La politica di Tutmosi III in Siria e Palestina fu molto abile e intelligente. La regione era frazionata in tanti piccoli regni, ciascuno col suo piccolo esercito, con a capo un piccolo principe. Tutmosi aveva capito che questi principi difendevano la propria autonomia, piuttosto che la propria indipendenza. Dopo averli sconfitti, di norma egli li rimetteva a capo dei loro staterelli, naturalmente dopo aver avuto le più solenni assicurazioni che mai più avrebbero preso le armi contro l'Egitto, e che avrebbero pagato un tributo annuale. Ma a garanzia di queste promesse egli si faceva sempre consegnare in ostaggio figli e fratelli del principe sottomesso, e li inviava a Tebe per essere educati a corte come Egizi[1].
Nel mondo antico era norma che venissero consegnati ostaggi anche a garanzia di trattati di alleanza o di non belligeranza fra potentati indipendenti. E' da ritenersi praticamente certo, quindi, che Tutmosi III dovette farsi consegnare ostaggi dal sovrano ittita Tutkalyiash II, suo alleato nella guerra contro Mitanni. Anche Saushsha-Tar dovette certamente consegnare ostaggi a garanzia del trattato di pace stipulato dopo la sconfitta. Né le cronache egizie, né quelle di Mitanni accennano a questo trattato; ma che ci sia stato rientra nella logica e nell'ordine naturale delle cose. Dopo di allora, infatti, non ci fu mai più guerra fra i due imperi, i cui sovrani mantennero per oltre un secolo rapporti idilliaci (si chiamavano l'un l'altro "fratello) con continui scambi di doni e di spose (un lungo elenco di regine egiziane era di origine Mitanni).
Può esserci qualche dubbio sulla data, ma certamente non sul fatto che fra Egitto e Mitanni sia stato stipulato un trattato di pace. E' norma storica che questo genere di trattati seguano immediatamente una guerra conclusasi con la sconfitta di uno dei contendenti, per cui possiamo ragionevolmente ritenere che i contraenti di quel trattato siano stati proprio Tutmosi III e Saushsha-Tar, all'indomani dell’incursione egiziana nella regione di Harran. In virtù del trattato Saushsha-Tar non divenne tributario dell'Egitto, ma, in quanto sconfitto, necessariamente competeva a lui fornire garanzie per il rispetto del tratto.
Possiamo quindi ritenere praticamente certo che Saushsha-Tar abbia consegnato in ostaggio a Tutmosi III suoi familiari, figli o fratelli, anche se le cronache note non ne parlano esplicitamente. Abramo sarebbe appunto uno di questi. E' certo anche che i familiari del re di Mitanni, che rimaneva pur sempre il sovrano più potente dell'epoca, dopo il faraone, non potevano essere trattati alla stregua dei familiari di un qualsiasi principotto siriano o Palestinese. Tutmosi dovette senza dubbio fornire loro solide garanzie di sicurezza e mezzi di sussistenza adeguati.
C'erano quindi due tipi di "ostaggi" nell'Egitto di Tutmosi III (ma la cosa doveva essere consuetudinaria da antica data nel Medio oriente): figli e familiari di principi sconfitti, ridotti in condizioni di vassallaggio, da un lato; figli di sovrani indipendenti che avevano stipulato trattati di alleanza o non belligeranza con l’Egitto dall'altro. Lo stato giuridico ed il trattamento di questi ostaggi doveva essere molto diverso nei due casi. Queste considerazioni ci aiutano a risolvere probabilmente una questione che si sta trascinando da decenni senza una soluzione soddisfacente: quella degli "apiru".
Sembrerebbe abbastanza certo che il nome "ebreo" derivi da "apiru", per cui un folto gruppo di studiosi, specie in passato, ha voluto identificare negli apiru gli antenati degli ebrei. Sennonché, con il moltiplicarsi dei documenti in cui compare questo termine, la cosa è parsa sempre meno proponibile, perché questi apiru non presentano una fisionomia costante ed assimilabile a quella di un vero e proprio popolo, ma a volta a volta compaiono sotto le vesti di mercenari, banditi, predoni, sbandati, rifugiati politici, avventurieri, tribù, eccetera. Inoltre la loro comparsa è casuale, sia nello spazio che nel tempo, perché essi vengono segnalati di tanto in tanto, a partire dalla fine del III millennio a.C. indifferentemente nell'alta e bassa Mesopotamia, in Siria, in Palestina e in Egitto, ma sempre con caratteristiche ed in contesti diversi.
