Già durante il regno stesso di Salomone si profilava all’orizzonte una nuova scissione di Israele. In 1 Re 11,29, infatti, si dice che un certo Ahia, “profeta di Silo”, aveva predetto ad un funzionario di Salomone, di nome Geroboamo, che avrebbe regnato su dieci delle tribù di Israele, mentre il successore di Salomone, Roboamo, avrebbe regnato su due soltanto.
A seguito di questa “profezia” Geroboamo fu costretto a fuggire, rifugiandosi in Egitto, ma rientrò subito dopo la morte di Salomone, quando il regno unito ebraico si spaccò nuovamente in due, ritornando alla situazione esistente alla fine del regno di Saul: al nord si ricreò il regno di Israele, che comprendeva dieci tribù, con a capo Geroboamo; al sud il regno di Giuda, con le due sole tribù di Giuda e Simeone, che rimase a Roboamo.
Dei due regni quello di Israele era di gran lunga il più prospero ed importante, perché oltre al fatto di annoverare dieci tribù contro due, aveva un territorio più vasto e fertile di quello di Giuda, in buona parte desertico. Inoltre vantava la priorità storica, perché era stato il primo regno ebraico sorto in suolo palestinese. Giuda aveva dalla sua il tempio di Gerusalemme, ma anche qui i suoi diritti di priorità erano inesistenti, perché Israele vantava il possesso di Silo, che era stato il primo centro di culto del popolo ebraico, sede del primo tempio.
E’ fuori discussione, quindi, che Israele godesse di una supremazia assoluta rispetto a Giuda sotto tutti i punti di vista, sia politico che religioso. Questo fatto, però, non risulta in modo esplicito dalla Bibbia, perché le vicende di Israele ci sono note soltanto attraverso le cronache redatte dal suo avversario storico, Giuda, che aveva un interesse vitale ad affermare la propria supremazia nei confronti del suo “fratello maggiore”.
Il regno di Giuda è sopravvissuto di oltre un secolo a quello rivale di Israele e la storia del popolo ebraico, almeno quella che è arrivata fino a noi, è stata scritta da cronisti che hanno avuto cura di eliminare dalle cronache ogni particolare che potesse in qualche modo gettare ombra sulla legittimità e priorità della dinastia davidica e del ramo sacerdotale di Gerusalemme, rispetto alla dinastia di Saul ed al ramo sacerdotale di Silo. Obiettività e completezza dell’informazione non rientrava nel loro orizzonte culturale.
Della dinastia di Saul, che fu la prima di Israele ed era sicuramente legittima, perché regolarmente consacrata (anche Davide, finché Saul rimase in vita, lo riconobbe sempre come unico e legittimo sovrano d’Israele) non se ne parlerà mai più nelle cronache bibliche. Eppure è storicamente certo che la dinastia sopravvisse al suo fondatore, perché riportato dagli stessi cronisti di Giuda. La famiglia sacerdotale, infatti, si limitò a giustiziare soltanto sette dei discendenti maschi di Saul, come rappresaglia allo sterminio di Nob, ma tutti gli altri, in modo particolare i figli di Gionata, il primogenito del re, furono risparmiati, per precisa volontà di Davide. Di essi si perdono le tracce semplicemente perché i cronisti di Giuda evitano accuratamente di evidenziare la loro appartenenza alla dinastia di Saul, non perché siano scomparsi dalla storia di Israele.
Non ci può essere dubbio, infatti, che quel Geroboamo, che subito dopo la morte di Salomone fu nominato re delle dieci tribù che avevano appartenuto a suo tempo a Saul, era qualcuno che vantava diritti inattaccabili a quella posizione. Il cronista di 1 Re 11, 26-40 non dice praticamente nulla delle sue origini, limitandosi a citare il nome di suo padre (e, stranamente per le cronache del periodo, anche quello di sua madre), per il quale suggerisce, senza troppa convinzione, una origine efraimita.
Trattandosi del personaggio che ha dato origine alla dinastia che avrebbe da allora in poi regnato su Israele, è inammissibile che il cronista ignorasse le sue vere origini; la sua reticenza in proposito denuncia chiaramente che Geroboamo era il legittimo erede di Saul.
In qualche modo, tuttavia, egli doveva pur giustificare il fatto che le dieci tribù del nord lo avessero eletto a proprio re senza alcuna esitazione o resistenza da parte di chicchessia. Egli attribuisce la cosa alla “profezia” pronunciata all’indirizzo di Geroboamo dal “profeta di Silo” Ahia, (1 Re 11,29) . In tal modo, però, egli non soltanto conferma la stirpe reale di Geroboamo, ma rivela chiaramente chi furono i suoi principali alleati nella riconquista del trono.
