Uno dei problemi che mi ero posto fin dall’inizio, in quanto militare attento ai problemi della difesa e della logistica, era di sapere come gli ebrei avessero provveduto al proprio mantenimento e soprattutto alla propria difesa.
Le risorse del territorio erano limitate e difese a tutti i costi dalle popolazioni residenti. Ne è una prova il fatto che gli amalechiti attaccarono immediatamente gli ebrei, che dovevano essere numericamente molto superiori, non appena si accamparono nei pressi del loro pozzo di Refidim.
La Bibbia dice che essi furono sterminati fino all’ultimo uomo (Es. 17,13), ma evidentemente si riferisce soltanto agli attaccanti, non all’intera tribù. Infatti in seguito gli amalechiti figurano fra coloro che hanno attaccato gli ebrei nei pressi di Cades Barnea, infliggendo loro una sonora sconfitta ( Nm.14,43-45). E la Bibbia dice che da Refidim in poi ci sarebbe stata eterna inimicizia fra Israele ed Amalek (Es. 17, 16), segno che questi ultimi continuarono a punzecchiare e attaccare gli ebrei.
C’era dunque un problema di difesa e molto serio. Ma c’era soprattutto un problema alimentare. Gli ebrei erano circa trentamila (vedi: Numero degli ebrei dell’Esodo. Una popolazione imponente per un’area a risorse limitate come il deserto. In quelle condizioni potevano contare solo sulle scorte di viveri portate dall’Egitto, e risulta che ne avessero[1], e sul bestiame. Ne possedevano in grande quantità: capre, pecore e asini, ma anche buoi (Nm. 7,3).
Restarono accampati ai piedi del monte Horeb per poco meno di un anno (Nm.10,11-12). La valle ai piedi del monte non possedeva certo risorse sufficienti ad alimentare il bestiame per tanto tempo.
Essendo la vegetazione limitata e concentrata nel letto degli widian, per pascolare il bestiame bisognava necessariamente frazionarlo in piccole greggi che dovevano essere sparpagliate sulla più ampia superficie possibile, addirittura su centinaia di chilometri quadrati. Piccole greggi disperse su un territorio tanto vasto erano esposte a razzie. Poche bande di predoni potevano infliggere danni gravissimi ad Israele, attaccando in forze uno dopo l’altro le greggi isolate, privandolo così dei propri mezzi di sostentamento.
Ogni gregge doveva avere un numero di sorveglianti superiore a quelli normalmente necessari per questa incombenza, proprio per essere in grado di difendersi in caso di attacco. In tal modo, però, la maggior parte degli uomini adulti doveva essere distaccata in piccoli gruppi isolati a difesa delle greggi, e quindi gli accampamenti con le donne e i bambini rimanevano privi di difesa ed esposti ad attacchi di predoni, che dovevano essere attirati come le mosche dal miele, in una situazione del genere.
Inoltre c’era il problema di approvvigionamento dei viveri alle donne e bambini, che dovevano essere riforniti regolarmente di carni e latticini. Dovevano esserci quindi collegamenti frequenti fra i gruppi distaccati con le greggi e gli accampamenti centrali.
Più esaminavo questi problemi e più mi rendevo conto della loro importanza ai fini della sopravvivenza e del fatto che gli ebrei dovevano necessariamente averli risolti in qualche modo. Ma non avevo idea come. Fu assistendo ad una delle frequenti conferenze di Anati sui ritrovamenti di Har Karkom che vidi la soluzione.
Uno dei tipi di insediamenti BAC più caratteristici dell’area di Har Karkom è quello denominato “sito a plaza”. La ragione di questo nome sta nella struttura di questi siti, che è assolutamente caratteristica e ripetitiva.
