Ritenuto dagli storici soltanto un mito, è un avvenimento realmente accaduto, fra i più importanti e decisivi della Storia
Il passaggio degli ebrei attraverso il Mar Rosso è l’avvenimento centrale e più importante dell'epopea dell'Esodo. Senza di esso Mosè non avrebbe potuto trascinare il popolo ebraico nel deserto ed imporgli la sua legge; la religione ebraica non sarebbe mai sorta e neppure il cristianesimo. La storia umana avrebbe avuto un corso totalmente diverso. Il passaggio del Mar Rosso, quindi, si pone in prospettiva come uno degli avvenimenti più importanti e decisivi della Storia. Ironia della sorte, sono proprio gli storici i primi a negargli ogni realtà storica e a relegarlo nel campo del mito e del simbolismo.
Per una qualche ragione il passaggio attraverso il Mar Rosso, come viene descritto dalla Bibbia, è sempre apparso a tutti gli studiosi talmente al di fuori delle possibilità pratiche, che lo hanno sempre rigettato a priori, dedicandosi a ricercare soluzioni alternative. Le proposte si contano a decine: chi fa passare gli ebrei lungo la costa del Mediterraneo, chi attraverso i laghi Amari, lungo un passaggio segreto, chi a sud per varie vie; chi dice che fossero soltanto un piccolo gruppo di adulti fuggiaschi, chi soltanto mezza tribù e così via. Neppure una di queste proposte alternative, però, appare più credibile dello stesso racconto biblico, per cui alla fine è prevalsa l’opinione che in realtà non ci sia mai stato un passaggio del Mar Rosso e che si tratti soltanto di un racconto simbolico.
A nessuno è mai passato per la mente che l’unica spiegazione razionale e realistica di quell'episodio è proprio quella fornita dalla Bibbia stessa. Un’analisi accurata del racconto porta ad escludere che esso sia stato inventato e a concludere che quel passaggio deve essere avvenuto realmente ed esattamente dove, quando e come descritto in Esodo.
Sorprendentemente, infatti, è possibile trovare una spiegazione soltanto a patto che non si rinunci ad una sola delle indicazioni fornite dalla Bibbia. Beninteso, nel presupposto che quest'ultima racconti i fatti come sono stati vissuti e capiti dai loro protagonisti, ai quali sfuggiva la spiegazione razionale di ciò che accadeva e perciò ricorrevano all'intervento sovrannaturale. Ma i fatti per se stessi sono stati riportati in modo preciso e fedele.
I fatti essenziali di tale racconto sono:
· gli Ebrei sono transitati "in mezzo" ad un vero mare, avendo acqua sia sulla loro destra che sulla loro sinistra (Es.14,22) (tradizionalmente il mare in questione viene identificato con il Mar Rosso, e non c’è ragione, sulla base del testo, di rigettare questa identificazione).
· Sono transitati attraverso il mare di notte, in una notte senza luna, quindi durante un novilunio (Es.14,20; Deu.16,1).
· Prima e durante il passaggio si era levato un vento teso (Es.14,21).
· Le truppe egiziane si sono gettate all'inseguimento alle prime luci dell'alba lungo la stessa via percorsa dagli ebrei, ma sono state travolte dalle acque prima di riuscire a passare (Es.14,23; 14,27 ecc.).
· I corpi dei soldati annegati sono stati trascinati dalla corrente sulla spiaggia del mare (Es.14,20).
Questi sono i capisaldi della narrazione biblica, che vengono ripetuti e confermati più e più volte nei contesti più diversi. Si tratta di appurare se esiste la possibilità pratica che questi fatti siano realmente accaduti così come la Bibbia li ha tramandati.
Iniziamo col porci una domanda: "Perché Mosè condusse il popolo ebraico proprio attraverso il Mar Rosso?" Non era certo la via normale per la Palestina, né la più breve e tanto meno la più comoda (Es.13,17-18). Doveva esserci un motivo ben preciso ed estremamente importante. Quale? L'effetto finale del passaggio del Mar Rosso fu che le truppe egiziane lanciate al loro inseguimento furono sterminate. Il motivo per cui Mosè condusse gli Ebrei attraverso il Mar Rosso doveva essere proprio e soltanto questo: liberarsi delle truppe egiziane.
Doveva far parte di un piano ben preciso.
