Ciascuna delle famiglie sacerdotali che erano entrate nell’organizzazione ricreata a Roma da Giuseppe Flavio doveva essere contraddistinta da un proprio simbolo, in cui potevano comparire due componenti: l’identificativo di appartenenza alla casta sacerdotale e l’identificativo di famiglia vero e proprio. Questi identificativi erano probabilmente impiegati all’inizio soltanto per usi strettamente privati e come segni “segreti” di riconoscimento fra le varie famiglie.
In seguito, con l’assunzione di cariche pubbliche che comportavano l’emissione di documenti ufficiali, i simboli familiari cominciarono ad essere impiegati nei sigilli, attestanti l’identità di chi emetteva il documento e la sua autenticità. Questo uso è documentato nella Chiesa romana fin dal sesto secolo d.C. e nella nobiltà carolingia già ai tempi di Carlo Magno.
E’ soltanto nel dodicesimo secolo, però, con l’inizio delle crociate che i simboli identificativi nobiliari diventano di uso universale e pubblico e nasce l’araldica come oggi la conosciamo. Essa costituisce, oltre che una vera e propria miniera di indizi convergenti a favore della teoria sacerdotale, anche uno strumento per individuare l’origine delle famiglie nobiliari europee, che per la maggior parte di esse deve essere ricondotta a famiglie sacerdotali giudaiche, dal momento che nei loro stemmi compaiono sia simboli riconducibili a famiglie ebraiche, sia simboli che evidenziano una condizione sacerdotale.
Si è visto che i più importanti simboli che caratterizzano singole famiglie giudaiche (indipendentemente dalla loro condizione sacerdotale) sono il leone, l’aquila, il drago, l’arpa e la torre. Essi sono presenti negli stemmi araldici di gran parte delle case regnanti e delle regioni europee e la loro origine può essere agevolmente tracciata fino ai tempi dell’impero romano. Costituiscono pertanto una prova molto importante a favore della teoria qui esposta.
L’emblema più sicuramente e chiaramente riconducibile alla tradizione giudaica è il leone, simbolo del regno di Giuda, di cui i sacerdoti giudaici costituivano la classe nobiliare. In particolare il leone doveva essere il simbolo della regalità e quindi uno dei simboli di cui i re di Giuda dovevano fregiarsi a dimostrazione del loro status regale.
I loro discendenti cristiani dovevano affermare con forza il proprio diritto ad indossare una corona reale. Infatti, i primi “re” di stirpe sacerdotale di cui abbiamo notizia storica avevano come proprio emblema proprio il leone. Non occorre neppure arrivare al medioevo per ritrovarli; essi, infatti, fanno la loro comparsa in Britannia all’indomani stesso della partenza di Stilicone dall’isola, agli inizi del quinto secolo. Ce ne dà notizia il monaco Gildas: nella sua cronaca “De excidio Britanniae” ci informa che subito dopo la dipartita delle legioni romane un certo numero di “re” furono “unti” (secondo l’uso ebraico) in Britannia. Gildas ne nomina cinque e almeno due di essi avevano come proprio emblema il leone. Il primo è un certo Costantino, progenie della “leonessa Damnonia”, che regnava sulla Cornovaglia e il Devon; l’altro è Aurelio Canino, definito “whelp of the lion” (progenie del leone), che aveva stabilito il proprio regno poco più a nord, nel Galles. Da notare che Aurelio Canino era quasi certamente figlio, o comunque parente, di Ambrosio Aureliano [1] , che Gildas definisce “uomo modesto ... i cui genitori erano stati rivestiti della porpora imperiale per i loro meriti ...”.
Il leone, quindi, era l’emblema di alcune fra le prime case regnanti della Britannia e doveva trattarsi del leone di Giuda, dal momento che non era un emblema in uso fra le truppe romane. Né possiamo pensare che fosse un simbolo tratto dalla fauna locale. Verosimilmente era stato portato come simbolo in Britannia dal ramo spagnolo della Gensa Flavia, il generale Flavio Teodosio (padre dell’imperatore omonimo), prima, e subito dopo il suo parente e corregionario Flavio Magno Massimo.