I siti a plaza sono formati da strutture in pietra ordinate in circolo in modo da delimitare un vasto cortile, o plaza, al centro, che costituisce l’aspetto più rilevante e può raggiungere i 60 metri di diametro e anche oltre[2]. Alcune strutture, normalmente non più di tre o quattro per plaza, hanno uno o più vani interni e sono state quindi identificate come strutture abitative. Altre sono piattaforme, vicino alle quali si trovano silos scavati nel terreno, circondati da circoli di pietre e da altre piccole strutture, presumibilmente usate come ripostigli. Altre ancora appaiono oggi semplici cumuli di pietre, la cui funzione non è immediatamente percepibile.
Fin qui niente di strano. Quel che è singolare e assolutamente eccezionale e unico nell’area del Sinai, è la disposizione dei siti a plaza. Anati stesso mette in evidenza il fatto che la loro ubicazione costituisce la caratteristica più macroscopica dei plaza.
Essi formano una sorta di cordone intorno al monte Har Karkom e dalla loro localizzazione essi dominano tutti i possibili accessi ad esso… Sembra che da un sito all’altro la comunicazione fosse facile e che ciò costituisse una concreta preoccupazione che ha determinato la scelta dei siti. Insieme essi formano un cordone che nessuno, almeno di giorno, poteva superare senza essere visto … i siti a plaza costituiscono punti di vista dai quali l’intera estensione delle aree tra i plaza e la montagna può essere completamente controllata, come pure ogni possibile via di accesso.[3]
Anati ne ha scoperti più di 30, disposti tutti intorno al monte e alla valle di Har Karkom, tutti lungo le piste principali, distanziati di 2-3 chilometri l’uno dall’altro, ma ognuno in vista dei due vicini, da un lato e dall’altro. Essi formano un anello continuo intorno all’altipiano ed alla valle di Har Karkom, racchiudendo al loro interno tutti i siti abitativi dell’età del bronzo.
Una simile disposizione non è casuale, nel modo più assoluto. Risponde ad un disegno preciso e ad una precisa esigenza.
I plaza variano enormemente per numero di strutture e dimensioni, ma rispondono
tutti al medesimo criterio costruttivo, certamente legato alla funzione che
svolgevano. Con tutta evidenza si trattava di accampamenti di pastori.
La loro caratteristica principale, quella cui devono il loro nome, è
che sono formati da strutture poste in circolo a formare un recinto, la cui
funzione era evidentemente quella di rinchiudervi del bestiame.
All’interno del recinto principale, ci sono spesso dei piccoli recinti secondari, dove evidentemente venivano rinchiusi capi che per qualche ragione dovevano essere separati dagli altri.
In tutti i plaza ci sono poi “silos”, la cui funzione era evidentemente quella di conservare al fresco i prodotti della pastorizia, principalmente latticini e carni; piattaforme, che servivano probabilmente come basi per la lavorazione dei prodotti caseari e delle pelli, e infine semplici mucchi di pietre, la cui funzione, forse, era semplicemente quella di completare il recinto.
Anche la tipologia degli strumenti rinvenuti è in tema con l’ipotesi di accampamenti di pastori. La quasi totalità delle selci, infatti, è costituita da raschiatoi, grattatoi, punte, bulini e lame, cioè strumenti indispensabili per la lavorazione delle pelli e la macellazione delle carni.
Le strutture adibite ad abitazione erano poche, mediamente da tre a cinque per ogni plaza, relativamente piccole e molto semplici, prive di quelle caratteristiche tipiche di una struttura abitata da un nucleo familiare completo. Questo portò Anati a concludere che i siti a plaza fossero occupati soltanto da maschi adulti.
Il numero globale degli occupanti può essere valutato a partire dalle strutture abitative. Nei 22 siti rilevati accuratamente, ne sono state trovate un totale di 88, con diametri che vanno dai 2 ai 5 metri. Se gli occupanti erano solo maschi adulti, come sembra, il loro numero doveva essere piuttosto elevato: in media almeno una decina di persone per ogni plaza, ma molti di più in quelli di maggiori dimensioni.
La popolazione totale dei plaza, quindi, doveva essere largamente superiore alle cinquecento unità.
