Integrando le notizie fornite da Genesi con i dati storici, siamo in grado di ricostruire con una certa attendibilità le vicende di Abramo. Partendo dall'inizio: Abramo nacque in Ur dei Caldei, nell'Urartu meridionale, nella città di Nahor, situata probabilmente nei pressi dell'odierna Diyarbekir. Era figlio di Tare, storicamente noto col nome di Saushsha-Tar, il sovrano artefice della potenza e grandezza dell'impero di Mitanni.
Abramo aveva due fratelli, Nahor e Haran. In Genesi 11,27 il nome di Abramo viene messo prima di quello dei suoi fratelli, dal che si dovrebbe dedurre che era il primogenito. Varie considerazioni, invece, portano a concludere che egli doveva essere il terzo dei figli maschi di Tare e che il suo nome è stato messo in cima alla lista perché chi ha scritto, o trascritto, la Bibbia lo giudicava evidentemente il personaggio più importante dei tre. In nessun passo, tuttavia, viene esplicitamente dichiarato che fosse il primogenito, il che è già una mezza ammissione che non lo fosse.
Dalla stessa Genesi si deduce che il vero erede di Tare, e quindi il primogenito, doveva essere Nahor. Un primo indizio è costituito dal nome, coincidente con quello del nonno paterno (Gn. 11,24), che nelle famiglie nobili solitamente viene dato ai primogeniti. E inoltre si consideri che fu Nahor a ereditare l'omonima città natale. Quando infatti Tare "migrò" a Harran insieme ad Abramo e Lot, Nahor rimase sul posto ed è proprio qui, presso " la "casa di Nahor", che più tardi Abramo mandò il suo servo a cercare moglie per il figlio Isacco (Gen. 24,10). Nahor, quindi, era l'erede legittimo di Tare e pertanto suo primogenito. Egli dovrebbe identificarsi con il personaggio storico di Artatama, il re che succedette a Saushsha-Tar sul trono di Mitanni.
Che Abramo fosse figlio cadetto lo prova anche il fatto che se ne dovette andare dal paese natale in cerca di fortuna: destino questo riservato normalmente ai figli cadetti delle grandi famiglie. Considerazioni di carattere temporale, legate all'età di Lot e di sua sorella Milcà (Gen.11,29) inducono a ritenere che egli fosse più giovane anche del fratello Haran, morto prima della partenza di Tare per Harran. Quando Abramo partì per la Palestina, infatti, doveva avere, si è detto, circa trenta anni. Se Haran fosse stato più giovane di lui, dobbiamo ritenere che in quel momento suo figlio Lot non potesse avere più di otto o dieci anni al massimo. Sappiamo, però, che esattamente 24 anni dopo, a Sodoma, Lot era padre di due ragazze entrambi in età da marito (Gen.19,14); perciò al momento della partenza da Harran, Lot doveva avere un'età più vicina ai venti che ai dieci anni, il che rende poco verosimile che suo padre Haran fosse più giovane di Abramo.
Analoghe considerazioni si possono fare per l'altra figlia di Haran, Milcà, la quale sposò lo zio Nahor prima ancora che Tare e Abramo partissero per Harran. Poiché al momento del matrimonio Milcà doveva avere per lo meno dodici anni, se ne deduce che Abramo non poteva essere più vecchio di Haran.; quando infatti lasciò Nahor egli doveva avere non più di 25 anni.[1]
Rimangono ora da stabilire la data ed i motivi della partenza da Nahor. E' importante notare che sia Abramo che il nipote Lot vennero al seguito di Tare, alias Saushsha-Tar. Data e motivi, quindi, vanno ricercati nelle vicende storiche di questo personaggio. Vediamo intanto di fissare la data della venuta di Abramo in Palestina. Venne, si è detto, come ostaggio a garanzia di un trattato di pace stipulato fra Tutmosi III e Saushsha-Tar. Le cronache storiche egizie, pur ricche di particolari, non fanno alcun cenno diretto a trattati stipulati da Tutmosi III, forse perché secondo la mentalità del periodo ciò avrebbe potuto sminuire la gloria del sovrano-dio.