Essi provenivano da una regione della Spagna che era certamente un loro feudo incontrastato, dal momento che la sua capitale aveva il nome di Aquae Flaviae, ed il simbolo di famiglia doveva essere il leone, dal momento che successivamente la regione prese il nome di “Leon”, che porta tutt’ora; e il suo simbolo araldico, ovviamente, è il leone. Teodosio e Magno Massimo si impadronirono a titolo personale di vasti territori in Britannia e misero a capo di varie province britanniche propri familiari e parenti.
Diversi re sorti dopo il ritiro delle truppe di Stilicone erano imparentati a vario titolo proprio con Magno Massimo; ed evidentemente il loro simbolo doveva essere il leone, come risulta dalla cronaca di Gildas. Anche alcune delle famiglie che abbandonarono la Britannia sotto la minaccia dei Sassoni e si trapiantarono in Bretagna e Normandia dovevano essere imparentate con Teodosio e Magno Massimo e dovevano avere quindi come proprio simbolo il leone. E infatti lo ritroviamo negli stemmi araldici di famiglie bretoni e normanne e proprio dalla Normandia ritorna successivamente in Inghilterra, entrando in maniera permanente nello stemma araldico della famiglia reale.
Uno dei primi sigilli reali inglesi con significato araldico, infatti, è quello del “normanno” Guglielmo il Conquistatore (battaglia di Hastings del 1066), che aveva come emblema due leoni. Anche i Plantageneti, ramo della dinastia angioina, che soppiantarono in seguito la dinastia normanna, avevano come proprio simbolo il leone.
Il normanno Riccardo I, detto Cuor di Leone, famoso per la sua partecipazione alle crociate, aveva come proprio emblema i tre leoni che da allora in poi compariranno sempre negli stemmi delle case regnanti inglesi e diventeranno, insieme al giglio, il simbolo stesso della monarchia. I leoni compaiono in una serie interminabile di stemmi di famiglie nobili e di città inglesi.
Magno Massimo soggiornò a lungo, in qualità di imperatore, anche a Treviri, capitale della provincia delle Gallie, che egli elesse a sede dell’amministrazione imperiale. E’ appunto nella regione intorno a questa città che si trova un altro dei centri principali di diffusione del leone come simbolo araldico, che è divenuto il simbolo di due regioni, le Fiandre ed il Brabante, oltreché di un gran numero di famiglie nobili locali.
Tre secoli dopo Magno Massimo, queste stesse famiglie aiutavano i Carolingi nella scalata al trono e ne venivano compensate con feudi e corone reali soprattutto nel Nord Europa. E’ così che ritroviamo il leone di Giuda nella Germania, Bohemia e Cecoslovacchia, quale simbolo della nobiltà insediata a suo tempo da Carlo Magno. Successivamente lo troviamo fra la nobiltà e case regnanti di Danimarca, Norvegia, Svezia e perfino Finlandia.
Fiandre |
Brabante |
stemma reale Norvegia |
stemma reale di Scozia |
Leon, Spagna |
Stemma reale danese |
stemma reale Inghilterra |
Asburgo |
Alcuni fra gli innumerevoli stemmi di regioni e stemmi reali europei con il simbolo del leone
Il leone è senza dubbio il simbolo che fa la parte, è il caso di dirlo, del leone negli stemmi araldici delle case regnanti e della nobiltà nordeuropea, e denuncia la loro appartenenza al pool sacerdotale, sia per origine diretta, sia anche grazie alla politica matrimoniale tipica della famiglia. Da quanto detto, sembra verosimile che per quanto riguarda il Centro e Nord Europa il suo impiego debba collegarsi al ramo spagnolo della Gens Flavia, che con Teodosio e Magno Massimo, partendo dalla Spagna, si impose in Britannia, Gallia, Belgio e Germania occidentale.
