La grande maggioranza degli storici ritiene che il senato romano, verso la fine del quarto secolo, fosse l'ultima roccaforte del paganesimo. Questa opinione è motivata dal fatto che ancora nel 380 nell’aula del Senato campeggiava la statua della Vittoria, e che erano ammessi i ministri di culti pagani, nonché il sussistere delle vestali, che mantenevano acceso il sacro fuoco di Vesta.
Nel 382 l’imperatore Graziano, a Milano, promulgò un editto per la soppressione del titolo di pontefice massimo agli imperatori, per l'abolizione del mantenimento delle Vestali e degli altri collegi sacerdotali di Roma, che ebbero confiscati anche i beni, e infine per la rimozione dell'altare di fronte alla statua della Vittoria, dove veniva bruciato incenso all’inizio di ogni seduta del Senato [1] . Il pater mitraico Simmaco, uno dei senatori più ricchi e influenti, si recò a Milano per indurre l’imperatore a revocare il provvedimento, ma non fu neppure ricevuto.
L’anno dopo, nel 383, il Senato approvò praticamente all’unanimità il decreto, votando l’abolizione del paganesimo e di ogni suo simbolo a Roma e in tutto l’impero d’occidente. Quello stesso anno Graziano morì, a Lione, ucciso da un emissario di Magno Massimo. Simmaco ne approfittò per effettuare un ulteriore tentativo. Eletto prefetto della città di Roma, nonché Pontefice Massimo in rappresentanza dell’imperatore, scrisse una lettera a Valentiniano II, raccomandandogli di non discostarsi dalla tradizione di tolleranza verso i simboli della religione ancestrale, seguita dai suoi predecessori (i quali, pur cristiani, avevano sempre rivestito il manto pontificale e presenziato le cerimonie pagane), che si era dimostrata così utile per la sicurezza e prosperità dell’impero.
La lettera venne confutata punto per punto dal vescovo di Milano, Ambrogio, che indusse Valentiniano a respingerla. Due anni dopo, il 3 novembre 386, vennero cancellati gli ultimi residui pubblici del culto del Sole, con un decreto che trasformò il dies solis, istituito a suo tempo da Aureliano, in dies dominicus, ossia domenica giorno del Signore [2] .
Secondo gli storici la aperta e appassionata difesa della tradizione sincretistica del Sol Invictus, effettuata da Simmaco a nome della maggioranza dei senatori, costituisce una chiara testimonianza che fossero ancora pagani. Se questo vuol dire che non erano battezzati è certamente vero. Che fossero pagani nel senso classico del termine, invece, è insostenibile: lo erano esattamente come erano stati “pagani” Costantino e Ambrogio. E’ proprio quest’ultimo, infatti, che proveniva da una famiglia senatoriale e che delle cose romane doveva saperne ben più degli storici moderni, ad affermare a più riprese che i cristiani avevano la maggioranza nel Senato romano [3] .
Che le famiglie senatoriali più o meno apertamente cristiane fossero la maggioranza è provato anche dalle parole stesse di Marcellino e di San Girolamo, quando affermano che le matrone romane (appartenenti a famiglie senatoriali) sovvenzionavano generosamente il clero cattolico.
E’ altrettanto vero, però, sulla base di inoppugnabili testimonianze storiche e archeologiche, che la maggioranza dei senatori del quarto secolo erano adepti del Sol Invictus, e quindi tecnicamente “pagani” secondo gli storici. Le testimonianze più importanti vengono proprio dal Vaticano, dalla basilica stessa di San Pietro. Sulle fondamenta della facciata sono state rinvenute numerose iscrizioni dedicatorie, scritte in un periodo di tempo che va dal 305 al 390, da senatori romani che vi figurano con le loro cariche e i loro titoli religiosi, fra i quali spicca quello di “pater” del culto mitraico. Ben nove dei senatori che figurano nell’elenco rivestono il grado di “pater patrum”, vale a dire di capo supremo dell’organizzazione mitraica, a conferma del fatto che esso risiedeva in Vaticano.
Sempre nella piazza di San Pietro è stato rinvenuto nel 1949 un altare di marmo dedicato a Mitra il 19 Luglio 374 dal “pater patrum” Alfenio Ceionio Giuliano Camenio, senatore che compare in varie altre iscrizioni romane ed era cugino dell’imperatore Giuliano.
