividendo l’unità naturale U per 1,08; si ha così una nuova unità di misura del tempo, il cui valore è: S = U / 1,08. In questo modo il giorno solare medio viene ad essere suddiviso in 80.000 x 1,08 = 86.400 parti, un umero più conveniente per misurare parti di giorno e di anno.
Pertanto definiremo il minuto secondo S come la frazione 1/1,08 dell’unità naturale del tempo, U.
In conclusione, il minuto secondo non è una durata di tempo stabilita per caso, ma è una grandezza che sta in un preciso rapporto con la lunghezza media del giorno e dell’anno solari e con il ciclo astronomico di 128 anni. È possibile, dimostrare, infatti, che il moltiplicatore 1,08, che trasforma l’unità di tempo naturale in un minuto secondo, lungi dall’essere casuale, è il risultato di una precisa scelta effettuata in un lontano passato, per rendere più pratica e flessibile la divisione del giorno e le struttura del calendario.
L’epoca quando il minuto secondo venne originato
Importante notare che l’unità naturale del tempo, U, non è stata stabilita sulla base del numero di giorni interi contenuti in un ciclo di 128 anni (365,2422 x 128 = 46751, un numero che in teoria una civiltà antica avrebbe potuto ricavare semplicemente contando il numero dei solstizi per un tempo sufficientemente lungo), ma soltanto sulla base della eccedenza di 0,0016 giorni in un periodo di 128 anni, e cioè 0,0000125 = 1/80.000 giorni per anno, una precisione impossibile da ottenere senza la disponibilità di tecnologie e di conoscenze scientifiche, che nessuna delle civiltà antiche a noi conosciute ha mai posseduto.
Qualcuno potrebbe obiettare che la cifra 0,0016 è il risultato di una approssimazione della lunghezza dell’anno tropico al quarto decimale; un scelta che potrebbe apparire arbitraria. La durata dell’anno tropico, si è detto, è stata misurata per il 1° Gennaio 1.900, a mezzogiorno, in 365,24219878125 giorni, e cioè 0,1053 secondi più corta di quella messa a calcolo per determinare la nostra unità di misura.
Gli scienziati moderno sono stati costretti a fissare la durata dell’anno tropico per una data molto precisa, perché questa durata, come si è detto, aumenta gradualmente, a causa dell’azione frenante delle maree e di altri fattori non ben conosciuti. Sulla base di antiche osservazioni delle eclissi solari è stato possibile calcolare che la decelerazione media della Terra è di 1,4 millisecondi per secolo. Una semplice operazione consente di calcolare che l’anno tropico durava esattamente 365,2422 giorni solari all’incirca 7.500 anni fa.
Una civiltà in grado di misurare con precisione la durata dell’anno intorno a quella data avrebbe trovato esattamente quel numero e pertanto avrebbe avuto forti indicazioni e motivazioni per stabilire l’unità naturale della misura del tempo, Questa, benché non costituisca un prova diretta, è comunque in buon accordo con l’asserita anzianità di quella grandezza.
Possiamo concludere, quindi con buon grado di attendibilità che l’attuale unità di misura del tempo, il minuto secondo, è il risultato di una scelta effettuata da una civiltà capace di calcolare con grande precisione la durata dell’anno solare medio. Una civiltà sconosciuta, dalla quale tutte le civiltà antiche sono state originate, o quanto meno influenzate. Queste ultime, infatti, hanno lasciato cifre mitologiche e numeri sacri che lo dimostrano con tutta evidenza.
Numeri sacri e mitologici delle civiltà antiche
L’introduzione del minuto secondo stabilisce un ciclo di 86.400 anni strettamente connesso con quello di 80.000. Entrambi questi numeri contengono un numero intero di cicli di 128 anni e tutte le grandezze caratteristiche dell’uno possono essere trasformate in grandezze equivalenti nell’altro attraverso il moltiplicatore 1,08.