Ritroviamo
il leone maggioritario anche nei simboli delle famiglie ebraiche romane e, nel
mondo cristiano, in stemmi di alcune grandi famiglie nobiliari del Centro
Italia. Per questi ultimi si prospetta una duplice origine: o discendevano da
famiglie ebraiche convertite nel medioevo, oppure appartenevano a famiglie
senatoriali romane che avevano ereditato il diritto al simbolo direttamente dai
primi sacerdoti giudaici emigrati a Roma. Al primo gruppo appartengono ad
esempio i Pierleoni, che dal decimo secolo in poi costituiscono una delle più
grandi famiglie nobiliari romane, e presumibilmente un folto gruppo di famiglie
nobiliari minori che si fregiano del simbolo del leone.
Al
secondo gruppo appartengono non soltanto persone fisiche, come papa Gregorio II
(715), ma anche regioni e città; fra queste un posto tutto particolare merita
Venezia.
L’aquila viene normalmente associata con il potere imperiale. E infatti tutte le famiglie imperiali europee hanno nel loro stemma l’aquila. Nella percezione comune il suo impiego viene fatto risalire all’aquila romana, che era il simbolo del padre degli dèi, Giove, e veniva usata spesso come insegna delle legioni romane. Quella che compare negli stemmi araldici europei, tuttavia, non è l’aquila romana, ma l’aquila asmonea, che era impressa su monete del regno di Giuda al tempo degli Asmonei.
L’aquila asmonea compare per la prima volta con Carlo Magno. Egli infatti, da un lato impiegava nei propri sigilli e su altri oggetti personali il simbolo del giglio, dall’altro usava spesso anche quello dell’aquila asmonea. Mentre il giglio stava ad evidenziare la sua condizione sacerdotale (si proclamava re-sacerdote), l’aquila mostrava la sua discendenza asmonea. E’ possibile che sottolineasse in qualche modo anche la sua condizione imperiale, che fosse cioè un simbolo adottato da famiglie sacerdotali che annoveravano fra i propri antenati almeno un imperatore Sol Invictus. Il simbolo dell’aquila, infatti è frequente in famiglie nobili originarie di una fascia di territorio che va dalla Savoia all’antica Pannonia, attraverso il Norico, Illiria e Aquileia (che dall’aquila prese il nome) e di qui verso nord lungo la valle del Reno. Vale a dire l’area di provenienza di tutti gli imperatori Sol Invictus e cristiani del terzo e quarto secolo, i quali certamente possedevano immense proprietà terriere in queste regioni, dove i loro discendenti costituirono il nerbo della nobiltà senatoriale successiva.
Alcune di queste famiglie, come i Savoia, sostituirono nei loro stemmi araldici il simbolo orininario dell’aquila con un altro, nel caso specifico una croce. Altre, invece, come quella degli Asburgo, i cui antenati conosciuti presero le mosse da un castello del villaggio di Hapsburg, nella Svizzera orientale, hanno sostituito il loro primitivo simbolo araldico del leone rampante, con quello dell’aquila, più confacente alla dignità imperiale.
Insegna della Germania |
L’aquila imperiale russa |
Insegna di Ottone IV |
Sacro Romano Impero |
Iugoslavia |
Aquila dei Savoia |
Casata veneziana dei Giustiniani |
Insegna araldica del Friuli |
Altra famiglia imperiale che aveva a proprio simbolo l’aquila asmonea è quella degli ottonidi, scaturita da quel gruppo di famiglie di latifondisti che avevano aiutato i carolingi nella loro ascesa e quasi sicuramente imparentata con essi. Tutte le casate imperiali europee, quindi, avevano come simbolo l’aquila, il che lascia supporre che esso fosse indicativo di una sorta di diritto ancestrale al titolo, derivato appunto dagli imperatori romani di origine pannonica.
L’aquila asmonea, però, è anche il simbolo di famiglie del centro e Nord Italia (ad esempio papa Sabiniano (604-606)) che non hanno mai avanzato pretese imperiali e anche di molte famiglie ebraiche, per cui dobbiamo ritenere che fosse distintiva di una qualche famiglia sacerdotale venuta a Roma al seguito di Tito, e i cui membri si trasferirono poi nella Pannonia, al seguito del Sol Invictus, divenendone classe dominante.