Vari mitrei romani sono chiaramente collegati a dimore senatoriali e recano iscrizioni con i titoli dei loro proprietari. Nel campo Marzio, dove sorgeva il tempio al Sol Invictus eretto da Aureliano, una serie di dediche celebrano la promozione ad un grado superiore di appartenenti all’organizzazione mitraica avvenute negli anni 357, 358, 359, 362 e 376. Oltre ai “promossi”, viene citato il nome e i titoli degli officianti, il “pater patrum” Nonio Vittore Olimpio, e i suoi figli Aurelio Vittore Olimpio e Aurelio Vittore Augenzio, entrambi “patres”. Tutti i personaggi citati sono “vires clarissimi” e cioè senatori.
Fra gli altri senatori indicati nelle iscrizioni come “patres” dell’organizzazione mitraica figurano Ulpio Egnazio Favenzio, Giunio Postumiano, Celio Ilariano, Rufio Ceionio Sabino, Sestilio Agesialo Edesio, C. Rufio Volsiano, Pubblio Ceionio, Cecina Albino e Vettio Agorio Pretestato. Quest’ultimo, che ha il grado supremo di “pater patrum”, è ben noto anche dalle cronache dell’epoca ed è considerato dagli storici, insieme a Simmaco e a Flaviano, il principale esponente della resistenza dei senatori pagani contro il cristianesimo.
Eppure fu proprio lui in persona, in qualità di prefetto di Roma, che nel 367 si erse in difesa di papa Damaso, cacciando dalla città l’antipapa Ursino, e assolvendolo dall’accusa di omicidio [4] . Ed era prefetto del pretorio per l’Italia, l’Illirico e l’Africa nel 383, quando il Senato (lui per primo) votò compatto per l’abolizione del paganesimo.
Anche il senatore Nicomaco Flaviano, cugino di Simmaco, figura fra i “patres” di Mitra. Ciò non gli impedì di intromettersi nelle faccende dei cristiani, appoggiando nel 377 l’eresia donatista in Africa (cosa per cui fu punito da Valentiniano), né di essere nominato prefetto del pretorio per l’Italia dal cristianissimo Teodosio, nel 389. In tale veste egli pubblicò a Milano, nel 391 un editto di proscrizione del paganesimo, indirizzato al prefetto dell'urbe Clodio Albinio [5] , in cui si ribadiva il bando di qualunque sacrificio pubblico e privato, incluse le cerimonie tradizionali dello Stato ancora in uso a Roma, e la chiusura dei templi.
Le evidenze archeologiche e storiche, quindi, confermano che praticamente la totalità del senato romano, nel quarto secolo, era costituita o da “patres” del Sol Invictus oppure da cristiani dichiarati (nessuno dei quali, però, battezzato, come dimostrato dal senatore Aurelio Ambrogio, governatore dell' Aemilia et Liguria, prima di diventare vescovo di Milano, nel 374).
Queste stesse evidenze ci mettono di fronte ad una realtà di estrema importanza e interesse, che è sempre stata ignorata nelle analisi degli storici . Le iscrizioni che compaiono nel Frigianum e negli altri monumenti mitraici romani ci rivelano un aspetto fondamentale del Sol Invictus, mostrando in maniera lampante che esso aveva infiltrato non soltanto l’amministrazione pubblica, il pretorio e l’esercito, ma anche la tradizionale religione pagana dell’impero romano.
Il che, a ben pensare, non desta meraviglia in una organizzazione di sacerdoti, determinati a conquistare tutte le leve del potere e consapevoli come nessun altro che la religione costituisce il potere più importante e duraturo in una società.
E’ vero, il cristianesimo rimaneva la loro creazione originale e prediletta, destinata nel lungo periodo ad assumere il controllo dell’intera società romana. Nel frattempo i Sol Invictus non possono aver ignorato uno dei pilastri fondamentali su cui si reggeva lo stato: la religione tradizionale.
Di certo, tanto gli imperatori Sol Invictus come quelli cristiani non rinunciarono mai alla carica di Pontefice Massimo, capo supremo di tutte le religioni, se non alla vigilia della soppressione definitiva di ogni culto pagano. Ma le iscrizioni sui monumenti mitraici provano in modo certo che essi infiltrarono anche i singoli culti pagani, occupando le cariche al vertice dei loro rispettivi collegi sacerdotali, almeno per quanto riguarda Roma e l’occidente.
