Una ben nota tradizione cristiana narra che l’imperatore Giuliano, colpito da una lancia persiana e sbalzato a terra dalla groppa del suo cavallo, prima di esalare l’ultimo respiro sollevò una mano al cielo in un gesto di rabbia e di sfida, gridando: “Vicisti Galilee!”.
Si tratta di una tradizione fantasiosa, che non ha nulla a che vedere con i fatti come si sono realmente svolti, creata da un cristianesimo che voleva accreditare l’immagine di un imperatore impegnato in una titanica lotta contro Cristo, il “Galileo”, uscendone alla fine sconfitto. Una tradizione fantasiosa creata per supportare un’immagine storicamente infondata. Ed anche il concetto che questa immagine vuole trasmettere, e cioè che gli ideali per cui Giuliano si era adoperato e battuto nel corso del suo breve regno fossero usciti definitivamente sconfitti, è tutt’altro che sostenibile. Meno di trent’anni dopo, infatti, quegli ideali trovarono pratica attuazione per opera dello stesso cristianesimo trionfante.
Giuliano è passato alla storia con l’epiteto di “Apostata”, non del tutto appropriato, in quanto egli non era mai stato battezzato, anche se possedeva una conoscenza molto approfondita della religione cristiana, al punto da discutere con cognizione di causa sulle sue incongruenze, citando a memoria lunghi passi della Bibbia. Le sue critiche al cristianesimo, però, erano puramente filosofiche e dottrinali; egli non perseguitò mai la Chiesa, ed anzi proibì espressamente e condannò con fermezza ogni forma di violenza contro i cristiani.
Gli storici moderni lo hanno definito l’ultimo imperatore “pagano”, per gli sforzi che profuse nel rivitalizzare e moralizzare i più noti culti pagani dell’antichità. Ma questo non gli impedì di far completare la chiesa di Santa Costanza, a Roma, per farvi seppellire la propria moglie Elena, e di essere sepolto lui stesso nella basilica dei dodici Apostoli, a Costantinopoli. Né gli impedì di ordinare la ricostruzione del tempio ebraico di Gerusalemme (i lavori, in effetti, furono iniziati, ma interrotti subito dopo, a quanto si dice a causa di un terremoto).
In realtà Giuliano non era né cristiano, né propriamente pagano; era un adepto del Sol Invictus Mitra, come prima di lui suo zio Costantino il Grande e come la maggior parte dei senatori romani del suo tempo.
Sul mitraismo sono state scritte, soprattutto nell’ultimo secolo, una enorme quantità di opere, che però ne forniscono un’immagine del tutto irreale ed estremamente confusa e contraddittoria. La confusione nasce dal fatto che tutti gli storici moderni lo considerano una vera e propria religione, La convinzione che il Sol Invictus Mitra fosse una religione si è consolidata con lo storico Cummont, che alla fine del 19.mo secolo ha scritto quella che da allora è ritenuta l’opera fondamentale sul mitraismo, partendo dal presupposto esplicito, vero e proprio postulato privo di qualsivoglia supporto bibliografico o archeologico, che esso fosse stato importato dalla Persia da un qualche ignoto legionario romano. Ed infatti il Cummont dedica buona parte della sua opera a descrivere la religione solare persiana e le sue varie diramazioni e filiazioni orientali, come il Mazdeismo, il Magismo e così via.
Uno dei maggiori studiosi moderni del mitraismo, M.J. Vermaseren, condivide l’impostazione di Cummont, ma avverte: “Gli studiosi dei misteri di Mitra si trovano di fronte ad una difficoltà insormontabile e cioè: per quanto riguarda la forma persiana del mitraismo esistono soltanto evidenze letterarie, mentre il Mitra del mondo romano ci è noto quasi esclusivamente attraverso fonti non letterarie, archeologiche. Franz Cummont, quel brillante studioso morto nel 1947, ha chiaramente descritto questa situazione nel suo libro Die Mysterien des Mithra: ‘E’ come se, egli scrive, volessimo studiare il cristianesimo avendo a disposizione soltanto il Vecchio Testamento e le cattedrali medioevali’. A causa di questo enorme divario fra le fonti di informazione, la storia di Mitra è destinata a rimanere per sempre incompleta e distorta.”
In altre parole, abbiamo da una parte una religione persiana di Mitra, sulla quale esiste una abbondante letteratura, ma nessun resto archeologico, o quasi; dal lato romano, invece, abbiamo centinaia di mitrei ed altre testimonianze archeologiche relative a Mitra, ma pochissime testimonianze letterarie sull’argomento, nessuna delle quali proveniente dall’interno stesso dell’organizzazione, e cioè da uno dei suoi membri. Il problema nasce appunto dal fatto che Cummont ha postulato fin dall’inizio della sua ricerca, senza mai dimostrarlo, che il culto di Mitra quale veniva professato nell’impero romano fosse la fotocopia della religione persiana.
Questo postulato è stato accettato acriticamente da quasi tutti gli studiosi successivi, che si sono in maggioranza dedicati ad interpretare le evidenze archeologiche romane alla luce della letteratura persiana, ad approfondire i vari aspetti del magismo persiano, o a ricostruire gli aspetti esoterici ed astrologici del mitraismo romano, basandosi sulle scarne notizie fatte filtrare dalle fonti antiche ed integrandole arbitrariamente con elementi presi a prestito dalle fonti orientali e dalla mitologia greco-romana, per cercare di ricostruire in qualche modo contenuti e significati dei vari gradi iniziatici in cui l’istituzione mitraica era suddivisa. Ne risulta un quadro complessivo irreale, in stridente contrasto con quella che appare essere la realtà storica ed archeologica di questa istituzione.
In realtà se c’è una cosa che appare con assoluta evidenza da tutto il materiale disponibile è che il cosiddetto culto di Mitra, a Roma, non era una religione, ma una confraternita di iniziati, divisa in vari livelli di iniziazione, che dalla religione orientale aveva preso a prestito soltanto il nome ed alcune simbologie esteriori. Quanto ai contenuti, scopi e modi operativi, niente accomuna il Mitra persiano e quello romano. L’istituzione mitraica romana in nessun modo può essere definita come una religione dedita al culto del sole. Sarebbe come dire che la massoneria moderna è una religione dedita al culto del Grande Architetto dell’Universo.
Il paragone con la massoneria aiuta a capire che genere di istituzione fosse quella mitraica. Si tratta, infatti, di istituzioni sostanzialmente simili negli aspetti essenziali. Agli adepti della massoneria non viene richiesto di professare una particolare religione, ma soltanto di credere nell’esistenza di un’Entità superiore, comunque definita. Questa entità viene rappresentata nei templi massonici (che per inciso hanno straordinari punti di similitudine con i mitrei romani, e sono popolati di divinità pagane, come Ercole, Minerva e Venere) con un sole inserito in un triangolo e con il nome di Grande Architetto dell’Universo, che, guarda caso, è lo stesso che i pitagorici attribuivano al Sole. Nei templi vengono effettuati cerimoniali e rituali di iniziazione e di apertura/chiusura “lavori”, mai, però, a carattere religioso. La religione è espressamente bandita dai templi massonici ed ogni adepto, nella sua vita privata, è libero di professare il credo che più gli aggrada.
Che ci sia una qualche connessione fra mitraismo e massoneria è tutt’altro che improbabile, dal momento che ci sono profonde similitudini nell’architettura e nelle decorazioni dei rispettivi templi, nei simbolismi, nei rituali e così via; ma non è materia che possa essere trattata in questa sede. Il paragone è stato introdotto al solo scopo di far capire quale tipo di istituzione fosse il mitraismo, che non era una religione dedita al culto di una qualche specifica divinità, ma una associazione segreta di mutua assistenza, i cui membri, nella loro vita pubblica, erano liberi di venerare qualsiasi divinità. E’ l’unica chiave di lettura che consenta di capire e conciliare le innumerevoli contraddizioni ed incongruenze, cui ci si trova confrontati quando si voglia intendere il mitraismo come una religione.