Fra i simboli araldici che caratterizzano le famiglie di sangue reale un posto non secondario è tenuto anche dal drago. Assieme al leone, anzi, è uno dei primi a comparire nelle cronache storiche, riferito ad una famiglia di origine sacerdotale. Fra i re citati dal monaco britannico Gildas, infatti, c’è anche un certo Maglocunno, che viene definito col titolo di “dragone delle isole”, evidentemente dal suo emblema. Il drago era l’emblema di una coorte romana di stanza in Britannia ed era verosimilmente l’insegna del suo comandante, di certo un aderente del Sol Invictus come tutti gli alti ufficiali di quel periodo. Probabilmente si identificava, o ne era parente stretto, col capostipite della famiglia reale di Maglocunno, un certo Cunedda, funzionario romano insediato nel Galles da Magno Massimo. Il drago doveva essere l’emblema di famiglia di Cunedda, da cui discendeva anche un altro dei re gallesi citati da Gildas, Cuneglaso. Il drago era il simbolo anche di quell’Artorius che sconfisse i Sassoni a Badon. Egli era noto anche con il nome di “Pendragon”, evidentemente dal simbolo delle sue insegne. Il drago diviene poi il simbolo stesso del Galles e figura tutt’oggi nello stemma araldico del principe di Galles.
Il Drago, però, non era esclusivo di famiglie britanniche del quinto secolo. Esattamente nello stesso periodo, infatti, l’insegna con la sua immagine sventolava su una nascente città posta a migliaia di chilometri dal Galles, Venezia, quale emblema del suo primo patrono, San Teodoro [2] (il drago troneggia ancor oggi su una delle due colonne poste all’inizio di piazza San Marco).
Esso compare anche in altre famiglie reali e nobili soprattutto del Nord Europa, in Danimarca, Norvegia ed altri paesi del Mar Baltico, dove fu portato probabilmente dai cavalieri teutonici. E’ il primo emblema sacerdotale, anzi il primo emblema araldico in assoluto, che compare nel blasone della dinastia regnante russa, grazie al matrimonio del principe di Mosca Basilio I con una principessa lituana (di origine teutonica), che gli portò in dote il diritto di fregiarsi di uno stemma araldico sacerdotale. [3] E grazie alla politica matrimoniale successiva anche questa dinastia viene fatta rientrare completamente nell’ambito sacerdotale, per cui altri simboli sacerdotali, dall’arpa, al giglio, al leone, per finire con l’aquila bicipite asmonea entrano nell’araldica imperiale russa.
Anche l’arpa davidica è un simbolo non secondario nell’araldica delle famiglie di sangue reale e della nobiltà, soprattutto nelle Isole britanniche. Essa è il simbolo stesso dell’Irlanda e perciò quasi certamente risale all’epoca della sua conversione. Presumibilmente era l’emblema di famiglia di San Patrizio, o comunque di un qualche membro di famiglia sacerdotale del suo seguito che assunse una posizione predominante nell’isola. Dall’Irlanda il simbolo dell’arpa è stato poi portato in Scozia, entrando a far parte integrante delle insegne reali di quel paese, e tramite la Scozia è entrato anche nello stemma reale dell’Inghilterra. Ovviamente non si tratta della migrazione pura e semplice del solo simbolo, perché essa si accompagna all’insediamento di una persona fisica che di quel simbolo è portatrice, vuoi per matrimonio, conquista o altro.
L’arpa figura negli stemmi araldici di molte famiglie nobili dell’arcipelago britannico, che dobbiamo considerare di discendenza sacerdotale. L’arpa figura anche su monete del moderno Israele, a conferma della sua origine giudaica.
Stemma reale irlandese, con l’arpa. A destra lo stemma araldico adottato dal Commonwealth inglese nel 1649.
La torre è un simbolo molto diffuso nell’araldica, specialmente in Italia e Spagna, ed è assieme al leone uno dei due simboli della monarchia spagnola, che ha incorporato gli emblemi di due regni cristiani rimasti nella penisola iberica dopo la conquista araba: Leon e Castiglia. Il suo uso sembra molto antico, al pari del leone, perché la Castiglia ha preso il suo nome proprio da esso (da castello). Con tutta evidenza la torre era il simbolo distintivo della famiglia dominate in questa regione all’epoca in cui cominciò a porsi come entità autonoma. La sua origine, quindi dovrebbe risalire alla classe senatoriale terriera del quinto secolo, che doveva avere stretti legami con la Gens Flavia del vicino Leon.
