E’ un luogo comune, consolidato ormai da secoli di consuetudine, quello di definire gli ebrei col termine di semiti. Il che appare corretto, sulla base delle genealogie bibliche, le quali dicono che il capostipite del popolo ebraico, Abramo, era un discendente di Sem, primogenito di Noè. Quello che è sicuramente sbagliato, invece, è definire col termine di semita la lingua ebraica e tutte le altre affini, come l’aramaico, l’arabo, e così via. Sarebbe infatti come dire che il francese ed il lombardo sono lingue germaniche, soltanto perché i Franchi e i Longobardi erano germani.
Quello che oggi chiamiamo ebraico era una lingua diffusa in Palestina assai prima che vi giungesse Abramo; più precisamente era la lingua parlata dai Cananei. Gli Ebrei, semplicemente, si limitarono ad adottarla dopo la conquista della Palestina da parte di Giosuè. Da allora il cananeo si chiamò ebraico e fu definito la lingua semita per eccellenza, perché parlata dagli ebrei, discendenti di Sem.
Si tratta, però, di un grossolano errore, perché è la stessa Genesi, in 10,15-20, che dichiara che i Cananei, e con essi i Gebusei, Amorrei, Gergesei, Evei eccetera, ossia tutti i popoli che abitavano la Palestina prima dell'arrivo di Abramo, discendevano da Cam. Se vogliamo utilizzare le indicazioni della Bibbia in modo corretto, pertanto, dobbiamo concludere che l'ebraico attuale è una lingua camita, non semita.
E gli ebrei attuali dobbiamo definirli camiti o semiti? Nessuno si sognerebbe di dire che francesi e lombardi sono popolazioni germaniche, dal momento che parlano lingue neolatine. Lo stesso principio dovrebbe valere per gli ebrei; ma in questo campo non ci sono regole stabilite, per cui non appare proponibile un cambiamento di una consuetudine talmente consolidata.
Ancor oggi gli ebrei dichiarano di discendere dal patriarca Abramo, ed è fuori dubbio che quest’ultimo era sotto ogni aspetto il prototipo del semita. Ma qual era la sua lingua materna? Certamente non l’ebraico. Doveva essere quella del suo paese di origine, Ur dei Caldei, che non si identifica affatto con Ur dei Sumeri, la città della Mesopotamia meridionale scavata nel 1923 dall'archeologo inglese sir Charles Leonard Woolley. E’ questa una favola messa in giro dallo stesso Woolley, che voleva creare un po’ di scalpore intorno alle sue scoperte archeologiche, e che ha tuttora, inspiegabilmente, un certo seguito tra gli esegeti, tant’è vero che il papa stesso progettava un pellegrinaggio in quella città.
Ma è un’ipotesi contraddetta dalla storia innanzitutto (Ur dei Sumeri cessò di esistere assai prima che nascesse Abramo) e da tutte le indicazioni della Bibbia, da cui si deduce con certezza che Ur dei Caldei era una regione dell’Urartu, nella Mesopotamia settentrionale. Qui, infatti, sorgeva Nahor, la città natale di Abramo, e Harran, dove si trasferì in seguito.
L’Urartu era una regione corrispondente grosso modo all’attuale Curdistan, e i Caldei erano una delle popolazioni che lo abitavano fin dai tempi più antichi. Questo è storicamente accertato. Nel V secolo a.C., infatti, i Caldei vengono incontrati da Senofonte durante l'epico viaggio descritto nell'Anabasi (Anabasi IV,3,4; V,5,17; VII,8,25); erano una tribù fiera e bellicosa che abitava nella re¬gione compresa fra il lago Van, il Tigri e il suo affluente Centrites, nella Mesopotamia settentrionale. I Caldei si op¬posero strenuamente ai Greci, al guado del Centrites, e li attaccarono anche in seguito, dando loro parecchio filo da torcere. Cinque secoli dopo erano ancora là: il geografo greco Strabone li cita espressamente come una delle popolazioni soggette ai romani, abitanti in quella regione che lui chiama la Piccola Armenia (Geografica, XII, 29).
