Una prova che durante l’esilio babilonese le due famiglie sacerdotali si erano riavvicinate è costituita anche dal fatto che fra i sacerdoti che rientrarono a Gerusalemme al seguito di Esdra c’erano esponenti di entrambi. Sotto gli auspici di Esdra, essi stipularono fra loro un accordo che avrebbe chiuso definitivamente il contenzioso aperto ai tempi di re Salomone.
E’ assai probabile che la famiglia di Anatot mantenesse comunque il primato a Babilonia, non soltanto per diritto ereditario, ma anche perché era stata insediata sul posto molto tempo prima dei sacerdoti di Giuda (questa preminenza è testimoniata dal fatto che le grandi figure sacerdotali del periodo babilonese, come quella di Daniele ed Ezechiele, appartenevano al ramo di Anatot: essi vengono infatti presentati come “profeti”, anche se è indubbia la loro appartenenza alla classe sacerdotale). Come è pure probabile che alcuni di questi ultimi, specie i discendenti dell’ultimo gran sacerdote di Gerusalemme, mal sopportassero un ruolo secondario e che alla prima favorevole occasione cercassero di ristabilire la propria autonomia.
L’occasione si presentò con la caduta del regno babilonese e l’avvento del sovrano persiano Ciro, che si dimostrò favorevole al ripristino della religione giudaica a Gerusalemme. Una prima ondata di giudei rientrò in patria nel 538, guidati da Zorobabele e dal sacerdote Giosué, figlio di Giosedec, deportato a Babilonia ancora fanciullo dopo che suo padre Seraià, ultimo sommo sacerdote di Gerusalemme, era stato ucciso a Ribla da Nabuccodonosor.
Erano accompagnati anche da altri sacerdoti, probabilmente tutti del ramo zadokita, che intendevano ricostruire il tempio e ristabilire le proprie fortune sotto la tutela della monarchia persiana. Essi però si trovarono immediatamente a fare i conti con i samaritani, vale a dire il ramo di Anatot insediato a Betel fin dal tempo degli assiri, e che era diventato unico rappresentate della religione ebraica in Palestina ai tempi di Nabuccodonor.
Non appena i deportati di Giuda cominciarono la ricostruzione, i samaritani chiesero di poter partecipare ai lavori ed alla futura gestione del tempio. Evidentemente essi non intendevano consentire che risorgesse a Gerusalemme un centro religioso concorrente e miravano a mantenere anche in Palestina la stessa situazione unitaria che esisteva a Babilonia, con la famiglia di Anatot in posizione di predominio. Di fronte al rifiuto di Giodesec, essi si rivolsero al re persiano e riuscirono a far bloccare i lavori di ricostruzione del tempio ed impedire che venissero riedificate le mura della città, impedendone così la ripresa demografica ed economica.
Le velleità di indipendenza e di ripristino del primato della famiglia zadokita, che erano nei voti di Giosuè, rimasero completamente frustrate. I rimpatriati vivacchiarono alla meno peggio, in una città semi spopolata e priva di difese, e quasi certamente in posizione completamente subordinata ai samaritani. Lo stato della comunità giudaica di Gerusalemme e della sua famiglia sacerdotale era così miserando, che uno dei favoriti del re Artaserse, alla corte persiana, il sacerdote Esdra, chiese ed ottenne di essere inviato in Palestina per risollevarne le sorti.
Esdra tornò a Gerusalemme, portando con sé migliaia di deportati, tra cui centinaia di sacerdoti, da immettere al servizio del tempio, la cui ricostruzione fu immediatamente ripresa e completata. Da questo momento Gerusalemme riprese a decollare e la sua ascesa divenne inarrestabile. Essenziale per il recupero dell’antico prestigio e benessere fu la riedificazione delle mura della città, operata, stando alla Bibbia, da Neemia, anch’esso inviato del re Artaserse.
C’è da sempre un acceso dibattito fra gli esegeti biblici, per stabilire chi dei due, Esdra o Neemia, sia venuto per primo in Palestina. Entrambi erano pupilli e inviati di un re Artaserse. Nel periodo in questione ci furono due re persiani con questo nome, il primo, Artaserse I Longimano, regnò dal 465 al 424 a.C.; il secondo, Artaserse II Mnemone dal 405 al 358 a.C. La maggioranza degli esegeti ritengono che Neemia sia stato inviato dal primo ed Esdra dal secondo; ma c’è chi inverte l’ordine. La cosa più probabile è che siano stati inviati assieme da Artaserse Longimano, intorno al 458 a.C. ed abbiano operato assieme, pur con diverse responsabilità. Non è verosimile, infatti, una rinascita di Gerusalemme in due tempi separati e con due diverse caratterizzazioni: essenzialmente civile l’una, soltanto religiosa la seconda. Le due componenti devono essere andate avanti di pari passo.
