A Karkemish il faraone vittorioso dovette pretendere dallo sconfitto Saushsha-Tar garanzie concrete, quale la cessione di ostaggi. Era questo, infatti, il comportamento di Tutmosi III in tutti gli accordi coi vinti. Fu così che Abramo, nel trentatreesimo anno di regno di Tutmosi III, prese la via della Palestina.
"Abramo partì da Harran, secondo l'ordine di Elohim. Partirono con lui la moglie Sara ed il nipote Lot, figlio di suo fratello. Portarono tutti i beni che avevano acquistato e gli schiavi comperati ad Harran. Si diressero verso la terra di Canaan. Giunsero a Canaan e Abramo attraversò quella regione fino a Sichem, alla quercia di Moré. I Cananei erano allora gli abitanti di quella terra. Jahweh apparve ad Abramo e gli disse: "Questa è la terra che io darò a te e ai tuoi discendenti". E in quel luogo Abramo costruì un altare per Jahweh che gli era apparso. Poi si trasferì verso la montagna che si trova ad est di Betel. Piantò la sua tenda a mezza strada fra Betel a ovest e Ai a est. Costruì un altare e invocò il nome di Jahweh. Poi a tappe si diresse verso il Negev" (Gen. 12,6-9).
Che significa questi altari lungo la via che lo porta alla sua meta finale, il Negev? Esegeti moderni parlano di "santuari" fondati dal patriarca; ma la cosa ha poco senso durante un viaggio di trasferimento. E poi è chiaro che si tratta di semplici mucchi di sassi. Ricordando quanto si è detto poco fa, essi dovrebbero essere stati eretti per suggellare un patto e/o stabilire un confine. Il primo altare è quello di Sichem. Qui in effetti, Jahweh, e cioè il faraone, incontrò Abramo e stabilì un patto con lui, promettendogli un territorio in Palestina. E' quindi ovvio che a testimonianza del patto debba essere stato innalzato un mucchio di pietre, come sul Galaad e a Karkemish.
Come abbiamo visto parlando degli apiru, Abramo doveva godere di uno stato giuridico del tutto particolare. La sua presenza in suolo egizio costituiva la garanzia che suo padre Saushsha-Tar avrebbe rispettato gli accordi presi con l'Egitto. Perciò egli doveva essere soggetto ad una qualche forma di sorveglianza e avere delle limitazioni di movimento. D'altra parte, però, egli era pur sempre il figlio del più potente sovrano confinante con l'Egitto e il faraone, per evitare guai, doveva garantirgli la sicurezza personale, i mezzi di sussistenza ed il prestigio che competevano ad un personaggio del suo rango. Anzi a due personaggi, perché assieme ad Abramo venne anche il nipote Lot, primogenito di suo fratello Haran.
L'altare di Sichem, oltre che una testimonianza del patto, probabilmente costituiva il limite settentrionale del territorio in cui era consentito ad Abramo di muoversi; esattamente come per gli altari di Galaad e Karkemish, che costituivano dei limiti invalicabili. Sichem appare un limite piuttosto ragionevole: garantiva al principe mitanni un territorio abbastanza ampio per non sentirsi un recluso e per assicurargli un benessere economico adeguato al suo rango e nel contempo era sufficientemente lontano dal regno paterno per evitare tentativi di fuga.
Se il significato dell'altare di Sichem appare abbastanza chiaro, non altrettanto lo è quello dell'altare eretto poco dopo "tra Betel a ovest e Ai a est". Qui Abramo non incontra Jahweh; si limita ad invocarne il nome, il che è significativo. Colpisce anche la pignoleria con cui vengono indicati i punti cardinali, che non può essere casuale. L'altare, come tutti i precedenti, è evidentemente il testimone di un patto e stabilisce probabilmente un confine. Ma fra quali contraenti? Fra essi certamente non figura Jahweh, che viene invocato soltanto come testimone del patto.
Uno dei contraenti è senz'altro Abramo, che ha eretto l'altare. Per scoprire l'altro bisogna andare a Genesi 13, dove si dice che "Abramo lasciò l'Egitto e si avviò verso mezzogiorno, con sua moglie, tutti i suoi beni e Lot che lo accompagnava ... e proseguì il viaggio fino a Betel ... e là dove aveva costruito un altare ... Abramo disse a Lot: "Separiamoci: hai davanti a te tutta questa regione. Se tu andrai a sinistra io andrò a destra; se invece tu andrai a destra io andrò a sinistra". Allora Lot alzò gli occhi e osservò tutta la valle del Giordano, perché era tutta irrigata prima che Jahweh (Amenofi II) distruggesse Sodoma e Gomorra, come il giardino di Jahweh, il paese d'Egitto, fino a Sohar. E Lot scelse per sé la valle del Giordano. Così si divisero. Abramo abitò nella regione di Canaan, Lot invece nelle città della valle del Giordano e si stabilì a Sodoma".
