Con l’editto di Nicomedia (detto anche di Serdica), siglato nell’aprile del 311 dagli augusti Galerio e Licinio, ebbe termine la “grande persecuzione”, dipinta dal cristianesimo trionfante come l’ultimo disperato tentativo della Roma pagana di arrestarne l’espansione. Se si esaminano i fatti, tuttavia, si vede che questo non è assolutamente vero. La persecuzione colpì quasi esclusivamente l’oriente ellenizzato, mentre Roma e l’occidente furono appena sfiorati. Inoltre i persecutori appartenevano alla stessa organizzazione “pagana”, il Sol Invictus, a cui appartenevano coloro che posero fine alle persecuzioni, a cominciare da Massenzio per finire con Licinio e Costantino.
Vero è, invece, che questa persecuzione fu salutare per la famiglia sacerdotale e provocò una svolta radicale nella sua politica, basata su tre punti fondamentali, che dovranno avere conseguenze enormi sul futuro di Roma.
Al primo posto l’attribuzione della carica imperiale, che nel terzo secolo aveva visto scatenarsi una serie innumerevole di lotte intestine in seno al Sol Invictus per conquistarla, con conseguenze rovinose per l’impero. Spesso queste lotte erano sfociate in persecuzioni anticristiane, volte non tanto a reprimere la religione per se stessa, quanto piuttosto a colpire esponenti della gerarchia religiosa favorevoli ad avversari politici. Per evitare, o comunque limitare questo fenomeno, fu deciso che da allora in poi la carica imperiale sarebbe stata appannaggio esclusivo di una ed una soltanto delle tribù sacerdotali che erano entrate a far parte dell’organizzazione mitraica.
Al secondo punto fu posta la cristianizzazione forzata dell’impero, o comunque l’imposizione di un unico credo, che avrebbe dovuto evitare per il futuro conflitti di natura religiosa.
Terzo e non meno importante punto, fu decisa la separazione netta fra potere civile e religione, anche da un punto di vista puramente fisico: da allora in poi, infatti, fu vietato agli imperatori romani di risiedere a Roma, che rimase sede esclusiva del papato e del senato.
Protagonisti della svolta furono Flavio Costantino, proclamato augusto dalle sue truppe alla morte del padre, avvenuta a York il 25 luglio 306, e Flavio Licinio, nominato augusto nel vertice del Sol Invictus tenuto nel mitreo di Carnutum nel 308.
Nel 312 Costantino si sbarazzò del suo rivale M. Valerio Massenzio[1], nella celeberrima battaglia del ponte Milvio, rimanendo unico padrone dell’occidente. Subito dopo, agli inizi del 313, i due, Costantino e Licinio, si incontrarono a Milano. In quell’occasione riconobbero fraternamente le rispettive sfere d’influenza e suggellarono il loro accordo con il matrimonio fra Licinio e la sorella di Costantino, Flavia Costanza. Concordarono anche di eliminare congiuntamente l’ultimo nemico dei cristiani, Massimino Daia, cosa che avvenne di lì a poco.
L’incontro di Milano del 313 segna una svolta fondamentale nella storia del mondo. Non tanto perché in quell’occasione sia stato emesso il famoso editto di tolleranza che concedeva finalmente piena libertà di culto al cristianesimo, come vogliono la maggioranza degli storici, che ne attribuiscono il merito a Costantino.
In realtà nel 313 non fu emesso alcun editto di tolleranza. I due imperatori si limitarono di comune accordo a ratificare l’editto di Nicomedia, estendendolo a tutto l’impero ed ampliandone alcune clausole (in particolare nella restituzione dei beni confiscati alla Chiesa), ed inviarono lettere ai propri rispettivi governatori, con istruzioni per la sua applicazione. Ironia della sorte, è proprio da una lettera di Licinio, integralmente riportata da Esusebio e Lattanzio, che conosciamo il contenuto dei loro provvedimenti. [2]
Il merito della conferma dell’editto di tolleranza e del conseguente trionfo definitivo del cristianesimo, fu attribuito interamente a Costantino, ma va diviso equamente fra i due. Semmai era Licinio quello che aveva diritto di priorità, avendo ispirato e cofirmato con Galerio l’editto di tolleranza di Serdica. Ma si sa che chi vince ha sempre ragione. Era inevitabile che prima o poi scoppiasse fra i due un conflitto per la supremazia. Dopo alcuni anni di rapporti oscillanti fra il fraterno ed il conflittuale, nel 324 si affrontarono in uno scontro decisivo e Costantino ebbe la meglio, riunificando l’impero.
