Mentre Esaù si dissanguava nella guerra contro gli apiru ittiti, Giacobbe in Mesopotamia si dava da fare per accumulare figli e ricchezze. Ed ebbe notevole successo in entrambe le cose, tanto che dopo venti anni possedeva ben 11 figli maschi e migliaia di capi di bestiame grosso e minuto, con relativi pastori e famiglie: una vera e propria tribù.
Egli aveva certamente elaborato in anticipo un piano che gli consentisse di lasciare Harran senza rinunciare al frutto di venti anni di lavoro. Due ostacoli si opponevano alla realizzazione dei suoi piani. Il primo era costituito da Labano e dai suoi figli e parenti, che non avevano alcun interesse a che Giacobbe portasse fuori dalla Mesopotamia le ricchezze ivi accumulate e certamente avrebbero fatto ogni tentativo per impedirglielo. Il secondo e ben più serio ostacolo era costituito da Esaù, il quale odiava il fratello e prevedibilmente avrebbe tentato di vendicarsi e di impedire che il fratello raggiungesse la Palestina, dove avrebbe potuto rivendicare i diritti all'eredità di Isacco. Questo era stato il pomo della discordia fra i due e non risulta che il problema fosse risolto.
Il piano messo in atto da Giacobbe per aggirare il primo dei due ostacoli è semplice e può essere ricostruito con precisione sulla base del racconto. Esso si basava essenzialmente sul fatto che Giacobbe poteva contare sulla protezione degli egizi (evidentemente per intervento della madre, con la quale il piano doveva essere stato preventivamente concordato). Il piano consisteva nel fuggire alla chetichella, senza preavviso, e raggiungere la più vicina guarnigione egizia prima che il suocero, che certamente si sarebbe precipitato all'inseguimento, potesse riacciuffarlo.
Fattori essenziali per la riuscita del piano erano la sorpresa ed il calcolo dei tempi. Per andare in Palestina Giacobbe aveva due possibilità: o dirigersi verso ovest, a Karkemish, dove avrebbe dovuto attraversare l'Eufrate su imbarcazioni, imboccando poi la pista per Aleppo e Damasco, come aveva fatto a suo tempo Abramo; oppure scendere a sud, a tre giorni di cammino da Harran, dove l'Eufrate poteva essere guadato nei pressi di Raqqah, proseguendo poi lungo la pista che unisce la Mesopotamia alla Palestina passando da Tadmor, principale centro della Siria orientale, noto in epoca romana col nome di Palmira.
Volendo portare con sé tutto il bestiame e i servi, Giacobbe non aveva alternative. Il trasbordo con mezzi fluviali di una simile quantità di bestiame e persone avrebbe richiesto giorni e giorni, mentre il fattore sorpresa era essenziale. Egli dovette quindi necessariamente incamminarsi lungo la pista di Tadmor. La città fu in tutti i tempi antichi, ma allora più che mai, un nodo commerciale importantissimo, perché controllava una parte considerevole del traffico carovaniero che transitava dalla Mesopotamia diretto in Palestina ed Egitto e viceversa. Pertanto doveva essere presidiata da una forte guarnigione egizia; se Giacobbe fosse riuscito a raggiungerla sarebbe stato al sicuro.
Il maggior problema era costituito dal fatto che Tadmor si trova a quattro giornate di cammino dai guadi dell'Eufrate, vale a dire ad una distanza di circa 150 chilometri, che Giacobbe doveva coprire prima che Labano riuscisse a raggiungerlo. Ma Giacobbe aveva un grosso handicap, come dichiara egli stesso (Gn.33,13): "Tu sai che i miri figli sono delicati e che le mie pecore e le mie mucche allattano i piccoli. Se forzo l'andatura di questo bestiame anche per un solo giorno, morrà tutto quanto.!" Era quindi costretto a "procedere lentamente, al passo del bestiame". Egli poteva quindi percorrere non più di 15 chilometri al giorno, contro i 35-40 che erano il normale percorso di "una giornata di cammino".
A quell'andatura Giacobbe avrebbe impiegato non meno di 10 giorni per raggiungere Tadmor, una volta attraversato l'Eufrate. Labano sarebbe stato certamente avvertito della sua fuga e si sarebbe messo al suo inseguimento. Giacobbe doveva far in modo che non potesse raggiungerlo prima di Tadmor. Dalla Bibbia risultano esattamente le fasi del piano di fuga ed i tempi di attuazione. I guadi di Raqqah sono a poco più di un centinaio di chilometri da Harran, dove risiedeva Labano, vale a dire appunto tre giorni esatti di cammino. Giacobbe si portò in prossimità dei guadi e si fece raggiungere dalle mogli e dai figli. Poi, all'alba di un giorno d'estate (il livello del fiume doveva essere al minimo, per consentire il passaggio del bestiame minuto) attraversò l'Eufrate e si incamminò lungo la pista per Tadmor. "Solo tre giorni dopo Labano venne a sapere che Giacobbe era fuggito. Allora egli prese con sé i suoi parenti, lo inseguì per sette giorni di cammino e lo raggiunse..." (Gn.31,22). Di questi sette giorni tre li impiegò per arrivare a sua volta ai guadi dell'Eufrate, gli altri quattro lo portarono giusto a Tadmor.
La Bibbia dice che Giacobbe fu raggiunto sul monte Galaad, ad est del Giordano; ma si tratta chiaramente di un equivoco o di un caso di omonimia, perché l'analisi dei tempi di percorrenza porta a stabilire con certezza che entrambi, allo scadere del decimo giorno dall'inizio della fuga, dovevano trovarsi dalle parti di Tadmor (vedi tabella a fig.9). Ma prima che riuscisse a raggiungere il genero, Labano ebbe una visita: "Di notte, in sogno, Elohim apparve all'arameo Labano e gli disse: "Non litigare con Giacobbe per nessun motivo". Era certamente il comandante della guarnigione egizia di Tadmor, che doveva aver avuto precise istruzioni dalla Palestina su come comportarsi in quella circostanza. Il fatto che Elohim sia apparso "in sogno" a Labano, significa, come abbiamo già visto in altre circostanze, che gli fece pervenire un messaggio scritto.
Labano era partito all'inseguimento presumibilmente con l'intenzione di ricondurre indietro il fuggiasco o quanto meno di recuperare buona parte delle sostanze da lui trafugate; lo si deduce proprio dalle parole risentite di Giacobbe: "Se non mi avesse protetto il dio di mio padre, dio di Abramo e terrore di Isacco, ora sicuramente tu mi avresti rimandato a mani vuote. Ma Elohim ha visto la mia tribolazione e la mia fatica e la notte scorsa ti ha fatto conoscere il suo giudizio" (Gn.31,42).
Di fronte all'ingiunzione egizia, a Labano non restò che fare buon viso a cattiva sorte. Protestò, recriminò, si lamentò per il comportamento scorretto del genero, pretese la restituzione di suoi "terafim", ma alla fine si rassegnò: "Queste figlie e questi nipoti sono miei, e mio è anche questo bestiame. tutto quello che vedi è mio! Ma ora io non posso scagliarmi contro le mie figli e i figli che esse hanno messo alla luce! Perciò vieni e concludiamo un patto ... Bada bene, se maltratti le mie figlie o ti prendi altre mogli, non un uomo, ma Elohim stesso sarà testimone tra me e te". ... Il mattino seguente Labano si alzò, baciò i suoi nipoti e le sue figlie e li benedisse. Poi se ne andò e tornò a casa sua" (Gn.31,43-44; 31,50; 32,1).