Gli Ebrei, dopo lunghe e laboriose trattative con il faraone, inframmezzate da eventi calamitosi straordinari, avevano ottenuto l'autorizzazione a recarsi nel deserto, "a tre giorni di cammino" (la "giornata di cammino" era una unita di misura delle distanze corrispondente a circa 35-40 km; perciò la meta degli ebrei si trovava a più di un centinaio di km da Ramsess), per compiere sacrifici al proprio Dio (Es.8,22-23), non certo di andarsene dall'Egitto. Da mesi, tuttavia, si stavano preparando alla fuga; avevano venduto tutti i propri beni immobili, barattandoli con preziosi (Es.3,22; 11, 2; 12, 35); la voce che essi avrebbero cercato di fuggire dall'Egitto doveva essere ormai di dominio pubblico.
Sembra ovvio che gli egiziani, nell'autorizzarli a recarsi nel deserto, dovettero prendere delle precauzioni; e infatti distaccarono un contingente di 600 carri da guerra (Es.14,7), con l'incarico di seguirli per impedire ogni tentativo di fuga. Che le truppe egiziane si fossero accodate agli ebrei fin dall'inizio del viaggio appare del tutto evidente dal racconto. In Es.14,8 è detto esplicitamente che "faraone si pose all'inseguimento degli israeliti mentre questi uscivano a mano alzata (da Ramsess)", cioè fin dal primo giorno dell'Esodo. E i versetti 14,20 e 14,24-26 dimostrano al di là di ogni possibile dubbio che durante il viaggio gli egiziani si accampavano regolarmente nei pressi del campo ebraico.
Gli ebrei avevano con se vecchi, donne e bambini, greggi e masserizie; erano lenti e impacciati nei movimenti; erano disarmati e senza alcuna esperienza di guerra. Le truppe carrate egiziane erano infinitamente più veloci e potenti; non esisteva la benché minima possibilità di fuga, se non venivano tolte di mezzo in qualche modo. Quando, infatti, gli ebrei si resero conto di essere seguiti, vennero presi dalla costernazione e Mosè per indurli a proseguire dovette assicurare loro che sarebbe stato il Signore stesso a sterminare i soldati egiziani (Es.14,10-14). Lo scopo del passaggio attraverso il Mar Rosso non poteva essere altro che questo: liberarsi definitivamente dei sorveglianti.
Mosè fu l'ideatore ed esecutore materiale del piano, ma non possiamo certo pensare che avesse realmente il potere di dividere le acque del mare. Doveva essere a conoscenza di un qualche fenomeno che si verificava allora nel Mar Rosso e che oggi non avviene più. E' importante l'epoca in cui si svolsero i fatti. Secondo la maggioranza degli storici ed esegeti gli avvenimenti in questione sarebbero accaduti nel 13° secolo a.C., poco più di 3000 anni fa. Cosa c'era allora di diverso rispetto ad oggi? Un fatto abbastanza insignificante: il livello dei mari su tutta la Terra, e quindi anche nel Mar Rosso, era dai quattro ai cinque metri più basso che non attualmente, a causa di residui di ghiacci pleistocenici persistenti sulla terraferma (vedi K.O.Emery, "La Piattaforma continentale" in Le Scienze, n.16, 1969, pagg. 48-61).
Cosa cambia questo? Un'occhiata a una carta nautica e lo si vede immediatamente (vedi cartina allegata). La Baia di Suez, all’estremità settentrionale del Mar Rosso, è come sbarrata da una linea di secche che dalla punta Ras el-Adabiya, sul lato occidentale, si protende verso est-nord-est fino alla sponda opposta. E' un cordone pressoché continuo (oggi interrotto da un canale dragato, per consentire la navigazione), la cui quota non supera i sei-sette metri.
All'epoca di Mosè quella stessa linea di secche, che è "ancorata" ad una serie di roccioni affioranti, si doveva trovare ad appena un paio di metri sotto il pelo dell'acqua, o anche meno. E' del tutto verosimile che, in occasione delle massime escursioni di marea, affiorasse, consentendo il passaggio da una sponda all'altra della baia anche con mezzi pesanti, essendo la sabbia del Mar Rosso molto compatta.
