Sommario:- E’ senza dubbio sconcertante scoprire che l’Antartide è rappresentata in carte geografiche prodotte quando ancora la sua esistenza non era conosciuta, ma ancora più sconcertante ed inspiegabile è il fatto che queste mappe rappresentino l’Antartide come doveva apparire alla fine del Pleistocene, quando il livello del mare era assai più basso di quello attuale.
A quell’epoca la situazione climatica e geografica della Terra era molto diversa da quella attuale. La spiegazione più logica e naturale di quella situazione è che il polo sud si trovasse in una posizione diversa e precisamente al margine dell’Antartide, verso l’Australia. Se si disegna una carta del continente in questa situazione, seguendo la batimetrica di -130 metri come la linea di costa di allora ed orientando la carta con il polo sud in alto, si ottiene una rappresentazione con delle caratteristiche molto precise: un’isola grosso modo circolare, con un profondo fiordo dal profilo inconfondibile sulla sinistra in alto, corrispondente all’attuale Baia di Mackenzie; sulla destra in alto una vasta e profonda baia, corrispondente alla baia di Ross; nella parte inferiore si viene a trovare un vasto mare interno, con un’entrata molto stretta, una specie di Mediterraneo che si insinua profondamente nel continente. La Penisola era separata dal continente da uno stretto canale.
Osservando questa rappresentazione ci si rende conto immediatamente che corrisponde in maniera sorprendente al mondo come veniva descritto dalle antiche mitologie: una grande isola circolare, circondata dal “fiume oceano”, che fluiva intorno ad essa. Questa concezione è stata rimpiazzata in epoca classica dalla geografia di Tolomeo, ma è stata ripresa nel Medio Evo con i cosiddetti planisferi a T, tutti orientati con il polo nord sulla sinistra.
Se si paragona la mappa dell’Antartide come appariva alla fine del Pleistocene con i planisferi medioevali, si trova una innegabile somiglianza e in molti casi una assoluta identità di contorni, proporzioni e orientamento. Stesse somiglianze sono riconoscibili nelle mappe di Mercatore e Finneo, dove l’Antartide è rappresentata in maniera straordinariamente precisa, ma “espansa” fino a raggiungere la punta del Sud America, in cui va a “fondersi” la Penisola.
Una mappa scoperta nel palazzo del Topkai, ad Istanbul, nel 1929, disegnata nel 1513 dall’ammiraglio turco Piri Reis, ha dato origine ad una imponente proliferazione di ipotesi “eretiche” in campo storico e cartografico, che è ben lungi dall’essere esaurita.
Il Prof. Charles Hapgood, dopo un attento e prolungato esame della mappa ha evidenziato due caratteristiche che erano impossibili alla data in cui essa fu prodotta.
La prima, una precisione in longitudine che non poteva essere ottenuta prima dell’invenzione del cronometro, nel 18° secolo. La seconda, la rappresentazione nella parte inferiore della mappa delle coste atlantiche dell’Antartide, che era stata scoperta soltanto tre secoli dopo. Ma ancora più sconcertante era il fatto che il profilo di queste coste appare come doveva essere almeno 10 mila anni or sono, quando erano libere dai ghiacci (questo lo sappiamo con certezza: non esiste sulla costa atlantica dell’Antartide un solo grammo di ghiaccio più vecchio di 10 millenni).
Hapgood cercò di spiegare questo fatto, ipotizzando che a quell’epoca esistesse una sconosciuta civiltà marinara, avanzata al punto da essere in grado di cartografare in maniera precisa il mondo intero. In qualche modo copie delle loro mappe sono sopravvissute per divenire la “sorgente” di mappe prodotte in epoca rinascimentale, che molto spesso presentano, come quella di Piri Reis, caratteristiche incompatibili con le conoscenze geografiche e le capacità tecniche di quel periodo.
Nel suo libro “Mappe degli antichi Signori del Mare”, Hapgood compila una lunga lista di carte “impossibili” per la loro epoca. Ai nostri scopi è sufficiente citarne due: la mappa disegnata da Oronteo Finneo nel 1531 ed una disegnata poco dopo dal grande cartografo Mercatore. Entrambe rappresentano l’Antartide nella sua esatta posizione e con il suo esatto profilo, anche se fuori scala. Hapgood ha eseguito un’analisi accuratissima, trovando una corrispondenza pressocché assoluta. La probabilità che questo sia dovuto ad un caso fortuito è stata da lui calcolata in una su svariati milioni.
