Il 12 dicembre 1975 ero all'aeroporto di Oslo in transito da Milano verso Aalesund, una cittadina di mare a ridosso del circolo polare artico. Il poliziotto addetto al controllo del bagaglio a mano, un donnone biondo dalla carnagione rossiccia, esaminò perplessa il mio zaino, per dirmi alla fine con un sorriso ammiccante: "Signore, guardi che ha sbagliato direzione".
Sul dorso dello zaino campeggiava un logo con al centro un pinguino e intorno la scritta "Prima Spedizione Italiana in Antartide".
Risi divertito a quella battuta. Andare a nord per raggiungere il sud, poteva apparire un'inutile stravaganza; ma in quelle circostanze non potevamo fare diversamente. Ci serviva una nave battente bandiera di uno dei Paesi aderenti al Trattato Antartico, con uno scafo e un equipaggio idonei a navigare fra i ghiacci.
In quel momento, ad Aalesund, un piccolo battello con il suo equipaggio di ex balenieri norvegesi, il Rig Mate, stava completando in tutta fretta i rifornimenti per un viaggio che si prevedeva di almeno tre mesi. Dovevo verificare l'approntamento e accompagnare la nave fino a Lisbona, dove avremmo imbarcato il resto dei componenti della spedizione. E poi giù verso l'Antartide.
L'Idea della spedizione in Antartide era nata soltanto pochi mesi prima, al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, dove presentavo il mio libro fresco di stampa "Una civiltà sotto ghiaccio" in una affollatissima sala. Nonostante la sconvolgente novità della tesi che sostenevo, dovetti essere convincente, perché al termine della presentazione si fece avanti un signore, Renato Cepparo, che senza tanti preamboli mi disse che intendeva finanziare una spedizione in Antartide con lo scopo di cercare prove a sostegno di quanto aveva ascoltato quella sera.
Era la prima volta al mondo che una teoria del genere veniva formulata e, molto ingenuamente, pensavo che le prove a suo favore fossero tante e tali che il mondo accademico avrebbe dovuto sposarla senza troppe esitazioni. Dopotutto il primo scienziato con cui ne avevo parlato, il Prof. Silvio Zavatti, direttore dell'Istituto Polare Italiano, ne era rimasto immediatamente affascinato.
Renato Cepparo, uomo irrequieto e pieno di fantasia, dopo una vita dedicata al lavoro aveva acquisito i mezzi per togliersi soddisfazioni che in anni giovanili poteva soltanto sognare. Amante del moto e della natura, aveva contagiato mezza Italia con le marce non competitive, promuovendo alcune delle più famose manifestazioni del genere, come ad esempio la "marcia nazionale dell'amicizia" e la "StraMilano". L'idea di allestire e condurre una spedizione in Antartide era un suo sogno latente. Mancava soltanto qualcosa che facesse scoccare la scintilla. E quel qualcosa fu la lettura del libro "Una Civiltà sotto Ghiaccio". Furono sufficienti i primi capitoli per convincerlo a lanciarsi nell'impresa.
La testimonianza di Renato: "A farmi scattare la molla fu la lettura di un libro fantascientifico di Flavio Barbiero, un ufficiale di Marina, il quale sosteneva che l'Antartide era già stata abitata dall'uomo in ere lontanissime. Fu semplicemente un pretesto per farmi partire. Decisi di vendere la New Record Film al miglior offerente per disporre del capitale necessario e mi dedicai con impegno alla pianificazione dell'impresa. Eravamo agli inizi del 1974. Vendetti l'azienda alla Technicolor lasciando ai miei figli l'Istituto Europa."
Nacque così la "Prima Spedizione Italiana in Antartide". L'appellativo non voleva disconoscere i meriti e la priorità degli italiani che hanno operato nella zona. Scienziati, sportivi e turisti italiani si erano recati in Antartide ospiti di basi o al seguito di spedizioni straniere, effettuando ricerche ed imprese di tutto rispetto. In particolare il Comandante Aimone Cat aveva portato per primo la bandiera italiana nei mari antartici, con la sua goletta armata ed un equipaggio della Marina Militare.
La spedizione progettata con Cepparo era la prima completamente autonoma, con programmi di attività e di ricerche proprie e con l'obiettivo di effettuare il primo passo per stabilire una presenza permanente dell'Italia in Antartide, a fianco delle nazioni già operanti nel settore.