In Italia è il simbolo di potenti famiglie nobili legate alla Chiesa, come quella dei Torrigiani, che hanno fornito alcuni papi alla Chiesa. Una origine da famiglie senatoriali di Roma appare probabile, perché compare già nel 607 come simbolo di papa Bonifacio III, appartenente alla nobiltà senatoriale.
Tra i simboli più espliciti derivati dal tempio di Gerusalemme abbiamo individuato la colonna, il monte e il pavimento a scacchi. Essi dovrebbero indicare famiglie che vantavano un passato servizio presso quel tempio, dovrebbero quindi essere stati mantenuti, in ambito cristiano, da famiglie vicine alla Chiesa e da istituzioni strettamente legate alla religione.
Nel mondo nobiliare cristiano la colonna è un simbolo che si ritrova quasi soltanto presso la nobiltà romana legata alla Chiesa, e che ha come maggiore esponente la grande e notissima famiglia dei Colonna (stemma a sinistra). L’origine di questa famiglia, come per molte altre dell’aristocrazia romana, è oscura. Il fatto che porti lo stesso nome del suo emblema lascia ritenere probabile che si trattasse di una famiglia ebraica, convertita al cristianesimo e immediatamente cooptata, nell’alta aristocrazia romana.
Anche il monte, come la colonna è un simbolo che compare quasi esclusivamente nel Centro Italia, dove diverse grandi famiglie, legatissime alla Chiesa, lo hanno inserito nel proprio stemma. Un esempio notevole è costituito dalla famiglia Chigi, fra cui si annoverano cardinali e papi. Non è un caso che lo stesso simbolo caratterizzi un numero notevole di famiglie ebraiche e anche una fra le più grandi banche italiane e certamente la più antica, che da questo emblema ha preso il nome, il Monte dei Paschi.
Anche gli scacchi sono un simbolo originariamente limitato all’Italia centrale e strettamente collegato alla Chiesa. Li troviamo, infatti, sovrapposti ad altre figure araldiche di derivazione sacerdotale, come le aquile asmonee di ben cinque papi del decimo secolo, il leone della famiglia Pierleoni e varie altre.
Gli scacchi compaiono anche nello stemma dei conti Di Segni, legati alla Chiesa, e ovviamente dei papi forniti da questa famiglia [4] . Compaiono anche negli stemmi di ordini monastici, come ad esempio quello cistercense, creato da Bernardo di Chiaravalle, artefice primo dell’istituzione dell’ordine cavalleresco di Templari.
A sinistra l’aquila a scacchi dei Conti di Segni. Al centro emblema dell’ordine dei Cistercensi. A destra quello della congregazione benedettina di Baviera
I simboli certamente più impiegati e diffusi nell’araldica europea sono quelli che indicano non l’appartenenza a un determinato clan familiare di origine giudaica, ma l’appartenenza all’ordine sacerdotale stesso, in quanto che rappresentano la divinità. Essi sono il triangolo, l’esagramma e il pentalfa. Questi ultimi sono molto spesso sostituiti dalle loro rappresentazioni floreali, il giglio per il primo e la rosa per il secondo, che hanno un significato del tutto equivalente al simbolo geometrico.
Il triangolo, invece, quando non è espressamente disegnato, è rappresentato dalla disposizione delle figure araldiche, che vengono ripetute tre volte, formando un triangolo equilatero, oppure sei volte disposte in modo da formare un triangolo semplice (3,2,1), o un esagramma (1,2,2,1).
La stella a cinque punte, sia nella sua forma geometrica che in quella floreale, è uno dei simboli che compare con maggior frequenza nei luoghi dedicati al culto cristiano nel primo millennio. E’ anche fra quelli che compaiono con maggior frequenza non solo negli stemmi di famiglie legate alla Chiesa e nell’araldica della Chiesa stessa. L’ultimo papa ad inserire la stella a cinque punte nel proprio stemma araldico è stato papa Montini, che ne ha fatte apporre due sopra i tre monti disposti a triangolo che provengono dal suo stemma di famiglia [5] .