Le cronache dell'ottava campagna militare, nel trentatreesimo anno di regno, però, danno grande risalto al fatto che Tutmosi, dopo aver sconfitto Saushsha-Tar e devastato il paese di Naharin nel corso di una incursione oltre l'Eufrate, a conclusione della campagna avesse innalzato a Karkemish un altare con una stele, proprio di fronte a quella eretta a suo tempo dal nonno Tutmosi I [2]. Nelle cronache viene citato come un gesto d'imperio, con il quale egli fissò unilateralmente il confine fra i due regni, interpretazione condivisa dalla maggior nparte degli storici. A torto, però.
Sappiamo dalla stessa Bibbia che questo genere di monumenti veniva allora innalzato per suggellare un patto a due. In Genesi 31,43-53 viene descritto in dettaglio il patto di "non aggressione" stipulato fra il "mitanni" Labano (signore di Harran) ed il "palestinese" Giacobbe: "Concludiamo un patto insieme, tu e io. Vi sarà un testimone fra me e te". Allora Giacobbe prese una pietra e la drizzò per farne una stele. Poi disse ai suoi parenti: "raccogliete pietre". Essi raccolsero pietre e ne fecero un mucchio. E su di esso mangiarono. Labano chiamò quel mucchio Iegar-Saaduta. Giacobbe invece lo chiamò Gal-Ed (mucchio della testimonianza), perché Labano aveva detto: "Questo mucchio è oggi un testimone fra me e te". Lo chiamò anche Mizpà (vigilanza) perché Labano aveva detto: "Il Signore non perda di vista me e te quando saremo lontani l'uno dall'altro. Bada bene: se tu maltratti le mie figlie o ti prendi altre mogli, non un uomo, ma Dio stesso sarà testimone fra me e te." Inoltre Labano aveva detto a Giacobbe: "Ecco questo mucchio di pietre e questa stele che ho drizzato fra me e te: l'uno e l'altro saranno testimoni che né io passerò questo mucchio per andare a te, né tu lo passerai per venire da me, oltre questa stele, con intenzioni cattive. Il Dio di Abramo ed il Dio di Nahor siano garanti di questi diritti fra me e te."
Dobbiamo ritenere che il mucchio di sassi e la stele siano stati innalzati a Karkemish per suggellare un patto del tutto analogo fra Tutmosi III e Saushsha-Tar, con parole praticamente identiche a quelle pronunciate da Labano e Giacobbe. Sappiamo anche che questo genere di patti comportava da parte di uno dei contraenti la consegna di ostaggi a garanzia del rispetto del trattato. (Anche Labano considera le proprie figlie come "ostaggi" dati in pegno a Giacobbe: "Queste figlie e questi nipoti sono miei..." Gen. 31,43)
La stele, oltre che da confine, serviva anche da testimone che gli ostaggi sarebbero stati trattati bene. Gli ostaggi erano sempre stretti familiari di chi li cedeva, di norma suoi figli. Anche se le cronache storiche pervenuteci non lo riferiscono, dobbiamo quindi ritenere con alto grado di attendibilità che a Karkemish Saushsha-Tar, alias Tare, abbia consegnato al faraone uno o più figli propri come ostaggi: Abramo, Sara e Lot, per l'appunto. Ovviamente dietro ampie assicurazioni che sarebbero stati trattati come meritava il loro rango e forniti di ogni mezzo di sussistenza. Se ne deve concludere che Abramo sia venuto in Palestina proprio in quell'occasione, nel tretatreesimo anno di Tutmosi III.
Qualche anno prima Abramo aveva lasciato Nahor al seguito del padre tare. Che significa questa partenza? Analizziamo gli avvenimenti storici di quegli anni[3]. Alla morte della matrigna Hasepsowe, nel ventiduesimo anno dal suo teorico insediamento al trono, Tutmosi III si dedicò con travolgente energia a ristabilire l'autorità dell'impero in Palestina e nella Siria meridionale, che Hasepsowe aveva completamente trascurato. In sole tre campagne militari, effettuate dal ventitreesimo al venticinquesimo anno di regno, l'autorità dell'impero fu saldamente ristabilita in Palestina e nella Siria fino a Qadesh. L'obiettivo successivo di Tutmosi fu quello di riportare i confini dell'impero esattamente agli stessi limiti stabiliti dal nonno Tutmosi I. Poiché buona parte dei territori della Siria settentrionale erano caduti nel frattempo sotto il dominio di Mitanni, la politica di Tutmosi conduceva inevitabilmente alla guerra contro Saushsha-Tar.
