“Quando di un termine si fanno usi diversi e abusi frequenti, per tentare di parlare della stessa cosa è forse opportuno definirlo. Così abbiamo promosso questa inchiesta, ma le risposte sono ben lungi dal mostrare una comunione di vedute. Il tema è molto interessante. Se riusciremo a metterci d'accordo su una definizione con la quale tutti concordiamo, sarà una piacevole e inattesa sorpresa e sarà anche un servizio a quella cultura che tutti noi amiamo, anche se, in effetti, per ognuno di noi è qualcosa di diverso.”(Emmanuel Anati)
Il problema di definire il concetto di “cultura” non è tanto quello di mettersi d'accordo su uno o più significati convenzionali da attribuirgli, quanto piuttosto di scoprire se esso indichi una realtà oggettiva, ben precisa e definita per se stessa, che esiste indipendentemente dal fatto che le si dia un nome oppure no, o un nome piuttosto che un altro.
La cosa più ragionevole da fare appare quella di analizzare in modo critico i vari significati che vengono normalmente attribuiti al termine. Grazie all'iniziativa di Anati, disponiamo di un numero considerevole di definizioni sintetiche, date da persone di ogni livello culturale e sociale, che si può presumere coprano l'intera gamma dei significati attribuibili al termine cultura. Può darsi, quindi, che fra di esse ve ne sia una, o più di una, che coglie esattamente l'essenza del concetto. L'analisi critica di ciascuna di esse dovrebbe consentirci di individuarla, o comunque di arrivare ad una conclusione ragionata.
Purtroppo non esiste, nè possiamo immaginare, una scienza esatta capace di ridurre in formule matematiche concetti non materiali come quello di cultura.
Esistono però delle scienze che, in un modo o nell'altro, hanno a che fare con la cultura e usano correntemente il termine: in particolare l'etnologia e l'archeologia. Queste scienze hanno ovviamente la necessità di definire il termine nel modo più rigoroso, generale e meno equivoco possibile. Può darsi, quindi, che la definizione esatta di cultura sia compresa fra quella dei docenti universitari che hanno risposto al questionario del Prof. Anati.
Innanzitutto vediamo la definizione tipicamente archeologica:
"Cultura è un insieme di testimonianze materiali il cui studio permette di conoscere il gruppo culturale che le ha lasciate, come pure il suo comportamento. Queste testimonianze materiali possono essere oggetti artistici, strutture d'abitazione, utensili, resti di fauna selvatica e domestica, ecc. Lo studio implica che queste testimonianze siano inserite nel loro ambiente e in una cronologia. Il gruppo culturale è l'autore della cultura, è limitato nel tempo e nello spazio e pertanto la cultura può presentare delle sequenze cronologiche e delle facies locali." (Università di Liegi - Centro Interdisciplinare di Ricerche Archeologiche).
E' evidente che in questo caso il termine "cultura" viene impiegato in modo improprio, con un significato strettamente tecnico, per definire sinteticamente un complesso di oggetti caratteristici di un gruppo di persone, vissute in una certa epoca e in un certo luogo. E’ più che ovvio che quel gruppo etnico doveva possedere una sua cultura, qualunque cosa significhi questo termine. E’ anche ragionevole ritenere che gruppi etnici aventi culture diverse producano e si servano di oggetti aventi fogge e impieghi diversi.
Ma non esiste una corrispondenza biunivoca fra gli oggetti materiali impiegati da un gruppo etnico e la sua cultura. Niente vieta in teoria che popolazioni di diversa cultura producano e impieghino oggetti uguali; come nulla vieta che gruppi di cultura analoga producano e impieghino oggetti diversi. Possiamo dire, quindi, che l’insieme degli oggetti materiali rinvenuti in uno scavo archeologico sono una spia, un indizio che la popolazione che li ha prodotti possedeva presumibilmente una cultura diversa da quella di altre popolazioni che hanno lasciato oggetti diversi; ma non dice quali, quante e di che entità e soprattutto di che natura fossero queste differenze.
Come definizione generale di "cultura" non è accettabile, nè alcun archeologo lo pretende.