Il luogo era deserto, frequentato occasionalmente soltanto da qualche beduino. Il fenomeno si ripeteva soltanto in occasione delle maree sigiziali, quando luna e sole sono in congiunzione allo zenit, cioè nel novilunio più prossimo al solstizio d'estate; sempre di notte. Perciò nessuno, o quasi, ne era a conoscenza. Data la sua irrilevanza ai fini pratici, forse nessuno prima di Mosè si era curato di stabilirne le cause, la durata e la periodicità.
Mosè doveva esserne venuto a conoscenza durante la sua fuga nel Sinai (Es.2,15); la cosa doveva averlo impressionato moltissimo, tanto da indurlo a tornare sul posto, anno dopo anno, per studiare a fondo il fenomeno; non dovette essere difficile per lui capirne la meccanica, legato com'era alle fasi lunari e ai movimenti del sole. Per mettere a punto il suo piano, Mosè doveva necessariamente conoscere il giorno e l'ora in cui le secche sarebbero affiorate e l'ora in cui sarebbero scomparse.
Alcuni elementi "collaterali", che egli aveva certamente messo in conto, assunsero un ruolo importante. La notte buia senza luna, ad esempio, che consentì agli ebrei di muoversi senza essere visti. Questo, però, poteva essere un gravissimo ostacolo alla loro marcia lungo le secche; sennonché le calde acque del Mar Rosso pullulavano di microrganismi luminescenti e la forte brezza notturna faceva frangere le onde sulle secche, eccitandoli e segnando così la strada, senza bisogno di illuminazione artificiale, altrimenti indispensabile. Il vento, quindi, pur non avendo alcuna influenza sul ritiro delle acque, venne a svolgere un ruolo molto importante.
Una volta accettata l'idea che a quell'epoca le secche della Baia di Suez affiorassero durante le basse maree sigiziali, diventa relativamente facile ricostruire il piano di Mosè nelle linee essenziali, attenendosi strettamente alle indicazioni contenute nella Bibbia e tenendo presente che ogni particolare del racconto è stato tramandato soltanto in quanto ebbe una qualche importanza nella economia del fatto e quindi deve trovare una sua precisa spiegazione razionale.
Gli Ebrei erano migliaia; possedevano carri a due ruote, trainati da una coppia di buoi (Nm.7,3-9), mandrie di bovini e greggi di pecore e capre. In movimento formavano una colonna interminabile ed erano sparpagliati per chilometri all'intorno, dovendo pascolare il bestiame lungo il cammino. Guidare e coordinare i movimenti di una massa del genere costituiva un grosso problema. Mosè lo risolse in modo alquanto semplice (e presumibilmente comune a quei tempi): in testa alle colonne in marcia, pose, su un carretto, un grande braciere pieno di bitume ardente. Sprigionava una "colonna" di denso fumo, che poteva essere vista da chilometri di distanza e serviva da riferimento e guida durante la marcia. Di notte la posizione del braciere era segnalata dal bagliore delle fiamme (Es. 13,21).
Le truppe egiziane seguivano a distanza gli ebrei, ed è naturale che si regolassero anch'esse sui movimenti del braciere. Era un punto essenziale del piano di Mosè; dai versetti Es.14,19-20, infatti, risulta evidente che il braciere, la notte in cui fu attraversato il Mar Rosso, dovette svolgere un ruolo di notevole importanza.
Dopo un viaggio di 15 giorni (il popolo ebraico non poteva coprire più di una quindicina di chilometri per ogni giornata di marcia; inoltre, ogni tre giorni doveva effettuare una sosta di almeno una giornata per abbeverare il bestiame), il giorno del novilunio, Mosè piantò il campo sulla riva del Mar Rosso, di fronte alle secche di cui lui solo conosceva l'esistenza, e che in quel momento erano ben nascoste, essendo la marea al culmine.
Le truppe egiziane si accamparono su di un'altura, bene in vista del campo ebraico, ma abbastanza lontano per non potersi accorgere di quello che vi accadeva durante la notte. Questa era ovviamente una condizione essenziale per la riuscita del piano e Mosè doveva aver escogitato qualcosa per ottenere che gli egiziani non si accampassero troppo vicino. Dal racconto è facile capire come: in una delle soste precedenti gli egiziani si erano evidentemente accampati nelle immediate vicinanze del braciere (Es.14,24); Mosè doveva aver organizzato una incursione nel loro campo e bloccato le ruote dei carri da guerra (Es.14,25), probabilmente riempiendo i mozzi di sabbia.