Finneo Mercatore
L’analisi di Hapgood, tuttavia, è stata rifiutata da molti studiosi principalmente perché né l’una né l’altra di queste supposte mappe dell’Antartide sembra rappresentare una parte importante come la Penisola. Altra obiezione ricorrente è l’errore di scala ed il fatto che la punta del Sud America non è rappresentata correttamente.
Sono obiezioni apparentemente fondate. Prima di passare, però, a conclusioni affrettate, è bene esaminare tutta una serie di mappe, mai prese in considerazione da Hapgood, che non soltanto sembrano supportare le sue conclusioni sull’Antartide, ma che sono in grado di fornire una convincente spiegazione anche a queste apparenti discordanze con la reale geografia del polo sud.
Piri Reis non fu il primo a disegnare l’Antartide. Prima di lui intere generazioni di “cartografi” medievali lo hanno fatto, anche se nessuno di loro ne era consapevole e tutti erano convinti di rappresentare invece l’intero mondo conosciuto. Che essi rappresentassero l’Antartide, tuttavia, appare innegabile sulla base dell’analisi che segue.
I planisferi medievali sono straordinari sotto vari aspetti, primo fra tutti il fatto che sembrano ignorare le conquiste fondamentali acquisite in campo geografico dagli antichi Greci e dai Romani.
Il vertice della cartografia antica è stato raggiunto con Tolomeo. Nelle sue mappe il bacino mediterraneo viene rappresentato in maniera assai precisa, l’Africa e l’Asia un po’ meno, ma le loro caratteristiche essenziali sono ben delineate. Un fatto molto importante di queste mappe, tuttavia, che era comune a tutte le mappe antiche, come del resto a quelle moderne, è che esse sono orientate con il polo nord in alto, perché questo è il modo più naturale ed istintivo (oserei dire, obbligato) di disegnare una mappa geografica, per un cartografo che viva nell’emisfero settentrionale.
La mappa di Tolomeo |
Queste fondamentali conquiste della cartografia antica sembrano essere andate perdute durante il Medioevo nell’Europa occidentale, perché fin dall’ottavo secolo cominciano ad apparire rappresentazioni del mondo di un genere totalmente diverso. Tanto per cominciare, il mondo è rappresentato come un’isola più o meno circolare, con un profilo, sia interno che esterno, che non concorda per nulla con la realtà geografica che il disegno vorrebbe rappresentare. Sono rappresentazioni che ricordano invece la geografia di Omero, il quale concepiva il mondo come un’isola circolare, circondata dal “fiume Oceano”.
Gli storici, normalmente, cercano di spiegare questo fatto con una drammatica perdita di conoscenze nel mondo occidentale durante il medioevo in ogni campo scientifico, ma in modo particolare per quanto concerne la geografia, senza tener conto del fatto che l’Occidente è sempre stato in stretta relazione con il mondo orientale, dove questa perdita non si è verificata; commercianti e naviganti occidentali, e cioè proprio le persone maggiormente interessate alla cartografia, sono sempre stati presenti nell’oriente bizantino e arabo. Una semplice “perdita” di conoscenze in questo campo è inammissibile. Fu piuttosto una perdita di interesse, fra coloro che nei monasteri trascrivevano e conservavano per i posteri il sapere degli antichi, per un genere di geografia che non rispondeva più alla loro visione teocentrica del mondo e alla loro ricerca di un modello in grado di soddisfare non tanto le loro esigenze geografiche, ma soprattutto quelle teologiche. Non è per caso, infatti, che la quasi totalità dei planisferi siano stati disegnati nel chiuso dei monasteri.
Ma da dove veniva questa nuova visione del mondo? Fu un’invenzione autonoma di un qualche monaco che non era mai uscito dalle mura del suo monastero, o fu piuttosto ispirata a modelli geografici preesistenti, che la cultura classica aveva accantonato, ma che ora venivano nuovamente proposti perché maggiormente in sintonia con la visione cosmologica dei nuovi cartografi?
Possiamo tranquillamente escludere che sia stata un’invenzione autonoma di un qualche monaco occidentale, perché è del tutto certo che il modello a cui i planisferi medievali si sono ispirati veniva da un lontano passato. Troviamo questo stesso modello, infatti, nelle più antiche civiltà conosciute, come testimoniato dal mappamondo inciso su una tavoletta di argilla ritrovata nell’antica Babilonia.