Assai diverse sono, normalmente, le definizioni fornite da docenti di formazione etnologica:
"Cultura è quell'insieme di comportamenti di gruppo dell'uomo, non determinati da esigenze e impulsi biologici, ma regolato "by agreement," cioè da accordi e convenzioni". (Università di Amburgo)
"Cultura è tutto ciò che consente all'uomo di trascendere il meramente biologico" (Università di Glasgow).
"Cultura è il complesso delle manifestazioni della vita di un popolo, in tutti i suoi aspetti, materiali, sociali e spirituali, visti entro un determinato periodo storico e ambiente geografico" (Istituto Universitario di Bergamo).
"Cultura è il modo di vivere che è stato appreso da un gruppo ed è di conseguenza condiviso dal gruppo" (Università di San Diego - California).
"Cultura è comportamento inculcato, cioè comportamento che è stato deliberatamente insegnato" (Drew University - New Jersey)
"Cultura è un certo insieme di comportamenti degli uomini, che si esprime in differenti attività, come musica, pittura, teatro, scultura, letteratura ecc." (Jung Young Lee University).
"Cultura è un complesso di tipi che si ritrovano insieme perché distintivi del comportamento di una medesima società". (Università di Trieste).
Tutte queste definizioni, e varie altre simili, pur con sfumature, precisazioni e accezioni diverse, identificano la cultura fondamentalmente con un complesso di "comportamenti" dell'uomo. Le prime due risposte si premurano di precisare che i comportamenti "biologici", cioè quelli determinati da esigenze fisiologiche dell'individuo, non sono cultura. La quinta dice che soltanto il comportamento "deliberatamente insegnato" è cultura. La sesta solo i comportamenti che si esprimono in attività di carattere "artistico".
Che il comportamento sia determinato, legato, o che abbia comunque a che fare con la cultura, sembra intuitivo e fuori discussione , ma può essere identificato con il concetto stesso di cultura? Notiamo che il comportamento, individuale o sociale che sia, non è una prerogativa esclusiva dell'uomo. Tutti gli animali "si comportano", hanno manifestazioni "sociali"; e molti "producono" manufatti, a volte estremamente elaborati (nidi, tane, dighe, alveari), e in alcuni casi addirittura "utensili". Cultura, quindi, è propria anche degli animali?
Il comportamento animale, si obietterà, è istintivo; rientra nel "biologicamente determinato" e quindi non è cultura. Questo non sempre è vero: un gran numero di comportamenti animali, specie di quelli sociali, è dovuto ad "apprendimento" successivo alla nascita. Infatti, molto spesso gli animali, isolati in tenera età dal gruppo, non attuano i comportamenti tipici della specie e, una volta liberati, muoiono di fame perché incapaci di procurarsi il cibo, non avendo "appreso" dai genitori le tecniche di caccia e gli altri comportamenti idonei allo scopo.
Ha ragione allora chi dice che soltanto i comportamenti "inculcati deliberatamente" sono cultura? Quante volte, però, senza andare troppo lontano, osservando la gatta di casa, si assiste a vere e proprie "lezioni" impartite deliberatamente dalla madre ai cuccioli: come cacciare i topi, come occultare le feci e così via.
La madre si comporta così per istinto, si dirà, e quindi non si può parlare di cultura. Può darsi, ma qual è, nell'uomo, il confine fra comportamento istintivo e comportamento culturale? Per istinto tutti i mammiferi amano, curano, educano e proteggono la propria prole. Quindi il comportamento della brava madre di famiglia nei confronti dei figli è "determinato biologicamente", non è cultura. Ma il comportamento delle madri che odiano i figli, li maltrattano e perfino li uccidono, cos'è? Solo quello è cultura?
Procurarsi il cibo è una necessità biologica; ogni animale attua determinati comportamenti per raggiungere lo scopo, dalla caccia alla vera e propria coltivazione di funghi, praticata da varie specie di insetti sociali. Questi, si dice, sono "istinti"; ma i comportamenti messi in atto dall'uomo per il medesimo scopo, dalla caccia all'agricoltura, sono istinti o cultura?