Neemia, che non era sacerdote, ebbe la responsabilità politica ed a lui fu demandata la responsabilità di ricostituire l’autonomia amministrativa di Gerusalemme nei confronti dell’autorità samaritana. Il sacerdote Esdra, invece, ebbe il potere sul tempio e sulla vita religiosa del paese.
Per prima cosa egli si dedicò alla riorganizzazione della famiglia sacerdotale. Suo principale obiettivo era il definitivo superamento dell’antica divisione fra i rami rivali. I sacerdoti che rientrarono a Gerusalemme al suo seguito, infatti, appartenevano ad entrambi le famiglie, sia quella facente capo a Zadok, primo sommo sacerdote di Gerusalemme, sia l’altra facente capo al figlio di suo fratello Achimelek, Ebiatar, che era stato esiliato da Salomone ad Anatot. Esdra impose fra di essi un accordo.
24 famiglie entrarono in questo accordo, che da allora in poi si divisero gli incarichi del tempio e le sue entrate e soprattutto si arrogarono il diritto esclusivo al sacerdozio. Tutte le altre famiglie di origine mosaica, che in quel momento si trovavano fuori di Gerusalemme, come a Babilonia, in Samaria e in Egitto, rimasero escluse.
Fu allora, come risulta dai versetti in questione, che le 24 famiglie si diedero ufficialmente, come antenati, i due figli di Aronne: 16 famiglie discendenti da Zadok si ricollegarono ad Eleazaro, per ribadire il loro primato nel sacerdozio; 8 famiglie discendenti da Ebiatar, si ricollegarono al quartogenito di Aronne, Itamar. Tutti i sacerdoti diventarono così “figli di Aronne”, ma non si curarono di rendere credibile quella discendenza, inventando delle genealogie ad hoc.
Non è ben chiaro a quale dei due casati appartenesse Esdra. E’ verosimile che appartenesse ad entrambi, all’uno per parte di padre, all’altro per parte di madre. La figura della madre assunse così una straordinaria importanza nella riforma di Esdra e rimarrà da allora in poi fondamentale nella società ebraica, dove solo chi è figlio di madre ebrea può essere considerato ebreo. E questo è quasi certamente il motivo per cui la famiglia sacerdotale cambiò il proprio capostipite, da Mosè ad Aronne.
E’ inverosimile, tuttavia, che la famiglia sacerdotale abbia rinnegato anche privatamente le proprie origini. Nei libri segreti da consegnare ai “saggi”, di cui parlano i testi apocrifi di Esdra, doveva necessariamente essere indicata la vera origine di famiglia. Questa conoscenza, però, insieme a chissà quali altri segreti, doveva rimanere ristretta nell’ambito dei “saggi”. Chi erano costoro? Non ci può essere dubbio che doveva trattarsi di un gruppo di maggiorenti che rappresentavano le 24 famiglie.
Evidentemente, ed ovviamente, Esdra doveva aver creato un’organizzazione che sorvegliasse l’applicazione dell’accordo, una sorta di governo ombra che salvaguardava le prerogative e l’unità della classe sacerdotale, con il compito, fra gli altri, di tenere una sorta di registro delle 24 famiglie e di mantenere fuori gli esclusi.
Si trattava indubbiamente di una organizzazione occulta, perché non ne abbiamo notizia da fonti storiche. Ma la sua esistenza è necessaria anche per spiegare come un accordo siffatto, fra un numero così elevato di famiglie, abbia potuto reggere per secoli. Evidentemente esisteva un “collante” potente, capace di superare tutte le vicissitudini storiche e le inevitabili aspre rivalità che sorgevano fra le famiglie stesse.
Vedremo più avanti la natura e struttura di questa organizzazione. Per il momento è importante osservare che soltanto le famiglie che ne facevano parte avevano diritto alla gestione del tempio di Gerusalemme ed i loro membri erano sacerdoti a titolo legittimo.
Tutti gli altri sacerdoti sparsi per il mondo che non rientravano in questa organizzazione, vennero esclusi, in particolare quelli presso la comunità samaritana, nei confronti dei quali il solco di odio si approfondì sempre più. Quasi certamente le 24 famiglie che entrarono nell’accordo non avevano alcuna intenzione, né potere, di “scomunicare” le altre famiglie sacerdotali che si trovavano presso le comunità ebraiche babilonesi ed egiziane, o in Samaria. Semplicemente intendevano ripristinare il tempio di Gerusalemme quale luogo di culto deputato ad eseguire i sacrifici a Jahweh.
Il patto fra loro mirava alla ripartizione dei compiti nella gestione del tempio ed alla spartizione delle risorse che si rendevano in tal modo disponibili, escludendo l’ingerenza di altre famiglie in detto territorio. Grazie ad esso Gerusalemme tornò presto ad essere potente e ad espandere la propria influenza in Palestina e nel mondo ebraico in genere, ma questo portò inevitabilmente ad un aperto conflitto con la parte samaritana.