Ahia, come vedremo fra poco, era un sacerdote del ramo di Anatot e certamente non poteva promettere il regno di Israele ad uno che non ne avesse diritto. Esclusi dal servizio del tempio di Gerusalemme da Salomone e relegati ad Anatot, i discendenti di Ebiatar avevano cercato la propria rivincita, alleandosi ai discendenti proprio di colui che aveva sterminato la loro famiglia, e fornendo loro un aiuto determinante per riconquistare il trono.
Ovviamente l’appoggio della famiglia sacerdotale di Anatot, legittima titolare del sommo sacerdozio, non era sufficiente da solo a consentire a Geroboamo di recuperare il trono. Determinante fu l’appoggio dell’Egitto. Dopo la “profezia” di Ahia, infatti, Geroboamo fu costretto a fuggire, per evitare di essere ucciso da Salomone, e si rifugiò in Egitto, presso la corte del faraone Sosenk I (il Sisaq della Bibbia) (1) .
Alla morte di Salomone Sosenk invase la Palestina, a quanto pare con il preciso scopo di reinsediare Geroboamo sul trono avito. Significativamente, infatti, nelle cronache di questa campagna militare di Sosenk, riportate sul portale del tempio di Bubasti, a Karnak, c’è un elenco di tutte le città “ conquistate”, che in pratica comprende l’intero regno di Israele (2) , segno certo che Geroboamo fu insediato come vassallo del faraone.
Nessuna delle città di Giuda figura in questo elenco, ma dalle cronache di 1 Re (3) sappiamo che Sisaq effettuò una campagna militare contro Gerusalemme, spogliando il Tempio ed il palazzo reale di ogni cosa preziosa. Evidentemente una campagna per dissuadere definitivamente Roboamo da ogni tentativo di riconquista di Israele.
La secessione politica di Israele comportò anche e soprattutto la secessione religiosa, e questo provocò una spaccatura della famiglia sacerdotale in due tronconi, che formarono la classe sacerdotale ciascuno in uno dei due regni rivali. Curiosamente, mentre le due dinastie regnanti riprendevano ognuna il regno avito, i due rami sacerdotali ad esse legati si scambiarono i ruoli: i discendenti di Zadok, che aveva iniziato la sua carriera di sommo sacerdote con Saul, nel regno di Israele, rimasero insediati a Gerusalemme; mentre i discendenti di Ebiatar, che insieme a Davide era stato il creatore del regno di Giuda, si insediarono quali sacerdoti nel rinnovato regno di Israele.
La capitale religiosa del regno del nord fu riportata a Silo ed è fuori dubbio che essa tornò ad esercitare il primato religioso che le competeva, sia per la sua priorità storica nei confronti di Gerusalemme, sia perché il ramo sacerdotale di Ebiatar era il legittimo erede del sommo sacerdozio. Il cronista biblico, però, evita accuratamente di mettere in risalto questa situazione.
La quasi totalità delle informazioni sul regno di Israele sono contenute nei libri dei Re, sunto di parte redatto da un cronista sicuramente appartenente alla classe sacerdotale di Gerusalemme, fatto che si desume dal taglio stesso della sua relazione, tutta incentrata sugli aspetti religiosi della storia, costantemente determinata dalla collera divina per le deviazioni idolatre dei sovrani. L’obiettività di un simile cronista è praticamente nulla, e perciò peccano di ingenuità quegli storici, la grande maggioranza, che accettano come oro colato quanto ha scritto, senza esercitare un minimo di critica.
Quello che traspare dalle cronache di Re, infatti, è una rivalità insanabile, direi anzi un odio inestinguibile di Giuda nei confronti di Israele, soprattutto per quanto concerne materie di religione. Odio che continua inalterato nei secoli fino al giorno d’oggi, esprimendosi in tutti i modi possibili, fino alla persecuzione più efferata, contro gli eredi e discendenti della “Chiesa” di Israele: i Samaritani.
Se teniamo conto di questa rivalità e mancanza di obiettività del cronista (che a tratti appare senza alcun ritegno, davvero spudorata), possiamo farci un’idea più verosimile di quale fosse realmente la situazione nei due regni, limitatamente all’argomento di nostro interesse e cioè la famiglia sacerdotale.