La prima definizione dice che solo i "comportamenti di gruppo" sono cultura, ma è possibile distinguere i comportamenti di gruppo da quelli individuali? E l'uomo isolato, l'eremita, è privo di cultura dal momento che non attua comportamenti di gruppo?
Cultura, allora, è solo quell'insieme di comportamenti che si esprime in attività di carattere artistico, come musica, pittura, architettura ecc.? Ma anche molti animali compiono attività che potrebbero rientrare in questo ambito: ci sono uccelli che compongono "musiche" melodiose; altri, come gli uccelli giardinieri dell'Australia, eseguono composizioni "artistiche" con oggetti appariscenti, quali conchiglie, ossa, sassi colorati. Un gran numero di animali costruisce strutture "architettoniche" elaborate.
Perché questi comportamenti non sono culturali; forse perché sono essenzialmente istintivi? Non sempre è vero: gli uccelli canori, se isolati in tenera età, non imparano mai le melodie tipiche della loro specie. Lo stesso dicasi di altri animali che, isolati, non imparano a costruirsi l'abitazione. Quello che si "impara" è istinto, cultura o qualcos'altro?
Comunque si esamini, il fatto di identificare la cultura con un certo complesso di comportamenti pone una serie di difficoltà notevoli. In parte si potrebbero risolvere ammettendo che anche gli animali possiedono una cultura; ma rimarrebbe sempre il problema gravissimo di separare nettamente e senza equivoci i comportamenti istintivi e biologici da quelli culturali.
Ma c'è anche un'altra considerazione da fare. Ammettiamo pure di essere riusciti a delimitare nettamente, e con generale soddisfazione, lo spartiacque fra i due. Avremmo allora un certo numero di comportamenti che "sono" cultura. E gli altri cosa sono? Possiamo dire che "sono" istinto o biologia?
Se un individuo, o un animale, si scansa per non essere travolto da un masso, o nuota per non affogare, diciamo che questi comportamenti "sono" l'istinto di sopravvivenza, o piuttosto che sono "provocati" dall'istinto di sopravvivenza? Senz'altro il secondo: l'istinto di sopravvivenza è uno, mentre i comportamenti che esso provoca possono essere infiniti, a seconda delle circostanze. Perché allora il primo gruppo di comportamenti dovrebbe "essere" cultura e non invece essere "provocato" dalla cultura?
Cultura e comportamento sono forse legati fra loro da un rapporto di causa-effetto, ma certamente non si identificano l'una con l'altro. Pertanto, tutte le definizioni che identificano la cultura con un complesso di comportamenti, comunque precisato e delimitato, non appaiono accettabili.
La maggior parte delle definizioni fornite da docenti universitari, quelle quindi più "scientifiche", si collocano nei primi due gruppi esaminati. A livello non scientifico, invece, le definizioni sono più vicine a quella che è la percezione più comune del significato del termine. Il gruppo più consistente è costituito da quelle definizioni che, pur fra contraddizioni, dubbi, precisazioni e delimitazioni, identificano la cultura con un complesso di conoscenze o nozioni.
"Cultura è un patrimonio spirituale e morale, individuale o collettivo, che si acquisisce attraverso la conoscenza finalizzata delle tradizioni popolari, della storia del pensiero, dell'arte, della letteratura, del progresso tecnico e scientifico."
"Cultura è il conoscere, il sapere tante cose. Grazie a queste conoscenze, tramite il ragionamento, giungere a delle altre. Cultura non è perciò il conoscere delle cose a memoria, ma applicarle alla realtà per migliorarla."
"Cultura è il patrimonio risultante dalle esperienze, invenzioni e scoperte, fatte nel corso di molte generazioni; è l'insieme dei dati sperimentali e delle costruzioni teoriche per l'interpretazione della realtà; è l'aspirazione ad una dimensione non puramente animale; è la ricerca del Bello e della Poesia".
"Cultura è la conoscenza di ciò che ci circonda"
"Insieme di nozioni o cognizioni, desunte con metodo e raziocinio dallo studio, da esperienze dirette e dalle tradizioni".