Ciascuno di questi uomini, però, doveva avere da qualche parte madri, mogli e figli. Dove? Evidentemente nei villaggi che si trovavano all’interno della cerchia dei plaza, sparsi nella valle Karkom, per tutta la sua lunghezza, ai piedi del monte.
Il numero totale di vecchi donne e bambini era almeno 4 o 5 volte superiore a quello dei maschi adulti dislocati nei plaza. In totale una popolazione dell’ordine delle migliaia di persone.
Per nutrire una simile massa di persone era necessaria la disponibilità di molto bestiame. Ed infatti, la dimensione dei recinti, fino ad un massimo di ottanta metri di diametro, e il numero dei sorveglianti, indicano che in ogni plaza veniva custodito un numero di capi di bestiame che poteva essere dell’ordine delle centinaia. Il numero totale dei capi di bestiame, quindi, era dell’ordine delle migliaia.
Il bestiame aveva bisogno di molto pascolo. E infatti i plaza sono distribuiti in modo da coprire la massima superficie possibile. Il bestiame poteva quindi sfruttare i pascoli distribuiti su una superficie totale di qualche centinaio di chilometri quadrati.
Le strutture dei plaza, oltre che per il ricovero degli animali, servivano per la lavorazione delle carni e dei latticini, che venivano poi portati ai villaggi centrali. Questi potevano essere raggiunti nel modo più celere possibile, perché i plaza erano dislocati lungo le piste. Si otteneva quindi lo scopo del massimo sfruttamento delle magre risorse del territorio e nel contempo facilità di approvvigionamento delle famiglie accampate all’interno della cerchia dei plaza.
Ma soprattutto si assolveva al compito fondamentale della difesa. La cinta dei plaza sembra concepita proprio per scoraggiare le cupidigie di predoni e popolazioni vicine, che avrebbero indubbiamente attaccato greggi isolate e villaggi indifesi con donne e bambini. Questi siti erano tutti in vista l’uno dell’altro; se uno di essi veniva attaccato, dai plaza vicini si poteva dare l’allarme a tutti gli altri e si poteva intervenire in aiuto degli attaccati nel più breve tempo possibile.
E soprattutto nessuno poteva penetrare non visto all’interno della cintura dei plaza, dove si trovavano i villaggi con le donne ed i bambini, che quindi erano al sicuro. Un sistema perfetto. L'intero complesso è sotto questo punto di vista estremamente razionale e funzionale e non presenta falle.
In conclusione i plaza riflettono la seguente situazione: una popolazione nell'area di Har Karkom dell'ordine delle migliaia di persone. Vecchi, donne e bambini risiedevano in una serie di villaggi sparsi nella valle di Har Karkom, ai piedi del monte, e a Beer Karkom.
Principale fonte di sussistenza era il bestiame, che era dislocato tutto intorno al monte e faceva capo ad una "cintura" di aree attrezzate, i plaza appunto, dove venivano eseguite tutte le attività connesse con l'allevamento del bestiame, dalla custodia notturna, alla mungitura, alla macellazione, alla lavorazione delle pelli. La dislocazione delle aree attrezzate rispondeva al criterio di massima utilizzazione delle risorse del pascolo, ma anche a criteri di sicurezza.
Manca soltanto il nome della popolazione. Una situazione del genere è unica in tutta l’area del Sinai e corrisponde perfettamente a quella descritta dalla Bibbia per gli israeliti. Le probabilità che possa riferirsi ad una qualche altra ignota popolazione, che abbia avuto le stesse esperienze degli ebrei, nella stessa epoca e nella stessa località, mi sembrano del tutto remote.
Nonostante Anati abbia avanzato ipotesi diverse[4], personalmente ritengo che i plaza costituiscano una delle prove più convincenti che gli ebrei hanno trascorso il primo anno dell’esodo proprio nell’area di Har Karkom.