Le intenzioni di Tutmosi III dovettero rivelarsi chiaramente nel corso della sua quarta campagna militare. Fu probabilmente una campagna poco fortunata per il faraone, perché le cronache omettono accuratamente di farne il resoconto, tanto che non si sa neppure con precisione in che anno avvenne. Fino ad allora l'impero di Mitanni era rimasto passivo, perché non interessato ad avvenimenti che si svolgevano al di fuori della sua sfera d'influenza; ma a partire da quel momento fu guerra dichiarata.
Fu lo stesso Tutmosi ad aprire le ostilità contro Naharin, nel corso della sua quinta campagna militare, nel ventinovesimo anno di regno. Era diretta contro il paese di Djahi, nell'entroterra libanese; ma da lì egli effettuò una puntata contro il principe di Tunip, vassallo di Saushsha-Tar, spingendosi 250 km più a nord di quanto avesse mai fatto in precedenza. Saushsha-Tar fu costretto al confronto armato con l'impero egizio. Possiamo, anzi dobbiamo presumere che abbia lasciato Nahor in quell'occasione, per stabilire il proprio quartier generale ad Harran, molto più vicino al teatro delle operazioni. Il motivo del trasferimento di Tare da Nahor ad Harran, quindi, sarebbe stato quello di organizzare e condurre la guerra contro l'Egitto. Guerra che durò cinque anni, dal ventinovesimo al trentatreesimo anno di regno di Tutmosi III, e terminò con la disfatta di Mitanni.
La campagna venne condotta personalmente da Saushsha-Tar, che avrebbe lasciato il figlio maggiore Artatama, alias Nahor, a reggere le sorti del paese mentre egli era occupato nelle operazioni belliche. Con sè avrebbe portato il figlio cadetto Abramo, giovane e valente guerriero di circa venticinque anni, ed il nipote Lot, che doveva essere anch'egli in età da combattere. La prima mossa di Saushsha-Tar, mirante a tagliare i rifornimenti all'avversario e rendere precaria la sua situazione logistica, fu quella di sobillare i principi siriani sconfitti a Megiddo nel corso della terza campagna, i quali formarono una nuova lega ribelle contro il faraone, capitanata come al solito dal principe di Qadesh.
Tutmosi III, però, era un avversario formidabile, dotato di un genio militare che lo pone fra i grandi della storia. In quattro campagne successive egli debellò il potente avversario e riportò i confini dell'impero egizio all’estensione raggiunta alcuni decenni prima con Tutmosi I. Egli dedicò le intere quinta e sesta campagna militare a domare la rivolta nella Siria meridionale, per assicurarsi il dominio delle retrovie. Scopo della settima campagna fu il consolidamento del dominio egizio su tutta la costa da Gaza ad Ugarit, organizzando una serie ininterrotta di porti sicuri, dislocati ad una giornata di navigazione l'uno dall'altro, mediante i quali poter far affluire via mare uomini e materiali sul teatro delle operazioni.
E finalmente, nel trentatreesimo anno, con l'ottava campagna, Tutmosi sferrò l'attacco decisivo contro Mitanni. Grazie all'organizzazione creata l'anno precedente, Tutmosi si venne a trovare con una situazione logistica addirittura migliore di quella dell'avversario. Egli stabilì il proprio quartier generale a Biblos, una piazzaforte nella Siria settentrionale che poteva rifornire senza problemi né limiti via mare, e vi costruì un'intera flottiglia di piccole imbarcazioni fluviali, che fece trasportare su carri fino all'Eufrate, al seguito del suo esercito.