"Cultura è il complesso delle nozioni acquisite nei vari rami del sapere, è inoltre il complesso delle idee dominanti ... è quanto si sa, è quanto è stato tramandato o insegnato, è quanto si è dedotto, utilizzato e realizzato attraverso le conoscenze stesse".
"Cultura è la sintesi equilibrata e armonica di tutte le conoscenze che l'uomo ha acquisito sia con lo studio, sia con la sua personale esperienza di vita."
"Istruzione ... insieme di cognizioni storiche."
La prima definizione è contraddittoria, perché sostiene che la cultura è un "patrimonio spirituale e morale" che si acquisisce attraverso la conoscenza, ma subito dopo aggiunge che è "conoscenza finalizzata" delle tradizioni.
Anche la seconda definizione è contraddittoria: prima dice che cultura è "il sapere tante cose", poi aggiunge che "non è il conoscere delle cose a memoria, ma applicarle..."
La terza non è da meno, poiché inizia col dire che cultura è "un patrimonio di conoscenze", ma poi rettifica, dicendo che è un'"aspirazione" e infine una "ricerca".
Le altre citate sono più coerenti. La penultima, però, precisa che la cultura è una "sintesi equilibrata" di conoscenze.
Queste incertezze e contraddizioni, da parte di coloro che sostengono la identificazione della cultura con le conoscenze, sono piuttosto sintomatiche. Che esista un legame fra "cultura" e "conoscenze" appare indiscutibile, ma sembra quasi ci sia un rifiuto a livello inconscio di considerarle coincidenti.
Nell'uso comune, però, si dice spesso di un individuo che "possiede una vasta cultura", quando possiede un gran numero di conoscenze. Quasi sempre si specifica anche il tipo di cultura, che può essere letteraria, artistica, scientifica e così via; il che significa che costui conosce molte cose nel campo della letteratura, dell'arte, delle scienze. E' più che evidente che in questi casi cultura viene identificata con conoscenza.
Ma cos'è la conoscenza a livello individuale? In ultima analisi non è altro che un complesso di notizie, dati, cognizioni di vario genere, registrati in qualche modo nel cervello umano, che possono essere riportati, più o meno volontariamente, alla coscienza. Naturalmente il cervello può elaborare queste conoscenze immagazzinate, correlarle fra loro e ricavarne nuove conoscenze da registrare.
La cultura con che cosa si identificherebbe: con le conoscenze registrate, immagazzinate nella memoria, oppure con quelle riportate alla coscienza, e cioè ricordate?
Normalmente le conoscenze vengono riportate alla coscienza una alla volta, in sequenza, pescando nel magazzino della memoria. Poiché cultura non può essere una sola, ma un complesso di conoscenze, sembrerebbe logico identificarla con quelle conoscenze, immagazzinate nella memoria, che l'individuo è in grado, non importa come, di portare alla coscienza, cioè di ricordare.
Ma il magazzino in cui sono archiviate le conoscenze deve essere necessariamente il cervello dell'individuo stesso, o può essere qualcos'altro? Se l'individuo, per portare alla coscienza determinate conoscenze, sfrutta dei magazzini ausiliari, non vale? In quel caso le conoscenze non sono più cultura?
E' una distinzione difficile da giustificare. Le conoscenze sono comunque una creazione dell'uomo e il fatto che lui le immagazzini in una memoria fatta di cellule, o in una di nuclei di ferrite, non dovrebbe essere rilevante. L'importante è che siano disponibili e richiamabili alla coscienza, non importa se per mezzo di uno sforzo di memoria o di una tastiera.
Cultura, quindi, in quanto "conoscenza disponibile", sarebbe un qualcosa creato sì dall'uomo, ma che può sussistere indipendentemente da esso e anche sopravvivergli, registrato in libri, nastri, filmati, dischi magnetici ecc. E' anche qualcosa che prescinde dall'età, esperienza e capacità intellettuali dei singoli individui, perché in pratica viene ad essere la somma di tutte le conoscenze registrate e disponibili, prodotte da tutti gli individui di tutti i tempi.