Informato il nostro Ministero degli Esteri delle finalità del programma, ottenendo sulle prime un pieno appoggio, Cepparo volò in Argentina per prendere accordi. Venne accolto favorevolmente dal colonnello Vaca, capo del Dipartimento Antartico del suo paese, e sottoscrisse con un armatore di Buenos Aires il contratto di noleggio di un'imbarcazione di 500 tonnellate di stazza netta. Contemporaneamente si era provveduto ad accatastare in appositi magazzini 25 tonnellate di materiali, compresa una base prefabbricata, costruita appositamente da un piccolo industriale veneto, e ad organizzare un campo di prova al Plateau Rosa per il collaudo delle attrezzature e della motoslitta. Tutti i materiali vennero poi avviati a Montevideo.
Alla spedizione parteciparono le seguenti persone:
-
Renato Cepparo – capo spedizione, nonché finanziatore ed organizzatore
-
Flavio Barbiero – vicecapo spedizione e ispiratore della stessa
-
Angelo Gandini, Professore - cardiologo
-
Giancamillo Cortemiglia e Remo Terranova - geologi
-
Gianni Arcari, Benvenuto Laritti, Donato Erba e Gigi Alippi – alpinisti
-
Luciano Bolzoni e Giampiero Fusello – sommozzatori
-
Riccardo Cepparo e Antonio Rezia - incaricati di documentare le attività
ed i risultati della
spedizione e di tenere i contatti con l'Italia e i media
-
Carlo Ottolini – cuoco
-
Paolo Facini – fornitore della base e di attrezzature logistiche
Quindici uomini in tutto, insieme ai materiali per costruire la base, svolgere le attività scientifiche e sportive previste ed assicurare una sopravvivenza confortevole per almeno un paio di mesi.
Alla fine di novembre del 1975, a un mese dalla data di partenza, scoppiò la bomba: l'Argentina, senza dare spiegazioni, vietò la spedizione, precisando via telex che l'armatore era stato arrestato in quanto, come ex ufficiale della Marina Militare, non avrebbe potuto noleggiare la sua nave ad una spedizione straniera "clandestina".
Cepparo aveva noleggiato una nave argentina, il Repunte, che fu quindi sequestrato una settimana dopo che i materiali erano già stati imbarcati a Trieste. In sostanza l'Argentina aveva posto il veto alla spedizione perché organizzata da un Paese non aderente al trattato.
L’allora Ministero degli Esteri italiano non intervenne; anzi invitò Cepparo a desistere dal suo proposito. La ragione? Secondo Cepparo soltanto politica: da anni l'Argentina praticava il diritto di veto all'ingresso del Brasile nel club antartico; la costruzione di una base da parte di rappresentanti di un paese non aderente al Trattato Antartico poteva costituire un precedente storico che apriva le porte dell'Antartide al Brasile (cosa che in realtà avvenne dopo il compimento del nostro programma).
Dopo infruttuosi tentativi di sbloccare la situazione, Cepparo si mise in contatto con un armatore norvegese (la Norvegia era uno dei paesi aderenti al trattato antartico), per noleggiare una nave di quel paese, anche se ciò significava ritardare di oltre un mese l'arrivo in Antartide.
"Decidemmo di partire ugualmente: oltre ai capitali era in gioco anche la nostra dignità." -prosegue la testimonianza di Cepparo - "Mancava la nave e ne noleggiai una in Norvegia, la Rig Mate di 900 tonnellate, che ci raggiunse a Lisbona da dove salpammo il 22 dicembre 1975."
La Rig Mate lasciò Aalesund il 15 dicembre, con a bordo il C.te Barbiero e il notaio Rezia; sette giorni dopo, il 22 dicembre, fece scalo a Lisbona, per imbarcare gli altri partecipanti alla spedizione. Il giorno di Natale nuovo scalo a Las Palmas, nelle Canarie, per rifornimento, e infine rotta per Montevideo, Uruguay, dove giacevano tutti i materiali della spedizione, inviati via nave il mese prima.
Il 12 gennaio '76, dopo un frettoloso ed incompleto imbarco dei materiali, sotto la minaccia incombente di una richiesta di sequestro da parte delle autorità argentine, la Rig Mate salpò alla volta dell’Antartide e cinque giorni dopo entrava nell'Admiralty Bay, una profonda baia a T dell'isola King George, nelle Shetland del Sud.