Sono equivalenti, ma dannoorigine a strutture del calendario e a sistemi di conteggio molto diversi. In un caso abbiamo un sistema di conteggio ion base 20, una suddivisione dell’anno in mesi di 20 giorni e così via; nell’altro caso un sistema di conteggio in base 60 e conseguenti divisioni del giorno, del mese e dell’anno.
Entrambi i numeri, con il loro moltiplicatore 1,08, possono essere espressi in forme di estrema eleganza, che li rende particolarmente iunteressanti e significativi da un punto di vista matematico e numerico:
80,000 = 128 x 625 = 1,600 x 50 = 27 x 54
86,400 = 80,000 x 1.08 = 128 x 675 = 1,600 x 54 = 27 x 33 x 52
675 = 625 x 1.08 = 54 x 1,08 = 33 x 52
e così via, formando un insieme di numeri davvero impressionante.
La probabilità che tutto ciò sia dovuto ad una coincidenza fortuita è pressocché nulla. Chiunque sia familiare conb con i calendari antichi e i sistemi di conteggio ad essi collegati, con i numeri sacri e le cifre della mitologia, si renderà immediatamente conto che numeri come 80.000, 86.400, 1,08 ed i loro multipli e sottomultipli, rappresentano la conoscenza astronomica e matematica e la numerologia mitologica di tutto il mondo antico. In due aree ben caratterizzate: l’America appartiene all’area dell’unità di tempo naturale, U, avendo adottato un calendario ed un sistema di conteggio interamente basati sul numero 20. Europa ed Asia, invece, appartengono all’area del minuto secondo. Lo prova un impressionante complesso di numeri lasciatici in eredità dalle civiltà antiche, alcuni dei quali ancora in uso oggigiorno (basti pensare alla suddivisione del giorno e del cerchio, e ciè all’intera trigonometria.
In particolare il 108 e i suoi multipli e sottomultipli (54, 216, 432 ecc.) sembra essere numeri dotati di un indubbio significato sacrale, sebbene nessuno, fino ad oggi, sia stato capace di spiegare in maniera convincente la ragione di ciò. Li incontriamo da un capo all’altro del continente eurasiatico e nei contesti più disparati.
Vengono impiegati ricorrentemente nell’architettura sacra (esempi: Angkor Vat, in Cambogia, ha 54 torri, 108 statue ai lati del viale di accesso; 540 (108 x 5) statue di divinità Deva e Asura e così via ; il tempio di Baalbek, in Fenicia, aveva 54 colonne; nella città santa di Lasha, in Tibet, c’erano 108 templi; 108 erano le cappelle del tempio di Padmasambhava e così via); nella letteratura (il re sumero Enlil regalò 108 aromi ad Aadamu; Gudea impiegò 216.000 (108 x 2.000) operai per costruire il tempio a Ningirsu; offriva agli dei 108 diversi tipo di cibo ecc.); nei cicli cosmici di varie mitologie (il ciclo temporale indiano, detto di Manvantara, è di 64.800 (108 x 60) anni; il ciclo di Kalga, anch'esso indiano, corrisponde a 4320 (108 x 40) milioni di anni; la durata del regno antidiluviano nella mitologia babilonese è di 432.000 anni, quella sumera di 108.000 e così via) ed in una miriade di altri contesti legati alla religione e alla mitologia (i rosari buddista e indù hanno 108 grani; il rosario cattolico 54 grani, più 5 al di fuori dell’anello; i libri sacri tibetani del Khagiur consistono di 108 volumi; i Rig Veda hanno 10.800 versetti, con 40 sillabe per versetto, per un totale di 432.000 sillabe; il mitico Valhalla delle saghe nordiche aveva 540 porte, da ciascuna delle quali uscivano 800 guerrieri, per un totale di 432.000).
