Il racconto biblico si è rifiutato fino ad oggi di lasciarsi inquadrare in una cornice cronologica coerente, rispettosa sia dei tempi narrativi insiti nel racconto, sia della cornice storica in cui i fatti biblici si sarebbero svolti. Non c’è un solo fatto narrato nel Pentateuco che possa essere identificato con certezza con un qualche avvenimento storico citato in documenti contemporanei. Anche perché per giudicare se un documento è “contemporaneo”, bisogna prima stabilire una corretta cronologia dei fatti biblici. Ma tutti i tentativi effettuati e le ipotesi avanzate fino ad ora per stabilire una cronologia biblica in accordo con gli avvenimenti storici del Medio oriente, conducono inevitabilmente alla disintegrazione del tessuto narrativo del Pentateuco.
Il problema della cronologia biblica costituisce forse il maggior ostacolo all’accettazione del testo come genuinamente storico. Me ne resi conto proprio perché fu il primo e più grave problema con cui mi scontrai nel mio tentativo di ricostruire la storia che venivo leggendo. E quando andai a consultare la letteratura specializzata, cercando lumi, mi trovai di fronte ad una babele di opinioni indescrivibile. La maggior parte di esse, benché diverse l’una dall’altra, hanno alla base lo stesso modo di considerare il testo biblico e comportano le stesse conseguenze per la sua credibilità.
Tutte hanno in comune una fatto fondamentale e cioè che fissano l’epoca in cui visse Abramo ben prima del 1500 a.C. Questo comporta inevitabilmente la disintegrazione del tessuto narrativo del Pentateuco.
Il Pentateuco racconta la storia del popolo ebraico da Abramo fino a Mosè. Una storia che segue i vari personaggi di padre in figlio e narra le vicende salienti della vita di ciascuno. Tra Abramo e Mosè ci sono sette generazioni. Con la più buona volontà si può arrivare a distendere la storia di sette generazioni successive nell’arco di tre secoli al massimo. Stiracchiata in cinque, sette o addirittura venti secoli, perde di significato. Per prima cosa, infatti, bisogna necessariamente ammettere che le generazioni non siano più sette, ma molte di più. Nel racconto, quindi, vengono a mancare molti nomi; non si sa più chi sia figlio di chi, e a chi si debbano attribuire le vicende narrate. Se, ad esempio, fra Abramo ed Isacco intercorrono due secoli, di chi era figlio Isacco? E come devono essere considerati questi due personaggi?
Gli studiosi hanno risolto questi problemi in un modo semplice e sbrigativo. Secondo una interpretazione ormai universalmente accettata, Abramo, Isacco e Giacobbe non erano persone fisiche individuali, ma rappresentano periodi di tempo più o meno lunghi, ciascuno caratterizzato da una diversa fase di sviluppo del popolo ebraico. Abramo rappresenterebbe la fase pastorale; Isacco la fase di sedentarizzazione; Giacobbe la fase del distacco delle tribù del nord da quelle del sud; Giuseppe rappresenterebbe la fase egiziana e Mosè la fase della nascita della religione ebraica. Ovviamente in questo modo il tessuto narrativo del Pentateuco viene disintegrato. Nomi, fatti, personaggi perdono ogni significato storico, al punto che ognuno si sente autorizzato a riscrivere la storia del popolo ebraico a propria discrezione, prendendo dal testo biblico solo quegli spunti che giudica in accordo con le sue tesi e scartando tutto il resto.
Al profano può parere un quadro esagerato, ma non è così. La dilatazione della cronologia biblica è un dato costante nella quasi totalità degli studiosi, ed essa comporta inevitabilmente la distruzione della credibilità del testo. Come poi gli studiosi riescano a convivere con le infinite contraddizioni che ne derivano, è un fatto che ciascuno risolve a suo modo. Di qui le mille posizioni diverse che si incontrano quando ci si addentra in questo campo.
Mi ero addentrato negli studi biblici sperando di ricevere lumi. Ne trassi la convinzione che la posizione della scienza in merito alla cronologia biblica, e di conseguenza alla credibilità del testo, è clamorosamente errata e priva di una valida giustificazione. La intima coerenza e unitarietà della narrazione biblica, unite alla scoperta di precisi riscontri archeologici, mi hanno convinto nel modo più assoluto che il Pentateuco non è un racconto mitico (con l’eccezione, ripeto, dei primi 11 capitoli di Genesi) e tanto meno simbolico, ma una cronaca fedele di fatti realmente accaduti.
É sufficiente stabilire una corretta cornice cronologica entro la quale inquadrare questi fatti per dimostrare in maniera convincente la loro storicità e togliere ogni arbitrarietà nella loro interpretazione.