Il silenzio della Bibbia sui destini della famiglia madianita di Mosè può essere attribuito soltanto a due cose: o c’è stata una censura che ha tagliato o mascherato, a seconda dei casi, tutte le notizie relative a questa famiglia, oppure essa è sparita, per un qualche motivo, prima dell’invasione della Palestina.
Ma se così fosse stato, il racconto avrebbe dovuto riportarlo; una cronaca tanto dettagliata da registrare un banale litigio di Miriam a causa della moglie di Mosè, dovrebbe necessariamente riportare un fatto così enorme come l’eventuale annientamento della sua famiglia.
In ogni caso, quindi, si deve ammettere che una qualche forma di censura ci sia stata, o da parte dell’autore stesso del Pentateuco, oppure successivamente, perché niente viene riportato in merito ad un argomento come questo, di primaria importanza proprio nella logica e mentalità stessa di chi ha riportato i fatti.
Ma se i motivi per tacere o censurare ogni informazione in merito alla tomba di Mosè sembrano evidenti, verosimilmente per evitarne la profanazione ed il saccheggio, non altrettanto lo sono i motivi per tacere o censurare informazioni relative alla famiglia del profeta. L’idea che qualcuno abbia voluto cancellarla dalla storia, sembra incomprensibile. Eppure è un dato di fatto innegabile.
Il racconto originale doveva senza dubbio riportare notizie sui suoi figli, dal momento che le riporta per quelli di personaggi di minore importanza, come ad esempio Aronne. I suoi 4 figli, infatti, vengono seguiti uno ad uno. Il racconto riferisce come i due maggiori, Nadab e Abiu, siano morti bruciati e siano stati seppelliti nottetempo fuori dal campo. E riporta con dovizia di particolari come Eleazaro abbia preso il posto del primogenito e sia succeduto al padre; fornisce notizie anche dell’ultimo, Itamar, elencando gli incarichi che ebbe nella gestione del tempio-tenda.
E’ una censura, quindi, rivolta specificamente alla famiglia di Mosè e ai suoi figli, che vengono rimossi accuratamente.
Appare inverosimile, però, vista l’importanza della famiglia e del ruolo che essa deve aver svolto in seno alla società israelita, che tale operazione abbia potuto effettuarsi senza lasciare tracce. Nel testo devono necessariamente essere sopravvissuti indizi, incongruenze, fatti e nomi che denuncino in modo evidente l’operazione di censura e dai quali sia possibile ricostruire la vera storia di questa famiglia, e capire se è davvero scomparsa dalle cronache di Israele e quando, oppure se ha continuato a sussistere.
Incongruenze ed omissioni che appaiono incredibili e sono molto significative a questo proposito si notano già nell'ultimo libro del Pentateuco, Deuteronomio. Questo libro narra i fatti dell'ultima giornate terrena di Mosè, quando egli convoca l’assemblea del popolo ebraico e tiene un grande discorso di commiato, passando pubblicamente le consegne ed il potere ai suoi successori.
Ci sono cose che dovevano necessariamente essere riportate nella cronaca di quella giornata, perché ne costituiscono una parte importante, se non addirittura il motivo principale per cui era stata convocata l'assemblea. Non possiamo neppure immaginare che nella stesura originale del libro quelle notizie non fossero riportate, perché sono essenziali per la comprensione dei fatti di quel giorno, che stabiliscono l’assetto futuro del popolo di Israele.
La mancanza di queste notizie è clamorosa e denuncia in modo evidente l'intervento di una censura.
Il ruolo della famiglia di Mosè era stato probabilmente irrilevante nei primi libri del Pentateuco e perciò una eventuale operazione di censura poteva non aver lasciato tracce evidenti. Forse è stato sufficiente sopprimere qualche nome, come nel caso della "moglie cushita" e pochi versi qua e là, per cancellare ogni traccia della famiglia senza compromettere l'intelligibilità dei fatti.