Che il mitraismo non fosse una vera e propria religione è provato anche, come vedremo in seguito, dalle attività in campo religioso dei suoi adepti, fra cui lo stesso Giuliano. Egli fece costruire un mitreo nel suo palazzo, ma non vedeva nessuna delle divinità venerate nell’impero come “concorrente” di Mitra; si adoperò anzi in ogni modo perché tutte avessero pari dignità e rispetto. Questo era assolutamente tipico della filosofia dell’organizzazione mitraica, come viene spiegato approfonditamente nell’opera “Saturnalia”, composta intorno al 430 (ben dopo l’abolizione del paganesimo, quindi) dall’eminente scrittore Macrobio, supposto pagano. In essa il senatore Pretestato, Pater Patrum del culto mitraico (la massima carica dell’organizzazione), in amabile conversazione con i grandi senatori mitraici Simmaco e Nicomaco Flaviano, si dilunga a spiegare come tutte le divinità pagane non siano altro che diverse manifestazioni, o anche diverse denominazioni, di un unico Ente superiore, rappresentato dal Sole, il Grande Architetto dell’Universo. “Paganesimo monoteista” l’ha definito qualcuno, mentre altri parlano genericamente di sincretismo religioso. In effetti tutte le religioni avevano pari dignità nei mitrei, dove comparivano le immagini delle principali divinità pagane ed i cui adepti si professavano pubblicamente devoti alle più disparate divinità, ivi comprese quella cristiana ed ebraica.
In quanto mitraico, Giuliano condivideva questa filosofia. Il grande ideale che egli sognò di realizzare era perfettamente in linea con la filosofia sincretistica e tollerante del Sol Invictus Mitra. Egli progettò, infatti, di fondere tutte le confessioni dell’impero in un’unica super religione, retta da una casta sacerdotale e da una liturgia sincretistica unificate.
Egli cominciò con il richiamare dall’esilio e reinsediare nelle loro sedi i vescovi ortodossi allontanati dal suo predecessore, l’ariano Costanzo; ma contemporaneamente pubblicò un editto di restituzione dei beni e della libertà di culto per il paganesimo. Poi si dedicò alla riorganizzazione delle gerarchie dei sacerdoti pagani, sul modello dell’organizzazione sacerdotale cristiana. Per ogni provincia creò un gran sacerdote, non solo per il culto imperiale, ma anche per il complesso di tutti i culti tributati agli dei, compreso quello cristiano. Di questi provvedimenti sono state tramandate varie lettere di Giuliano, che appaiono quasi delle vere e proprie encicliche, o lettere pastorali. In esse l’imperatore si occupava di reclutamenti, consuetudini di vita, formazione e trattamento economico dei sacerdoti, del servizio divino, che doveva essere tenuto tre volte al giorno, della fondazione di case per le vergini dedite alla vita ascetica (conventi, in pratica), e di ospizi. Inoltre Giuliano fece redigere opuscoli informativi per sacerdoti e libri di istruzione per l’insegnamento religioso.
Questo era il grande progetto di Giuliano che, stando all’anonimo estensore cristiano della leggenda sulla sua morte, sarebbe stato sconfitto dal “Galileo”, per mezzo di una lancia persiana. Questo stesso progetto trovò invece pratica attuazione 27 anni dopo la morte di Giuliano, ad opera dell’imperatore Teodosio che nel 392 emanò un decreto che aboliva ufficialmente il paganesimo ed imponeva a tutti i sudditi dell’impero di professare la religione cristiana di Roma. Dobbiamo concludere che il “Galileo” abbia trionfato, dunque? Sembrerebbe proprio di si. Ma a ben guardare la religione che viene professata in suo nome assomiglia in modo impressionante a quella super religione vagheggiata da Giuliano, che doveva unificare tutti i culti professati nell’impero.
Anche l’ideale di Giuliano, quindi, alla fine ha trionfato. Quello che era risultato perdente (ma forse la storia sarebbe andata diversamente, se l’ultimo imperatore “pagano” avesse avuto più tempo) era soltanto il metodo attraverso cui egli si illudeva di poter realizzare quell’ideale, e cioè attraverso la tolleranza reciproca. Teodosio, invece, aveva capito che l’unico modo per arrivarci era l’intolleranza. I templi pagani vennero chiusi o distrutti ed ogni forma di culto pagano proibita; ma simboli, rituali, usanze, festività ed in molti casi anche lo stesso clero vennero assorbiti in toto nel cristianesimo.
La religione cristiana si autoproclama monoteista, ma al di là delle dichiarazioni di principio non è più monoteista di quanto lo fosse il mitraismo. L’Ente Supremo, infatti, è costituito in realtà da una Trinità, costituita da un Dio Padre, eterno, onnipotente, onnipresente, creatore di tutte le cose; dal suo Figlio unigenito, che ha iniziato ad esistere incarnandosi nel ventre di una donna, per opera di un terzo elemento, non ben definito, lo Spirito Santo, e alla fine è salito al “cielo”, dopo aver compiuto la sua missione. Non può sfuggire la similitudine con la concezione mitraica di un ente supremo, rappresentato dal sole e dal suo inviato in terra Mitra, incarnatosi anch’egli in una donna e salito al cielo dopo aver compiuto la sua missione.
Al di sotto di questa Trinità c’è poi tutta una pletora di vere e proprie “divinità” minori, fra cui primeggia in modo assoluto la Madonna, le quali hanno sostituito a tutti gli effetti altrettante divinità pagane, di cui hanno spesso assorbito simbolismi e funzioni. Alla Madonna e ai santi vengono erette chiese e santuari e la maggior parte dei fedeli si rivolgono direttamente ad essi, non certo all’Ente Supremo, per ottenere grazie e favori, allo stesso modo in cui i fedeli pagani si rivolgevano alle varie divinità minori perché intercedessero presso il padre degli dèi. Ogni categoria umana, nel paganesimo, aveva una sua divinità protettrice, come ogni categoria umana, nel cristianesimo, ha un suo santo protettore.
Il Cristianesimo ha poi ereditato in massa simboli e festività tipiche del mitraismo. Il giorno sacro al sole è diventato la domenica, sacra al Signore. Il Natalis Solis Invicti è diventato il Natale di Gesù. Il simbolo del sole è onnipresente in tutte le chiese cattoliche (basti pensare all’ostensorio) e nelle immagini di Dio e dei santi, al punto che se un ipotetico archeologo venuto da un altro mondo dovesse giudicare il cristianesimo soltanto dalle immagini e simbolismi che compaiono nelle chiese, dovrebbe forzatamente concludere che si tratta di una religione dedita al culto del sole. Si tratta, in ogni caso, soltanto di immagini esteriori, perché a livello dottrinale e liturgico ha integrato un gran numero di elementi giudaici, in particolare farisei.
In conclusione, il cristianesimo ha incorporato, rielaborandoli ed armonizzandoli in una cornice dottrinale unitaria, sincretistica, gli elementi essenziali delle maggiori religioni professate nell’impero romano, realizzando così, per altra via, il sogno di Giuliano.