I Caldei facevano quindi parte di quelle popolazioni urrite (o churrite - progenitori degli odierni curdi), che a partire dagli inizi del II millennio avevano creato un mosaico di staterelli feudali nell’Urartu. Nel 17.mo secolo gli stati urriti vennero invasi da un gruppo di guerrieri ariani, i Mitanni, che crearono nell’Urartu un vasto e potente impero. E’ in questa cornice che si inserisce la storia di Abramo.
Le città in cui vissero lui e tutti i suoi parenti, Nahor e Harran, erano città mitanni. Gli Egizi chiamavano Mitanni col nome di Naharin, e Nahor è anche il nome del fratello maggiore e del nonno di Abramo. E tutti gli usi e costumi dei patriarchi, quali risultano dalla Bibbia, erano tipici della società mitanni. Questo è confermato dai documenti trovati nell'archivio di Nuzi, città urrita dei Mitanni, risalenti al 1500 a.C. circa.
Anche il computo dell’epoca in cui sarebbe vissuto Abramo, sulla base delle genealogie bibliche, porta all’epoca dei Mitanni, e più precisamente a quella in cui regnava il grande imperatore Saushsha-Tar.
Un’antica tradizione vuole che Abramo fosse un pastore nomade, un semplice beduino errante, senza arte né parte. Ma è un’immagine irreale, certamente falsa, che non trova alcun riscontro nella Bibbia. Al contrario, tutte le indicazioni concorrono a confermare che si trattava di un personaggio di altissimo rango e un valente guerriero. Quando lasciò Harran per la Palestina, aveva con sé centinaia di servi e soldati. Abimelek, principe di Gerar, lo trattava da pari a pari.
Melchisedek, re di Salem, gli portò pane e vino e lo benedisse (Gen,14.18), per aver sconfitto coi suoi uomini 4 re siriani che avevano devastato la Pentapoli. Gli Ittiti di Ebron si rivolsero a lui con le parole: tu sei un gran principe fra noi...
(Gen.23,6); il nome della sua moglie/sorella, Sara, significa principessa e così via. E non c’è dubbio che Abramo viene insediato come signore di un territorio che andava da Beer Sheba a Ebron.
Prova che il patriarca era persona di alto lignaggio è costituita anche dal suo albero genealogico, che annovera capostipiti e capi di tutti i popoli del Medio Oriente. Tare, padre di Abramo, infatti, si identifica con Saushsha-Tar (nome che significa: il re dei re Tar
), i cui discendenti fornirono le dinastie regnanti di quasi tutti i popoli della regione per parecchi secoli. Abramo, quindi, era un principe di sangue reale.
Ma che come mai un figlio dell’imperatore mitanni migrò in Palestina? E come mai ottenne un feudo in questo paese? Storicamente la risposta a queste domande è molto semplice. La Palestina a quei tempi, e da più di un secolo ormai, faceva parte dell’impero egizio, che il faraone Tutmosi III aveva riportato alla sua massima estensione, comprendente tutta la Siria, fino all’Eufrate. Per ristabilire i vecchi confini, Tutmosi aveva dovuto combattere proprio contro Saushsha-Tar, che fu sconfitto dopo una guerra durata cinque anni.
Seguì un trattato di pace duraturo. Dopo di allora, infatti, non ci fu mai più guerra fra i due imperi, i cui sovrani mantennero per oltre un secolo rapporti idilliaci (si chiamavano l'un l'altro fratello) con continui scambi di doni e di spose. Il merito era della politica abile e lungimirante di Tutmosi. A garanzia del trattato di pace si era fatto consegnare da Saushsha-Tar degli ostaggi, che egli fece venire in Palestina, insediandoveli come propri feudatari.
Era una comportamento tipico di Tutmosi nella riconquista della Siria e della Palestina. La regione era frazionata in tanti piccoli regni, ciascuno col suo piccolo esercito, con a capo un piccolo principe. Dopo averli sconfitti, di norma egli li rimetteva a capo dei loro staterelli, naturalmente dopo aver avuto le più solenni assicurazioni che mai più avrebbero preso le armi contro l'Egitto, e che avrebbero pagato un tributo annuale. Ma a garanzia di queste promesse egli si faceva sempre consegnare in ostaggio figli e fratelli del principe sottomesso, e li inviava a Tebe per essere educati a corte come Egizi.