Non così in Deuteronomio. Al momento della dipartita di Mosè da questo mondo, la sua famiglia balza necessariamente in primo piano, perché è proprio in questo momento che i suoi figli ne assumono l'eredità, oppure ne vengono esclusi traumaticamente in favore di qualcuno altro. Di norma è alla morte del grande condottiero che succedono i fatti rilevanti nella storia di un popolo, e la sua famiglia è sempre al centro di questi fatti.
La famiglia di Mosè, quindi, doveva necessariamente essere al centro dei fatti accaduti nella sua ultima giornata terrena. Esaminando gli avvenimenti come sono riportati in Deuteronomio, ci si rende conto che nella stesura originale doveva effettivamente essere così.
Deuteronomio è il libro in cui viene descritto il commiato di Mosè dal suo popolo e le azioni mediante cui getta le basi dell'organizzazione sociale e religiosa di Israele, passando le consegne ai nuovi capi e dettando le regole per il futuro.
Nel suo grande discorso Mosè ricorda le benemerenze di Jahweh nei confronti di Israele e raccomanda fedeltà assoluta a lui ed ai suoi comandamenti, pena castighi severissimi.
Egli insiste su due punti in particolare. Il primo è l'unicità del luogo di culto: per quanto ampio sarà il territorio conquistato da Israele, dovrà esistere un solo tempio dove vengono effettuati i sacrifici a Jahweh e convogliate le offerte del popolo.
Non nomina mai il luogo in cui sorgerà, perché il discorso viene pronunciato quando la Palestina deve ancora essere conquistata. Dice soltanto che dovrà essere unico e che nessun sacrificio sarà permesso all'infuori di esso.
Il secondo punto è l'obbedienza alla classe sacerdotale, che nelle sue raccomandazioni diviene il fulcro della vita non solo religiosa, ma anche civile di Israele. Egli tratteggia quindi una società teocratica, retta da una casta sacerdotale che regola tutti gli aspetti della vita sociale del popolo, fatta eccezione per la sua difesa.
Su questo punto, e cioè sul potere politico, Mosè non si dilunga. Chi eserciti l'autorità politica è secondario in questa sua visione della società israelita. Poiché Israele sta entrando in un paese, la Palestina, che di fatto è ancora una provincia egiziana (1) , appare implicito che debba riconoscere l'autorità egizia.
Quanto ad una autorità politica propria, Mosè si limita a raccomandare che se mai il popolo dovesse ravvisare la necessità di avere un re, esso dovrà essere scelto e consacrato dal sommo sacerdote e preso da una delle tribù di Israele, non fra gli stranieri (Dt.17,14-20).
Al momento, egli stabilisce su Israele un capo militare, Giosuè, con l’incarico di guidarli nella conquista di un proprio spazio in Palestina. L'intero 31.mo capitolo è dedicato alla nomina di Giosuè quale capo militare del popolo ed alla precisazione dei suoi incarichi.
Ci si aspetterebbe che analogo spazio, o anche superiore, venga dedicato alla presentazione dell'altro personaggio che dovrà sostituire Mosè quale leader religioso del popolo, il nuovo sommo sacerdote. Ma non c'è una sola parola al riguardo. Si potrebbe cercare di giustificare questo silenzio con il fatto che non fosse necessario presentare il sommo sacerdote, poiché esso poteva essere stato insediato in precedenza; ma questo non è sostenibile.
Non c’è dubbio, infatti, che per tutto il tempo in cui fu in vita, il sommo sacerdote fosse lo stesso Mosè. Fu lui che consacrò il tempio-tenda, lui fu sempre, fino all’ultimo, l’interlocutore del Signore, lui celebrava le cerimonie ed i sacrifici, lui consacrò Aronne.
Che Aronne fosse sacerdote è detto più volte nel Pentateuco, mai che fosse il sommo sacerdote. Anche di Eleazaro, suo figlio, si dice che divenne sacerdote alla morte del padre, ma certamente non sommo sacerdote.
In ogni caso il figlio di Elezaro, Fineas, considerato dagli esegeti come sommo sacerdote alla morte del padre, non fu mai nominato neppure sacerdote. La Bibbia, infatti, non lo presenta mai come tale (tranne in una glossa di Giudici - versetto che tutti i commentari considerano spurio).