Chi ha vinto, dunque, Giuliano o il “Galileo”? La risposta non può essere che una sola: entrambi. Vedremo fra poco, infatti, che mitraismo e cristianesimo non erano nemici giurati e neppure antagonisti, come ritenuto da molti storici. Erano due facce di una stessa medaglia, entrambi funzionali allo stesso scopo e cioè al successo della più grande, ardita e fortunata cospirazione dell’intera storia umana.
 Nel 384 d.C. moriva a Roma il senatore Vettio Agorio Pretestato, ultimo papa (acronimo di pater patrum) di quello che impropriamente viene definito “culto” di Mitra.
Il suo nome e le sue varie cariche religiose e politiche sono incisi sul basamento della facciata della Basilica di San Pietro, in Vaticano, insieme ad una lunga lista di altri senatori romani, stilata fra il 305 ed il 390. La cosa che li accomuna è che sono tutti patres mitraici; e ben nove di essi rivestono il titolo supremo di Pater Patrum, a riprova del fatto che era qui, nel Vaticano, che si trovava la sede del capo supremo dell’organizzazione mitraica, fianco a fianco, se non addirittura l’una dentro l’altra, con la Basilica fatta erigere nel 320 dall’imperatore Costantino.
Per quasi settant’anni i capi supremi di due “religioni” che si è sempre voluto far apparire concorrenti ed in aspro conflitto fra loro, hanno convissuto pacificamente ed in perfetta armonia nella stessa sede. Quanto fosse pacifica la convivenza è provato dal fatto che fu lo stesso Pretestato, nel 367, in qualità di Prefetto dell’Urbe, a confermare sul trono di Pietro il vescovo Damaso.
Pretestato affermava che avrebbe volentieri accettato di farsi battezzare, se gli avessero offerto la cattedra di Pietro. Quel che successe alla sua morte, invece, fu esattamente il contrario. Il titolo di Pater Patrum ricadde (oggi si direbbe per default) sul vescovo Siricio, che fu il primo nella storia della Chiesa ad assumere l’appellativo di “papa”. Ed insieme ad esso anche tutta una serie di altre prerogative, titoli, simbologie e beni materiali passarono in massa dal mitraismo al cristianesimo.
Per capire quello che appare come un vero e proprio “passaggio di consegne” fra il papa mitraico e quello cristiano, bisogna risalire all’anno prima. Nel 383, infatti, il senato romano aveva votato a stragrande maggioranza l’abolizione del paganesimo nell’impero d’occidente. Un voto che ha lasciato perplessi gli storici, che si sono spesso domandati se fosse dovuto a intimidazioni esercitate dall’imperatore Teodosio o a che altro.
E’ opinione comune fra di essi, infatti, che il senato romano fosse a quell’epoca in maggioranza pagano. Anzi, si trova spesso scritto che proprio il senato costituiva l’ultima roccaforte di resistenza del paganesimo contro il cristianesimo trionfante. Un’opinione che contrasta in modo stridente con ripetute dichiarazioni di San Ambrogio, il quale in quegli stessi anni affermava che i cristiani erano in maggioranza nel senato; affermazioni cui gli storici non hanno mai dato alcun credito, ritenendole inattendibili. Chi ha ragione, Ambrogio o gli storici moderni?
Certamente dobbiamo ritenere del tutto inverosimile che il vescovo di Milano, che apparteneva ad una grande famiglia senatoriale e seguiva attentamente le questioni romane, si sbagliasse su una questione del genere. D’altro canto, però, non possiamo neppure biasimare gli storici, dal momento che prove documentali ed archeologiche confermano che la grande maggioranza dei senatori romani erano allora “patres” del Sol Invictus Mitra, e quindi, secondo l’opinione universalmente accettata, dichiaratamente pagani.
Quello che nessuno storico ha mai capito, però, o meglio non ha mai voluto capire nonostante numerose evidenze storiche, è che le due condizioni, di adepto del mitraismo e di cristiano (non battezzato), non erano affatto incompatibili.
L’esempio più lampante è costituito dall’imperatore Costantino, ma se ne potrebbe compilare una sostanziosa lista. Costantino era adepto del Sol Invictus Mitra e mai lo rinnegò, anche quando si proclamava “servo di Dio” e affermava di essere “il vescovo costituito da Dio per l’umanità fuori dalla Chiesa”. Il suo biografo Eusebio lo definisce addirittura “il novello Mosé” e “una sorta di vescovo universale”. Ma Costantino si fece battezzare solo in punto di morte, continuò per anni a battere monete con simboli mitraici da un lato, cristiani dall’altro e innalzò a Costantinopoli una statua colossale di se stesso, con simboli mitraici.
D’altra parte gli stessi senatori mitraici avevano in maggioranza mogli e figlie cristiane, come testimoniato, fra gli altri, da San Girolamo. Un esempio illustre è quello di San Ambrogio, ritenuto dagli storici inizialmente pagano, figlio di un pagano mitraico, il prefetto delle Gallie Ambrogio, nonostante non ci sia alcun dubbio che la sua famiglia fosse cristiana e vivesse in ambiente profondamente cristiano. Da bambino, infatti, Ambrogio amava giocare a fare il vescovo e nel 353 sua sorella Marcellina ricevette il velo delle vergini consacrate dal papa Liberio in persona, nella basilica di San Pietro. Formalmente, però, egli rimase “pagano” fino al momento stesso in cui fu designato vescovo di Milano; fu battezzato, infatti, soltanto quindici giorni prima di essere consacrato vescovo.
Il fatto è che a quell’epoca i cristiani destinati alla carriera politica (Ambrogio era governatore del Nord Italia al momento della nomina a vescovo) erano battezzati soltanto in punto di morte, oppure quando, per una qualche ragione, decidevano di abbracciare la carriera ecclesiastica. Era la prassi, allora. Il senatore Nectarius, per esempio, che era stato designato vescovo di Antiochia dal concilio di Costantinopoli del 381, fu costretto a posporre la cerimonia della sua consacrazione perché dovette prima provvedere a quella del proprio battesimo.
Subito dopo il voto di abolizione del paganesimo, i senatori romani abbracciarono in massa la fede cristiana (pur continuando a mantenere, in molti casi, mitrei privati), a cominciare da quel Simmaco, pater mitraico, che è passato alla storia per la sua strenua quanto vana difesa della tradizione “pagana”, di fronte all’imperatore Valentiniano. Pochi anni dopo, infatti, il cristianissimo imperatore Teodosio, fanatico persecutore di ogni eresia e residuo pagano, lo gratificò elevandolo agli onori del consolato.
E’ possibile, ci si chiederà, che una persona potesse aderire contemporaneamente a due diverse religioni? Qui sta il punto essenziale. Si è già visto come, per un evidente quanto incredibile equivoco (ma forse non si sbaglierebbe di molto se si parlasse di deliberata mistificazione), il cosiddetto “culto” del Sol Invictus Mithra , è sempre stato ritenuto una “religione”, sorta in parallelo al cristianesimo e in concorrenza con esso. C’è addirittura chi ritiene che questa “religione” fosse talmente radicata e diffusa nella società romana, che soltanto per un soffio perse la gara con il cristianesimo. Più moderatamente, il Renan affermava che se per un qualche accidente il cristianesimo fosse abortito nel corso del quarto secolo, il mondo sarebbe stato mitraico.
E’ un chiaro riconoscimento del potere e del capillare controllo che l’organizzazione mitraica aveva conseguito nel corso del quarto secolo sull’intera società romana. Organizzazione segreta di tipo esoterico, non certo religione. Nonostante il parere del Renan, infatti, non si riesce proprio ad immaginare in che cosa potesse consistere una “religione” mitraica romana, dal momento che gli adepti dell’organizzazione si proclamavano pubblicamente fedeli o sostenitori di un gran numero di altre divinità, che comprendevano praticamente l’intero olimpo pagano.