La vera svolta, però, fu dovuta agli accordi segreti dei due imperatori, che stabilirono una volta per tutte la politica dell’organizzazione sacerdotale, decidendo i destini futuri dell’impero. Da quel momento in poi la conquista della società civile procedette apertamente ed in modo estremamente rapido sui due fronti: da un lato la cristianizzazione forzata dell’impero [3], dall’altro la distruzione di quel che ancora rimaneva della vecchia classe dirigente e la sua sostituzione con uomini nuovi; possiamo essere ragionevolmente certi che in maggioranza si trattasse di membri di famiglie sacerdotali.
Avesse vinto Licinio, probabilmente la storia non sarebbe cambiata di molto, almeno per quel che riguarda il cristianesimo. Erano entrambi appartenenti al Sol Invictus; entrambi avevano imposto preghiere e simboli cristiani al proprio esercito[4]; entrambi si appoggiarono al cristianesimo e lo favorirono in ogni modo (e Licinio forse ancor più apertamente di Costantino, dal momento che vantava una discendenza diretta dal primo imperatore cristiano, Filippo l’Arabo). Ed oltre che cognati, erano entrambi appartenenti alla stessa stirpe, la “Gens Flavia”.
Con tutta probabilità, fu proprio questo l’argomento al centro degli accordi di Flavio Costantino e Flavio Licinio, nel loro incontro di Milano del 313. Si è già detto che le decisioni dell’organizzazione mitraica erano un segreto inviolabile, di cui non possiamo aspettarci di trovare traccia in nessun documento storico. Di questa in particolare, però, data la sua importanza e risonanza nell’ambito della famiglia sacerdotale, è riportato forse un cenno indiretto nella cronaca storica di uno scrittore contemporaneo, Aurelio Vittore.
Nelle sue cronache “De Caesaribus” egli dice che dopo la vittoria su Massenzio i “patres” (parola ambigua che può significare tanto il Senato, quanto i capi delle logge mitraiche, che avevano appunto il nome di “patres”) dedicarono a Roma una basilica ai meriti di Flavio Costantino. Subito dopo aggiunge che “sacerdotium decretum Flaviae genti”, e cioè, letteralmente, che fu conferito il “sacerdozio” alla Gente Flavia. [5]
Una frase del genere è ambigua nell’ottica pagana; l’unico significato che possiamo attribuirle è che fu istituito un corpo sacerdotale dedicato al culto della stirpe dei Flavi, non certo che i membri della famiglia siano stati nominati sacerdoti, dal momento che la carica di Pontefice Massimo era automaticamente collegata a quella dell’imperatore. Nell’ottica cristiana non ha senso, mentre lo ha ben chiaro in un’ottica collegata alla famiglia sacerdotale giudaica.
Per capire il significato di questa frase dobbiamo tener conto di chi era questo Aurelio Valerio, di chi fosse la Gens Flavia a cui si riferisce e cosa significasse esattamente per entrambi la parola “sacerdozio”.
Valerio Aurelio, nato a Cartagine (come S. Agostino, di cui era contemporaneo) era di famiglia equestre e viene definito “pagano” dagli storici. Egli effettuò una brillante carriera nell’amministrazione imperiale, fino a divenire, nel 389, prefetto di una Roma che a quell’epoca era già completamente “cristiana”. Non è neppure pensabile che in una situazione del genere proprio la massima carica civile della capitale fosse lasciata in mano ad un pagano nel senso classico del termine. Valerio era certamente un “pagano” come lo era stato Costantino, Ambrogio e via dicendo, vale a dire un membro dell’organizzazione del Sol Invictus, nella cui gerarchia doveva occupare un posto di tutto rilievo. Doveva quindi essere ben addentro alle sue segrete cose.
Vediamo ora chi fosse questa “Gens Flavia”. Gli storici sono concordi nel ritenere che non avesse nulla a che spartire con la famiglia degli omonimi imperatori del primo secolo, ma spesso limitano questa definizione alla sola famiglia di Costantino. Il che è certamente inesatto; come minimo doveva estendersi anche alla famiglia di Licinio.
Il culto di Mitra si era impadronito della regione pannonica fin dagli inizi del secondo secolo ed è da ritenere che gli antenati di Costantino e di Licinio fossero arrivati sul posto proprio in quel periodo. In due secoli è fuori dubbio che vi debbano aver stabilito una vasta rete di famiglie imparentate fra loro, che detenevano in tutta la regione una preminenza assoluta ed erano tutte collegate tramite l’organizzazione del Sol Invictus. Queste famiglie costituivano la Gens Flavia ed erano caratterizzate dal fatto che tutti i loro membri portavano il prenome “Flavio”.