La cosa certa che emerge dalle cronache di Re è che il regno d’Israele esercitò una indubbia supremazia, oltre che politica, anche religiosa su quello di Giuda. E’ certo, infatti, che al nord esisteva una classe sacerdotale prospera e potente. Il cronista di Re non si lascia sfuggire alcuna occasione per affermare che si tratta di una casta sacerdotale illegittima, perché, a suo dire, scelta direttamente fra il popolo e non da famiglie sacerdotali di provata discendenza mosaica (1 Re 12, 13-33).
Ma non appare molto convincente, anche perché si contraddice spesso e volentieri. In un primo tempo tenta di far passare il culto esercitato a Dan e Betel (alias Silo) come un culto idolatra, perché rivolto a due statue di torelli . E i sacerdoti che vi esercitavano sono accomunati ai “sacerdoti delle alture” delle religioni pagane dei popoli circostanti. Ma poi é costretto ad ammettere più e più volte, parlan do delle grandi figure di religiosi, che erano uomini di Jahweh.
Solo che in questo caso non li indica mai col termine di sacerdoti, ma sempre con quello di “profeti” di Jahweh. Insomma è fin troppo evidente la sua preoccupazione di evitare in ogni modo qualsiasi legittimazione della classe sacerdotale del regno di Israele.
Questa sua preoccupazione la dice lunga sulla questione e tradisce alquanto apertamente il fatto che fosse non solo spinosa, ma anche alquanto dolorosa per il cronista. In base alla ricostruzione della storia della famiglia mosaica, effettuata nei primi capitoli, infatti, siamo in grado di affermare con certezza che la classe sacerdotale del regno del nord non soltanto era legittima, ma vantava anche un diritto di primogenitura nei confronti di quella di Gerusalemme.
Sappiamo che a Dan fin dal tempo dei Giudici era stato creato un santuario per opera di Gionatan, figlio del primogenito di Mosè, Gershom. Il clero di Dan, quindi, era tutt’altro che illegittimo, potendo vantare una discendenza mosaica ineccepibile, proprio dal primogenito di Mosè, anche se non poteva vantare diritti al primato, essendo Gionatan figlio cadetto.
Il centro principale di culto istituito da Geroboamo, tuttavia, non era Dan, ma Betel. Si è già visto in Giudici che Betel e Silo devono essere considerati come la stessa località e che non c’è nella Bibbia una netta distinzione fra loro.
Ovviamente il cronista di Re non poteva indicarlo con il nome di Silo, fatto che automaticamente gli avrebbe conferito una legittimità assai superiore a quella di Gerusalemme e preferisce quindi il nome meno rivelatore di Betel. Ma il nome di Silo, comunque, in relazione ai “profeti di Jahweh”, titolari del tempio di Betel, gli sfugge più di una volta (e compare anche nei libri dei profeti).
Silo era il centro principale di Israele e quindi il clero che lo reggeva vantava indubbiamente il primato nei confronti di quello di Dan. A quale famiglia sacerdotale appartenevano i suoi membri? Su questo punto non ci possono essere dubbi: erano della famiglia di Anatot.
Da quanto abbiamo ricostruito della storia della famiglia sacerdotale, è certo che da un punto di vista genealogico il primato fra le famiglie sacerdotali competeva al ramo di Anatot, esiliato da Salomone all’indomani della sua incoronazione. Ebiatar, figlio del primogenito di Achitub, Achimelek, ucciso da Saul a Nob, era l’erede più diretto del sommo sacerdozio. Zadok occupò quella carica per volontà di Saul prima e di Salomone poi; i suoi titoli, quindi si basavano più su un atto di prevaricazione che sul diritto genealogico.
Anatot, come si premura di precisare il redattore del libro di Geremia (Ger. 1,1) era nel territorio di Beniamino, che in un primo tempo entrò a far parte del regno di Geroboamo (1 Re 12,20). Il cronista dei libri dei Re si guarda bene dal dirlo, ma è fin troppo probabile, se non proprio certo, che i discendenti di Ebiatar, alla morte di Salomone, abbiano deciso di riprendersi quel che era loro di diritto.
Per Geroboamo, ovviamente, erano una manna piovuta dal cielo, perché ponevano il suggello finale alla legittimità del suo regno; cosa che non mancò certamente di far pesare sul regno rivale. Possiamo essere certi, anche, che la famiglia sacerdotale di Betel (o Silo se si preferisce) non mancò di far valere il suo diritto al primato nei confronti di quella di Gerusalemme. Di qui l’odio di quest’ultima nei confronti della prima e l’imbarazzo del cronista di Re a trattare l’argomento. Dal suo resoconto appare indubbio che la famiglia del nord esercitò effettivamente il primato religioso per tutto il tempo in cui Israele esistette.
