Le prime testimonianze dirette dell’uso di simboli sacerdotali giudaici ci vengono, com’era logico aspettarsi dalla Chiesa, dove hanno cominciato ad essere impiegati dai papi come sigilli e simboli personali fin dal primo medioevo. Apre la lista il successore di Gregorio I Magno, Sabiniano (604-606), che inalbera a proprio simbolo un’aquila con le ali spiegate. Segue Bonifacio terzo, che ha come simbolo distintivo, invece, una torre. I papi successivi adottano simboli più propriamente cristiani, come la croce e il monogramma del Christos (lo stesso impiegato da Costantino nei suoi labari e monete). Nel 715 Gregorio II, romano, torna a impiegare il simbolo di due leoni affrontati, che reggono tra le zampe una rosa, immagine floreale del pentalfa. Nel 904 Sergio III inaugura una serie di cinque papi romani che hanno per simbolo un’aquila asmonea a scacchi oro e neri.
Il secondo millennio si apre con papa Silvestro II, che inalbera un giglio dorato. Il successore, Sergio IV, ha sei stelle disposte a triangolo (1,2,3). Seguono Benedetto VIII, Giovanni XIX e Benedetto IX, con la solita aquila a scacchi; e tornano infine nel 1045, con Gregorio VI, i due leoni affrontati, che reggono un bisante fra le zampe. Stemma scontato per questo papa, appartenente alla famiglia ebraica dei Pierleoni. E poi ancora leoni, con Vittore II, Nicolò II, Gregorio VII, Gregorio VIII, Anastasio IV e così via; l’aquila asmonea bicipite con Onorio II e Gregorio VII; tre gigli disposti a triangolo con Celestino II; stemma a scacchi con Urbano II, Callisto II e Clemente III; la luna crescente con Eugenio III; e così via.
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Sono in maggioranza simboli che abbiamo già visto nel capitolo precedente: il leone di Giuda, l’aquila asmonea, i gigli di Israele, la luna crescente, la rosa, le figure a scacchi e gli elementi disposti a triangolo. La possibilità che si tratti di coincidenze casuali deve considerarsi remota. Fino al diciannovesimo secolo la quasi totalità dei papi proveniva dalla classe nobiliare ed essi adottavano il simbolo della propria famiglia. In tempi più recenti l’origine nobiliare dei papi non è sempre accertata, ma i simboli che hanno adottato nei loro stemmi sono chiaramente sacerdotali.
Riconoscimento delle proprie origini genetiche o della propria condizione di sacerdoti? Pio XII, per esempio, aveva come stemma tre monti disposti a triangolo con la colomba della pace; Giovanni XXIII ha adottato il leone di Venezia sopra una torre con due gigli affiancati. Paolo VI, sopra i sei monti disposti a triangolo, che costituiscono lo stemma di famiglia, ha posto tre gigli in triangolo; papa Luciani adottò come stemma sei monti disposti a triangolo, sormontati da tre stelle a cinque punte e dal leone di Venezia.Papa Woitila è il primo a rompere la tradizione, mettendo nel proprio stemma una banale croce eccentrica, con una lettera dell’alfabeto (M). Anche il suo successore, Ratzinger, pone nel suo stemma tre simboli non sacerdotali, ma li dispone a triangolo.
Paolo III Farnese Urbano VIII Barberini Leone XI Medici Pio XI
Giovanni XXIII |
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Giovanni Paolo I |
I Carolingi discendevano da una grande famiglia senatoriale romana, quella degli Anici, e hanno imposto su tutte le terre da essi conquistate una nobiltà derivata da una trentina di famiglie provenienti dall’aristocrazia senatoriale gallo-romana, che li avevano aiutati nella scalata al trono. [1]
Questo fatto trova conferma nell’araldica, perché ritroviamo simboli sacerdotali giudaici negli stemmi di quasi tutta la nobiltà dei territori che hanno fatto parte dell’impero di Carlo Magno. In particolare è la Germania che costituisce la prova più significativa, perché non ha mai fatto parte dell’impero romano e quindi non è mai stata colonizzata da famiglie senatoriali romane, come il resto dell’Europa. Se vi si ritrovano gli stessi simboli, significa che la nobiltà locale ha la stessa origine. Vediamo allora la seguente immagine sintetica che rappresenta gli stemmi dei vari stati e principati della Germania ovest.
Una vecchia immagine che mostra gli stemmi araldici degli stati della Germania Ovest e quelli dei loro predecessori. La maggioranza dei simboli sono di origine sacerdotale giudaica.
Emblema dell’impero asburgico, con gli stemmi araldici delle sue
varie componenti.
Anche qui in maggioranza si tratta di simboli di origine
sacerdotale
Anche per la maggior parte della nobiltà inglese l’araldica conferma l’analisi storica che la vuole di origine sacerdotale. Basta, ad esempio dare un’occhiata agli stemmi dei cavalieri che hanno partecipato alla battaglia di Agincourt, nel 1415, durante la guerra dei cent’anni, per rendersene conto. E’ un vero e proprio catalogo di simboli sacerdotali giudaici: gigli, leoni, aquile, stelle a cinque punte, lune, galli, triangoli ed elementi disposti a triangolo.
Anche gli stemmi delle monarchie europee sono un vero e proprio catalogo di simboli sacerdotali. Sono un resoconto “stenografico” della politica matrimoniale di ciascuna famiglia, e rappresentano le principali linee sacerdotali che vi sono confluite.
Stemma araldico dell’Inghilterra nel 1554
Non minore sembra essere il posto occupato nella gerarchia sacerdotale da un’altra grande casata reale europea, quella dei Borboni. Se in Francia essi innalzano uno stendardo composto da soli tre gigli disposti a triangolo, altrove i loro stemmi riportano informazioni dettagliate sulle linee sacerdotali che sono confluite nella famiglia. Come esempio possiamo prendere lo stemma del regno delle Due Sicilie, dove era insediato un ramo laterale dei Borboni di Spagna.
Gli stemmi araldici delle grandi case reali europee di norma indicano che esse discendono direttamente da dinastie sacerdotali “pure”, senza intrusioni di elementi estranei. E’ soltanto nelle case reali alla periferia del nucleo storico dell’Europa che compaiono elementi estranei all’ordine sacerdotale. Vediamo ad esempio gli stemmi della Romania e dell’Ungheria:
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Simboli araldici nella nobiltà europea
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L'araldica, stenografia della Storia
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La stirpe dei sacerdoti
[1] Questo è confermato, come si è visto, dalle indagini storiche eseguite da Gerd Tellenbach (1903–1999), direttore dell’Istituto di Storia Germanica di Roma, e dagli altri ricercatori della sua scuola.