Fineas compare per la prima volta, in Numeri 25,7, a Bet Peor, quando uccide con le proprie mani Zimri e Cosbi. Subito dopo Mosè gli affida il comando delle truppe che tornano a distruggere i madianiti ed è a lui in persona che Mosè ordina di uccidere donne e bambini madianiti riportati dall’incursione.
E sempre a Fineas viene dato l’incarico da Giosuè di riportare alla ragione le tribù di Ruben, Gad e la mezza di Manasse, che avevano eretto un altare sulle rive del Giordano al ritorno in Transgiordania (Gs.22). Non è certo l’immagine di un sacerdote quella fornita dalla Bibbia per Fineas, ma piuttosto del capo della guardia pretoriana di Mosè.
Curiosamente, quattro secoli più tardi il figlio del capo della famiglia di Aronne, Ioiada, viene indicato come capo della guardia pretoriana di Davide (2 Sam. 8,18). Coincidenza fortuita? Questo, nella Bibbia, succede molto raramente.
Stando alla Bibbia, quindi, Fineas non fu mai sacerdote, mentre Aronne ed Eleazaro, che pure vengono indicati come sacerdoti, non furono mai sommi sacerdoti. Chi fu designato sommo sacerdote da Mosè al momento del suo commiato da popolo ebraico?
Anche ammesso che il sommo sacerdote fosse stato in quel momento Eleazaro, dobbiamo aspettarci che egli comparisse a fianco di Mosè nei suoi ultimi momenti, come, giustamente, compare il suo erede militare, Giosuè. O quanto meno che il suo nome compaia qua e là in un libro quasi interamente dedicato a questioni di carattere religioso e sacerdotale.
Invece il nome di Eleazaro non compare mai nel libro di Deuteronomio, se non incidentalmente al versetto Dt.10,6, in relazione alla morte di Aronne (Là morì Aronne e vi fu sepolto. Eleazaro, suo figlio, divenne sacerdote al posto di lui.)
In nessuna parte del libro viene mai precisato chi fosse il sommo sacerdote, né chi avesse diritto al sacerdozio. Il che, in un libro come Deuteronomio, che doveva costituire il fondamento della legittimità delle cariche politiche e religiose in Israele, è inammissibile. E' fin troppo evidente che vi è stata esercitata una censura a questo proposito.
La consuetudine ed il diritto in vigore presso tutti i popoli, ma in particolare quello israelita, il fatto che Mosè abbia imposto la sua famiglia al di sopra di quella di Aronne (come testimoniato dal capitolo 12 di Numeri), la stessa logica e l'ordine naturale delle cose, la non esistenza nel testo di indicazioni contrarie, tutto concorre a farci concludere che Mosè deve aver presentato come proprio successore alla carica di sommo sacerdote il proprio figlio primogenito, Ghersom.
Come pure dobbiamo ritenere che i discendenti del primo grande sacerdote di Israele, Mosè, debbano aver ereditato quanto meno lo stato di sacerdoti.
Per una qualche ragione, qualcuno ha voluto cancellare la famiglia di Mosè dalle cronache di Israele ed ha quindi censurato tutte le parti di Deuteronomio in cui essa compariva. In tal modo ha creato un vuoto di informazioni su un argomento assolutamente cruciale nella storia del popolo ebraico. Vuoto che è stato riempito arbitrariamente, attribuendo ad Eleazaro una carica che in realtà non ha mai posseduto ed a cui non aveva diritto.
Se questo è vero, come sembra inevitabile, altri consistenti indizi devono emergere nei libri successivi, dove il ruolo della famiglia di Mosè doveva essere troppo importante per essere censurato senza lasciare tracce.
Il libro immediatamente successivo a Deuteronomio è quello di Giosuè, che narra la conquista e la spartizione della Palestina fra le tribù di Israele.
Terminata la conquista si riunì tutta la comunità dei figli di Israele in Siloh, …, quando fu sottomessa la terra che stava dinanzi a loro (Gs.18,1) … ed ivi Giosuè distribuì la terra ai figli di Israele.