Tutmosi si faceva consegnare ostaggi anche nei trattati di alleanza o di non belligeranza con potentati indipendenti, ma anziché portarli a Tebe, li insediava come propri feudatari in staterelli creati nella Palestina. (Questo genere di ostaggi venivano chiamati col nome di apiru, per distinguerli da quelli domestici – Li ritroviamo in tutta l’area mediorientale per oltre due millenni, segno che la pratica era ben consolidata). Anche il sovrano ittita Tutkalyiash II, suo alleato nella guerra contro Mitanni, infatti, gli consegnò ostaggi. Ritroviamo infatti gli ittiti nella Bibbia come figli di Het, confinanti di Abramo a Ebron.
Saushsha-Tar, dunque, dovette consegnare ostaggi a garanzia del trattato di pace stipulato dopo la sconfitta, precisamente il figlio Abramo ed il nipote Lot, che Tumosi insediò come propri feudatari, il primo a Ebron, il secondo nella valle del Giordano. Fu a partire da questo momento che la Palestina cominciò ad essere definita dagli Egiziani col nome di Hurru, cioè paese degli urriti, per via dei principati urrito/mitanni che vi erano stati creati.
Prova certa dell’esistenza di questi principati retti da ariani ci è data dalle lettere di Tel el Amarna, dei tempi di Akenaton, poco meno di un secolo dopo. Un gran numero di queste lettere, infatti, sono scritte da feudatari dal nome indubbiamente ariano, come Suwardata, principe di Ebron (che in base al nome stesso deve identificarsi con Esaù, il Rosso), Zurata, principe di Acco, e Indurata, principe di Acsaf, (il nome Indurata compare identico nei Veda indiani); o urrita, come Abdi-Khepa, principe di Salem. Sono tutti feudatari di chiara origine mitanni, alleati fra loro.
Ulteriore conferma che Tutmosi III aprì le porte della Palestina e dell’Egitto agli ariani può essere trovata in numerose tombe egizie, dove, a partire da quell’epoca, cominciano ad apparire numerose rappresentazioni di individui dalle caratteristiche ariane. Diversi faraoni della XVIII dinastia, inoltre, sposarono principesse mitanni a partire da Amenofi II e suo figlio Tutmosi IV, per finire con Akenaton.
Questa ricostruzione storica non è basata soltanto su documenti esterni alla Bibbia; tutt’altro. C’è una lunga serie di precisi riscontri con i fatti in questione nella Bibbia stessa, qualora si interpreti in chiave storica e non simbolica (questo argomento è trattato per esteso nel libro dell’Autore La Bibbia senza Segreti, edito da Rusconi).
La cosa più importante, tuttavia, per stabilire con certezza a quale gruppo razziale appartenesse Abramo, è di sapere quale fosse il suo aspetto fisico. Era alto, basso, bruno, biondo, rosso, barbuto, peloso, glabro? La Bibbia non lo dice. Se di Abramo non abbiamo una descrizione fisica, ne abbiamo però di un suo stretto consanguineo, il cui aspetto fisico dovrebbe essere molto simile a quello di Abramo. Possediamo la descrizione di un suo nipote, di pura razza, perché non inquinato da elementi estranei alla famiglia: Esaù, figlio di Isacco e Rebecca. Il primo era figlio di Abramo e di sua sorella Sara, la seconda era figlia di Betuel e Milcà, entrambi nipoti di primo grado di Abramo. E' pertanto un prodotto genuino, che possiamo ritenere rappresentativo della razza di famiglia.
Ebbene, Esaù era rosso di pelo, tanto da meritarsi il soprannome di Edom, il Rosso (Gn.25,25) (proprio come il vichingo Erik). Era peloso e di taglia robusta. Non è riportato il colore del pelo del gemello Giacobbe, ma anch'egli viene descritto come di taglia assai robusta (Gn.29,10). E' possibile che la madre del Rosso fosse piccola e bruna? E' possibile che lo fossero i suoi parenti stretti, zii e nonni? Possibile, certo! ma non molto probabile. Se dobbiamo giudicare da questo suo diretto e vicino discendente, l’unica conclusione possibile è che Abramo aveva carnagione chiara, capelli rossicci, abbondante peluria e corporatura massiccia: in sintesi un tipo di aspetto decisamente ariano.