Inoltre è presumibile che nessuno giudichi una persona più "colta" di un'altra solo perché impiega qualche secondo di meno per richiamare alla coscienza una determinata conoscenza. Il tempo impiegato per questa operazione, infatti, dovrebbe essere irrilevante ai fini del giudizio. C'è da osservare, allora, che qualsiasi individuo, mediamente preparato, è in grado, consultando enciclopedie, biblioteche, computers, di richiamare alla coscienza qualsivoglia delle conoscenze registrate.
Se cultura è un complesso di conoscenze, allora può, in teoria, essere "misurata" in un individuo, contando le conoscenze che riesce a rendere disponibili alla sua coscienza, e quindi a manifestarle verbalmente o per iscritto. E' quanto viene fatto normalmente negli esami scolastici.
Innanzitutto, però, sorge il problema di stabilire se è il numero oppure la qualità delle conoscenze che bisogna valutare. E' presumibile che non vi siano contestazioni se si opta per la qualità. Sorge allora immediato il problema di stabilire quali siano le conoscenze più importanti, quelle, cioè, qualitativamente rilevanti.
Oggi impera la specializzazione. Tecnici, scienziati, medici, ricercatori di ogni disciplina dedicano la loro esistenza a studiare settori via via sempre più limitati della conoscenza. Ognuno, nel proprio settore, conosce tutto quello che c'è da sapere, anche le notizie più banali e irrilevanti per la grande massa delle persone. Ad esempio ci sono archeologi, persone reputate di elevata "cultura", che non fanno altro che scavare, contare, schedare, ordinare e registrare il numero dei coproliti, delle ossa di pollo e di capra, dei cocci di vaso, dei tizzoni, delle schegge di selce ecc., che si ritrovano in determinati siti archeologici. Questo tipo di conoscenze sono cultura, o cultura è soltanto la "sintesi equilibrata" che se ne ricava? Ma quand'è che una sintesi è davvero sintesi e non un passo intermedio per giungere ad una ulteriore sintesi finale?
Nell'opinione comune un poliglotta è una persona molto colta. Possiamo veramente definire cultura il semplice fatto di conoscere tanti modi diversi di dire la stessa cosa? E la conoscenza dei dialetti sarebbe ugualmente cultura? E una conoscenza "sbagliata" è cultura oppure no?
Ma supponiamo di aver risolto anche questi problemi, e gli infiniti altri analoghi, e di essere riusciti a stabilire che le conoscenze qualitativamente importanti sono, tanto per fare un esempio, quelle contenute nell’Enciclopedia Britannica. Chiudiamo un certo numero di individui in una stanza e "misuriamo" la loro cultura dalla stanza contigua, per non farci influenzare dall'aspetto fisico degli esaminati (ovviamente senza andare a sindacare sul tipo di memoria che essi utilizzeranno per richiamare alla coscienza, e quindi manifestare, le proprie conoscenze, e neppure sul tempo impiegato per farlo).
Se quegli individui utilizzano la medesima memoria, e cioè l'enciclopedia, risulteranno avere tutti la stessa identica "cultura". Se fra loro c'è un computer, l'esaminatore non se ne accorgerà proprio e gli attribuirà la stessa cultura degli altri, o magari qualcosa di più.
In conclusione, se cultura si identifica con il complesso delle conoscenze disponibili alla coscienza dell'individuo, tutti gli individui in grado di utilizzare le memorie possiedono la medesima cultura, che è poi la massima possibile. Se ciò fosse vero, l'obiettivo "culturale" primario e unico da raggiungere sarebbe quello di dotare ciascun individuo di un terminale, collegato ad un enorme computer in cui sia immagazzinato tutto lo scibile umano.
Questo vale solo in teoria, si può obiettare; in pratica gli individui hanno ciascuno una diversa capacità di utilizzare le memorie disponibili, sia propria che esterne, e perciò si ha automaticamente una differenziazione "culturale" fra di loro.