Dopo quell'incidente, il comandante del distaccamento egizio doveva aver adottato elementari misure di sicurezza, intese ad evitare di essere colto di sorpresa. La cosa più logica e sensata che potesse fare era di piantare il campo ad una certa distanza da quello ebraico (Es.14,25) e di mettere sentinelle; così doveva aver fatto anche quella sera. Mosè aveva provveduto a sistemare il braciere bene in vista, alle spalle del campo ebraico, dal lato del deserto, proprio in faccia agli egiziani, schermandolo dal lato del campo ebraico, in modo che non si potesse vedere quello che vi succedeva (Es.14,19-20). Scese la notte (Es.14,21; Dt.16,1), una notte buia senza luna (Es.14,20). Appena buio, gli Ebrei tolsero il campo, radunarono le masserizie e le greggi, si disposero in assetto di marcia e rimasero in attesa di ordini.
Si levò il vento (Es. 14,21): la solita brezza notturna, abbastanza sostenuta in questa stagione, sufficiente ad increspare la superficie del mare. La marea cominciò a scendere. Sulla riva del mare Mosè, circondato dagli anziani delle tribù, era in attesa spasmodica. La marea scendeva; finalmente il miracolo si compì: lentamente una sottile lingua di sabbia emerse dalle acque. Le onde sollevate dalla brezza notturna si frangevano sui bordi della lingua di sabbia, da entrambi i lati. Nella schiuma biancastra miriadi di microscopici organismi si eccitavano, producendo una debole luminescenza; sufficiente per tracciare con sicurezza il cammino nel buio pesto. Era certamente proibito accendere fiaccole o fuochi di qualsiasi genere, durante il passaggio, per non mettere in allarme anzitempo gli egiziani.
Doveva essere circa l'una di notte, quando venne dato l'ordine della partenza: gli ebrei si precipitarono nel Mar Rosso in colonne ordinate e silenziose, sospingendo avanti a se le greggi. Impiegarono circa tre ore per passare dall'altra parte. Era un percorso di poco più di 5 chilometri; dovette apparire a loro, che ignoravano la meccanica del fenomeno, un miracolo straordinario. Nel buio della notte intravedevano le acque soltanto grazie alla debole luminescenza ed al biancore dei frangenti; l'effetto ottico di due muraglie d'acqua da entrambi i lati doveva essere perfetto. Chissà con quale stupefatto terrore compirono quel tragitto!
Nel campo egizio, intanto, dormivano. Il vento portava alle sentinelle, smorzato dalla lontananza, il belato delle greggi e l'abbaiare furioso dei cani. Doveva apparire insolito e probabilmente le sentinelle si innervosirono; ma la loro consegna doveva essere quella di sorvegliare i movimenti del braciere in fiamme e perciò non c'era ragione di allarmarsi finché esso rimaneva al suo posto.
Dovevano essere circa le tre di notte quando, improvvisamente, il braciere si mise in movimento. Venne subito dato l'allarme; gli egiziani si svegliarono, si armarono e aggiogarono i cavalli ai carri. Soltanto poco dopo le tre e mezza dovettero essere in grado di iniziare l'inseguimento del braciere, il quale nel frattempo si muoveva inspiegabilmente in mezzo al mare, verso la sponda opposta.