Assai significativo è anche il riemergere di questi medesimi caratteri razziali fra i discendenti di Abramo. Quando nel XI secolo a.C. gli ebrei decisero di darsi un re, assegnarono l'incarico di scegliere il sovrano a Samuele (1Sam.8,5). Poiché i candidati erano costituiti dall'intera discendenza di Giacobbe, l'incarico non si presentava dei più facili, in assenza di un preciso criterio di scelta. Il sant'uomo era certamente ispirato dall'Alto, o almeno così doveva lasciare intendere; ma a quanto risulta dal primo libro di Samuele, pare che l'unico criterio su cui si basarono le sue scelte sia stato l'aspetto fisico dei candidati.
Infatti, il primo re, Saul, venne scelto sulla base della sua statura (sopravanzava dell'intera testa tutti gli altri - 1 Sam.10,23); non è detto di che colore fossero i suoi capelli, ma è certo che il suo concorrente e successore, Davide, aveva i capelli fulvi. Samuele lo scelse, sembrerebbe, proprio sulla base di questo particolare fisico: infatti si fece mostrare tutti i figli di Iesse, uno dopo l'altro, e solo quando vide quello dalla chioma fulva lo indicò come futuro re. (1 Sam. 16,12).
Il criterio basato sull'aspetto fisico appare alquanto grossolano, ma non possiamo certo ritenere che le motivazioni di Samuele fossero di ordine puramente estetico. Evidentemente Samuele, per il primo re d'Israele, cercava un uomo che discendesse con certezza da Abramo e ne possedesse al massimo le virtù. E l'unico criterio oggettivo che egli possedesse per valutare l'idoneità del candidato era il suo aspetto fisico, che doveva avvicinarsi il più possibile a quello del grande antenato. Il fatto che Samuele cercasse una persona alta e fulva di capelli costituisce quindi una ulteriore conferma che questo era l'aspetto fisico di Abramo.
D’altra parte questi stessi caratteri razziali prevalgono fra quelli che, stando alle proprie dichiarazioni e all’esame del DNA, sembrano essere i più diretti discendenti del patriarca, con una lunga tradizione di matrimoni nell’ambito del gruppo: i samaritani, tra cui sono molto frequenti gli individui alti, biondi e con gli occhi azzurri.
Se dobbiamo quindi giudicare sulla base delle indicazioni fornite dalla Bibbia e dai caratteri razziali di quelli fra i suoi discendenti che hanno mantenuto le caratteristiche originarie, dobbiamo ammettere senza alcuna esitazione che Abramo aveva l'aspetto fisico di un ariano. Il che concorda con la conclusione che egli fosse figlio del grande sovrano mitanni Saushsha-Tar. Abramo, capostipite del popolo ebraico, era in definitiva un principe di pura razza ariana.
La sua lingua materna, pertanto, doveva assomigliare molto più al sanscrito o al greco che all’ebraico. Una sorprendente conferma di questo fatto ci viene ancora una volta dalla stessa Bibbia, nei libri dei Maccabei. Vi si racconta, infatti, che il sommo sacerdote Giasone, fuggito da Gerusalemme, si rifugiò a Sparta, dove sperava di essere ben accolto, a causa della comune origine. (2 Mac.5,9).
E che questa comune origine risalisse ai tempi della diaspora ariana, di cui Abramo fu uno dei protagonisti, è confermato dalle parole che il re di Sparta Areo, sicuramente ariano, scrisse al sommo sacerdote Onia (1Mac.12,20; 12,7):
Areo, re degli spartani, a Onia sommo sacerdote, salute. Si è trovato in una scrittura, riguardante gli spartani e i giudei, che essi sono fratelli e discendono dalla stirpe di Abramo.
Incredibile? Non proprio, se si considera che Abramo proveniva dal regno di Mitanni.