Allora cultura è la "capacità" di utilizzare le memorie in cui sono registrate le conoscenze? O è invece, indipendentemente dalla capacità, il "saperle" utilizzare? Nel primo caso sarebbe un qualcosa di ben diverso dalle conoscenze stesse; nel secondo soltanto un particolare e limitatissimo settore delle conoscenze.
Ha ragione allora chi sostiene che cultura è "non il conoscere delle cose a memoria, ma l'applicarle alla realtà"? Sarebbe cioè un impiego della conoscenza? Ma l'impiego di un oggetto è qualcosa di ben distinto dall'oggetto stesso.
Comunque si esamini la questione, l'identificare la cultura con "un complesso di conoscenze" pone una serie di problemi insolubili. Se si identifica con la somma delle conoscenze disponibili, si arriva all'assurdo che l'essere più "colto" della Terra è un computer. Se si identifica con una parte soltanto delle conoscenze, sorge il problema irrisolvibile di stabilire oggettivamente quali di esse sono cultura e quali no, di capirne il perché, di stabilire se è utile acquisire conoscenze che non sono cultura e così via.
Se poi per cultura si intende un complesso di conoscenze acquisite in un modo piuttosto che in un altro, o utilizzate per un fine piuttosto che un altro, si precipita nell'arbitrio e nella confusione più totali.
Proviamo allora con altre definizioni. Ce ne sono alcune che possono sintetizzarsi con le proposizioni:
"Cultura è politica"
"Cultura è civiltà"
"Cultura è la religione cristiana"
Qui si definisce un concetto ambiguo e indefinito, identificandolo con un altro altrettanto ambiguo e indefinito. Può anche darsi che cultura sia "politica". Innanzitutto si tratta di definire esattamente cosa sia la politica. In secondo luogo, stabilire se la cultura si identifica totalmente con la politica, o se ne è soltanto una parte; o se viceversa è la politica ad essere una parte della cultura. Anche senza voler approfondire troppo, possiamo ragionevolmente escludere che politica e cultura si identifichino totalmente, perché in tal caso i due termini sarebbero sinonimi, il che appare improponibile.
Rimane la possibilità che uno dei due concetti rientri integralmente nell'altro. In tal caso, indipendentemente da quale dei due contenga l'altro, rimane comunque il fatto che si tratta di due concetti diversi, che vanno quindi definiti separatamente. Ad esempio, la ruota è una parte dell'automobile, ma non possiamo certo affermare che la ruota sia l'automobile, o viceversa che l'automobile sia la ruota.
Stesso ragionamento vale per l'identificazione di cultura con "civiltà"; con la differenza che qui non possiamo escludere a priori che i due termini siano sinonimi. Se davvero sono sinonimi, come ci è ignoto il significato del termine cultura, altrettanto ignoto è quello del termine civiltà, e quindi abbiamo due ragioni per cercare di scoprirlo. Se invece non sono equivalenti, come appare probabile, allora si ricade nell'esempio precedente.
Per quanto riguarda l'identificazione della cultura con la religione cristiana, è indubbio che un ebreo, un mussulmano o un buddista, individui cui non si può negare il possesso di una cultura, darebbero definizioni di tenore diverso. Si tratta chiaramente di definizioni di parte, che non esprimono un contenuto, ma un "giudizio" sul contenuto. Il contenuto, cioè la cultura su cui viene espresso il giudizio, è evidentemente la morale di cui quella data religione è portatrice. Anche qui vale il discorso fatto poco fa: si tratta di sapere cos'è la morale, se si identifica con la cultura, oppure ne è una parte, o viceversa. Tale definizione non risolve il nostro problema, ma lo amplia ulteriormente.
Citiamo per dovere di cronaca altre definizioni pittoresche e fantasiose:
"Cultura è mutua ipnosi". Ipnosi potrà forse essere definito il modo o il mezzo tramite il quale viene trasmessa, ma non certo l'essenza della cultura.
"Cultura è comunicazione con il passato". Semmai sarà il "comunicato", cioè il contenuto della comunicazione, non la comunicazione stessa.
E così si potrebbe continuare con altre definizioni, che esprimono forse una proprietà, una caratteristica, un effetto della cultura, ma che non possiamo ritenere colgano la sua essenza.