Tutti questi numeri sono legati al ciclo dei 128 anni, tramite le unità di misura del tempo da esso derivate. Era una conoscenza segreta trasmessa nelle società antiche nell’ambito della classe sacerdotale, che aveva il compito di misurare il tempo. Chi controlla il calendario, infatti, controlla la società. Era una tradizione ancora viva nel Medio Oriente 2.500 anni fa. Come dimostrazione basterà citare una fonte autorevole ed alla portata di tutti, la Bibbia. In Numeri 31, 32-47 si legge:
“Or la preda, cioè quel che rimaneva del bottino fatto da quelli che erano stati alla guerra, consisteva in 675.000 pecore , 72.000 buoi, 61.000 asini e 32.000 persone, ossia donne, che non avevano avuto relazioni carnali con uomini. La metà, cioè la parte di quelli che erano andati alla guerra, fu di 337.500 pecore, delle quali 675 per il tributo all’Eterno; 36.000 bovi, dei quali 72 per il tributo all’Eterno; 30.500 asini, dei quali dei quali 61 per il tributo all’Eterno; e 16.000 persone, delle quali 32 per il tributo all’Eterno…La metà che spettava ai figlioli d’Israele…..fu di 337.500 pecore, 36.000 buoi, 30.500 asini e 16.000 persone. Da questa metà, che spettava ai figlioli di Israele, Mosé prese uno su 50….”
Numeri come 360, 72 e varie combinazioni di essi, sono chiaramente derivati dal calendario solare e li incontriamo continuamente in ogni cultura del mondo. Ma la loro connessione con il ciclo dei 128 anni non è immediatamente evidente. Numeri come 32 e 675 sono invece strettamente associati con il calendario basato sul ciclo astronomico di 128 anni. Anche cifre come il 61, che apparentemente non gli appartengono, sembra che siano funzionali per determinare numeri collegati ad esso.
Per esempio: 30.500+16.000+72+61+50+36+32=46751, e cioè esattamente i giorni contenuti in un ciclo di 128 anni. Semplice coincidenza casuale? Fosse un caso isolato potremmo essere tentati di pensarlo, anche se le probabilità sono estremamente basse; ma abbiamo visto che la presenza di questi numeri è la norma in tutti i contesti più o meno sacri di tutte le civiltà antiche, per cui il caso è da escludersi. L’ignoto sacerdote ebreo che ha scritto questi versi, certamente più di duemilacinquecento anni fa, conosceva il calendario basato sul ciclo di 128 anni ed ha voluto utilizzare questo passo come “promemoria”; molto probabilmente, criptate nel testo, ci sono altre informazioni relative a questo calendario ed al suo impiego.
Questo semplice passo della Bibbia, da sempre sotto gli occhi di tutti, costituisce una prova certa che i sacerdoti antichi avevano conoscenze scientifiche di livello superiore a quello che riteniamo proprio del loro periodo e che venivano mantenute rigorosamente segrete, ed è per questo quindi che sono andate perdute. Sono sopravvissute ovunque, però, le tracce certe di queste conoscenze, costituite dai numeri da esse derivati, applicati nei contesti più vari.
Possiamo escludere che queste conoscenze siano state sviluppate autonomamente (e con gli stessi risultati) da tutti i popoli antichi, anche perché non possedevano i mezzi strumentali e matematici per farlo. Per arrivare a queste unità di misura del tempo e a tutte queste grandezze è necessario infatti conoscere la lunghezza dell’anno con una precisione fino alla quarta cifra decimale, e di qui risalire al ciclo dei 128 anni, che in occidente era ancora ignoto ai tempi della riforma gregoriana.
In conclusione, possiamo ritenere praticamente certo che una grandezza così insignificante come il minuto secondo, apparentemente privo di ogni significato recondito, sia per se stesso testimonianza vivente che in un lontano passato è esistita una civiltà con un livello scientifico e tecnologico tale da consentirle misure astronomiche precise e calcoli matematici complessi. Una civiltà che è all’origine (o che almeno ha influenzato) entrambi, sia le antiche civiltà del continente eurasiatico che quelle americane.
vedi seguito:
Le radici della civiltà centroamericana
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