Dal contesto in cui è riportato, sembrerebbe che questo episodio debba collocarsi temporalmente dopo che Abramo lasciò il territorio di Abimelek, nel Negev. Ma ad un esame più accurato appare evidente che accadde invece durante lo stesso viaggio di trasferimento dalla Mesopotamia, subito dopo l'incontro con Jahweh (Tutmosi III) a Sichem. Chi ha apportato ritocchi al testo originale per cambiarne la collocazione, infatti, è incorso in alcune "sviste" che tradiscono il suo intervento. Innanzitutto afferma che Abramo partì dall'Egitto, mentre abbiamo accertato che egli non arrivò mai fino a quel paese. Il fatto illuminante, però, è che il testo prosegue dicendo che da qui, cioè dall'Egitto, egli si diresse "verso sud", fino ad arrivare a Betel: evidentemente il paese di partenza era situato a nord di Betel e quindi non poteva essere l'Egitto, ma si deve invece identificare con il paese da cui Abramo era partito, e cioè la Mesopotamia.
Che la separazione fra i due sia avvenuta prima dell'arrivo di Abramo nel Negev, e quindi durante il viaggio di trasferimento iniziale, è provato anche dal fatto che Abramo, dopo aver lasciato Gerar, si stabilì direttamente a Ebron e non portò mai il suo bestiame al di fuori del territorio compreso fra questa città e Beer Sheba, a sud. Inoltre, in nessuno dei tre brani che narrano dei rapporti fra Abramo ed Abimelek viene fatto il minimo cenno a Lot, che pure avrebbe dovuto costituire una presenza piuttosto "ingombrante", difficile da passare inosservata. D'altra parte ciò rientra nella logica stessa dei motivi che costrinsero Abramo e Lot a recarsi in Palestina: Se Tutmosi pretese la consegna di ben due degli eredi legittimi di Saushsha-Tar, lo fece evidentemente per ottenere una duplice garanzia. Non aveva senso che i due insigni ostaggi rimanessero assieme e continuassero ad avere rapporti fra loro.
Dobbiamo quindi ritenere che siano stati separati da Tutmosi fin dall'inizio, che siano stati assegnati loro due territori ben distinti e inoltre che non fossero consentiti contatti fra loro. L'altare fra Betel e Ai costituiva probabilmente un confine fra il territorio consentito ad Abramo e quello consentito a Lot. Tutmosi, evidentemente, lasciò ai due parenti la scelta del territorio; per quel che lo riguardava era indifferente che vivessero in un posto piuttosto che in un altro. La prima scelta fu lasciata a Lot. Che questo fosse dovuto ad un impulso di generosità da parte di Abramo nei confronti del nipote appare non realistico; quasi certamente fu dovuto al fatto che Lot ne aveva pieno diritto. Ciò costituisce un'ulteriore conferma all'ipotesi avanzata dianzi, secondo cui Abramo era più giovane del fratello Haran: in quanto primogenito di quest'ultimo Lot aveva diritto di precedenza.
Lot scelse per sé la pingue valle del Giordano e si stabilì nella ricca città di Sodoma. Abramo, invece, prese la via del Negev e si stabilì presso il principe di Gerar, Abimelek, feudatario di Tutmosi III. Tutmosi, contrariamente a quanto faceva con gli ostaggi provenienti dalle regioni soggette all'impero, consentì ad Abramo di risiedere fuori dal territorio egizio vero e proprio. "Non scendere in Egitto. Rimani nel paese che io ti indicherò. Abita da straniero in questo paese; io sarò con te e ti benedirò." (Gen. 26,2). Fu così che Abramo si stabilì a Gerar, ospite del feudatario locale Abimelek, un principe cananeo che evidentemente era stato incaricato da Tutmosi di sorvegliarlo.