La maggioranza degli storici concordano sul fatto che gli adepti mitraici erano, a modo loro, monoteisti. Quello che dimenticano di sottolineare è che, grazie alla loro particolare filosofia sincretistica, essi “infiltrarono” e si impadronirono del culto (e delle relative prebende) di tutte le divinità pagane.
Infatti tutte le “grotte” mitraiche ospitavano (esattamente come i templi massonici moderni) una schiera di divinità pagane, come Saturno, Atena, Venere, Ercole e così via e gli adepti di Mitra (che fra l’altro erano esclusivamente uomini, essendo le donne categoricamente escluse dall’organizzazione) nella loro vita pubblica esercitavano la funzione di sacerdoti al servizio non soltanto del Sole, che era venerato in templi pubblici ben distinti dai mitrei (che erano invece minuscoli vani sotterranei accessibili solo agli adepti, i quali vi tenevano riunioni ammantate dal più stretto segreto), ma anche di altre divinità romane.
Questo è provato al di là di ogni possibile dubbio proprio dalle iscrizioni che si trovano sul basamento della Basilica di S. Pietro. Scorrendo la lista dei senatori ivi elencati, infatti, si scopre che, oltre al titolo di “patres” del Sol Invictus Mitra, essi ricoprivano anche una lunga serie di cariche nel culto di altre divinità, come sacerdos, hieroceryx, hierophanta e archibucolus di Bronto o di Ecate, Iside e Libero, maior augur, quindecimvir sacris faciundis e per finire anche pontifex di vari culti pagani, e naturalmente erano responsabili del collegio delle vestali e del sacro fuoco di Vesta. Non c’era nel Senato alcuna manifestazione di culto legato alla tradizione pagana che non venisse celebrata da un senatore mitraico. E quello stesso senatore, il più delle volte, aveva alle spalle una famiglia profondamente cristiana. Ed in ogni caso abbracciò immediatamente il cristianesimo non appena il paganesimo fu abolito.
Sorge allora spontanea una domanda: i senatori mitraici erano soltanto pagani o anche cristiani? Su questo punto le evidenze in nostro possesso sono piuttosto ambigue. Anche il carattere dello stesso Mitra, come viene dipinto dagli scrittori cristiani, è assolutamente ambiguo. Fra lui e Gesù esiste una lunga serie di analogie: Mitra era nato in una stalla, il 25 Dicembre, da una madre vergine, circondato da pastori che portavano doni. Era venerato nel giorno dedicato al sole, la domenica. Attorno alla testa aveva un’aureola. Celebrò un’ultima cena insieme ai suoi seguaci più fedeli, prima di far ritorno a suo padre. Si diceva che non fosse morto, ma che fosse asceso al cielo, da dove sarebbe tornato alla fine del mondo, per resuscitare i morti e giudicarli, mandando i buoni in paradiso e i cattivi all’inferno. Garantiva ai suoi fedeli l’immortalità, conseguita attraverso il battesimo.
Gli adepti di Mitra, quindi, credevano come i cristiani nell’immortalità dell’anima, nel giudizio universale, nella resurrezione dei morti e nella fine del mondo. Celebravano la morte di un salvatore che era risorto una domenica. Celebravano una cerimonia analoga alla Messa cristiana, durante la quale consumavano pane consacrato e vino in memoria dell’ultima cena di Mitra. E durante la cerimonia cantavano inni, suonavano campanelli, accendevano ceri e usavano acqua consacrata. Essi condividevano con i cristiani una lunga serie di altre credenze e pratiche rituali, al punto da essere praticamente indistinguibili da essi, agli occhi dei pagani ed anche di molti cristiani
L’esistenza di una sotterranea connessione tra il cristianesimo ed il mitraismo fin dai primi tempi è ammessa anche dai padri della Chiesa. Tertulliano scrive che i pagani “…credono che il Dio dei cristiani è il Sole, perché è noto che noi preghiamo rivolti verso il sole nascente e che nel giorno del sole facciamo festa (Tertulliano, Ad Nationes, 1, 13). Egli cerca di giustificare la sostanziale identità fra le due “religioni” agli occhi dei fedeli cristiani, attribuendola al fatto che satana avrebbe plagiato i rituali più sacri e le credenze della religione cristiana. Costantino credeva che Gesù Cristo ed il Solo Invictus Mitra fossero entrambi aspetti della stessa divinità superiore. Certamente egli non era il solo a nutrire questa convinzione. I neoplatonici sostenevano che il mitraismo rappresentava un “ponte” fra paganesimo e cristianesimo. Gesù era spesso chiamato con il nome Sol Iustitiae ed era rappresentato con statue aventi le sembianze del giovane Apollo (curiosamente anche Michelangelo, nel grandioso affresco del Giudizio Universale della cappella Sistina, ha rappresentato Gesù con il volto dell’Apollo del Belvedere). Clemente di Alessandria descrive Gesù alla guida del carro del sole attraverso il cielo, ed un mosaico del quarto secolo, in Vaticano, lo mostra sul carro del sole, mentre ascende al cielo. Su alcune monete del quarto secolo lo stendardo cristiano riporta la scritta “Sol Invictus”. Un larga parte della popolazione romana pensava che il Cristianesimo ed il culto del sole fossero intimamente collegati, se non proprio la stessa cosa.
Anche dopo l’abolizione del paganesimo, i romani continuarono a lungo a venerare entrambi, sia Cristo che il Sole. Nel 410 d.C. papa Innocenzo autorizzò la ripresa di cerimonie in onore del sole, sperando in questo modo di scongiurare il sacco di Roma da parte dei Visigoti di Alarico. E ancora nel 460 papa Leone il Grande scriveva: “… molti cristiani, prima di entrare nella basilica di San Pietro, si rivolgono verso il sole e si inchinano in suo onore”. Il vescovo di Troy continuò a professare apertamente il culto del sole anche durante il suo episcopato. Un altro notevole esempio in questo senso è dato da Sinesio di Cirene, un discepolo della famosa filosofa neoplatonica Ipazia, che fu trucidata nel 415 ad Alessandria d’Egitto. Sinesio, non ancora battezzato, fu eletto vescovo di Tolemaide e vescovo metropolitano di Cirenaica, ma accettò la carica soltanto a condizione di non dover ritrattare le sue convinzioni neoplatoniche o rinunciare al culto del sole. Ancor oggi il simbolo del sole è universalmente presente in tutte le chiese ed in tutti gli oggetti di culto cristiani.
Alla luce di questi fatti come dobbiamo considerare la posizione dell’istituzione mitraica nei confronti del cristianesimo? Erano concorrenti o cooperatori? Amici o nemici? Forse la migliore indicazione ci è fornita dalle monete che Costantino fece coniare fino al 320 d. C., con simboli cristiani su un lato, mitraici sull’altro. E’ possibile che Cristo e Mitra fossero due facce di una stessa medaglia?
Per spiegare la stretta relazione esistente fra Cristianesimo e Mitraismo dobbiamo risalire alle loro origini.
Per universale consenso, il cristianesimo come noi lo conosciamo è una creazione di San Paolo, il fariseo che fu inviato da Gerusalemme a Roma nel 61 circa, dove fondò la prima comunità cristiana della capitale. La religione predicata a Roma da Paolo era assai diversa da quella predicata da Gesù in Palestina e praticata da Giacomo il Giusto, l’allora capo della comunità cristiana di Gerusalemme. La predicazione di Gesù era in linea con il modo di vivere e pensare della setta giudaica degli Esseni. I contenuti dottrinali del cristianesimo affermatosi a Roma alla fine del primo secolo, invece, sono straordinariamente vicini a quelli della setta dei farisei, a cui Paolo apparteneva.