Tavoletta babilonese con inciso un mappamondo
Cosa curiosa e molto significativa è il fatto che lo stesso tipo di rappresentazione, e cioè un’isola circolare, circondata dal fiume oceano, si ritrova anche nel mondo arabo
Mappa di Ibn Hauqal La tavola Rogeriana
Era un periodo di grande vitalità e grande cultura degli arabi, che avevano ereditato la grande cultura antica; non possiamo quindi attribuire l’apparizione di queste rappresentazioni geografiche a perdita di informazioni (come si è supposto per il mondo occidentale). Sembra invece che il modello cui queste rappresentazioni si ispiravano, sia in occidente che in oriente, nell’antica Mesopotamia come nella Gallia carolingia, fosse lo stesso. Un modello che apparentemente non ha niente a che vedere con la geografia reale dell’area che si suppone esso voglia rappresentare.
Un particolare veramente sorprendente ed innovativo rispetto alla geografia tolemaica, apparentemente privo di ogni giustificazione, dei planisferi medievali è il fatto che i punti cardinali sono invariabilmente ruotati di 90°, con il nord sulla sinistra e l’est nel lato superiore della rappresentazione.
E’ possibile che questo modello fosse ispirato a quelle “mappe sorgenti” la cui esistenza è stata ipotizzata da Hapgood? Se infatti queste mappe realmente esistettero, altre persone, prima di Piri Reis, Finneo e Mercatore, devono averle viste e devono avere a loro volta disegnato mappe simili.
Secondo Hapgood, le ipotetiche “mappe sorgenti” erano state disegnate in origine durante un ben determinato periodo, più o meno alla fine del Pleistocene o agli inizi dell’Olocene, quando le coste atlantiche dell’Antartide erano deglaciate.
Il Pleistocene fu un periodo caratterizzato dalla presenza nell’emisfero settentrionale di una imponente calotta glaciale “eccentrica” rispetto al polo attuale e da enormi ghiacciai su tutte le montagne; l’acqua intrappolata nei ghiacci era così tanta che il livello del mare era ben 130 metri più basso di quello attuale. Questa abnorme situazione climatica può essere spiegata supponendo che i poli fossero spostati rispetto alla posizione attuale e l’asse terrestre meno inclinato.
La distribuzione dei ghiacci nell’emisfero settentrionale suggerisce che durante il Pleistocene il polo nord si trovasse spostato di oltre 20° in direzione del Labrador |
Supponiamo, se non altro come ipotesi di lavoro, che lo scenario da me tratteggiato in precedenti lavori (Una Civiltà sotto Ghiaccio), sia vero; e cioè che il Pleistocene abbia avuto termine in una immane catastrofe (il diluvio universale delle mitologie comuni a tutto il mondo), dovuta ad un improvviso slittamento dei poli, innescato da un impatto celeste.
Proviamo allora ad immaginare come doveva apparire allora l’Antartide e come un ipotetico cartografo locale avrebbe dovuto rappresentarla.
Innanzitutto dobbiamo tener conto del fatto, come si è detto, che il polo sud era spostato, rispetto alla posizione attuale, in maniera simmetrica rispetto al polo nord, e quindi in direzione dell’Australia: doveva cadere in prossimità della costa della Terra di Wilkes, fra le coste Adelia e Sabrina.
Questa parte dell’Antartide era interamente coperta da un’antichissima calotta glaciale (vecchia di almeno un milione di anni), che si spingeva all’interno su gran parte del continente. Possiamo essere certi che essa ricopriva almeno tutta quella parte dell’Antartide dove sono stati scoperti laghi subglaciali, più di 1.500 fino ad oggi. (Lungo le coste atlantiche, invece, il ghiaccio è molto recente, meno di 10.000 anni, e pertanto non c’è stato tempo per la formazione di laghi subglaciali).
I cerchietti azzurri segnano la posizione dei laghi subglaciali scoperti fino ad oggi in Antartide. Essi delimitano l’area del continente coperta dall’antica calotta glaciale. Essi sono assenti dove il ghiaccio è più recente, come lungo le coste atlantiche |
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Posizione del polo sud ed estensione della calotta glaciale alla fine del Pleistocene |
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Ciò premesso, proviamo a disegnare una mappa dell’Antartide, nell’assunto che la sua costa atlantica fosse priva di ghiacci fino all’altezza della baia di Mackenzie, e che il livello del mare fosse 130 metri più basso di quello attuale. Ovviamente dovremo orientare la nostra mappa, com’è naturale in una rappresentazione geografica, con il polo (quello sud, dal momento che ci troviamo nell’emisfero meridionale) in alto ed il mezzogiorno, e cioè il sole, in basso.