Dei 24 capitoli del libro, i primi dodici descrivono le varie fasi della conquista; i dieci successivi sono interamente dedicati alla spartizione del territorio conquistato. In essi vengono elencate una per una tutte le famiglie di Israele, con i territori loro assegnati. La famiglia di Mosè, il personaggio in assoluto più importante di Israele, non poteva essere ignorata in questo contesto.
Incredibilmente non vi si trova neppure un singolo cenno che possa illuminare su che fine abbiano fatto i figli di Mosè. E’ sbalorditivo.
Tutti gli ebrei hanno avuto un pezzetto di territorio, anche i personaggi più insignificanti; persino qualcuno dei parenti madianiti di Mosè ha ricevuto la sua parte di eredità in Palestina. Infatti Obab il chenita e i suoi discendenti ebbero un territorio in mezzo a Israele, nella valle del Giordano, vicino a Gerico. Obab era fratello di Zippora e quindi cognato di Mosè; lo incontriamo per la prima volta in Numeri 10, quando Mosè si accinge a lasciare il monte Horeb. Evidentemente era venuto a Refidim al seguito del padre Ietro.
Mosè lo invitò ad unirsi a lui, dicendogli:
"Noi partiamo per il luogo circa il quale Jahweh disse 'Io ve lo darò'. Vieni con noi e per certo ti faremo del bene, perché Jahweh ha proferito il bene riguardo a Israele". Ma egli gli rispose: "Non verrò, ma andrò al mio proprio paese e ai miei parenti". A ciò disse: "Ti prego, non ci lasciare, perché conoscendo bene dove ci possiamo accampare nel deserto, ci devi servire da occhi. E deve accadere che nel caso tu venga con noi, con il bene con il quale Jahweh farà del bene a noi, noi, a nostra volta, faremo del bene a te". (Nm. 10,29-32)..
In Esodo non viene riportata la risposta finale di Obab, ma non ci può essere dubbio che sia stata positiva, altrimenti non avrebbe avuto un territorio fra gli israeliti. Segno evidente che egli aveva accettato le offerte di Mosè, unendosi a lui, e che questi aveva mantenuto le sue promesse.
E’ importante il fatto che il madianita Obab, in quanto cognato di Mosè, abbia avuto assegnata una parte di eredità in Israele, all'atto della spartizione. A maggior ragione, quindi, i figli veri e propri di Mosè devono aver avuto, all'atto della spartizione, una parte adeguata ai meriti e alla posizione del padre.
Invece nulla: i figli di Mosè non sono mai nominati, neppure di sfuggita. Quella famiglia sembra sparita, volatilizzata. Non è possibile si tratti di una semplice “dimenticanza”; sarebbe davvero clamorosa. Appare fin troppo evidente che ci deve essere stata una censura nel libro a questo proposito.
Ma non è l’unica. Dal momento che si cercano nel libro di Giosuè notizie che dovrebbero esserci e invece non ci sono, non si può fare a meno di rilevare un’altra clamorosa omissione di questo libro.
Fin dalla spartizione, la città di Silo, situata nel territorio montagnoso di Efraim, più o meno al centro del territorio conquistato, si era imposta come la località più importante della Palestina. Al termine delle operazioni militari, infatti,
“tutta l’assemblea dei figli d’Israele si congregò a Silo e vi collocarono la tenda di adunanza, giacché il paese era ora assoggettato dinanzi a loro (Gs. 18,1).Da Silo erano partite le tribù per andare a prendere possesso dei propri territori, separandosi le une dalle altre, dopo “quaranta” anni di vita e di guerre assieme.
“A Silo, dinanzi a Jahweh, all’ingresso della tenda dell’adunanza, Eleazaro il sacerdote e Giosuè figlio di Nun e i capi dei padri della tribù di Israele distribuirono a sorte come possedimento le eredità di ogni singola tribù” (Gs. 19,51).