Paolo fu condannato a morte probabilmente nel 67 da Nerone, insieme alla maggior parte dei suoi discepoli. La comunità cristiana di Roma fu decimata dalla persecuzione neroniana. Non abbiamo alcuna informazione su quel che accadde in seno a questa comunità nei successivi 30 anni; un black out di notizie che lascia alquanto perplessi, perché sappiamo per certo che durante quel periodo a Roma dovette succedere qualcosa di molto importante. Infatti, alcuni dei più eminenti cittadini della capitale furono convertiti al cristianesimo, come il console Flavio Clemente, cugino dell’imperatore Domiziano. Inoltre la chiesa di Roma assunse una struttura monarchica e impose la sua leadership su tutte le comunità cristiane dell’impero, che dovettero uniformarsi al modello ed alle credenze della chiesa romana. Questo è provato al di là di ogni dubbio da una lunga lettera di papa Clemente ai Corinzi, scritta verso la fine del regno di Domiziano, in cui è chiaramente affermata la supremazia della Chiesa di Roma.
Ciò significa che durante gli anni del black out qualcuno che aveva accesso alla famiglia imperiale aveva risollevato le sorti della comunità cristiana romana al punto da consentirle di imporre la propria autorità su tutte le altre comunità cristiane dell’impero. Ed era “qualcuno” che conosceva perfettamente la dottrina ed il pensiero di Paolo, 100% farisaico.
Anche l’organizzazione mitraica era nata nello stesso periodo e nello stesso ambiente. Data la scarsità di informazioni scritte su questo argomento, l’origine e la diffusione del culto di Mitra ci sono note quasi esclusivamente grazie ai reperti archeologici (resti di mitrei, scritte dedicatorie, iconografie e statue del dio, rilievi, pitture, mosaici ecc.) che sono stati rinvenuti in abbondanza in tutto l’impero romano. Queste testimonianze archeologiche provano in maniera praticamente certa che, a parte il nome comune, non c’era alcuna relazione fra il culto di Mitra romano e la religione orientale da cui si suppone (o meglio si postula) che sia derivato. In tutto il mondo persiano, infatti, non è mai stato trovato nulla di simile ad un mitreo romano.
Quasi tutti i monumenti mitraici rinvenuti possono essere datati con relativa precisione, dal momento che vi si trovano iscrizioni dedicatorie. Pertanto, tempi e circostanze della diffusione del culto del Sol Invictus Mitra (questi tre nomi compaiono quasi sempre assieme in tutte le iscrizioni, pertanto non c’è dubbio che si riferiscono alla stessa ed unica istituzione) ci sono noti con ragionevole precisione e certezza. Conosciamo anche il nome, la professione e le responsabilità di un gran numero di suoi membri.
Il primo mitreo di cui si abbia evidenza fu costruito a Roma, al tempo di Domiziano, e ci sono precise indicazioni che fosse frequentato da persone vicine alla famiglia imperiale, in particolare liberti giudaici. Il mitreo, infatti, fu dedicato da un certo Tito Flavio Igino Efebiano, un liberto dell’imperatore Tito Flavio, pertanto quasi certamente un giudeo romanizzato. Da Roma l’organizzazione mitraica si diffuse, nel corso del secondo secolo, in tutto l’impero occidentale.
C’è un terzo avvenimento, accaduto in quello stesso periodo ed in qualche modo collegato alla famiglia imperiale ed agli ambienti giudaici, a cui gli storici non hanno mai prestato particolare attenzione: l’arrivo a Roma di un importante gruppo di persone, 15 alti sacerdoti giudaici, con le loro famiglie e parenti. Appartenevano alla classe sacerdotale che aveva governato Gerusalemme per mezzo millennio, fin dal ritorno dall’esilio babilonese, quando 24 famiglie sacerdotali, sotto gli auspici di Esdra, avevano stipulato fra loro un accordo e creato un’organizzazione segreta con lo scopo di assicurare le proprie fortune, per mezzo della “proprietà” esclusiva del Tempio e l’esclusiva amministrazione del sacerdozio.
La dominazione romana della Giudea era stata segnata da forti tensioni sul piano religioso, che avevano provocato una serie di rivolte, l’ultima delle quali, nel 66 d.C., fu fatale per la nazione giudaica e per la stessa famiglia sacerdotale. Con la distruzione di Gerusalemme da parte di Tito Flavio, nel 70 d.C., lo strumento principale del potere della famiglia, il Tempio, fu raso al suolo, e mai più ricostruito, ed i sacerdoti furono uccisi a migliaia.
Ci furono dei superstiti, naturalmente, in particolare un gruppo di 15 alti sacerdoti che erano passati dalla parte dei romani, consegnando a Tito il tesoro del tempio, e per questa ragione erano stati reintegrati nelle loro proprietà e gli era stata concessa la cittadinanza romana. Essi avevano poi seguito Tito a Roma, dove apparentemente scomparvero per sempre dalla scena della storia, a parte quello che indubbiamente appare come la personalità più forte di quel gruppo, Giuseppe Flavio.
Giuseppe era un sacerdote che apparteneva alla più illustre delle 24 famiglie sacerdotali giudaiche. Al tempo della rivolta contro Roma aveva ricoperto un ruolo di primo piano nelle tormentate vicende della Palestina. Inviato dal Sinedrio quale governatore della Galilea, egli era stato il primo a combattere contro le legioni del generale romano Tito Flavio Vespasiano, che aveva ricevuto da Nerone l’incarico di reprimere la rivolta. Barricato nella fortezza di Jotapata egli resistette valorosamente all’assedio delle truppe romane, ma alla fine dovette capitolare. Egli si arrese a condizione di poter parlare personalmente con Vespasiano (Guerra Giudaica, III, 8,9). Il loro incontro segnò una svolta nelle fortune di entrambi: Vespasiano qualche tempo dopo divenne imperatore, mentre Giuseppe non soltanto ebbe salva la vita, ma fu “adottato” nella famiglia imperiale ed assunse il nome di Flavio. In seguito ottenne la cittadinanza romana, una villa patrizia a Roma, una rendita annua a spese dello stato ed enormi proprietà in Palestina. Il prezzo del suo tradimento (fu lui, probabilmente, che fornì a Vespasiano i mezzi economici per diventare imperatore).
I sacerdoti di questo gruppo avevano una cosa in comune fra loro: erano tutti traditori del loro popolo e quindi certamente non bene accetti in seno alle comunità giudaiche. Appartenevano tutti, però, ad una famiglia dalle tradizioni millenarie, erano legati fra loro dall’organizzazione segreta creata a suo tempo da Esdra e possedevano una specializzazione ed una esperienza unica nel gestire una religione e governare un paese tramite questa. I poveri resti della comunità cristiana romana, sopravvissuti alle persecuzioni neroniane, offrivano loro una splendida opportunità di mettere a frutto la loro millenaria esperienza e le loro notevoli sostanze.
Non sappiamo nulla della loro attività a Roma, ma ne abbiamo chiare indicazioni attraverso gli scritti di Giuseppe Flavio. Dopo alcuni anni, infatti, egli cominciò a scrivere la storia di quegli avvenimenti che lo avevano avuto protagonista, con l’intento, a quanto sembra, di giustificare il proprio tradimento e quello dei suoi compagni. Era stata la volontà di Dio, egli afferma, che lo aveva chiamato a costruire un Tempio Spirituale, al posto di quello materiale distrutto da Tito.