Mosè doveva aver contato molto sul fattore psicologico, per attirare gli egiziani nella trappola mortale. Possiamo immaginare la confusione, lo sbalordimento e l'angoscia del comandante egiziano mano a mano che, nel buio fitto, si avvicinava al luogo in cui la sera prima erano accampati gli ebrei. Aveva la consegna di sorvegliarli e di impedirne la fuga; era certo che, imbottigliati com'erano fra il mare e il campo egizio (Es.14,3), non avevano alcuna possibilità di muoversi. Ma arrivato sulla punta El Adabiya, delle migliaia di persone che dovevano esserci, delle loro tende, dei carri e del bestiame non esisteva più la minima traccia. Volatilizzati, come per magia! passati attraverso il mare? Ma come poteva essere possibile? Eppure il braciere era proprio là in mezzo al golfo. Quando giunse sulla riva del mare era già l'alba; uno spettacolo inatteso e incredibile gli apparve al debole chiarore dell’aurora: una lunga striscia di sabbia univa come un ponte le due sponde e al centro di essa il braciere degli ebrei si affrettava verso la riva opposta. Un urlo di rabbia e, senza pensarci due volte, si precipitò all'inseguimento, seguito dalle sue truppe, lungo quella striscia di sabbia che cominciava allora a restringersi. La marea stava salendo rapidamente. Gli Egiziani spronavano i cavalli; correvano disperatamente. Avevano già oltrepassato il centro della baia, quando gli ultimi lembi di sabbia scomparvero sotto la marea avanzante. Fu il disastro! (Es.14,28)
Sull'altra sponda, ritto su uno scoglio, Mosè osservava la scena. Il sole stava sorgendo alle sue spalle (Es.14,27). Guardava i cavalli che si dibattevano nelle acque e i soldati che affondavano, trascinati dalle loro armature (Es.15,4-5). In cuor suo trionfava, gonfio d'orgoglio. E ne aveva di che! Per la genialità e audacia della concezione, la complessità delle operazioni, la meticolosa pianificazione e l'esecuzione brillante e decisa, è un'impresa che non ha paragoni nella storia.
Mosè doveva aver calcolato esattamente tutti i tempi in gioco; gli egiziani, infatti, dovevano arrivare in riva al mare in un momento ben preciso. Alla luce dell'alba, essi avrebbero impiegato non più di mezz'ora a percorrere i 5 chilometri che separavano le due sponde. Su quella mezz'ora si giocava la riuscita dell'intero piano di Mosè e il destino del popolo ebraico. Bastava un piccolo errore di calcolo, una mossa sbagliata e l'avventura poteva trasformarsi in tragedia. Se gli egiziani fossero arrivati in riva al mare troppo presto, avrebbero fatto in tempo a raggiungere l'altra sponda. Se fossero arrivati troppo tardi, avrebbero trovato le secche già allagate; avrebbero fatto il giro della baia e raggiunto gli Ebrei dopo poche ore. In entrambi i casi la rappresaglia sarebbe stata tremenda. Gli Ebrei avrebbero pagato a carissimo prezzo il loro tentativo. Per Mosè e i suoi amici sarebbe stata la fine.
Un grosso rischio! Calcolato, è vero, ma con un margine di sicurezza di soli 15 o 20 minuti (probabilmente raddoppiati da misure precauzionali: ostacoli vari disseminati nella seconda metà del percorso, per rallentare la corsa dei carri). In ogni caso fu un'impresa di un'audacia tale da mozzare il fiato. Andò bene per gli ebrei: l'armata egiziana fu annientata. I corpi dei soldati annegati finirono sparsi lungo le rive del mare per chilometri all'intorno (Es.14,30), a tangibile testimonianza della potenza di Jahweh e del suo portavoce Mosè.
Gli Ebrei poterono allontanarsi nel deserto indisturbati verso il loro nuovo destino.
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Foto aerea della Baia di Sues. Si vede chiaramente la punta Ras Adabia, da dove gli ebrei transitarono per raggiungere la sponda opposta
Le secche nel Golfo di Suez attraverso cui sono passati gli ebrei
Particolare delle Tavole Peutingeriane, la grande mappa stradale dell’impero romano, prodotta nel quarto secolo d.C.- Indica in modo chiaro che il passaggio del Mar Rosso è avvenuto attraverso la Baia di Suez
Particolare della mappa di Yaaqov ben Abraham (Zaddiq) (Amsterdam 1621), che mostra il passaggio del Mar Rosso attraverso la Baia di Suez
Particolare della mappa di Ortelius (Anversa 1570), con la rappresentazione del passaggio del Mar Rosso attraverso la baia di Suez
Mappa di Jan Janssonius (Amsterdam,1631), una delle numerose carte che rappresentano il passaggio del Mar Rosso attraverso la baia di Suez
Mosé divide le acque del Mar Rosso (particolare dalla mappa di Jan Janssonius, Amsterdam, 1631)
I carri egiziani travolti dalle acque del Mar Rosso (particolare dalla mappa di Jan Janssonius, Amsterdam, 1631)
Particolare dalla mappa di Christian von Adrichom (Cologna 1590) con il passaggio del Mar Rosso attraverso le secche della Baia di Suez
Particolare della mappa di John Speed (Londra 1611)
Il passaggio del Mar Rosso secondo Philip Briet (Parigi 1641)