Quando il re di Giuda Ezechia, in un goffo tentativo di ristabilire il prestigio di Gerusalemme come centro religioso, invitò per la celebrazione della Pasqua (fra l’altro con un mese di ritardo) tutte le tribù di Israele, ricevette pochissime adesioni, ma in compenso molto scherno e derisione (2 Cronache 30, 10-11). Dopo la scissione, infatti, il tempio di Gerusalemme perse immediatamente il suo ruolo centrale nella vita di Israele. Tanto più che venne saccheggiato e spogliato di ogni suo arredo appena 5 anni dopo la secessione, dal faraone Sisak.
Indirettamente è lo stesso cronista di Re che avvalora la tesi del primato religioso del regno di Israele. Gerusalemme e la sua classe sacerdotale, infatti, rimangono costantemente in ombra, durante l’intero periodo storico durante il quale il regno del nord rimase in esistenza. Non ci sono figure di sacerdoti del regno di Giuda che emergano sulla scena storica.
Le grandi figure religiose di quel periodo appartengono tutte al regno di Israele. Solo che il cronista, non potendo presentarli come sacerdoti, dal momento che ha negato l’esistenza di una classe sacerdotale legittima in Israele, li presenta come “profeti”.
Gli storici si sono sempre chiesti come mai il fenomeno dei “profeti” fosse sorto in Israele e fosse limitato a quel periodo ed a quello immediatamente successivo, per scomparire poi definitivamente. La spiegazione è semplice: il termine “profeta” era un espediente escogitato dal compilatore dei libri di Re per non dover impiegare il termine “sacerdote”, che egli si rifiutava di impiegare per i membri della famiglia rivale, per non legittimarne il primato.
In realtà i “profeti di Jahweh” erano sacerdoti di famiglia mosaica con diritti superiori a quelli della casata di Gerusalemme; basti pensare a Geremia, “figlio di Elchia, dai sacerdoti che erano in Anatot”; sacerdote, quindi, a pieno titolo, ma presentato sempre e soltanto come “profeta”.
Che i “profeti di Jahweh” del regno di Israele fossero sacerdoti a tutti gli effetti è provato anche dal fatto che avevano il potere di “ungere” i re (1 Re 19,15-16; 9, 1-10), diritto questo riservato al sommo sacerdote. Un riconoscimento “postumo” si ha anche in 2 Re 17, 28-33, dove il cronista ammette che dei “sacerdoti” di Israele furono deportati dagli Assiri e poi rinviati a Samaria per reintrodurre il culto di Jahweh. Non potendo il cronista di Re cancellare i grandi sacerdoti di Israele dalla storia, si è limitato a cancellarli dall’albo della famiglia sacerdotale, presentandoli come “profeti”.
Possiamo essere certi, quindi, che la famiglia sacerdotale mosaica fu prospera e potente nel regno di Israele e che esercitò il primato per secoli, mettendo in ombra la famiglia di Gerusalemme, discendente da Zadok, da cui era divisa da una insanabile rivalità. Naturalmente ebbe i suoi alti e bassi e dei rovesci di fortuna. Per esempio essa fu quasi sterminata ai tempi di uno dei più grandi re di Israele, Acab, la cui moglie, Gezabele, tentò di imporre il culto di Baal, uccidendo tutti i “profeti di Jahweh (1 Re 18,3; 18, 13) e solo per intervento di Abdia (1 Re 18,4) ne scamparono un centinaio.
Ci sono indizi, comunque che il primato della casta sacerdotale di Israele sia stato riconosciuto anche dalla stessa Gerusalemme, o che comunque fra le due casate ci siano stati spesso dei momenti di tregua, se non proprio di vera e propria alleanza. Il profeta Elia, infatti, uno fra i più grandi “uomini di Jahweh” di tutti i tempi, attraversa il regno di Giuda per recarsi sul monte Horeb (1 Re 19,1). E non si perita di scrivere a Ioram, re di Giuda, rimproverandolo per la sua tiepida fede Javista, minacciandogli il castigo divino (2 Cro.21,12).