Queste parole certamente non erano rivolte ad orecchie giudaiche, ma cristiane. La maggior parte degli storici sono scettici sul fatto che Giuseppe fosse cristiano, ma ci sono forti elementi che lo confermano. In un passo famoso del suo libro “Antichità Giudaiche” (il cosiddetto Testimonium Flavianum) egli dichiara di accettare due punti fondamentali, la resurrezione di Cristo e la sua identificazione con il messia delle profezie, che sono condizione necessaria e sufficiente, per un giudeo del suo tempo, per essere considerato cristiano. Le simpatie cristiane di Giuseppe traspaiono inoltre molto chiaramente da altri passi della stessa opera, nei quali egli parla con grande ammirazione di Giovanni Battista e del fratello di Gesù, Giacomo.
Le argomentazioni usate da Giuseppe Flavio per giustificare il proprio tradimento e quello dei suoi fratelli, sembrano riecheggiare le parole di San Paolo. I due sembrano essere in sintonia per quel che riguarda il loro atteggiamento nei confronti del mondo romano. Paolo considerava suo compito liberare la chiesa di Gesù dalle strettoie del giudaismo e dalla dipendenza dal territorio palestinese, e di renderla universale, legandola a Roma. Essi sono in sintonia anche su altri punti fondamentali, come ad esempio sul fatto che entrambi dichiarano di credere nella dottrina dei farisei, che è poi quella che è stata pienamente recepita dalla chiesa di Roma.
Ci sono sufficienti indicazioni storiche per concludere con certezza che i due si conoscevano ed erano legati da una profonda amicizia. Negli Atti degli Apostoli si legge che, dopo essere tornato a Gerusalemme, Paolo fu condotto di fronte ai sommi sacerdoti ed al Sinedrio per essere giudicato (Atti 22, 30). Egli si difese dicendo:
“Fratelli, io sono un fariseo, figlio di farisei; io sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella resurrezione dei morti”. Appena egli ebbe detto ciò scoppiò una disputa tra i farisei ed i sadducei e l’assemblea si divise. I sadducei infatti affermano che non c’è resurrezione, né angeli, né spiriti; i farisei, invece, professano tutte queste cose. Ne nacque allora un grande clamore ed alcuni scribi del partito dei farisei, alzatisi in piedi protestavano dicendo: “Non troviamo nulla di male in quest’uomo. E se uno spirito o un angelo gli avesse parlato davvero?” La disputa si accese a tal punto che il tribuno, temendo che Paolo venisse linciato da costoro, ordinò che scendesse la truppa a portarlo via di mezzo a loro e ricondurlo nella fortezza.” (Atti, 23; 1-10)
Giuseppe era un sacerdote di alto rango e a quel tempo si trovava a Gerusalemme; era certamente presente a quell’assemblea. Egli aveva aderito alla setta dei farisei all’età di 19 anni, pertanto doveva essere fra quei sacerdoti che si alzarono in difesa di Paolo. L’apostolo fu consegnato al governatore romano Felice, che lo tenne agli arresti per qualche tempo, fino a che fu inviato a Roma, insieme ad altri prigionieri (Atti 27, 1), per essere giudicato dall’imperatore, al quale Paolo, in qualità di cittadino romano, si era appellato. A Roma egli passò due anni in prigione (Atti, 28,29) prima di essere liberato, nel 63 o 64 d.C.
Nel sua autobiografia Giuseppe scrive:
“Tra i venticinque ed i ventisei anni mi imbarcai in un viaggio a Roma, per la seguente ragione. Durante il periodo in cui fu governatore della Giudea, Felice aveva mandato alcuni sacerdoti a Roma, per giustificarsi di fronte all’imperatore. Io li conoscevo come ottime persone, che erano state arrestate su accuse insignificanti. Siccome volevo studiare un piano per liberarli … mi imbarcai per Roma” (Vita, 3, 13).
In qualche modo Giuseppe riuscì a raggiungere Roma, dove strinse amicizia con un certo Alituro, un mimo giudeo che era molto apprezzato da Nerone. Tramite Alituro, egli fu presentato a Poppea, moglie dell’imperatore, e grazie a lei riuscì a far liberare i sacerdoti suoi amici (Vita 3, 16). La coincidenza di date, fatti e persone coinvolte è assoluta, al punto che è impossibile sfuggire alla conclusione che Giuseppe venne a Roma, a suo rischio e spese, appositamente per liberare Paolo ed i suoi compagni, e che fu proprio grazie al suo intervento che l’apostolo fu rilasciato. Questo presuppone che i rapporti fra i due fossero molto più stretti che non una semplice conoscenza occasionale. Pertanto Giuseppe doveva conoscere del cristianesimo molto più di quanto traspare dai suoi scritti, e la sua conoscenza proveniva direttamente dagli insegnamenti di Paolo, di cui era verosimilmente un discepolo.
Quando Giuseppe tornò a Roma al seguito di Tito, nel 70 d.C., il suo maestro era stato giustiziato, insieme a una gran parte dei cristiani che lui stesso aveva convertito, la Giudea era sta cancellata dal novero delle nazioni, il Tempio distrutto, la famiglia sacerdotale quasi sterminata, e la sua stessa reputazione macchiata dall’onta del tradimento. Doveva essere animato da un forte risentimento e da un irreprimibile desiderio di rivincita e vendetta. Inoltre doveva sentirsi in carico dei destini degli umiliati rimasugli di una delle più grandi famiglie del mondo di allora, i 15 alti sacerdoti giudaici che condividevano le sue stesse condizioni. Ci sono indizi secondo cui Giuseppe Flavio, senza dubbio la personalità più forte ed autorevole di quel gruppo di persone, presiedette una riunione durante la quale quei sacerdoti esaminarono la situazione della famiglia sacerdotale e decisero una strategia per risollevare le sue fortune.
Giuseppe lucidamente concepì un piano che in quelle circostanze sarebbe apparso a chiunque assolutamente folle. Quell’uomo, seduto fra le rovine fumanti di quella che era stata la sua patria, circondato da pochi sopravvissuti, umiliati e demoralizzati, rifiutati dai loro stessi concittadini, progettò nientemeno che di conquistare quell’enorme potentissimo impero che lo aveva sconfitto, e di insediare i propri discendenti e quelli degli uomini intorno a lui quale classe dirigente di quello stesso impero.
Il primo passo di questa strategia era di assumere il controllo della neonata religione cristiana e trasformarla in una solida base di potere per la famiglia sacerdotale. Quei sacerdoti erano venuti a Roma al seguito di Tito, di cui godevano la protezione, ed erano provvisti di grandi mezzi economici. Non dovettero incontrare eccessive difficoltà nell’assumere la guida del piccolo gruppo di cristiani che erano sopravvissuti alle persecuzioni neroniane, tanto più che erano legittimati dai precedenti rapporti di Giuseppe Flavio con Paolo.
Erano trascorsi soltanto sei anni da quando Giuseppe aveva ottenuto la liberazione di Paolo dalla prigione. L’apostolo doveva essere morto da non più di tre anni. Giuseppe deve essersi sentito moralmente obbligato a continuare l’opera del suo vecchio maestro, di cui conosceva perfettamente la dottrina; rendendosi conto del suo potenziale di propagazione nel mondo romano, si dedicò anima e corpo alla sua implementazione pratica, coadiuvato dai sacerdoti superstiti. Una volta ricreata una forte comunità cristiana nella capitale, che comprendeva addirittura alcuni membri della famiglia imperiale, non dovette essere difficile per quei sacerdoti imporre la propria autorità sulle altre comunità cristiane sparse per l’impero, prime fra tutte quelle che erano state create o catechizzate dallo stesso Paolo.