Le vicende di Abramo presso Abimelek possono essere ricostruite abbastanza in dettaglio, mettendo insieme le informazioni fornite dai tre brani che riferiscono questo episodio, ciascuno dei quali riporta particolari che completano il quadro. (Con la ovvia avvertenza di sostituire in Genesi 25,26 i nomi di Isacco e Rebecca con quelli Abramo e Sara e di eliminare quei piccoli ritocchi che nelle intenzioni di chi li ha apportati dovevano servire a rendere congruente l'ambientazione dell’episodio. In particolare lo scavo dei pozzi che, essendo esattamente gli stessi cui viene di cui viene riferito a Genesi 20,21, viene precisato essere stati chiusi nel frattempo). In un primo tempo Abramo dovette essere affidato alla custodia diretta di Abimelek, ed è quindi presumibile che si sia installato nella stessa Gerar, in prossimità del palazzo reale. Nonostante le assicurazioni di Tutmosi, Abramo non doveva fidarsi troppo della lealtà di Abimelek e lo ammette chiaramente in Genesi 20,11: "Mi sono detto: sicuramente in questo luogo non c'è alcun rispetto di Jahweh; perciò mi uccideranno pur di avere mia moglie".
Questo timore di Abramo di essere ucciso a causa della moglie è abbastanza inspiegabile, se non si tiene conto di quanto abbiamo circa l'aspetto fisico suo e dei suoi familiari. Sara era indubbiamente una bella donna, ma questo fatto non è sufficiente da solo a spiegare i timori del marito e la prontezza con cui, in effetti, Abimelek si è precipitato a metterle le mani addosso. Doveva essere un tipo assai diverso dalle bellezze locali. Se Abramo era alto di statura, di carnagione chiara e capelli rossi, la sorella Sara doveva avere l'aspetto di una valchiria: un genere di bellezza strepitoso e irresistibile in un'area abitata da donne di tipo mediterraneo. Sotto questa luce appaiono legittimi i timori di Abramo e giustificato il suo sotterfugio iniziale di nascondere la vera identità della moglie.
Quello che non è chiaro è se questo sotterfugio facesse parte di un piano preciso architettato da Abramo per trarre vantaggio dalla situazione che inevitabilmente, secondo le sue previsioni, si sarebbe creata. Da quanto ci è dato capire della sua personalità, quale traspare dalla Bibbia, Abramo era sufficientemente abile e spregiudicato da mettere in atto un piano del genere. Ma dal momento che un tale comportamento non incontrerebbe il favore della morale corrente, tanto vale ritenere con la Bibbia che quel sotterfugio fosse dettato esclusivamente dalla prudenza, che comunque appare essere una delle più grandi doti del patriarca.
In ogni caso Abramo seppe sfruttare abilmente la situazione e volgerla a suo vantaggio. Abimelek doveva avere avuto precise istruzioni da Tutmosi in merito ad Abramo, ma probabilmente non aveva ancora l'esatta sensazione di quanto il faraone tenesse all'ostaggio, che tutto sommato era pur sempre una specie di prigioniero da guardare a vista. In ogni caso Abimelek non riteneva di recare offesa all'illustre ospite, impalmandone la sorella; anzi è da ritenere che fosse convinto di fargli un onore e nel contempo di migliorare la propria posizione imparentandosi con una grande casata come quella di Abramo.
Come siano andate effettivamente le cose, e cioè se ci siano state preventive richieste di matrimonio e trattative, o se invece il principe cananeo abbia agito di propria iniziativa contro la volontà dei due fratelli, non è possibile saperlo. Sta di fatto che la bionda mitanni finì nell'harem di Abimelek, il quale non è credibile ne abbia rispettato la virtù, come invece si preoccupano di evidenziare le tradizioni ebraiche riferentesi a questo episodio. Si tratta comunque di un particolare insignificante; agli occhi del mondo l'onore della donna era comunque compromesso e il torto subito dal marito incommensurabile. Quanto a lungo sia durata questa situazione non è dato sapere; alla fine, però, Tutmosi ne venne a conoscenza e si può ben immaginare come abbia preso la cosa: tutta la sua politica nel settore orientale ruotava intorno a quell'ostaggio; non poteva certo subordinare la sicurezza dell'impero alle voglie di un pincipotto palestinese.