Saushsha-Tar subì una prima sconfitta campale a Uan, presso Aleppo, cercò poi di contrastare il passo agli egizi a Karkemish, sull'Eufrate, ma fu battuto nuovamente. Riuscì tuttavia a salvare l'esercito dalla distruzione totale e a sottrarsi alla cattura, ritirandosi oltre l'Eufrate. Tutmosi lo inseguì, attraversando a sua volta il fiume con le imbarcazioni che si era portato al seguito, prevedendo che il nemico avrebbe certamente distrutto ogni mezzo che potesse favorire la traversata. Saushsha-Tar, reduce da due sconfitte campali, evidentemente conscio della superiorità militare del nemico, evitò un nuovo scontro diretto. Tra i due dovettero instaurarsi delle trattative, perché la campagna in Mesopotamia terminò con un accordo, siglato, come si è già detto, a Karkemish, con l’erezione di un altare e di una stele che ripristinavano i vecchi confini.
L'anno dopo Tutmosi fu impegnato a domare un'ennesima rivolta in Palestina, ma in quello successivo, il trentacinquesimo, tornò nel nord della Siria. Qui dovette affrontare una coalizione capeggiata dal solito principe di Tunip e la sbaragliò in una battaglia campale ad Arina, sempre nelle vicinanze di Aleppo. La maggior parte degli storici suggerisce che animatore della lega fosse lo stesso Saushsha-Tar e vedono questa campagna come un proseguimento della guerra contro di lui. Alcuni vedono la sua impronta addirittura nella diciassettesima campagna, nell'anno quarantaduesimo di Tutmosi, poiché nelle cronache viene citato Naharin fra i nemici da battere. Ma quasi certamente Mitanni non entrava affatto in queste guerre.
L'accordo siglato nel trentatreesimo anno stabiliva il confine egizio a Karkemish; di conseguenza i principi di Ugarit, Tunip, Aleppo ecc., che si trovavano a sud della città, in virtù dell'accordo dovevano tornare sotto l'influenza egizia. E' naturale che il passaggio non fosse accettato automaticamente da tutti i principi e che Tutmosi abbia incontrato forte resistenza, pur senza un intervento diretto di Mitanni. Se intervento ci fosse stato, Tutmosi avrebbe punito Saushsha-Tar, invadendone nuovamente il territorio e devastandolo; invece non attraversò mai più l'Eufrate. Il fatto che nella decima e nella diciassettesima campagna venga citato fra i nemici anche Naharin, non significa che si riferisca all'impero mitanni; probabilmente con questo termine Tutmosi indica principati ad occidente dell’Eufrate, che fino a poco tempo prima avevano fatto parte dell'impero mitanni. Infatti il nome Naharin compare sempre quando il faraone è impegnato in guerra contro Tunip; potrebbe quindi riferirsi a questo principato ed a quelli situati più nord.
Sta di fatto che dopo il trentatreesimo anno, Tutmosi non puntò mai più verso l'Eufrate e che da allora in poi ricevette regolarmente doni e tributi da popolazioni che facevano parte integrante dell'impero di Mitanni, come ad esempio gli Assiri. Ciò sta ad indicare che l'accordo siglato a Karkemish fu sempre rispettato e resse tanto a lungo che ben a ragione lo si può definire la chiave di volta dell'intera politica egiziana nel Medio oriente per più di un secolo.
[1] Vedi: "Cronologia di Abramo”.
[2] “Non sappiamo quanto il re spinse le sue truppe oltre il fiume all'inseguimento del nemico, ma sono documentate numerose razzie e un notevole bottino. Riportato l'esercito sulla riva occidentale dell'Eufrate, Tuthmosis III fece erigere una stele di frontiera accanto a quella che nello stesso luogo aveva lasciato il nonno Tuthmosis I, quasi a dimostrazione che non intendeva ampliare ulteriormente le sue conquiste e per sancire la sua volontà di porre sull'Eufrate il termine estremo del confine” (F. Cimmino, Hasepsowe e Tuthmosis III cit., p. 123). V. anche note 6 e 7 della Parte seconda.
[3] F. Cimmino, Ivi, capitoli 11 e 12; a. Gardiner, op. cit., c. 7; J.A. Wilson, Egitto, in “I Propilei” cit., vol. I, p. 483.