Giuseppe Flavio sapeva fin troppo bene che una religione non ha futuro se non entra a far parte integrante di un sistema di potere politico. Era un concetto, per così dire, innato nel DNA dei sacerdoti di Giuda che religione e potere politico vivono in simbiosi, sostenendosi a vicenda. Non è immaginabile che egli pensasse che la nuova religione potesse diffondersi nell’impero indipendentemente, o addirittura in contrasto con il potere politico. Il suo obiettivo primario, pertanto, dovette essere quello di conquistare il potere politico. Grazie alla millenaria esperienza della sua famiglia ed alla sua stessa esperienza di vita, Giuseppe sapeva bene che il potere politico, specie in un organismo elefantiaco come l’impero romano, era basato sul potere militare, ed il potere militare su quello economico, a sua volta basato sulla capacità di influenzare e controllare le leve finanziarie del paese. Nel suo piano egli deve aver programmato che la famiglia sacerdotale assumesse prima o poi il controllo di queste leve. Allora l’impero sarebbe stato nelle sue mani e la nuova religione sarebbe stato lo strumento per controllarlo.
Ma qual era il piano di Giuseppe Flavio per realizzare questo ambizioso progetto? Non dovette inventare nulla di nuovo. Il modello era già lì, l’organizzazione segreta creata da Esdra al rientro dall’esilio babilonese, la quale aveva assicurato alla famiglia sacerdotale giudaica potere e prosperità per mezzo millennio. Dovette apportarvi soltanto alcuni ritocchi, per mimetizzare questa istituzione nel mondo pagano sotto le sembianze di una religione misterica, dedicata al dio greco Helios, il sole, per l’indubbia assonanza con il nome della divinità ebraica El, o El Elyon. Il dio fu presentato come invincibile, il Sol Invictus, per galvanizzare lo spirito dei suoi adepti, ed al suo fianco fu posto, come inseparabile compagno, una divinità solare di quella stessa Mesopotamia da dove gli ebrei avevano avuto origine, Mitra, l’inviato del Sole sulla terra per redimere l’umanità. E tutto attorno ad essi, nei mitrei, furono poste le statue di varie divinità pagane, Atena, Ercole, Venere e così via. L’insieme era un evidente riferimento a Dio Padre, ed al suo inviato sulla terra Gesù, circondati dai loro attributi di saggezza, forza, bellezza e così via, che era chiaramente comprensibile ad un cristiano, ma era perfettamente pagano agli occhi di un pagano. Particolare non secondario è che il mitraismo era originario della città natale di S. Paolo, Tarso, la quale aveva come proprio emblema il toro morente.
Questa organizzazione non aveva alcun fine religioso: il suo unico scopo era preservare l’unione fra le famiglie sacerdotali e garantire loro sicurezza e prosperità, tramite il mutuo supporto ed una strategia comune intesa ad infiltrare tutte le posizioni di potere della società romana. I lavori che venivano svolti nei mitrei erano coperti dal più rigoroso segreto. Nonostante l’organizzazione mitraica abbia operato per tre secoli ed abbia avuto migliaia di adepti, molti dei quali eminenti letterati, non è giunta fino a noi neppure una parola, scritta direttamente da un suo membro, su quel che accadeva nel corso delle riunioni mitraiche, quali decisioni venivano prese e così via. Questo significa che fu sempre mantenuto il più rigoroso riserbo sui lavori che venivano svolti in un mitreo.
L’accesso all’organizzazione doveva essere riservato ai soli membri delle famiglie sacerdotali, almeno al livello operativo, quello decisionale, dal terzo grado in su (occasionalmente potevano essere affiliate nei primi due gradi persone non appartenenti a queste famiglie, come nel caso dell’imperatore Commodo). Questo sistema di reclutamento è perfettamente in linea con le evidenze storiche ed archeologiche in nostro possesso. Anche al culmine del suo potere e diffusione, il Sol Invictus Mitra appare una istituzione di élite, con un numero assai limitato di adepti. La maggior parte dei mitrei, infatti, erano stanze molto piccole, che non potevano ospitare più di una ventina di persone. Certamente, quindi, non era una religione di massa, ma un’organizzazione a cui potevano accedere soltanto i vertici delle forze armate e della burocrazia imperiale. Tuttavia non conosciamo assolutamente nulla della politica di reclutamento di questa istituzione. Non sappiamo se reclutasse i suoi membri fra gli alti ranghi della società romana, o se al contrario erano i membri di questa organizzazione che “infiltravano” tutte le posizioni di potere di questa società. Le evidenze storiche in nostro possesso favoriscono l’ipotesi che l’appartenenza a questa istituzione fosse riservata su base etnica. Per capire il suo successo, dobbiamo ritenere che l’accesso ad essa, almeno al livello operativo, fosse riservato ai discendenti di quel gruppo di sacerdoti giudaici che erano venuti a Roma al seguito di Tito, dopo la distruzione di Gerusalemme.
Sia le fonti scritte che le testimonianze archeologiche confermano che da Domiziano in poi Roma rimase sempre la sede più importante del Sol Invictus Mitra, che si era saldamente installato nel cuore stesso dell’amministrazione imperiale, sia nel palazzo vero e proprio che nella guardia pretoriana. Da Roma l’organizzazione mitraica si diffuse immediatamente nella vicina Ostia, il porto con il più grande volume di traffico commerciale dell’intero Mediterraneo, dove confluivano merci da ogni parte dell’impero, per soddisfare l’insaziabile appetito della capitale. Nel corso del secondo e terzo secolo vi furono costruiti almeno una quarantina di mitrei, evidente dimostrazione che i membri dell’organizzazione mitraica avevano assunto il controllo delle attività commerciali del porto, sorgente di entrate incalcolabili e di grande potere economico.
Nel contempo l’istituzione mitraica si diffuse in tutto il resto dell’impero, in particolare in quello occidentale. Il primo mitreo di cui si abbia notizia al di fuori della cerchia romana fu costruito intorno al 110 d.C in Pannonia, a Poetovio, il maggior centro doganale della regione, ad opera dei funzionari della dogana. Quasi contemporaneamente sorse un mitreo presso la guarnigione militare di Carnutum, sempre in Pannonia e subito dopo in tutte le province danubiane (Rezia, Norico, Mesia e Dacia). Tra gli adepti di Mitra ritroviamo i funzionari delle dogane, che raccoglievano le gabelle poste su ogni genere di trasporto dall’Italia verso il Centro Europa e viceversa; i funzionari imperiali che controllavano i trasporti, la posta, l’amministrazione delle finanze e le miniere; ed infine gli ufficiali che comandavano le guarnigioni scaglionate lungo il confine. Contemporaneamente al bacino danubiano, sorsero numerosi mitrei anche nel bacino del Reno, a Bonn e Treviri. Seguirono poi la Britannia, la Spagna ed il Nord Africa, dove sorsero mitrei già nelle prime decadi del secondo secolo, sempre associati a centri amministrativi e guarnigioni militari.
Le evidenze archeologiche, quindi, dimostrano che nel corso del secondo secolo i membri del Sol Invictus Mitra occuparono le principali posizioni dell’amministrazione pubblica, divenendo la classe dominante nelle province esterne dell’impero, soprattutto nell’Europa centrale e settentrionale. Abbiamo visto in precedenza che i membri del Sol Invictus Mitra avevano infiltrato anche la tradizionale religione pagana, assumendo il controllo del culto delle principali divinità, a cominciare dal Sole.
La mossa vincente, tuttavia, quella che rese irresistibile l’ascesa dell’istituzione mitraica, fu la presa di controllo dell’esercito. Giuseppe Flavio sapeva per esperienza personale che l’esercito poteva diventare l’arbitro del trono imperiale. Chiunque controllava l’esercito controllava l’impero. L’obiettivo principale che egli fissò per l’organizzazione mitraica dovette essere quello di infiltrare l’esercito e assumerne il controllo.