Stelle a cinque punte contraddistinguono anche chiese e oggetti dedicati al culto cristiano, come le immagini della Madonna, e perfino entità territoriali e statali dove il cristianesimo è, o era all’origine, imperante.
Non dimentichiamo che l’Italia stessa è sotto l’egida del Pentalfa, che contrassegna ogni suo documento ed ogni persona dedicata al suo servizio. E, com’era da aspettarsi viste le premesse, l’Italia non è la sola ad essere “marcata” con il contrassegno del pentalfa. Anche l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America lo sono. Le stelle che compaiono nella loro bandiera, infatti, sono tutte a cinque punte. Non è soltanto una questione estetica; è stata una scelta precisa dal profondo significato simbolico.
Il pentalfa è
l’ emblema dell’Italia. Anche le stelle che compaiono sulle bandiere
dell’Europa
e degli Stati Uniti d’America sono pentalfa
Il pentalfa compare in maniera esplicita in una infinità di contesti, ma ancora più frequente è l’impiego in sua vece del simbolo che con tutta evidenza lo rappresenta: la rosa a cinque petali. La troviamo quasi sempre rappresentata nelle chiese romaniche, in conventi e monasteri. E’ anche il simbolo dei cosiddetti Maestri Comacini, una confraternita di architetti, che a partire dall’epoca dei Longobardi partecipò per vari secoli alla costruzione di chiese e cattedrali in Italia e nel Nord Europa e che vengono considerati da molti come i precursori della moderna massoneria.
La rosa a cinque petali, nelle versioni bianca o rossa, semplice o multipla, figura nello stemma araldico anche di molte famiglie nobiliari. Essa è entrata a far parte dei simboli di regalità quando è stata adottata dalle casate inglesi degli York e Lancaster, che si contesero a lungo il trono d’Inghilterra, in quella che viene definita la “guerra delle due rose”. Successivamente, sempre per via matrimoniale, è stata adottata anche dalla casa dei Tudor, e via via da una parte non trascurabile della nobiltà inglese.
Se il pentalfa è un simbolo sacerdotale, il triangolo e il doppio triangolo nella tradizione giudaica sono simboli che rappresentano la divinità. Nel cristianesimo il triangolo è divenuto il simbolo del Dio uno e trino e viene rappresentato in tutte le chiese, al di sopra o dietro l’altare.
L’espressione più elevata della divinità nel mondo giudaico, però, era costituita da due triangoli sovrapposti in modo da formare una stella a sei punte, che nella percezione popolare è un simbolo essenzialmente ebraico. Molti potrebbero quindi meravigliarsi nell’apprendere che esso compare con estrema frequenza nelle chiese e cattedrali cristiane, disegnato sui pavimenti e sui fregi e decorazioni dei frontoni e delle pareti.
La stella a sei punte compare non solo in molti simboli familiari ebraici, ma anche in un numero molto elevato di stemmi araldici della Chiesa, da quelli personali di papi, cardinali e vescovi, a evidenziare la loro condizione sacerdotale, a quelli di diocesi e istituti religiosi.
Meno frequente è l’uso esplicito di triangoli, sia doppi che semplici, nell’araldica delle famiglie nobili “laiche”. Nella stragrande maggioranza dei loro stemmi, infatti, l’origine sacerdotale è “suggerita” dalle suddivisioni geometriche dello stemma e soprattutto dal numero e disposizione degli elementi che vi compaiono. Nell’araldica europea oltre a quelli di chiara origine giudaica vengono impiegati, specie nelle casate minori, una grande varietà di altri simboli quali palle, conchiglie, animali e oggetti vari, che non hanno per se stessi un significato sacerdotale e che sono legati probabilmente alla storia o anche alla professione originaria della famiglia.
La condizione sacerdotale è suggerita dal fatto che questi simboli sono ripetuti la maggior parte delle volte in numero di tre, disposti in modo da formare un triangolo equilatero, come ad esempio le tre api dello stemma dei Barberini. Altre volte sono disposti in modo da “disegnare” un triangolo, come i tre monti dello stemma del Monte dei Paschi.