"Lo so bene che hai agito in buona fede", disse Tutmosi ad Abimelek. "Ma ora restituisci la donna a quell'uomo. E' sotto la mia protezione: egli pregherà per te e tu vivrai. Ma se non la restituisci sicuramente morrai, tu e tutti i tuoi." Abimelek si alzò di buon mattino, chiamò tutti i suoi consiglieri e raccontò loro l'intera vicenda. Tutti furono spaventati" (Gen.20,6-8). Abramo aveva le sorti di Abimelek in pugno e ne approfittò per ottenere due condizioni: ricchezza materiale e libertà di movimento. Fece le sue richieste: "Allora Abimelek restituì Sara ad Abramo e insieme gli regalò pecore e buoi, schiavi e schiave. E gli disse: "Guarda, questo è il mio territorio. Va a stabilirti dove preferisci". A Sara disse: "Ecco, io ho dato a tuo fratello mille pezzi d'argento. Questo dono sarà per te come un velo agli occhi dei tuoi accompagnatori e sarai riabilitata dinanzi a loro" ... Poi Abimelek diede quest'ordine a tutto il popolo: "Se qualcuno fa del male a quest'uomo o a sua moglie, sarà condannato a morte!." (Gen. 20,14-16 e 26,11)
Per ricostruire gli avvenimenti successivi è sufficiente riportare nel giusto ordine quanto riferito da Genesi 20 e 26. Quando era giunto a Gerar, Abramo non possedeva bestiame, o comunque non in quantità apprezzabile. Nel periodo in cui Sara rimase al palazzo di Abimelek, tuttavia, egli non rimase inattivo, ma si dedicò con i suoi servi all'agricoltura. In Genesi 26,12 si dice che "fece in quella terra una semina e quell'anno ebbe un raccolto molto abbondante". Gerar, infatti, era situata lungo la costa in un territorio particolarmente idoneo all'agricoltura.
In seguito al risarcimento pagato da Abimelek, Abramo divenne un ricco possidente di bestiame, ed è ovvio che la sua presenza non fosse ben vista in un territorio a vocazione agricola; tanto più che era uno straniero. Dopo un tempo presumibilmente breve, infatti, "Abimelek disse ad Abramo: 'Vattene via da noi, perché sei diventato troppo potente'. Abramo si allontanò da quel luogo; andò a vivere in tenda e si stabilì nella valle di Gerar. I suoi servi scavarono un pozzo nella valle e trovarono l'acqua. Ma i pastori di Gerar attaccarono briga e dicevano: 'Quest'acqua è nostra!' Allora Abramo chiamò quel pozzo Eseq (litigio), perché avevano litigato con lui. Poi scavarono un altro pozzo. Anche per quello scoppiò una lite. Perciò lo chiamò Sitna (contesa). Poi si allontanò di là e scavò un altro pozzo per il quale non vi fu alcuna contesa. Allora lo chiamò Rehobot (libertà), ‘Perché - disse - ora il Signore ci ha dato spazio per vivere e prosperare in questa terra'" (Gen. 26,16-22).
In quel periodo Tutmosi III, evidentemente di passaggio da o per una delle sue campagne militari in Asia, si fermò al campo di Abramo. "In quella stessa notte gli apparve Jahweh e gli disse: 'Io sono il tuo Dio. Non temere, perché io sono con te e ti benedirò.' ... In quel luogo Abramo costruì un altare e adorò Jahweh. Lì si accamparono ed i suoi servi scavarono un altro pozzo" (Gn. 26,23-25). Il luogo è Beer Sheba, nell’alta valle di Gerar, lungo la via che unisce la Palestina all'Egitto passando dall'interno. Qui Tutmosi incontrò Abramo e stabilì un patto con lui. Lo prova l'altare eretto sul posto, solito testimone di accordi. Il versetto di Genesi 26,23 si preoccupa di evidenziare che , per una qualche ragione, l'incontro avvenne di notte.
Cosa accadde quella notte? Quali furono i termini del patto? Troviamo la risposta a questi interrogativi in Genesi 15: "Jahweh disse ad Abramo:' Io sono Jahweh, io ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti questa terra'. 'Signore mio Jahweh, rispose Abramo,' come posso sapere che questa terra sarà mia?'. Jahweh gli rispose: 'Procurami una vitella, una capra, un montone, tutti di tre anni, una tortora ed un piccione giovane'. Abramo si procurò questi animali, li tagliò in due e mise ogni metà di fronte all'altra. Ma non divise gli uccelli ... Dopo il tramonto seguì una notte molto buia. ed ecco un braciere fumante e una torcia accesa passarono fra le metà degli animali uccisi. In quel giorno Elohim fece una promessa ad Abramo. Gli disse: 'Io prometto di dare va te e ai tuoi discendenti questa terra che si estende dal fiume dell'Egitto fino al gran fiume, l’Eufrate". (Gen. 15, 7-28)
E la descrizione fedele di un solenne giuramento imprecatorio in uso in Medio Oriente ai tempi di Abramo: Dio, invocato quale garante del rispetto del giuramento e simboleggiato da fuoco, sarebbe passato attraverso le carni dell'eventuale spergiuro, come passava tra le due metà degli animali uccisi. Il brano è riportato in Genesi 15, ma dal contesto non è possibile determinare l'epoca e tanto la località in cui l'episodio si è verificato. Poiché, però, con questo patto viene dato ad Abramo il possesso di un territorio, dobbiamo necessariamente situarlo a Beer Sheba, sull'altare ivi eretto in occasione del suo incontro con Jahweh.