Ed infatti ritroviamo mitrei in tutti i luoghi in cui erano stazionate delle guarnigioni militari. In poco meno di un secolo l’istituzione mitraica riuscì ad assumere il controllo di tutte le legioni stazionate nelle province esterne e lungo i confini, al punto che il “culto” del Sol Invictus Mitra è considerato dagli storici come la religione tipica dei soldati romani. Prima ancora che all’esercito, tuttavia, le attenzioni del Sol Invictus si erano rivolte alla guardia pretoriana, la guardia personale dell’imperatore. Non è un caso che la seconda iscrizione dedicatoria mitraica, in ordine di tempo, riguardi proprio un comandante del Pretorio e che la concentrazione di mitrei fosse particolarmente elevata nei pressi delle caserme dei pretoriani. L’infiltrazione di questo corpo militare deve essere iniziata già al tempo degli imperatori Flavii. Essi potevano contare sulla fedeltà incondizionata dei liberti giudaici, che dovevano tutto ad essi, la loro vita, la sicurezza ed il benessere. Gli imperatori romani erano riluttanti a mettere la propria sicurezza personale nelle mani di ufficiali provenienti dai ranghi del senato, il loro maggior opponente politico, pertanto i quadri della loro guardia personale furono formati principalmente da liberti e membri dell’ordine equestre (a cui fu sempre riservato il comando del Pretorio). Questo dovette favorire in modo particolare il Sol Invictus Mitra, che fece del Pretorio un suo feudo incontrastato fin dagli inizi del secondo secolo.
Una volta acquisito il controllo del pretorio e dell’esercito, il Sol Invictus Mitra fu in grado di mettere le mani anche sulla carica imperiale. Questo avvenne nel 193 d.C., quando Settimio Severo fu proclamato imperatore dall’esercito. Nato a Leptis Magna, nel Nord Africa, da una famiglia equestre di alti burocrati, egli era certamente un membro mitraico, avendo sposato Giulia Domna, sorella di un certo Bassiano, sacerdote del Sole Invitto. Da allora in poi la carica imperiale fu prerogativa del Sol Invictus Mitra e tutti gli imperatori furono proclamati tali (o rimossi) dall’esercito o dalla guardia pretoriana.
Giudicando in prospettiva, appare evidente che l’obiettivo finale della strategia concepita da Giuseppe Flavio era la completa sostituzione della classe dirigente dell’impero romano con membri del Sol Invictus Mitra. Questo obiettivo fu conseguito in meno di due secoli, grazie alla politica messa in atto dagli imperatori mitraici.
I ranghi dell’amministrazione imperiale romana provenivano quasi totalmente da nuove famiglie di origine ignota, che erano emerse nel corso del primo secolo e agli inizi del secondo, in antagonismo all’aristocrazia senatoriale, tradizionalmente contrapposta al potere dell’imperatore. Questo gruppo di famiglie formavano il cosiddetto ordine equestre, che ben presto divenne un feudo incontrastato del Sol Invictus Mitra. Certamente la maggior parte delle famiglie dei 15 alti sacerdoti del seguito di Giuseppe Flavio, ricchi, con ottime relazioni interpersonali e forti del favore imperiale, dovettero confluire in questo ordine.
Gli imperatori mitraici provenivano tutti dall’ordine equestre e governarono in aperta opposizione al senato, umiliandolo, privandolo delle proprie prerogative e beni materiali e colpendolo fisicamente con l’esilio e la condanna capitale di un gran numero dei suoi membri più eminenti, tanto che nel corso del terzo secolo buona parte delle antiche famiglie senatoriali scomparvero dalla scena. Contemporaneamente essi cominciarono ad immettere nel senato un gran numero di famiglie equestri. Questa politica era stata iniziata da Settimio Severo e sviluppata da Gallieno (il quale, è bene ricordarlo, fu anche l’autore del primo editto di tolleranza nei confronti del Cristianesimo), che stabilì per decreto che tutti coloro che avevano ricoperto la carica di governatori di provincia o di prefetto del pretorio, incarichi riservati entrambi all’ordine equestre, entrassero di diritto a far parte del senato. Questo diritto fu poi esteso ad altre categorie di funzionari, grandi burocrati ed alti ufficiali dell’esercito (tutti membri dell’organizzazione mitraica, dobbiamo supporre). Il risultato finale fu che nel giro di alcuni decenni praticamente l’intera classe equestre transitò nei ranghi del senato, soppiantando le famiglie della originaria aristocrazia romana ed italica.
Nel frattempo la diffusione del cristianesimo attraverso l’impero procedeva speditamente. Ovunque arrivassero i rappresentanti di Mitra, lì immediatamente sorgeva una comunità cristiana. Alla fine del secondo secolo si contavano almeno quattro sedi episcopali in Britannia, sedici in Gallia ed altrettante in Spagna e praticamente una in ogni grande città del Nord Africa e del Medio Oriente. Nel 261 il Cristianesimo fu riconosciuto come religione lecita dal mitraico Gallieno e mezzo secolo dopo fu proclamata religione ufficiale dell’impero dal mitraico Costantino, sebbene fosse ancora largamente minoritaria nella società romana (i cristiani erano allora assai meno del 20% dell’intera popolazione). Da quel momento in poi fu gradualmente imposta alla popolazione dell’impero, con una serie di misure che culminarono, alla fine del quarto secolo, con l’abolizione delle religioni pagane e la “conversione” in massa del senato romano.
La situazione finale per quanto concerne le classi dirigenti dell’impero occidentale era allora la seguente: l’antica nobiltà di origine pagana era virtualmente scomparsa e la nuova nobiltà senatoriale, che si identificava con la classe dei grandi proprietari terrieri, era costituita in gran parte da ex membri del Sol Invictus Mitra. Sul piano religioso il paganesimo era stato completamente eliminato ed il cristianesimo era divenuto la religione di tutti gli abitanti dell’impero. Esso era controllato da gerarchie ecclesiastiche che provenivano quasi interamente dalla classe senatoriale ed erano dotate di immense proprietà fondiarie (fra l’altro esenti da tasse) e di poteri quasi regali nell’ambito delle proprie diocesi.
Le famiglie sacerdotali erano diventate padrone assolute di quello stesso impero che aveva distrutto Israele ed il tempio di Gerusalemme. Tutte le alte cariche dell’impero, sia civili che religiose, e tutta la sua ricchezza erano nelle loro mani, e la carica suprema, quella dell’imperatore, era stata assegnata in perpetuo, per diritto divino, alla più illustre delle tribù sacerdotali, la “Gens Flavia” (da Costantino in poi, infatti, tutti gli imperatori romani o pretendenti tali, nessuno escluso, avevano il prenome Flavio), verosimilmente discendente dallo stesso Giuseppe Flavio.
Tre secoli prima Giuseppe aveva scritto con orgoglio:
“La mia famiglia non è oscura, anzi è di discendenza sacerdotale; come presso ciascun popolo esiste un diverso fondamento della nobiltà, così da noi l’eccellenza della stirpe trova conferma nell’appartenenza all’ordine sacerdotale” (Vita 1,1).
Alla fine del quarto secolo i suoi discendenti potevano applicare con pieno diritto quelle stesse parole all’impero romano.
A quel punto l’istituzione del Sol Invictus Mitra non era più necessaria per assicurare le fortune della famiglia sacerdotale e fu liquidata. Era stata lo strumento della cospirazione più di successo dell’intera Storia.
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