Che Silo rivestisse un ruolo centrale nelle vicende della Israele dei Giudici, prima cioè che Davide e Salomone consacrassero Gerusalemme quale centro religioso e politico della nazione, può essere dedotto fin dal penultimo capitolo di Genesi, dove Giacobbe riunisce tutti i suoi figli per benedirli e preannunziare “quello che vi accadrà nei tempi futuri”.
In quell’occasione Giacobbe tolse la primogenitura a Ruben, per aver violato la sua moglie Bilha, e pure a Simeone e Levi per aver distrutto la città di Sichem. Arrivato al quarto figlio, Giuda, egli gli conferì il diritto di primogenitura, con le parole:
“Giuda, te loderanno i tuoi fratelli; la tua mano sarà sulla nuca dei tuoi nemici; davanti a te si prostreranno i figli di tuo padre …Non sarà tolto lo scettro da Giuda, né il bastone del comando di tra i suoi piedi, finché non verrà Silo, a cui esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli.” (Gn. 49,8-10)
Generazioni di esegeti hanno voluto vedere in questo passo una profezia relativa all’avvento del Messia, Gesù Cristo. La Bibbia di Gerusalemme, per esempio, traduce la parola Silo con un pronome: “colui” a cui esso (il bastone del comando) appartiene, ipotizzando che si tratti di una profezia relativa al Messia. (2) .
Ma la cosa è chiaramente una forzatura del testo. Queste parole sono la più chiara testimonianza che il “bastone del comando”, ad un certo punto passò da Giuda a Silo, vale a dire al titolare del tempio di Silo, a cui tutte le tribù dovevano obbedienza.
Una rapida indagine attraverso il testo biblico, infatti, è sufficiente a stabilire che Silo era assurta a città guida di Israele fin dalla conquista della Palestina ed era rimasta tale fino alla sua distruzione, operata dai Filistei ai tempi di Samuele.
E si trova conferma anche che in quell’intervallo di tempo rivestì in Israele lo stesso ruolo rivestito più tardi da Gerusalemme. In Geremia 7,12-16, infatti, il profeta, preannunciando la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio, mette in bocca a Jahweh le seguenti parole:
“… nella mia dimora che era in Silo avevo da principio posto il mio nome … io tratterò questo tempio (di Gerusalemme) che porta il mio nome e nel quale confidate e questo luogo che ho concesso a voi e ai vostri padri, come ho trattato Silo”.
Silo era stata distrutta subito dopo la sconfitta subita dagli ebrei ad opera dei filistei, quando l’arca fu catturata. Il racconto di Samuele omette di raccontarne la distruzione, ma fa un esplicito riferimento ad essa quando dice che alla sconfitta seguirono avvenimenti così gravi “che chiunque li udì ne ebbe stordite le orecchie” (1 Sam. 3,11).
In Giudici. 18,31 è detto chiaramente che a quei tempi “la casa di Dio era a Silo”. A Silo, infatti, che si trovava nel territorio montagnoso di Efraim, in posizione baricentrica rispetto ai territori conquistati, era stato eretto il tempio a Jahweh dove veniva conservata l’arca dell’alleanza (1 Sam.4,3) . A Silo risiedeva il gran sacerdote Eli.
A Silo tutta Israele portava le proprie offerte per il Signore (1 Sam. 2, 13 seg). A Silo tutti gli anni convenivano gli israeliti da ogni parte della Palestina, “per prostrarsi e sacrificare a Jahweh degli eserciti” (Gdc, 21,19;)(1 Sam. 1, 3).
Sulla base di tutte queste indicazioni, così chiare e precise, non è possibile nutrire dubbi sul fatto che il “bastone del comando”, subito dopo la conquista della Palestina era passato al titolare del tempio di Silo. Da allora fino alla sua distruzione, ai tempi di Samuele, Silo era stata per Israele quello che più tardi sarebbe stata Gerusalemme.
Ai tempi della spartizione del territorio fra le tribù di Israele, quindi, Silo era in assoluto la città più importante di tutta la Palestina. E il titolare del santuario, in quanto sommo sacerdote, era la massima autorità di Israele.