Elia è una delle più grandi figure sacerdotali della storia del popolo ebraico, tanto che viene addirittura rapito in cielo (2 Re 2,1-11). Gli succede un altro grande “profeta”, Eliseo, che sposta la sede del santuario del nord in Samaria, sul monte Carmelo (2 Re 4,25), probabilmente perché Betel era minacciata, o era stata distrutta, dal re di Giuda Asa (2 Cro. 15,8), o da suo figlio Giosafat (2 Cro.17,2).
I fasti della famiglia sacerdotale del nord, quindi, sono ancora tutti da raccontare. La storia, purtroppo le ha riservato un triste destino. Poco dopo la morte di Eliseo gli assiri investirono la Palestina. Nel 753 a. C., durante il regno di Menahem, il re assiro Pul marciò contro Israele e lo rese tributario (2Re 15,19). Tredici anni dopo, il re assiro Tiglat-Pileser non si accontentò di un tributo, ma devastò ampi tratti del territorio d’Israele, deportandone gli abitanti in Assiria (2 Re 15, 29-30). Trascorsi pochi anni, ecco nuovamente gli assiri in azione contro Israele, questa volta in soccorso del re di Giuda Acaz, che ottenne il loro intervento al prezzo del tesoro del tempio di Gerusalemme (2 Re 16.17). Di nuovo, nel 730, il re d’Israele Osea rinnovò la sua sottomissione agli assiri, pagando un pesante tributo.
Ben presto, però, Osea tentò di sottrarsi al pagamento del tributo, alleandosi all’Egitto. Di fronte a questo ennesimo tradimento, il re assiro Salmanassar decise di farla finita una volta per tutte con il regno di Israele. Lo invase con un potente esercito, imprigionò Osea e investì Samaria, la capitale del regno, che cade dopo un assedio di tre anni, nel 722 a.C. Gli abitanti superstiti vennero deportati in Mesopotamia “a Halal, sul Habor, fiume di Gozan, e nelle città della Media” (2 Re 17,4-6). Subito dopo Salmanassar fece venire popolazioni “da Babilonia, Jute, Arva, Hamat e Sefarvaim e le stabilì nelle città della Samaria, al posto dei figli d’Israele” (2 Re 17,24).
I superstiti delle famiglie sacerdotali del regno vennero deportati in Mesopotamia insieme al resto della popolazione e ne seguirono i destini ( che dovranno in seguito confondersi con quelli dei deportati di Giuda, poco più di cento anni dopo). Qualche tempo dopo, però, non sappiamo quando, alcuni sacerdoti vennero rinviati in Samaria (2 Re17,27-28), per ristabilirvi l’antica fede javista, dando origine a quella comunità nota come samaritani, o Cutei o Gutei, che ancor oggi continuano a rivendicare il loro primato rispetto alla fede giudaica.
Anche su Giuda la dominazione assira si esercitò con mano pesante, tanto da portare quasi all’annientamento della famiglia sacerdotale di Gerusalemme. Nel 714 il re assiro Sennacherib impose un pesante tributo al re di Giuda Ezechia, che fu costretto a spogliare completamente il tempio per pagarlo. Sennacherib, però non si accontentò ed investì Gerusalemme, deciso a saccheggiarla. Una misteriosa moria scoppiata nel suo esercito lo costrinse a ritirarsi (2 Re 19.35) e poco dopo viene assassinato.
Giuda scampò alla distruzione, ma non al vassallaggio. Manasse, il successore di Ezechia fu condotto prigioniero in Mesopotamia (2 Cro. 33.11) e tornò sul trono di Giuda in qualità di fedele suddito del re assiro. Nei 52 anni del suo regno si adoperò in ogni modo per cancellare la fede javista. Il tempio fu dedicato al culto di divinità assire e la famiglia sacerdotale zadokita sottoposta a pesanti persecuzioni. “Manasse versò sangue innocente (sacerdotale, ovviamente; nda) in tale quantità da riempire Gerusalemme da un capo all’altro” (2 Re 21,16).
Fu certamente uno dei periodi più neri per la famiglia mosaica, che rischiò quasi l’estinzione. Le sue sorti cominciarono a risollevarsi con il tramonto dell’impero assiro, ad opera dei babilonesi. Re Giosia (641-609 d.C.), successore di Manasse, ripristinò la fede javista e restaurò il tempio. Dopo oltre cinquanta anni Gerusalemme tornò ad avere un sommo sacerdote, Chelkia, del ramo zadokita, che riconsacrò il tempio a Jahweh. Egli “ritrovò” anche il libro della legge di Mosè, il Pentateuco, (2 Re 22,8), che era andato perduto durante il regno di Manasse, e ripristinò la legge mosaica. Con lui la famiglia di Zadok riconquistò il primato in seno al popolo ebraico e Gerusalemme tornò ad essere, e per sempre, la città santa, sede dell’unico tempio a Jahweh.