Questa rappresentazione, ovviamente, non può essere molto accurata, principalmente per il fatto che non è possibile conoscere con esattezza l’estensione dell’antica calotta glaciale all’interno del continente, ed il profilo costiero al di sotto della calotta non è conosciuto con precisione. Ma non è indispensabile avere una mappa accurata; ne basta una che dia un’idea sufficientemente precisa di quale fosse grosso modo il profilo del continente a quell’epoca.
Quella che otteniamo è una mappa che differisce dalle attuali carte dell’Antartide principalmente per due caratteristiche: la prima è che la Penisola antartica era allora un’isola, separata dal continente da uno stretto canale. La seconda è l’esistenza nella parte inferiore, libera dai ghiacci, di un profondissimo golfo, una sorta di Mediterraneo, che si spingeva fino a raggiungere la calotta glaciale continentale all’interno, e comunicava con l’oceano attraverso uno stretto passaggio tra l’isola Berkner e la costa Principessa Marta.
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Probabile profilo dell’Antartide alla fine del Pleistocene. |
Consideriamo al momento soltanto la parte continentale dell’Antartide, ignorando l’isola “Penisola”. In tal modo otteniamo una rappresentazione geografica le cui caratteristiche essenziali sono chiaramente e nettamente identificabili.
Iniziando dall’alto a sinistra, abbiamo un profondo fiordo, con un profilo caratteristico, in corrispondenza della Baia di Mackenzie. In alto a destra abbiamo un ampio golfo, anch’esso con un profilo particolare, corrispondente alla baia di Ross.
Al centro in basso, uno stretto passaggio introduce in un vasto mare interno, analogo al nostro Mediterraneo, che penetra profondamente all’interno del continente, dividendosi in due rami; quello superiore raggiunge la calotta glaciale che copre gran parte dell’interno.
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Profilo costiero dell’Antartide alla fine del Pleistocene. La posizione del polo sud di allora è segnata da un circoletto |
Ebbene, se la misteriosa civiltà ipotizzata da Hapgood aveva la sua sede nell’emisfero meridionale, è esattamente in questo modo che i suoi geografi avrebbero rappresentato l’Antartide. Veramente impressionante nella sua semplicità, inconfondibile, facile da memorizzare e riprodurre e perfino a descrivere verbalmente. Ed è più o meno in questo modo che doveva essere rappresentata nelle “mappe sorgenti”, la cui esistenza è ritenuta necessaria per spiegare le caratteristiche peculiari delle mappe rinascimentali.
Proviamo ad immaginare, allora cosa avrebbe dovuto pensare un monaco medievale, trovando fra le carte del suo archivio una mappa di questo genere, di ignota origine. Che fosse una rappresentazione geografica era chiaro, per cui egli dovette pensare che essa rappresentasse l’unico mondo a lui conosciuto, fra l’altro in maniera coerente con le descrizioni più antiche. Egli dovette quindi riprodurre la mappa, magari schematizzandola, e identificando le varie entità geografiche di cui era a conoscenza: il Mediterraneo, circondato da Europa, Asia ed Africa, e naturalmente la città santa, Gerusalemme, giusto al centro.
Poiché il Mediterraneo era posizionato nella parte inferiore della mappa, egli dovette ruotare i punti cardinali di 90°, spostando il nord sulla sinistra. Questo tradisce chiaramente l’esistenza di un modello a cui si è ispirato. Non c’è altra giustificazione logica a questo fatto.
La rappresentazione è passata poi da un monastero all’altro, subendo in questi passaggi modifiche e semplificazioni, fino a sfociare da un lato in planisferi a T estremamente schematizzati, dall’altro in rappresentazioni geografiche molto sofisticate, come quella di Fra Mauro, che rappresenta il Mediterraneo ed i mari adiacenti in maniera del tutto fedele, pur mantenendo le caratteristiche essenziali del modello originale.
Vediamo allora il paragone, fianco a fianco, dei più significativi planisferi medioevali con l’Antartide pleistocenica.
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St.Denis |
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Ranulf Higden |
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La Mappa Cotton |
I planisferi di Pomponio Mela, St. Denis, Higden e Cotton sono differenti l’uno dall’altro, ma anche ad un esame superficiale è del tutto evidente che rispondono ad uno stesso modello di base. Essi hanno il nord sul lato sinistro, un Mediterraneo in basso al centro, molto schematico e senza alcuna relazione con quello reale, un profondo fiordo in alto a sinistra ed un ampio golfo in alto a destra, entrambi con un profilo inconfondibile. Esattamente come le rappresentazioni dell’Antartide pleistocenica.