Dopo una veloce ricognizione della baia, venne scelto il luogo che appariva più idoneo per costruire una base, una piccola conca, circondata dai ghiacci, subito battezzata "Conca Italia", nel ramo sinistro della baia dell'Ammiragliato. Lo sbarco dei materiali fu effettuato per mezzo di un pontile di fortuna e anche la base venne in buona parte costruita con mezzi di fortuna e con un progetto improvvisato, perché metà del prefabbricato era rimasta a terra a Montevideo. Nonostante tutto, il 20 gennaio 1976 venne innalzata la bandiera italiana sulla prima costruzione permanente edificata da italiani nell'Antartide.
La base venne intitolata a Giacomo Bove, un ufficiale della Marina Militare Italiana, che nel 1880/81 aveva condotto esplorazioni nell'estrema punta meridionale dell'America per conto degli argentini, e aveva in seguito tentato di organizzare una spedizione italiana in Antartide fallita per il naufragio della nave. Rientrato in Italia, aveva lasciato la Marina e si era suicidato a soli 35 anni.
Una volta eretta la base, il gruppo scientifico si dedicò a varie attività di ricerca nell'isola King George. La piccola ma solida costruzione disponeva di comodi alloggi per dieci persone, contava su una sala soggiorno-mensa, un vasto e attrezzato laboratorio per ricerche biologiche, geologiche e meteorologiche, oltre che su scorte di viveri per 6 mesi, 6.000 litri di benzina per i gruppi elettrogeni e per i motori fuoribordo di un gommone, e 5.000 litri di gasolio per il riscaldamento. La stazione radio consentiva il collegamento con il resto del mondo e con le altri basi antartiche.
Mentre i ricercatori iniziavano il loro lavoro nella zona circostante la base, sub e alpinisti si trasferirono con la nave ancora più a sud, nello stretto di Gerlache, per portare a compimento sia il programma di ricerche subacquee, sia l'attività alpinistica esplorativa, che si concretizzò con la conquista di 7 cime vergini.
Al campo base, intanto, Barbiero trovava una notevole conferma alla sua teoria dei cambi repentini di polo, scoprendo un gran numero di tronchi semifossilizzati, sepolti in una piccola morena glaciale: segno certo di un cambiamento climatico improvviso e di notevole ampiezza che portò ghiaccio permanente in una piccola valle occupata fino a qualche giorno prima da una foresta di alberi ad alto fusto.
Furono giorni di attività intensa, quasi frenetica, per tutti, favoriti dal fatto che non faceva mai buio. Ampio lo spettro delle ricerche effettuate, soprattutto dai due geologi e dal medico, con l’attiva collaborazione di tutti gli altri, in vari settori: geologico, meteorologico, idrografico, paleoclimatologico, biologico e medico.
Il 12 febbraio la Rig Mate tornò nella Admiralty Bay, per ripartirne lo stesso giorno con tutti i membri della spedizione, dopo che la base era stata chiusa e messa in stato di conservazione. Rotta verso sud, attraverso i canali di Gherlache e Neumeyr, fino a Port Lockroy, nell’isola di Wiencke, dove si trovava una vecchia base inglese abbandonata.
Lasciata l’isola di Wiencke la Rig Mate raggiunse la base americana di Palmer, sull’isola Anversa. Il 15 febbraio la Rig Mate fece rotta verso nord, arrivando a Rio de Janeiro otto giorni dopo. La mattina del 27 febbraio tutti i membri della spedizione sbarcavano a Roma da un aereo dell’Alitalia.
La spedizione era durata poco meno di tre mesi. Ritornato in Italia, Cepparo fece dono della base Giacomo Bove al Ministero degli Esteri Italiano nelle mani dell'altera ministro Arnaldo Forlani, il quale, con lettera del 5 novembre 1976 manifestò il suo gradimento, esprimendo le felicitazioni ai componenti della spedizione e informando che "il Governo avrebbe intenzione di donarla al governo argentino nel quadro, però, di garanzie per eventuali futuri suoi programmi di ricerca ed esplorazione in Antartide o di altre missioni scientifiche italiane, d'intesa con le autorità italiane e argentine".
A testimonianza dell'opera svolta verranno pubblicati un libro della Fratelli Fabbri Editore (“Antartide – Storia della prima spedizione italiana”, Milano 1976) e tre volumetti scientifici a cura dell'Università di Genova, che aveva dato il patrocinio alla spedizione e del Museo di Storia Naturale di Milano. Cepparo ha prodotto anche un documentario cinematografico di 4 puntate, che è stato mandato in onda dalla RAI per ben tre volte.
Vedi :
- La seconda spedizione in Antartide
- Attività sotto le stellette