Il ramo rivale, privo di uno stato sovrano, disperso fra le comunità di deportati nella Media e privo di autonomia nella Samaria, dove era stato reinsediato dagli assiri, non rivestirà mai più un ruolo centrale nella storia del popolo ebraico
Con la deportazione a Babilonia della popolazione di Gerusalemme e della maggior parte dei sacerdoti superstiti, si accentua la diaspora della famiglia sacerdotale, iniziata un secolo prima con la distruzione del regno di Israele. Da questo momento in poi diventa difficile, se non impossibile, seguire tutti i membri della famiglia dispersi per il mondo.
Infatti, ci sono nella Mesopotamia nord occidentale, nella Media e nella Gutea, come pure a Samaria, comunità di antichi israeliti con sacerdoti appartenenti al ramo Danita, come pure di Eliezer e di Ebiatar (sacerdoti di Anatot), ma non è dato sapere quanti e di che casata precisamente.
In Palestina ci sono i sacerdoti trapiantati nella Samaria dagli Assiri, molto probabilmente appartenenti al ramo di Anatot, come Geremia. Secondo alcune informazioni, Geremia al termine della sua vita sarebbe emigrato in Egitto, certamente presso una qualche comunità ebraica di quel paese (anche gli egiziani avevano deportato a più riprese abitanti della Palestina). Queste comunità erano governate da membri della famiglia sacerdotale, che edificarono un nuovo tempio nell’isola di Elefantina. Qualche membro della famiglia sacerdotale dovette spingersi addirittura in Etiopia, dando origine alla comunità ebraica dei falascià. In ogni caso questi rami sacerdotali minori ebbero un peso irrilevante nella storia di Israele e non hanno lasciato tracce apprezzabili.
La comunità più importante è quella degli ebrei deportati a Babilonia, formata da due distinte componenti, l’una proveniente dal regno di Israele, ormai sul posto già da due secoli, l’altra dal regno di Giuda (arrivata sul posto in due successive ondate). Vari elementi inducono a ritenere che le due componenti si siano fuse, quasi certamente in seguito alla riorganizzazione delle comunità ebraiche operata dai sovrani babilonesi. Nabuccodonosor nel 598 aveva deportato a Babilonia il re Ioachin, diciottenne, e lo aveva tenuto prigioniero.
Trentasette anni dopo, il re Evil Merodàch, nell’anno della sua ascesa al regno, liberò Ioachin e lo mise a capo della comunità ebraica, che inglobava evidentemente tutte le sue componenti iniziali (essendo la dinastia di Saul ormai estinta, i deportati del regno di Israele non dovettero avere alcuna difficoltà ad accettare un sovrano di stirpe di Davide, il sovrano che per primo aveva riunito i regni di Israele e di Giuda. Nacque così l’istituzione dell’Esilarcato, che ricostituì nell’esilio l’unità del popolo di Israele e che sarebbe durata per quasi duemila anni, fino a che i mongoli di Gengis Kan non spazzarono via completamente la comunità ebraica babilonese.
All’ombra dell’esilarca prosperava anche la famiglia sacerdotale, che doveva comprendere membri di entrambi i rami, sia quello di Anatot sia quello di Zadok. Benyamin da Tudela, infatti, mentre per l’esilarca specifica chiaramente che si trattava di un discendente di Davide, per il gran rabbino di Babilonia dice soltanto che era discendente di Mosè. Segno che l’antica divisione era stata superata e l’unità della famiglia ritrovata.
vedi successivo:
Geremia
Torna a:
Il regno di Davide
Torna a:
pagina iniziale
1. 1 Re 11,40 – “Salomone cercò di far morire Geroboamo, ma questi si levò e si rifugiò in Egitto presso Sisaq, re d’Egitto, e vi rimase fino alla morte di Salomone”.
2. David M. Rohl, Pharaos and Kings – A biblical quest, New York, 1995, pag 121 seg.
3. 1 Re 14,25 “Nell’anno quinto del re Roboamo, Sisaq, re d’Egitto salì contro Gerusalemme. Prese i tesori del tempio di Jahweh e quelli del palazzo reale; portò via ogni cosa, persino gli scudi d’oro fatti da Salomone”