Infine, vediamo l’interpretazione della parola “sacerdozio”. In quanto membri degli alti gradi del Sol Invictus, gli appartenenti alla Gens Flavia erano sacerdoti per diritto di nascita. Nel Bibbia, però, e in Giuseppe Flavio stesso, quando si parla di attribuzione del sacerdozio a qualcuno, spesso si intende l’attribuzione del “sommo sacerdozio”, condizione alla quale, nella tradizione asmonea, era collegata anche la massima carica politica dello stato (gli Asmonei, infatti, cumulavano nella propria persona la carica di re di Giuda e quella di sommi sacerdoti).
Quella che Valerio Aurelio sembra voler comunicare nel suo scritto, anche se in forma criptica, comprensibile soltanto agli iniziati (in tal modo egli non tradiva alcun segreto), è una informazione di estrema rilevanza e cioè che in quell’occasione fu conferito il sommo sacerdozio alla Gens Flavia.
Che significa? Da quanto abbiamo visto nell’esame condotto fino ad ora, la carica imperiale, da Settimio Severo in poi, era stata conferita esclusivamente a membri dell’organizzazione del Sol Invictus, indipendentemente dal livello che avevano nell’organizzazione e dalla loro appartenenza o meno allo stock di famiglie sacerdotali, e da quale ramo di queste famiglia. Ciò aveva provocato una serie interminabile di lotte intestine, che non avevano certo giovato alla causa della famiglia sacerdotale nel suo complesso.
Nell’incontro di Milano i due Flavi, Costantino e Licinio, dovettero convincere l’organizzazione sacerdotale del Sol Invictus a decretare che da allora in poi il sommo sacerdozio, e di conseguenza la carica imperiale ad esso collegata, competesse di diritto esclusivamente alla loro famiglia.
Questa interpretazione della frase di Valerio Aurelio può essere non corretta, ma di certo è verosimile. Una decisione di questo genere, infatti, dovette necessariamente essere presa in quell’occasione, perché da allora in poi tutti gli imperatori romani furono sempre ed esclusivamente scelti, senza mai la benché minima esitazione e deviazione, fra i membri della “Gens Flavia”.
La presenza di questo nome, Flavio, diverrà quasi ossessiva da allora in poi fra i membri delle famiglie imperiali, a cominciare, ovviamente, da quella di Costantino. Il nome per intero di suo padre era: Marco Flavio Valerio Costanzo Cloro. Questi sposò in prime nozze (anche se passò alla storia come concubina) Flavia Elena, mamma di Costantino, e in seconde nozze Flavia Massima Teodora. Ed il nome Flavio compare poi in quasi tutti i discendenti di Costanzo Cloro, a partire proprio da Costantino, il quale, fra l’altro, sposò anch’egli una donna della stessa “gens”, Flavia Massima Fausta. Fra essi citiamo Flavio Giulio Crispo, Flavio Giulio Costantino, Flavio Giulio Costanzo, Flavio Giulio Costante, Flavia Giulia Costanza, Flavio Dalmazio, Flavio Annibaliano, Flavio Graziano, per finire con Flavio Claudio Giuliano, detto l’Apostata, ultimo rappresentante della dinastia costantiniana, ma non certo di quella della Gens Flavia, che continua ininterrottamente.
Alla morte di Giuliano, infatti, viene eletto un generale di nome Flavio Gioviano, imperatore per pochi mesi. Il suo successore, Valentiniano I, è l’iniziatore di una nuova dinastia di Flavii, fra cui Graziano ed il nipote Valentiniano II. Flavio è Teodosio, il generale spagnolo iniziatore della successiva dinastia, come pure la maggior parte dei suoi discendenti, sia maschi che femmine. Flavio è il generale Costanzo, nominato augusto col nome di Costanzo III da Flavio Onorio, figlio di Valentiniano.
Flavio è anche l’usurpatore Eugenio, nominato augusto da Arbogasto in contrapposizione a Teodosio. Sempre un Flavio è il corregionario di Teodosio, Magno Massimo, da cui la provincia più importante della Britannia prese il nome di Flavia Caesarensis Maxima[6]; e Flavio è quel generale romano che nel 406 viene proclamato imperatore in Britannia, con il nome di Costantino III. Flavio si chiamava quel Marciano che iniziò a Costantinopoli la dinastia successiva a quella di Teodosio. Flavio sarà Giustiniano, iniziatore della terza dinastia dell’oriente, che si insediò a Costantinopoli nel 518. E così via.