L’autore del libro di Giosuè non poteva ignorare quella che era in effetti la notizia più significativa di tutto il libro e cioè a chi fosse stata assegnata la città ed il suo santuario. Quindi, delle due l’una: o l’autore del libro ha omesso di citare la notizia, per una qualche sua ragione, oppure essa è stata cancellata successivamente.
E’ possibile stabilire, sulla base del testo, a chi fosse stata assegnata la città di Silo, nel corso della spartizione della Palestina? E’ opinione corrente che all’epoca della conquista il sommo sacerdote di Israele fosse Eleazaro, che avrebbe assunto la carica immediatamente prima della morte del padre Aronne.
Se questo fosse stato vero, è logico aspettarsi che la città sia stata assegnata ad Eleazaro. Ma il libro di Giosuè non lo dice. Anzi, un controllo accurato del testo permette di stabilire con certezza che la città non fu assegnata a nessuno dei leviti, e tantomeno ai discendenti di Aronne.
I leviti ebbero in tutto 48 città, distribuite fra le varie tribù, che sono nominate una ad una. In particolare
“ai figli del sacerdote Aronne toccarono in sorte tredici città nella tribù di Giuda, nella tribù di Simeone e nella tribù di Beniamino ( Gs.21,4)) … questa fu la porzione per i figli di Aronne, appartenenti alle famiglie levitiche dei Qehatiti, per i quali infatti fu estratto il primo sorteggio.
Furono date loro: … Hebron e i suoi pascoli, Libna e i suoi pascoli, Jattir e i suoi pascoli, Estemona e suoi pascoli, Holon e i suoi pascoli, Debir e i suoi pascoli, Ajin e i suoi pascoli, Jutta e i suoi pascoli, Bet-Semes e i suoi pascoli: nove città di quelle due tribù (Giuda e Simeone). Della tribù di Beniamino: Ghibeon e suoi pascoli, Gheba e i suoi pascoli, Anatot e i suoi pascoli, Alemon e i suoi pascoli: quattro città.” ( Gs. 21,10-18).
Il testo prosegue completando l’elenco nominativo di tutte le 48 città date in possesso ai leviti, comprese le quattro nella regione di Efraim: Sichem, Ghezer, Qibsaim e Bet-Horon. Di Silo neanche l’ombra!
Silo, quindi, non era stata assegnata ad un levita e tanto meno ad un discendente di Aronne, Eleazaro o suo figlio Fineas. Nondimeno era sede del tempio a Jahweh e vi risiedeva la più alta autorità di Israele.
Il fatto che nel libro di Giosuè non venga detta una singola parola da cui si possa capire a chi era stata assegnata la città costituisce una omissione altrettanto clamorosa di quella relativa alla mancata menzione della famiglia di Mosè. Non è possibile che il narratore ignorasse proprio quelle che erano le notizie più importanti di quella spartizione: a chi era stata assegnata Silo e quale era la parte toccata ai figli di Mosè.
L’ipotesi della censura diventa quindi una certezza. Come pure prende corpo l’ipotesi che fra la famiglia di Mosè e Silo ci fosse un nesso ben preciso.
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(1) E’ questo un dato di fatto che viene sistematicamente ignorato da tutti i commentatori e storici della Bibbia. Se l’Esodo è avvenuto nel 13.mo secolo a.C., ai tempi della XIX dinastia egizia, non c’è il benché minimo dubbio che la Palestina era una provincia egizia, retta da governatori egizi; e tale restò fino a quasi tutto l’undicesimo secolo a.C., e cioè per tutto il periodo storico narrato nel libro di Giudici
(2) L’interpretazione in chiave profetica è stata favorita fin dai tempi antichi da tutti i traduttori e commentatori della Bibbia, che vedevano in Gerusalemme il centro di culto unico ed evitavano di mettere in risalto il ruolo svolto da Silo prima del suo avvento. Questo versetto costituisce anche una testimonianza che i libri del Pentateuco, Giosuè, Giudici e Samuele sono stati scritti prima dei tempi di Davide