Se c’è una cosa che può essere affermata con certezza, è che la distribuzione dei siti a plaza non può essere casuale. Essa deve rispondere a un progetto concepito per far fronte all’esigenza imprescindibile di provvedere alla difesa e alla logistica alimentare della comunità israelitica; esigenza che poteva essere soddisfatta soltanto se essi venivano costruiti tutti insieme ed abitati tutti contemporaneamente.
Al termine di quell’anno, avendo ormai dato fondo a tutte le risorse del territorio, dovettero abbandonarlo e non vi fecero mai più ritorno.
C’è anche un’altra caratteristica dei plaza che mi sembra congruente con questa conclusione: i loro occupanti non impiegavano utensili in ceramica. In nessuno dei plaza, infatti, sono stati trovati frammenti di terracotta. C’erano invece selci in abbondanza, per la massima parte paleolitiche, neolitiche e calcolitiche, la maggior parte ritoccate per essere riusate.
E’ naturale che i pastori che si muovevano liberi nel territorio raccogliessero strumenti di selce che trovavano in giro e li portassero al campo per riutilizzarli. La maggior parte delle selci dei plaza, infatti, è costituita da attrezzi impiegati nella lavorazione delle carni e delle pelli.
Che gli ebrei facessero uso di selci è scritto anche nella Bibbia. Zippora, moglie di Mosè, aveva usato una selce per circoncidere il figlio Ghersom ( Es. 4,25). E anche Giosuè, a Ghilgala, impiegò coltelli di selce per lo stesso compito (Gs. 5,2-3). D’altra parte, però, non c’è una sola testimonianza nel Pentateuco che gli ebrei facessero uso di ceramica (vedi: impiego ceramica).
I siti a plaza costituiscono un indizio determinante a favore della identificazione di Har Karkom con il Sinai[5]. Inoltre forniscono l’evidenza che il passaggio degli ebrei non è databile sulla base di reperti archeologici, dal momento che non facevano uso di ceramica, unico elemento di datazione in quell’ambiente.
Infine, essi forniscono la prova più evidente che gli ebrei non erano quel popolo sprovveduto e fatalista che appare da tutti i resoconti di storici e biblisti vari. Erano ben organizzati e ben guidati ed hanno meritato in pieno il successo storico che hanno avuto.
[1] Durante la consacrazione del tempio tenda essi offrono farina di grano, che poteva provenire soltanto dalle scorte portate con sè dall’Egitto e gelosamente conservate.
[2] E. Anati, I siti a plaza di Har Karkom, Edizioni del Centro, 1987, pag. 13
[3] E. Anati, ibidem, pag. 27, 31
[4] I siti a plaza hanno caratteristiche totalmente diverse da ogni altro tipo di struttura scoperto all’interno della cerchia racchiusa in essi. Perciò Anati ha ipotizzato che i loro costruttori appartenessero a popolazioni diverse, vissute in epoca diversa da coloro che avevano abitato i villaggi ai piedi del monte, più precisamente in epoca calcolitica e nel bronzo antico. Da alcuni indizi, costituiti dalla tipologia e quantità delle selci ritrovate, che presenta grandi differenze fra un sito e l’altro, e da tracce di abbandono e rifacimento di alcuni plaza, ritenne di poter affermare che erano stati occupati nell’arco di mille cinquecento anni (E. Anati, ibidem, pag. 225)..
[5] Anati non sembra di questo avviso. Dopo aver avanzato una serie di ipotesi, anche provocatorie, alla fine conclude: “La maggior parte dei problemi resta aperta: qual era la funzione di questi strani siti? Quale il motivo della loro esistenza? Quale il motivo della loro fine? Chi era la popolazione che li costruì? Chi li usò? Quanto tempo durò la funzione di ogni sito? Tutte queste domande restano aperte a ulteriori discussioni. Ma proprio per questo motivo consideriamo importante portare i dati in nostro possesso alla conoscenza ed al giudizio di chiunque possa avere idee o suggerimenti al fine di risolvere questo affascinante enigma archeologico “ (E. Anati, ibidem, pag. 238).