La conclusione cui siamo giunti è che oggetti materiali, comportamenti e conoscenze non possono identificarsi con la cultura. Non solo, ma, a quanto pare, di essi non si può neppure dire quel che si diceva della neve, del ghiaccio e del vapore, i quali, pur non essendo "l'acqua", sono tuttavia acqua. Oggetti materiali, comportamento e conoscenze, invece, non sono nemmeno cultura, come non è acqua il calore che la fa diventare vapore, o il freddo che la congela o la ricchezza e la vita che da essa dipendono.
Rimangono da esaminare altre definizioni, alcune delle quali fornite da persone di non eccelsa cultura, sprovviste di titoli accademici; definizioni senza dubbio più ingenue e meno rigorose, ma più istintive e forse più illuminanti. La maggior parte di esse identifica la cultura con concetti come l'amore, la tolleranza, il rispetto e altri simili:
"Cultura non è nozione, non è sapere a memoria, non è imporsi, non è violentare, non è deridere, non è condizionare, non è ipocrisia, non è pettegolezzo. Cultura è invece armonia fra persona e persona, tra persona e natura; è discutere, accettare, saper perdere; è cogliere il lato migliore delle cose, è dare il meglio di noi stessi, è manifestare le nostre sensazioni ridendo, piangendo; è amicizia, è non fraintendere, è non accusare, è soprattutto rispettare."
"Cultura è saper essere civili, saper rispettare gli altri, accettarli con tutti i loro difetti, le loro cattiverie, le loro gambe storte, le loro bocche mute. Cultura è saper vivere in mezzo a loro restando se stessi. Cultura è capire la natura e la grandezza meravigliosa di un fiore. Cultura è non rifiutare chi ti ha preceduto e saper cogliere in ciò che ha fatto quanto c'è di utile e giusto. Cultura è non picchiare un cane, non sparare a un passero, non offendere una persona, non ferire un cuore. Cultura è saper vivere, cultura è tutto ciò che è vita.”.
"La cultura non è un insieme di nozioni, imparate più o meno a memoria, ma la capacità di analizzare tutto quello che si vede, si sente, si legge, si studia. E' insomma la capacità di scegliere tra il costruttivo e non, tra l'utile e il superfluo e in base a questo dare una propria idea e teoria in merito."
Cultura è socializzare, incontrarsi, partecipare alla vita collettiva, parlare, esprimere le proprie idee e analizzare le altrui e migliorarsi. La cultura per me è stata anche impatto con il buio e poi improvvisamente accendere la luce e subire sensazioni nuove; essa ti dà formazione mentale e spirituale, è arricchimento e sensibilità."
"La cultura deve poter offrire agli uomini il significato di tutto. L'uomo veramente colto è chi è giunto a possedere il nesso che lega una cosa all'altra e tutte le cose fra loro. Cultura perciò non è possesso di nozioni, perché neppure le nozioni derivate dallo studio di migliaia di uomini potrebbero dire una sola parola risolutiva all'interrogativo circa il rapporto che lega l'uomo a tutte le cose, cioè circa il significato della sua esistenza."
"Cultura non è soltanto un notevole bagaglio di nozioni e di informazioni, ma è la possibilità di capire, la gioia di imparare, il rispetto delle tradizioni e degli insegnamenti, e quelle intense folgorazioni che si avvertono quando si intravvede o si cerca di raggiungere il perché di un pensiero."
Sono definizioni di cultura queste? Certamente no. Sarebbe come dire che "cane" è vivere, scodinzolare, essere fedele, fare la guardia, andare a caccia; o che "acqua" è fertilizzare, dissetare, far fiorire i commerci e le messi.
Queste definizioni non indicano un contenuto, ma un effetto; anzi, più in particolare, l'effetto che si desidera venga provocato dalla cultura. In pratica significano questo: cultura è "quella cosa" che deve far sì che gli uomini si amino e rispettino reciprocamente, rispettino la libertà altrui, amino e rispettino la natura, gli animali e così via. "Deve" far sì, o "si vorrebbe" che facesse? Evidentemente "si vorrebbe", altrimenti di nessuna società umana, presente o passata, si potrebbe dire che possieda o abbia posseduto una cultura.