Diversi planisferi, oltre a rispondere allo stesso modello di base, rappresentano in modo preciso anche la posizione del polo sud con un piccolo cerchio nella parte superiore della mappa. Esattamente come nell’ipotetica rappresentazione dell’Antartide di 11 mila anni fa.
Hereford |
Haldingham |
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Sawley o Enrico di Magonza |
Antartide Pleistocenica |
Psalter |
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Nelle mappe Hereford, Haldingham, Sawley e Psalter, per esempio, ed in un gran numero di altre da esse derivate, in aggiunta al solito caratteristico profilo, compare un circoletto nella posizione corrispondente al polo sud della mappa di riferimento.
Le stesse caratteristiche sono riconoscibili in planisferi maggiormente stilizzati, come quelli di Osma Beato, Liebana e Guido, che preludono già alla estrema schematizzazione dei planisferi a T.
Osma Beato
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Beato super Apocalypsim,
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Beato di Liebana |
Antartide Pleistocenica |
Guido |
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Sono soltanto coincidenze casuali? Se dovessimo lasciare il verdetto ad un giudice imparziale, come un computer, ritengo che non ci sarebbe alternativa: quei planisferi rappresentano molto più fedelmente l’Antartide di 11 millenni or sono, piuttosto che il mondo conosciuto dall’uomo medioevale.
Una conclusione che non è facile accettare, perché comporta l’abbandono di un certo numero di paradigmi scientifici attuali. Ma in ogni caso una conclusione ineludibile.
Rimane comunque la non trascurabile discrepanza dell’assenza della Penisola Antartica. Benché alla fine del Pleistocene essa fosse un’isola, separata dal resto del continente, doveva in ogni caso essere riportata nelle ipotetiche “mappe sorgenti” di cui parla Hapgood. Possiamo supporre che fosse omessa nei planisferi medievali (ed in quelli dell’antichità classica) per motivi ideologici, o estetici, o semplicemente perché non trovava corrispondenza nelle conoscenze geografiche dell’epoca. Ma dei cartografi professionisti come Finneo e Mercatore che, secondo Hapgood, dovettero ispirarsi alle stesse mappe sorgente, non potevano ignorare l’esistenza della penisola nelle loro rappresentazioni.
Ed infatti non la ignorarono. Essi dovevano possedere una mappa dell’Antartide pleistocenica la cui natura geografica era fin troppo evidente; ma purtroppo quella rappresentazione non trovava corrispondenza con nessuna terra di cui essi avevano conoscenza. Fu con ogni probabilità proprio la presenza della “Penisola” a suggerire loro dove posizionare quella terra non ancora scoperta. Essi dovettero pensare che rappresentasse l’estrema punta meridionale del Sud America, che era stata raggiunta da Magellano nel 1519.
Sulla base delle testimonianze di cui disponevano, essi erano convinti che dall’altra parte del canale di Magellano ci fosse non una piccola isola, ma un grande continente, certamente quella misteriosa terra rappresentata dalla loro mappa sorgente, che non poteva trovare collocazione in nessuna altra parte del mondo. Essi dovettero quindi “aggiustare” la scala di quella rappresentazione, in modo da far sovrapporre la Penisola con la punta meridionale del Sud America.
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Risultato: un continente antartico fuori scala, ma con il suo profilo costiero pleistocenico riprodotto fedelmente, come dimostrato dalla accuratissima analisi di del Prof. Hapgood, che non può essere rifiutata con una semplice scrollata di spalle. Anche la Penisola è rappresentata fedelmente, ma “fusa” con la punta del Sud America.
Cade, pertanto, la maggiore obiezione alle conclusioni di Hapgood, basata sull’assenza della Penisola Antartica. Anzi, questa assenza diventa un punto a favore dell’ipotesi della sua ipotesi circa l’esistenza di mappe sorgente risalenti alla fine del Pleistocene.
In conclusione, mappe rinascimentali e planisferi medioevali ammettono una spiegazione logica e coerente radicata in un tempo ed uno spazio remoti. Sono una prova (una delle tante) dell’esistenza nell’Atlantico della fine del Pleistocene, di una civiltà talmente avanzata da essere in grado di produrre carte precise del mondo intero, ma che aveva un interesse speciale per l’Antartide.
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Poster dei planisferi medievali e carte rinascimentali
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