Ha importanza, ai fini della comprensione degli avvenimenti dell’esodo degli israeliti dall’Egitto, stabilire di chi fosse realmente figlio Mosè. Su questo argomento sono stati avanzate innumerevoli proposte, più o meno fantasiose, fra cui quella che fosse un fratellastro dello stesso Ramses II, o comunque un principe egizio di sangue reale. Nella Bibbia, che è l’unica fonte “storica” a questo proposito, non c’è nulla che autorizzi ipotesi del genere.
In Esodo 2,1-2 si dice che “un certo uomo della casa di Levi andò e prese una figlia di Levi. E la donna rimase incinta e partorì un figlio.” Trattandosi del fondatore della nazione ebraica, appare abbastanza incredibile che i suoi genitori vengano trattati in questo modo, senza neppure un nome. Parimenti sconcertanti e poco credibili appaiono anche i motivi per cui Mosè sarebbe stato abbandonato sulla riva del Nilo subito dopo la sua nascita.
La Bibbia tenta di giustificare questo fatto con un presunto ordine di sterminio dei neonati ebrei da parte del faraone. La giustificazione di un ordine così disumano non è affatto convincente (1) e non trova alcun riscontro nei costumi e nel carattere egizi dell’epoca. Dal racconto biblico, inoltre, non risulta che un solo bimbo ebreo sia stato ucciso, né di spada né di altro, a seguito di questo presunto ordine. L’unica “vittima” sarebbe stato proprio lui, Mosè. L’intera faccenda appare manifestamente infondata: un’accusa ingiustificata, montata forse su di un oscuro caso di cronaca nera, soltanto per nobilitare le origini dell’eroe, Mosè. Un’operazione non insolita nella storia.
Anche il racconto dell’abbandono del bimbo nel fiume e del suo ritrovamento può destare perplessità e sospetti, trattandosi di una vicenda abbastanza comune in mitologie di varie parti del mondo. Tuttavia non ci sono elementi che autorizzino a ritenere che sia stato inventato dal nulla. É possibile che la vera vicenda di Mosè avesse un’attinenza abbastanza stretta con questo racconto, almeno nei suoi punti essenziali. E il dato essenziale che possiamo ritenere ragionevolmente certo sulla base del racconto biblico è che Mosè dovette essere abbandonato, o in qualche modo ceduto dalla madre subito dopo la sua nascita, e che fu allevato in ambiente egizio (2) .
Circa i motivi del suo abbandono le ipotesi possibili sono abbastanza limitate; la più probabile è che la madre fosse talmente povera da non essere in grado di assicurargli un avvenire dignitoso, oppure che egli fosse un illegittimo che per una qualche ragione doveva sparire. In ogni caso la faccenda dell’abbandono porta ad escludere che Mosè fosse figlio di Amram e Iochebed, come viene detto più avanti, in Esodo 6,20, dove si legge: “Amram prese in moglie Iochebed, sorella di suo padre. Ella gli partorì Aronne e Mosè”.
La cosa viene confermata nello stesso identico modo in Numeri 26,59, il che appare per lo meno strano e lascia presupporre che qualcuno abbia operato degli interventi sul testo, per attribuire a Mosè dei genitori più adeguati di quelli veri. Amram e Iochebed erano in effetti i genitori di Aronne ed è questa, probabilmente, la causa per cui furono alla fine indicati come genitori anche di Mosè. Aronne, infatti, viene definito più volte suo “fratello”; il primo ad indicarlo come tale fu lo stesso Jahweh, in Esodo 4,14. Una identificazione, a dire il vero, piuttosto tardiva: Mosè a quell’epoca aveva passato la quarantina e mai prima di allora era stata stabilita una qualsiasi parentela fra lui ed Aronne. Il termine “fratello” può essere stato usato da Jahweh in senso figurato; cosa non insolita nella Bibbia.
Amram era un “nobile”, nipote diretto di Levi. Iochebed, oltre che sua moglie, era anche sua zia, essendo figlia dello stesso Levi, il capostipite della tribù. Erano ricchi: insieme ai loro fratelli e cugini possedevano i beni dell’intera tribù, consistenti in centinaia di servi e migliaia di capi di bestiame. Quando nacque Mosè Aronne aveva già tre anni. Non è ipotizzabile alcun motivo per cui Iochebed avrebbe dovuto esporre il suo secondo figlio maschio, né è immaginabile che una donna del suo rango potesse offrirsi come nutrice di un trovatello ebreo in casa egizia. Dobbiamo quindi escludere nel modo più categorico che Iochebed possa identificarsi con la donna innominata che, nel secondo capitolo di Esodo, viene indicata come madre di Mosè.
La versione esatta circa i veri genitori di Mosè, pertanto, è quasi certamente la prima riportata dalla Bibbia. Non è escluso che il padre fosse un nobile ebreo, magari lo stesso Amram; ma la madre doveva essere di condizione servile, il che condannava alla stessa condizione anche i suoi figli, qualunque fosse il rango del padre. E’ presumibile che la donna, intelligente e ambiziosa, non si sia rassegnata a questo destino e che abbia architettato un piano per assicurare un avvenire migliore a quella sua creatura diseredata.
Era tutto calcolato: il punto esatto in cui lasciare il piccino; la sorella maggiore nascosta lì vicino; la ragazza ricca e potente che, guarda caso, capitò lì proprio in quel momento, s’innamorò del bambino e lo volle per sé; la madre entrò al suo servizio come nutrice del proprio figlio. Non c’è ragione di ritenere che, almeno per questa parte del racconto, le cose siano andate diversamente da come tramandato dalla Bibbia (Es. 2,1-10).
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La famiglia egiziana di Mosè
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(N1) Secondo Esodo, il movente di questo ordine disumano sarebbe stato la gelosia per la grandezza e prosperità di Israele. Ma se davvero gli Ebrei erano schiavi, perché mai gli Egizi avrebbero dovuto esserne gelosi? E se non erano schiavi, cosa mai impediva loro di renderli tali? L'uccisione di neonati per conte¬nere il numero di un popolo schiavo è un totale nonsenso, che non trova riscon¬tro nella storia. Anche il modo in cui tale progetto si sarebbe realizzato è assur¬do. Se davvero il faraone avesse voluto sbarazzarsi dei neonati ebrei, avrebbe dato ordini in tal senso all’esercito, come in seguito fece Erode. Stando al resoconto di Esodo, invece, egli si sarebbe rivolto a due modeste levatrici ebree (Es. 1,15-19), pregandole di sopprimere i bimbi al momento della nascita. Le due donne accettarono l'ordine, ma con deboli scuse riuscirono a non metterlo in pratica, senza incorrere in alcuna sanzione. L'unico provvedimento messo in atto dal faraone sarebbe stato quello di ordinare agli Ebrei di provvedere personal¬mente alla soppressione dei neonati. Tutta la faccenda è chiaramente priva di fondamento.
(N2) Mosè dimostra di saper leggere e scrivere, cosa riservata a pochi a quell’epoca, e di avere una conoscenza approfondita della religione e delle leggi egizie. Questo lascia presumere che sia cresciuto nell’ambito di un tempio Egizio, come ad esempio quello di Eliopoli, da cui probabilmente dipendevano gli ebrei, avendo Giuseppe sposato Asenat, figlia di Potifare, sommo sacerdote di quel tempio. É verosimile che sia stato dedicato fin da fanciullo al servizio del tempio, come più tardi accadrà a Samuele, donato dalla madre al servizio del tempio di Silo.