Non c'è niente di più relativo e opinabile dei concetti di bene e male, odio, amore, comprensione, giustizia. La stessa cultura che vieta agli individui di uccidere i propri simili, in determinate circostanze glielo consente, o addirittura glielo impone. Ci sono circostanze in cui è giusto e doveroso uccidere, in base alla cultura di un determinato gruppo di persone, altre in cui è ingiusto e delittuoso.
Ma chi stabilisce il giusto e l'ingiusto? Secondo la nostra cultura corrente è giusto fare guerre, che provocano milioni di morti, soltanto per acquisire il diritto di amministrare un pezzetto di territorio; ma è ingiusto, barbaro e atroce ammazzare un nemico per riempirsi lo stomaco. Si tratta evidentemente di un giudizio opinabile. Dal canto suo il cannibale, mentre troverà giustificato il proprio comportamento, troverà assurdo ammazzare qualcuno soltanto per impossessarsi di un inutile pezzo di terra.
La cultura "deve" far sì che gli uomini si amino e rispettino. Che significa amore e rispetto? Quanti delitti e quanti orrendi massacri sono stati compiuti nella storia in nome dell'amore. Intere popolazioni sono state sterminate per "amore", per salvare loro l'anima, per liberarle dalla schiavitù, dalla barbarie, per donare loro il bene della "civiltà". Per amore picchiamo i nostri figli e violentiamo la loro volontà , ma guai se amiamo l'uomo o la donna di "proprietà" altrui, o se amiamo e rispettiamo i nostri nemici al punto da non desiderare la loro umiliazione e sconfitta.
Amore, comprensione, tolleranza, rispetto, ecc. non sono certo cultura; eppure c'è gente che li identifica con la cultura. Evidentemente perché essi si attendono questi effetti da una cultura giusta e accettabile per loro.
Un dato importante, quindi, che si ricava da queste definizioni, e sul quale non si può che essere d'accordo, è che la cultura è una "cosa" capace di provocare determinati comportamenti e atteggiamenti degli individui nei confronti di se stessi (è arricchimento, sensibilità ... è saper vivere..), degli altri (è armonia , è accettare, è rispettare , amare ecc.), della natura (capire la natura e la grandezza meravigliosa di un fiore .. non picchiare un cane..) e dei concetti immateriali (è esprimere le proprie idee ... cogliere il nesso delle cose ).
Che cultura sia legata da un rapporto di causa-effetto ai comportamenti è una conclusione già raggiunta nell'esame delle definizioni che addirittura identificano i due concetti.
Ma quali sarebbero i comportamenti determinati dalla cultura? Solo quelli ritenuti soggettivamente "buoni"? Forse che non è proprio del cane anche mordere, ringhiare, avere la rabbia, sbranare, e dell'acqua travolgere, distruggere, affogare? Se davvero amare, rispettare, comprendere sono effetti della cultura, allora lo sono anche odiare, violentare, deridere, condizionare, uccidere.
Cultura, quindi, è quella "cosa" che fa sì che gli uomini amino e odino, rispettino e disprezzino, adorino e distruggano, considerino importante una cosa, vile un'altra. Può anche darsi che sia indefinibile; ma che sia importante, anzi la cosa più importante di tutte, questo non lo si può negare, data l'importanza dei suoi effetti.
Come pure non si può negare che qualcosa "non va", nella nostra cultura attuale, visto il contenuto di queste ultime definizioni. Lao-Tze dice che di Giustizia e Virtù si cominciò a parlare quando Giustizia e Virtù vennero meno nel mondo. Secondo la logica di Lao-Tze, quindi, il fatto che si puntualizzi che la cultura deve provocare armonia fra le persone, amore per la natura, comprensione, rispetto, significa che queste cose sono venute meno nella nostra società.
E' colpa della nostra "cultura"? Per saperlo dobbiamo prima scoprire cosa essa sia veramente.
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Cultura come complesso di valori
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