Il termine "apiru" è composto da due parole, di cui quella base significa "forestiero", mentre l'altra è un attributo esplicativo di significato oscuro. Un'ipotesi suggestiva, che risolverebbe in modo soddisfacente il problema, è che il termine designasse gli ostaggi provenienti da potentati indipendenti (e cioè stranieri), con i quali si erano conclusi trattati di alleanza o non belligeranza, per distinguerli dagli ostaggi forniti da principi vassalli. Ostaggi "forestieri" che venivano forniti di servi e armati e godevano indubbiamente di un regime di semilibertà e di considerazione superiori a quello dei normali ostaggi "domestici". Il modo più pratico per legarli al territorio ed assicurare loro mezzi di sussistenza adeguati era quello di concedere loro in feudo un territorio entro i confini sicuri dell’impero.
E' naturale che gli apiru continuassero a mantenere rapporti con la madrepatria e che la loro condizione all'interno del paese ospitante risentisse dei reciproci rapporti fra le potenze contraenti, ed evolvesse nel tempo a seconda di quelli. Questo spiega come, volta a volta, gli apiru compaiano nelle cronache storiche con caratteristiche sempre diverse[2]. Ricchi, numerosi, potenti, è facile immaginare che talvolta essi potessero diventare fonte di problemi, soprattutto in caso di mutati rapporti di forza fra i due contraenti, in quanto potevano essere utilizzati dall'antica madrepatria per creare difficoltà e disordini all'interno del paese ospitante.
Ai tempi della XVIII dinastia gli apiru presenti nell'ambito dell'impero egizio potevano avere due diverse origini: o dall'impero ittita, oppure da quello di Mitanni. Entrambi, infatti, erano alleati dell'Egitto e dovevano aver fornito ostaggi in garanzia delle del rispetto delle clausole di non belligeranza. La presenza di Ittiti in Palestina ai tempi di Abramo è documentata dalla Bibbia stessa, che mostra anzi come essi avessero frequenti rapporti con gli ebrei. Abramo si rivolse a loro per l'acquisto di un sepolcro a Mac Pelà, segno che essi possedevano un territorio confinante con quello di Abramo. Esaù sposò due donne ittite. I rapporti fra i due popoli appaiono rispettosi, ma confidenziali, come se si trovassero nelle medesime condizioni.
Gli Ittiti di Ebron dovevano essere stati consegnati in ostaggio a Tutmosi III da Tutkalyiash II, quando i due strinsero alleanza contro Saushsha-Tar. Ad essi competeva lo stesso identico appellativo di "apiru", come per gli ostaggi mitanni, e dovevano essere al seguito di uno o più figli del sovrano ittita. Ai tempi di Amarna (poco più di un secolo dopo), stando alla corrispondenza di Akenaton, risulta che gli apiru erano diventati molto forti e arroganti e interferivamo pesantemente nelle questioni interne dell'impero, godendo quasi di una sorta di impunità. Stando alla Bibbia, in quel periodo gli apiru provenienti da Mitanni risultavano insediati già da tempo a Seir, con Esaù, e nella Transgiordania con Moab ed Ammon. Nella Palestina vera e propria c'era solo la tribù di Giacobbe, Israele, che proprio in quell'epoca (vedremo in seguito la ricostruzione esatta dei tempi) distrusse la città di Sichem, ma che obiettivamente risulta assai difficile identificare con i famigerati apiru delle lettere di Amarna. E' probabile che le lamentele contenute in queste ultime riguardassero piuttosto gli apiru di origine ittita. L'impero ittita, infatti, raggiungeva allora il culmine della potenza e mirava ad espandersi nella Siria a spese dell'Egitto ed in Mesopotamia a spese dei Mitanni.. L'ultimo re di Mitanni, Tushratta, fu sconfitto ripetutamente da Suppiluliumas, re di Hatti, che arrivò a saccheggiare la capitale dell'impero, Wassukanni. Akenaton ed il suo successore Tutankamon, nonostante l'alleanza con Mitanni, non intervennero e continuarono a mantenere buoni rapporti con l'impero ittita.
Da parte sua, invece, Suppiluliumas fomentò disordini nell'impero egizio e riuscì a rendere tributari i principi della Siria settentrionale senza giungere ad uno scontro diretto con il faraone. E' ovvio che gli antichi ostaggi ittiti, trapiantati in terra egizia, siano diventati uno strumento della politica aggressiva di Suppiluliumas e, sobillati e sostenuti dalla madrepatria, abbiano cominciato a creare problemi dall'interno. I governatori fedeli all'Egitto si lamentarono energicamente con il faraone, invocando il suo intervento; ma evidentemente Akenaton (nonostante la moglie mitanni) non osò rischiare uno scontro diretto con l'impero ittita e preferì accontentarsi di una dichiarazione formale di lealtà. L'influenza degli ittiti crebbe al punto che alla morte di Tutankamon, successore di Akenaton, la sua vedova pensò bene di offrire la propria mano ed il trono d'Egitto a un figlio dell'imperatore Suppiluliumas.