Perfino Odoacre, una volta conquistato il dominio dell’Italia nel 576 e nominato “patrizio”, si affrettò ad assumere il nome di Flavio. Il fatto che il nome Flavio sia stato adottato, in età adulta, anche da personaggi che verosimilmente non erano di discendenza sacerdotale, non toglie nulla alla tesi che la carica imperiale fosse riservata esclusivamente alla Gens Flavia. Al contrario la rafforza, perché chiunque aspirasse alla carica, per sé o per i suoi figli, si affrettava ad assumere quel nome, normalmente dopo aver sposato una donna della Gens Flavia.
Il che stabilisce un legame diretto con Giuseppe Flavio, che rivendicava la discendenza dagli Asmonei per parte di madre, e con la consuetudine, invalsa proprio nella classe sacerdotale dopo la riforma di Esdra, la quale stabiliva che la condizione sacerdotale veniva ereditata dalla madre. Consuetudine ancora oggi in uso fra gli ebrei.
Il re visigoto Favritta, infatti, assunse il nome Flavio dopo aver sposato una nobile bizantina, e con questo si sentì intitolato a chiedere a Teodosio il rango di patrizio ed un vitalizio annuo[7]. Ugualmente Stilicone, che si ritiene di origini vandale, assunse il nome Flavio dopo aver sposato la nipote di Teodosio, Flavia Serena.
Certamente il fatto di aver sposato una donna della Gens Flavia non conferiva al consorte alcun diritto alla corona imperiale; ma ai loro figli si, perché ereditavano tale diritto dalla madre. Ed infatti Stilicone progettava di far nominare Cesare il proprio figlio Flavio Eucherio, avuto da Serena, e fu probabilmente questa la vera causa della condanna a morte sua e del figlio.
Anche Odoacre, che per sé rivendicò il solo titolo di patrizio, sognava un avvenire imperiale per il figlio Flavio Telane, che egli fece proclamare Cesare[8]. Un sogno che dovette costargli il trono e la vita, perché fu probabilmente la causa per cui l’imperatore d’oriente Zenone gli scatenò contro gli Ostrogoti di Teodorico.
Stessa sorte capitò al re visigoto Ataulfo che sognava un avvenire imperiale per la propria discendenza (faceva parte del suo sogno di restaurazione dell’impero romano); egli sposò, infatti, nel gennaio del 414, a Narbona, la sorella dell’imperatore Flavio Onorio, Galla Placidia, catturata durante il sacco di Roma del 410. L’anno dopo ella gli diede un figlio, che egli chiamò Flavio Teodosio, un nome che era tutto un programma.[9] Ataulfo fu ucciso l’anno dopo dagli stessi Goti e Galla Placidia fu restituita al fratello Onorio e data in sposa al generale Flavio Costanzo, lui sì della stirpe giusta, subito proclamato augusto; dalla loro unione nacque il futuro imperatore Flavio Valentiniano II.
Evidentemente i membri “puri” della Gens Flavia non erano disposti a tollerare la concorrenza di “bastardi”, accettandoli fra i loro ranghi , e ricorsero ad ogni mezzo per eliminarli. Altri barbari, in quel periodo, coltivarono lo stesso sogno. Il re vandalo Genserico, per esempio, diede in moglie al proprio figlio Unerico Eudossia, una delle due figlie di Valentiniano catturate nel sacco di Roma del 455; l’altra la diede in moglie al senatore romano Flavio Anicio Olibrio, che egli riuscì ad imporre come imperatore nel 473. Il suo sogno, evidentemente, era quello di insediare sul trono d’occidente un proprio nipote, legittimato alla carica imperiale dalla madre.
Ma da dove veniva questa Gens Flavia? La cosa certa, come si è detto, è che non aveva alcuna relazione con i Flavi imperiali del I secolo. Era una famiglia chiaramente legata al Sol Invictus Mithras, insediata in Pannonia fin dall’inizio del secondo secolo e subito dopo anche in Spagna, al seguito delle legioni romane di stanza in Galizia (una delle sue principali città si chiamava appunto “Aquae Flaviae”), e in Britannia. Una famiglia che aveva espresso almeno due imperatori nel terzo secolo, di cui uno dichiaratamente cristiano. Si è visto, infatti, che Licinio annovera fra i suoi antenati Filippo l’Arabo, che arabo non era certamente, anche se nato a Bosrà[10].