Immediatamente dopo, infatti, Abimelech, che fino a quel momento aveva sottoposto il patriarca a vessazioni di vario genere, si precipita da lui, accompagnato da suo amico Acuzzat e dal capo del suo esercito, Picol, per stabilire un patto di non aggressione. "Ora abbiamo capito che veramente Jahweh è con te e abbiamo pensato: facciamo un giuramento solenne tra di noi. Concludiamo un patto con te. Tu non ci farai alcun male, come noi non ne abbiamo fatto a te. Anzi, noi ti abbiamo fatto solo del bene e ti abbiamo lasciato andare vi in pace". I due personaggi trattano ora da pari a pari, come due principi confinanti; anzi stabiliscono nella stessa Beer Sheva la linea di confine fra di loro, perché “ivi Abramo innalza una stele" (Gn.21,23 e 26,28-32).
Il brano di Genesi 15, 7-18 è evidentemente la descrizione della cerimonia mediante la quale Tutmosi investì Abramo del possesso di un territorio, innalzandolo allo stesso rango di Abimelek e cioè di principe dell'impero. Qual era l’estensione del territorio concesso in feudo ad Abramo? I confini citati in Gn.15,18 (in quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abram: «Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume d'Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate) sono una evidente esagerazione, introdotta dal redattore, o da chi per lui, con qualche piccolo ritocco al testo originale. Nel versetto si parla di due "fiumi" che delimitano il territorio assegnato da Jahweh ad Abramo, ed è da ritenersi senz'altro verosimile; in un territorio privo di altri riferimenti, il letto dei torrenti costituisce il confine naturale più facilmente individuabile. Impossibile, invece, che i due fiumi si identifichino con il Nilo (o il wadi el-Arish) e l'Eufrate, come cerca di far credere il redattore. Si tratta di stabilire a quali fiumi realmente si riferisce il versetto. Abbiamo visto che il confine fra i possedimenti di Abramo e quelli di Abimelek era stato posto a Beer Sheba. Beer Sheba si trova appunto alla confluenza di due widian: uno, secondario, può essere identificato come il "fiume dell'Egitto" di cui parla Genesi 15,18, perché posto dal lato dell’Egitto. L'altro ha origine nelle immediate vicinanze di Ebron e sfocia nel Mediterraneo passando nelle vicinanze dell'antica Gerar, la città di Abimelek. E' il wadi principale della regione e possiamo quindi immaginare senza difficoltà come gli abitanti della zona lo indicassero con l'appellativo di "fiume grande", per distinguerlo dagli altri corsi d'acqua minori; il nome Eufrate sarebbe stato aggiunto in seguito.
Il feudo di Abramo, quindi, doveva essere quel triangolo di territorio delimitato dai torrenti che confluiscono nei pressi di Beer Sheba (vedi cartina). Una notevole conferma in questo senso è costituita dall'ultimo versetto di Genesi 13: "Allora Abramo spostò l'accampamento verso le querce di mamré che sono a Ebron e in quel luogo costruì un altare per il signore." Mamré era chiaramente il primitivo proprietario del terreno. Insieme ai suoi fratelli Escol e Aner viene definito "alleato" di Abramo e combatte ai suoi ordini contro i re siriani che avevano rapito Lot. E da ciò si deduce che i tre erano probabilmente vassalli del patriarca.
Quest'altare eretto subito dopo il patto di alleanza stipulato con Abimelek a Beer Sheba, è evidentemente il testimone di un patto analogo stipulato da Abramo con il suo confinante settentrionale e stabilisce il confine tra i due, posto proprio all'inizio del "fiume grande". Il nome del confinante settentrionale non viene citato, ma con tutta probabilità si tratta dei "figli di Het". Gli ittiti, infatti risultano essere proprietari dei territori posti di fronte al bosco di Mamré: è a loro che Abramo, per seppellire Sara, si rivolge per acquistare il terreno in cui si trova la tomba di Mac Pelà.