Spesso il triangolo è rappresentato da tre punti che si ripetono più volte nello stemma, a completamento delle figure in esso rappresentate, come ad esempio nello stemma di Pisa, formato da una croce con tre punti al termine di ogni braccio, o l’ermellino che compare in continuazione negli stemmi nobiliari anglosassoni.
Molto spesso gli elementi araldici sono in numero di sei, disposti in modo da formare un triangolo semplice (in file sovrapposte di 3, 2, 1), o un doppio triangolo (1, 2, 2, 1); in questo secondo caso, infatti, basta unire i vertici ai due elementi intermedi opposti, per ottenere una stella di Davide. Alla prima categoria appartiene, per esempio lo stemma della grande famiglia dei Farnese, formato da sei gigli disposti in file di 3,2,1. Un esempio molto conosciuto della seconda categoria è lo stemma dei Medici, formato da 6 palle disposte in file di 1,2,2,1.
Che la disposizione degli elementi, come pure dei punti, a triangolo sia intenzionale e voglia rappresentare proprio un triangolo è provato, per esempio, dal fatto che Lorenzo il Magnifico ha disegnato di suo pugno delle versioni del proprio stemma in cui le palle sono sparite, sostituite da un vero e proprio triangolo geometrico.
Il triangolo, comunque rappresentato o suggerito, è la figura geometrica dominante negli stemmi araldici della nobiltà europea, grande o piccola che sia, ed in quelli a qualunque titolo legati alla Chiesa. Esso indica in maniera immediata e diretta l’appartenenza all’ordine sacerdotale di coloro che se ne fregiano.
Stemma araldico dei Farnese, praticamente identico a quello di altre grandi famiglie europee. Presenta un simbolismo doppiamente sacerdotale, con sei gigli disposti in modo da formare un triangolo isoscele, come le tre api dello stemma Barberini
Uno dei simboli più diffusi nell’araldica europea è il giglio, che abbiamo visto essere l’emblema dell’antica Israele. Come la rosa è il simbolo sostitutivo del pentalfa, così il giglio rappresenta la stella di Davide e viene impiegato in sua vece con lo stesso significato. Esso denuncia in modo immediato ed evidente l’appartenenza alla famiglia più elevata nella gerarchia sacerdotale giudaica.
Fin dall’inizio, il giglio si impone come simbolo di regalità. Il primo impiego documentato è fatto ad opera di Flavio Anicio Carlo, alias Carlo Magno, che amava definirlo “fiore insigne di regalità” e lo rappresentava sui propri vestiti, sullo scettro, sulla sua corona e nei propri sigilli (conservati a Roma). I gigli compaiono in continuazione anche nei manoscritti dei carolingi. [6] Che si trattasse di un simbolo di condizione sacerdotale, più che un indicativo di clan familiare, è provato dal fatto che Carlo Magno impiegava anche il simbolo dell’aquila asmonea che è invece indicativo di famiglia.
Prima di Carlo Magno il simbolo del giglio compare in alcune monete bizantine battute fra il 610 ed 685, rappresentanti gli imperatori Eraclio, Costantino II e Giustiniano II.
Non c’è alcuna evidenza, invece, che il giglio fosse impiegato dai Merovingi, che erano franhi di origine barbarica, anche se artisti del quattordicesimo secolo li rappresentano con le vesti coperte di gigli. Gli unici gigli legati alla dinastia merovingia sono quelli che compaiono sulla corona e sullo scettro della regina Fredegonda (evidentemente non di origine gallo-romana), sulla sua tomba di Saint Germain des Près [7] .
Carlo Magno e i suoi successori concedono il privilegio di fregiarsi del simbolo del giglio (o forse sarebbe più appropriato dire che appongono su di loro il proprio marchio di proprietà) a decine di città della Francia, fra cui Parigi, Lille, Brest, Caen, Poitiers, Niort, Tours, Blois, Bordeaux, Angers, Orleans, Reims, Frejus, Le Havre, Laon, Versailles e così via. [8] Questo privilegio fu concesso anche a città italiane, fra le quali l’esempio più notevole è costituito da Firenze. E’ appunto in quell’occasione che il nome della città viene trasformato dall’originario di Fluentia (stando a Plinio) in quello attuale di Florentia.