Gli apiru ittiti sarebbero stati in seguito ricondotti all'obbedienza dall'energico faraone Haremab e probabilmente scomparvero assorbiti nel vasto crogiolo palestinese. Sarebbero sopravvissuti invece come popolo a sé stante gli apiru di Mitanni, che ormai si identificavano con la sola tribù di Israele, a cui evidentemente il termine rimase, trasformandosi in quello di ebrei.
[1] "Tuthmosis III preferì apparire come il re di un
grande paese che può permettersi di essere magnanimo. I principi furono
perdonati e rimessi a capo dei loro staterelli; ma il faraone sapeva che non
poteva fidarsi dei loro giuramenti e pretese che i loro figli e i loro
fratelli fossero inviati a Tebe per essere educati a corte. In effetti il re
li prese come ostaggi'> (F. Cimmino,
Hasepsowe e Tuthmosis III, Rusconi, Milano 1981, p. 113).
“Fin
dall'inizio Tuthmosi III si premunì insediando principi di sua scelta e deportandone
in Egitto i fratelli o i figli come ostaggi” (A.
Gardiner, La Civiltà Egizia, Einaudi, Torino 1971, p. 176).
[2] “Certi gruppi di nomadi, o di senza terra, sono
chiamati nei testi antichi Habiru o Apiru. Quando questo nome fu trovato per
la prima volta scritto su tavolette di creta egizie alla fine del secolo
passato, destò grandissimo interesse nel mondo scientifico, perché alcuni
studiosi suggerirono che si riferisse agli Ebrei della Bibbia. Oggi, a distanza
di quasi un secolo, la discussione è ancora in corso e non si è raggiunto alcun
accordo. Diversi studiosi hanno ritenuto che questo termine indicasse uno stato
sociale, piò che un gruppo etnico (G.
Bottero, 1954), ma altri, anche recentemente, hanno ribadito l'ipotesi
che il termine si riferisca agli Ebrei (Y.
Aharoni, 1979, p. 176; M. Greenberg, 1955, p. 55) (...) E’ stato
ipotizzato che Hebron fosse la "città degli Habiru" ” (E. Anati, Har Karkom - La Montagna di Dio, Jaca Book, Milano 1986, p. 282).
“In
alcune tavolette rinvenute a Nuzi nella Mesopotamia settentrionale, si parla di
genti Hapiru che in cambio di cibo e alloggio per loro e per le loro famiglie
si facevano schiavi. Tra gli Hapiru che appaiono sulle tavolette di Nuzi, però,
non ci sono nomi di ebrei (...) Dobbiamo riconoscere che le differenze fonetiche
tra i vocaboli apiru (e simili) ed ebrei non sono state ancora sufficientemente
composte. Il tema è stato piò volte affrontato nel corso di convegni di
semitistica e di assirologia e nonostante ogni tentativo di analisi si deve
riconoscere che l'equazione Apiru-Ebrei è ben lontana dall'essere stabilita e
che è necessario essere molto prudenti... ” (F.
Cimmino, Ramesses II il Grande, Rusconi, Milano 1984, p. 287).
“L'identificazione
che si soleva fare con gli Ebrei dell'Antico Testamento non regge più alla luce
della ricerca moderna ” (W. Von Soden,
op. cit., p. 56).
“Sembra
che gli Hapiru fossero dei profughi di diversa origine etnica e parlanti lingue
differenti, i quali si aggiravano per la Palestina e la Siria, vivendo di rapine e offrendosi come mercenari ” (C. Aldred,
Akenaton, il faraone del sole, Newton Compton, Roma 1979, p. 47).
“Poco
prima sono citati gli Hapiru, termine molto discusso e che non possiamo
permetterci di ignorare. Qualche anno fa si riteneva per certo che queste
genti s'identificassero con gli Ebrei dell'Antico Testamento, ma ora quasi
tutti gli studiosi, salvo una minoranza, lo negano; a quanto pare il termine
era usato per designare i "proscritti" o "banditi" non
appartenenti a gruppi etnici determinati ” (A. Gardiner, op. cit., p. 185).