Era quindi una famiglia di sacerdoti, tutti esponenti del Sol Invictus Mithras, tradizionalmente legati al cristianesimo e con diritto quasi divino a governare, i cui membri si rifacevano evidentemente ad un antenato di nome Flavio. Non occorre eccessiva immaginazione per concludere che si dovesse trattare dei discendenti di Giuseppe Flavio, appartenente alla prima delle famiglie sacerdotali giudaiche, discendente della famiglia reale degli asmonei, fondatore dell’organizzazione mitraica, nonché, in base alla nostra ricostruzione iniziale, promotore della Chiesa di Roma.
In poco più di due secoli i suoi discendenti si erano impadroniti in maniera totale ed irreversibile di quel potentissimo impero che li aveva quasi annientati, riducendolo esattamente com’era il regno di Giuda per la famiglia sacerdotale al tempo degli Asmonei.
Il sogno “impossibile” di Giuseppe Flavio era divenuto realtà: la famiglia sacerdotale mosaica era diventata per Roma quel che era stata per Gerusalemme al culmine della sua potenza: signora del potere economico e politico ed arbitra incontrastata della religione. Ed i suoi discendenti diretti ne erano i sommi sacerdoti, nonché sovrani dell’impero per diritto di nascita.
L’unica differenza era che, al di fuori dell’organizzazione occulta, nessuno sospettava neppure l’esistenza della famiglia sacerdotale e quindi ignorava l’esistenza di vincoli di parentela e solidarietà fra le famiglie che costituivano la classe dirigente dell’impero.
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La donazione di Costantino
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[1] Anche Massenzio era un Sol Invictus e apparteneva a una famiglia sacerdotale originaria della Pannonia. Era favorevole ai cristiani al punto che lui per primo, nel 306, revocò gli editti persecutori di Diocleziano e restituì alla Chiesa i beni sequestrati. Nel suo esercito militavano molti soldati e ufficiali cristiani e godeva del pieno appoggio del clero romano. Massenzio morì al Ponte Milvio, ma Costantino risparmiò suo padre, Massimiano (nonché proprio suocero – Massenzio era cognato di Costantino; si trattava quindi di una guerra “in famiglia”, come sarà la norma in seguito e come lo era sempre stato in seno alla famiglia sacerdotale)
[2] K.Bihlmeyer, H. Tuechle, Storia della Chiesa, 1-L’antichità cristiana, §41, 1 – La lettera di Licinio comincia con l’esonerare il clero africano dagli oneri municipali e segue con il testo concordato a Milano con Costantino, “una legge ottima ed esauriente a favore dei cristiani” (Eusebio IX 9,12; 9°, 12), che concesse finalmente piena libertà di culto, restituì alla Chiesa i beni confiscati e accordò ai vescovi una giurisdizione civile pubblicamente riconosciuta.
[3] K.Bihlmeyer, Storia della Chiesa, § 41. 2
[4] Prima della battaglia decisiva contro Massimino Daia, combattuta il 30 aprile del 313 nei Campi Sereni, tra Eraclea ed Adrianopoli, Licinio fece pronunciare ai suoi soldati la seguente preghiera al Deus Summus et Sanctus : «Dio supremo, noi ti preghiamo, - Dio santo, noi ti preghiamo. — Ogni giusta causa a te raccomandiamo; a te la nostra salvezza raccomandiamo, — a te raccomandiamo il nostro impero.... ».
[5] Aurelio Vittore, De Cesaribus; - “urbis fanum atque basilicam Flavii meritis patres sacravere. [27] A quo etiam post Circus maximus excultus mirifice atque ad lavandum institutum opus ceteris haud multo dispar. [28] Statuae locis quam celeberrimis, quarum plures ex auro aut argenteae sunt; tum per Africam sacerdotium decretum Flaviae genti, …”
[6] S. Mazzarino, “Aspetti sociali del IV secolo”, Milano 2002; pg 305. Anche in Spagna, da cui provenivano entrambi, Teodosio e Magno Massimo, la Gens Flavia ha lasciato nella toponomastica segni evidenti del suo dominio; la capitale della Galizia, per esempio, si chiamava Aquae Flaviae
[7] E.A.Thompson, Romans and Barbarians – The decline of the western empire, The University of Winsconsin Press; pag 41
[8] Ibid., pag 71
[9] E.A.Thompson, Romans and Barbarians, pag 46
[10] Le famiglie equestri, sorte dalla burocrazia imperiale, erano dotate di grande mobilità, per cui il luogo di nascita di un personaggio di questa classe ha una importanza relativa per stabilirne l’origine.