Tutti i senatori che figurano nelle iscrizioni mitraiche romane, infatti, accanto ai titoli di vir clarissimus (senatore), magister, hieroceryx, pater o pater patrum [6] nel culto dell’Invitto Mitra, elencano anche una lunga serie di altre cariche religiose, come sacerdos, hieroceryx, hierophanta e archibucolus di Bronto o di Ecate, Iside e Libero, maior augur, quindecimvir sacris faciundis e per finire anche pontifex di vari culti pagani e naturalmente erano responsabili del collegio delle vestali e del sacro fuoco di Vesta. Non c’era nel Senato alcuna manifestazione di culto legato alla tradizione pagana, che non venisse celebrata da un senatore aderente al Sol Invictus.
Quello stesso senatore, quasi certamente, aveva alle spalle una famiglia cristiana ed è probabile che lui stesso, in privato, ne condividesse la dottrina. Ciò non toglie che esercitasse in pubblico, con dignità e convinzione, le mansioni che la sua carica sacerdotale “pagana” comportava (anche gli imperatori cristiani, ripeto, esercitavano senza problema alcuno le mansioni di Pontefice Massimo, che comportavano invocazioni e sacrifici agli dèi pagani).
Tutti i membri del Sol Invictus erano sacerdoti per nascita e credevano in una Entità superiore unica, ma nel corso del secondo e terzo secolo avevano elaborato quella singolare filosofia sincretistica di cui si è già detto, che consentiva di conciliare il monoteismo con la molteplicità delle divinità pagane. Queste ultime, infatti, venivano considerate come altrettante espressioni o aspetti dell’unica divinità riconosciuta, rappresentata dal sole [7] . Una filosofia espressa in modo esplicito negli scritti di vari esponenti mitraici, fra cui l’ultimo “pater patrum”, il senatore Vettio Agorio Pretestato.
Ne parla in maniera approfondita, come si è detto, lo scrittore Macrobio, proconsole in Africa nel 410 (epoca ormai pienamente cristiana), nella sua opera “Saturnalia”, che raccoglie conversazioni fra i più autorevoli dotti del tempo, riuniti a Roma il primo giorno proprio in casa di Pretestato, gli altri due giorni in casa rispettivamente di Nicomaco Flaviano e di Aurelio Simmaco, i tre grandi difensori senatoriali della tradizione “pagana” del Sol Invictus.
Si spiega in tal modo il fatto che nei mitrei trovassero ospitalità tutte le principali divinità pagane e che “devoti” di Mitra si dichiarassero figli di Giove o di Ercole e non disdegnassero di presiedere i collegi sacerdotali di divinità ritenute “concorrenti”. Si spiega anche il tentativo di Giuliano di unificare tutte le religioni, dal momento che non gli rimaneva altro da fare che ufficializzare una situazione di fatto ( ma ovviamente incontrò l’opposizione decisa delle gerarchie cattoliche, perché questo significava equiparare il cristianesimo alle religioni pagane, mettendole sullo stesso piano).
E si spiegano molte altre cose ancora, come il fatto che a Roma e nell’occidente in genere i “pagani” non si abbandonarono quasi mai a violenze contro i cristiani (a differenza dell’oriente ellenistico), il fatto che i senatori romani votarono compatti a favore dell’abolizione delle manifestazioni di culto pagano; che la popolazione romana, notoriamente pronta ad insorgere per ogni nonnulla, accettò il decreto senza fare una piega; che all’indomani del decreto il Senato e i romani si scoprirono immediatamente cristiani e tante altre cose ancora.
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[1]
W. Seston, “Il declino dell’impero romano d’occidente”, Propilei Vol. 4,
pag 601
[2] Cod. Theod .
XI, 7,13
[3]
E. Gibbon, The decline and fall of the roman empire”, cap
XXVIII, nota 12
[4]
In occasione dell’elezione di papa Damaso, nel 366, si fronteggiarono due
opposte fazioni e ci furono scontri con un centinaio di morti
[5]
Cod. Theod . XVI, 10,10
[6]
I gradi dell’organizzazione mitraica erano sette, ma nessun senatore figura mai
con un grado inferiore a quello di “pater”
[7]
Questa identificazione potrebbe sembrare in contrasto con il concetto di
divinità ebraico. Non va dimenticato, tuttavia, che il Dio ebraico veniva
indicato con il nome di “El” o “Elyon”: l’affinità con il nome greco della
divinità solare “Elios” non poteva passare inosservata nella società ebraica
profondamente ellenizzata (in particolare Giuseppe Flavio).