Anche i Capetingi, succeduti ai Carolingi sul trono di Francia (e poi di mezza Europa) adottano come proprio simbolo il giglio. Il giglio diventa il simbolo stesso della Francia e compare come simbolo della monarchia francese in tutti gli stemmi delle famiglie reali. Dalla Francia si estende in Inghilterra ed in tutti i paesi le cui case regnanti e nobili si imparentano con la dinastia francese.
Anche gli Angioini, il cui simbolo originario di famiglia era il leone, alla fine adottano il giglio. Carolingi, Capetingi e Angioini dovevano ritenersi tutti diretti discendenti degli Asmonei (Maccabei), dal momento che il soprannome Martello (= Maccabeo) compare fra i capostipiti di tutte tre le dinastie.
Altrove, però, ad esempio in Italia, il giglio dovette rimanere soltanto una indicazione di appartenenza alla classe sacerdotale, senza legami con la regalità. Esso infatti entra nello stemma di famiglie nobili che non hanno alcuna aspirazione alla regalità, ad esempio i Farnese, come pure nello stemma di molti papi, ultimo in ordine di tempo in quello di Paolo VI.
Stemma reale di Francia |
Il giglio di Firenze |
Stemma della Bosnia |
Stemma dei Capetingi |
Bandiera del Quebec |
Bandiera acadiana |
Inghilterra 1405 |
Maria I di Scozia |
Un simbolo molto frequente tra la nobiltà europea e fra i vari istituti e ordini religiosi è quello della croce, in tutte le sue forme e varianti. Non poteva essere diversamente in un’Europa che si è formata sotto l’egida del Cristianesimo; soprattutto in considerazione del fatto che l’araldica è nata e si è imposta in tutta Europa in concomitanza con le crociate, dove il simbolo della croce contraddistingueva i guerrieri cristiani che si opponevano agli infedeli.
Molte famiglie nobili hanno adottato il simbolo della croce per testimoniare la loro condizione di campioni della fede, militanti sotto le bandiere di Cristo, anche se avrebbero potuto con buon diritto fregiarsi con altri simboli di tradizione specificamente sacerdotale giudaica. E’ il caso ad esempio dei Savoia, il cui simbolo originario, l’aquila asmonea, è stato rimpiazzato con la croce; o quello dei Lorena, che hanno guidato la prima crociata alla sua vittoriosa conclusione, e che hanno adottato a proprio simbolo la doppia croce che porta il loro nome.
In ogni caso, la croce non è per se stessa una indicazione di appartenenza all’ordine sacerdotale. Questa viene spesso suggerita da altri elementi abbinati alla croce stessa, come i tre punti alle estremità dei quattro bracci dello stemma di Pisa, i quattro gigli che talvolta fioriscono alle sue estremità (come nell’emblema di Edoardo il Confessore 1065) o altro ancora. Altre croci suggeriscono il triangolo suddividendo le estremità in due punte separate, altre limitando la croce a tre bracci soltanto, felice simbiosi fra triangolo e croce, e così via.
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[1] Leslie Alcock, Arthur’s Britain, pag 124
[2] J.J. Norwich, Storia di Venezia, p.48. Una statua di San Teodoro di Amasia, con il drago, può ancora essere vista a Venezia sulla colonna occidentale della piazzetta adiacente a San Marco.
[3] M. Maclagan, Lines of succession, Heraldry of the royal families of Europe, Rochester, 2002; p.199
[4] Non è forse un caso che i Di Segni siano anche una famiglia cohen ; un Di Segni, infatti, è dal 2001 rabbino capo della comunità ebraica di Roma
[5] B. B. Heim, L’Araldica nella Chiesa Cattolica – Origini, Usi Legislazione; Ed Vaticana, Città del Vaticano, 1981.
[6] A. De Beaumont, Recherche sur l’origine du blason et en particulier sur la fluer del lis, Puiseaux, 1996, pagg. 88, 119
[7] Ibidem, pag. IX
[8] Ibidem, pag XXI