Il pomo della discordia era costituito appunto dal tempio, quale luogo deputato ai sacrifici. A suo tempo Mosè aveva stabilito con forza ed insistenza che dovesse essere “unico”, e che solo ad esso affluissero le offerte dei fedeli. Esso era stato costruito dapprima a Silo, poi, con Salomone, a Gerusalemme. Con la scissione dei due regni era stato riportato a Silo (o Betel che dir si voglia), che da allora in poi si pose in contrapposizione e concorrenza rispetto a Gerusalemme.
Dopo la distruzione del regno di Israele, Gerusalemme rimase di nuovo, per qualche tempo, unico luogo intitolato al sacrificio. Sotto il re assiro Esar-Haddon la famiglia sacerdotale fu rinviata in Samaria, quasi certamente con l’autorizzazione di ricostruire il tempio a Betel (o in altra località più settentrionale); la Bibbia non dice questo in modo esplicito, ma lo si desume dal fatto che da allora in poi i sacerdoti samaritani ripresero a celebrare i sacrifici a Jahweh (Esdra 4.2).
Dopo la distruzione del regno di Giuda da parte di Nabuccodonosor, il territorio di quest’ultimo fu passato sotto l’amministrazione diretta dei samaritani, che rimasero i soli intitolati ad offrire i sacrifici. Questa situazione durò fino al rientro a Gerusalemme della prima ondata di esiliati di Giuda, al seguito di Zorobabele e di Giosuè, che iniziarono la ricostruzione del tempio e ripresero ad offrire sacrifici (Esdra 3,6).
Ovviamente i Samaritani si opposero alla rinascita di Gerusalemme e riuscirono a far bloccare i lavori di ricostruzione del tempio (Es. 4) e quasi certamente, anche se la Bibbia non lo dice, a far cessare la pratica delle offerte di sacrifici.
Ma la comunità ebraica babilonese evidentemente non era soddisfatta di questa situazione e con Esdra riuscì a ripristinare il tempio di Gerusalemme, che da allora in poi fu riconosciuto come unico luogo intitolato ad eseguire il sacrificio. E’ per questo che i rapporti fra la comunità babilonese e quella di Gerusalemme rimasero sempre molto stretti e cordiali. Il tempio dell’antico regno del nord fu invece sconfessato e distrutto ed i samaritani furono trasformati in una setta “eretica”, senza seguito al di fuori del territorio da essi amministrato, anche se i suoi sacerdoti hanno sempre continuato (e continuano tuttora) a proclamarsi i legittimi titolari del primato sacerdotale.
Pretesa che i sacerdoti di Gerusalemme hanno contrastato con ogni mezzo, innanzitutto, come si è visto, censurando la storia e negando ogni legittimità alla casta sacerdotale del regno di Israele, di cui i samaritani erano gli eredi, ma non rifuggendo anche da sanguinose persecuzioni.
La prima occasione per umiliare la setta rivale si presentò durante il regno di Dario II (423 – 404 a.C.), quando la Samaria venne passata sotto l’amministrazione di Gerusalemme. Fu in quell’occasione che il tempio del nord venne chiuso, o distrutto, e venne interdetta ai samaritani l’offerta dei sacrifici. I samaritani si presero la rivincita non appena l’impero persiano fu sconfitto da Alessandro Magno.
Forti della loro posizione di perseguitati del passato regime, essi si presentarono al sovrano macedone ed ottennero di poter ricostruire un proprio tempio sul monte Garizim, prendendo in contropiede la comunità di Gerusalemme, che soltanto in seguito e con grande fatica riuscì a far riconoscere i diritti di Gerusalemme.
Il tempio di Garizim sarebbe stato in seguito distrutto, nel 128 a. C., da Ircano I, sommo sacerdote a Gerusalemme, e mai più ricostruito. Da allora la storia dei samaritani fu un continuo susseguirsi di persecuzioni e massacri, che hanno ridotto la setta sull’orlo dell’estinzione
Ma questa è un’altra storia. Torniamo a Gerusalemme, all’indomani del ritorno da Babilonia degli esuli guidati da Esdra. Esdra è una figura fondamentale nella storia del popolo ebraico e della famiglia sacerdotale in particolare. Egli fu autore di una profonda riforma religiosa, che passò essenzialmente attraverso la riorganizzazione della famiglia sacerdotale di Gerusalemme, a cui venne imposta una struttura perfettamente regolamentata e rigide norme matrimoniali e di comportamento, miranti a prevenire per il futuro ogni degenerazione del sacerdozio e della religione di cui essi erano i ministri unici.
Per assicurare i mezzi di sopravvivenza della famiglia e per la condotta del tempio, Esdra aveva stabilito (o meglio ripristinato) un sistema di tasse, le famose decime, che provvedevano entrate abbondanti e regolari, a cui si aggiungevano offerte personali e donazioni. Le fortune della famiglia vennero a basarsi più che mai sul possesso e la gestione del tempio e della religione ad esso collegata.
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