Se un qualche storico dovesse sostenere, tanto per fare uno di innumerevoli esempi possibili, che le cattedrali gotiche sono state ideate e realizzate in maniera del tutto autonoma in Francia, Inghilterra, Germania, Spagna e Italia e così via, come passaggio obbligato nel naturale sviluppo della civiltà Europea, verrebbe unanimemente giudicato dai suoi colleghi quanto meno un incompetente assoluto. Non occorre conoscere la storia, infatti, per rendersi conto che i costruttori delle cattedrali gotiche si sono ispirati ad uno stesso modello. Lo stesso dicasi per i costruttori dei templi greci e così via.
Eppure quegli stessi storici e archeologi sostengono l’origine del tutto autonoma in varie parti del mondo di quella che è la concezione più diffusa nel mondo antico di tempio alla divinità, quella del tempio-montagna.
E’ indubbio che questi monumenti rispondono ad uno schema comune, pur nella profonda diversità delle varianti nazionali. La sua struttura tipica è la seguente: una grande piramide tronca, a gradoni sovrapposti; sulla spianata superiore della piramide trova posto un piccolo santuario, contenente l'idolo del dio principale. Più in basso si trovano uno o più santuari annessi, per il seguito, la sposa e la cavalcatura del dio; ed infine dei tesaurari per gli oggetti del culto e i testi sacri. Il tutto racchiuso da una cinta munita di porte, spesso con nicchie e tempietti dedicati a divinità minori ed alle loro cavalcature. Una seconda cinta tutt'intorno racchiudeva le abitazioni dei sacerdoti dei musici, delle danzatrici sacre, dei servitori e degli schiavi. All'esterno di ciascuna cinta un fossato ricolmo d'acqua, un terzo fossato poteva trovarsi entro la cinta più interna, ma più spesso era sostituito da un anello di vasche, o anche semplicemente simbolizzato da anfore piene d'acqua.
Questa è la struttura tipica del tempio-montagna, la forma indubbiamente più grandiosa, ma anche più diffusa e comune di architettura religiosa antica. Ritroviamo questa struttura praticamente immutata (a parte ovviamente le profonde differenze stilistiche e tecniche proprie di ciascun popolo) in tutto il mondo. Innumerevoli piramidi a gradoni elevano la loro immensa mole nelle pianure del Messico, Stati Uniti, Honduras, Guatemala, Perù, Cile, Mesopotamia, Africa, India, Indonesia, Indocina, Cina e perfino Polinesia. E si continua a scoprirne in continuazione in ogni parte del mondo, anche qui in Italia, come in Sardegna o in Sicilia. Di innumerevoli altre non rimangono che informi colline, erose dagli agenti atmosferici.
I templi-montagna sono la rappresentazione della «Montagna Cosmica» o «Montagna Sacra» o «Meru», situata in un non meglio identificato «centro del mondo» (denominato quasi sempre «ombellico del mondo»), dove avevano sede gli dèi, che da qui governavano il tempo e lo spazio.
Il tempio-montagna si trova normalmente al centro della città, vicino al palazzo reale, esprimendo in concreto il centro dell'universo, presso il quale risiede il re, mandatario degli dèi sulla terra. Sui muri del santuario scene figurate raccontano la vita e le gesta del dio e del sovrano, e tutt'intorno sorgono statue di divinità e sovrani defunti. Questo dispositivo lo ritroviamo tale e quale nel corso dei secoli, perché così lo volevano i testi sacri ed era troppo carico di potenza magica per essere modificato deliberatamente. Spesso all’interno della piramide a gradoni vengono ricavate delle tombe per la famiglia reale e per alti dignitari (in America è una norma, sia nelle piramidi Maya e Azteche che in quelle Incas).
Di fronte alla universalità ed alla unità di concezione che caratterizza i templi-montagna di tutto il mondo, appare stupefacente la posizione ufficiale del mondo scientifico, secondo cui essi sarebbero stati concepiti separatamente da ciascun popolo.
È evidente che tutti i templi-montagna, in qualunque parte del mondo sorgano, sono ispirati ad uno stesso modello, che non poteva essere un monte ideale, nato dalla fantasia di un qualche poeta o sacerdote. Doveva essere un monte vero realmente esistito, di straordinaria importanza per una qualche antichissima civiltà che deve aver svolto un ruolo fondamentale nell’origine di tutte le civiltà che lo hanno adottato come modello dei loro templi.
Di che monte si tratta? Non ci vuol molto a trovare una risposta: di esso abbiamo una descrizione da parte di Platone abbastanza accurata per poter affermare che si tratta del modello a cui sono ispirati i templi-montagna di tutto il mondo, e non solo quelli, come vedremo: il sacro monte di Atlantide. Non voglio entrare nel merito di se, quando e dove Atlantide sia esistita. E’ un argomento che ho trattato in altra sede. Qui mi interessa sottolineare come il monte che sorgeva al centro della sua capitale costituiva il cuore politico e religioso del mondo di allora, essendovi edificata la reggia ed il tempio di Poseidone; era il centro del mondo, l’ombelico del mondo.
Platone non è l'unico che abbia descritto il monte sacro di Atlantide, con il tempio sulla sua sommità, e la città che si stendeva intorno ad esso. Per quanto incredibile possa sembrare, di esso ci è pervenuta una descrizione ancora più dettagliata e precisa. Una descrizione eseguita da un personaggio quasi contemporaneo che aveva cultura, fonti e scopi del tutto diversi da quelli del filosofo greco. Si tratta del profeta Ezechiele.
Nel 587 a.C., Nabuccodonosor sottomise il regno di Giuda e deportò a Babilonia una prima ondata di esuli ebrei. Fra questi anche un giovane sacerdote dalla salute malferma, Ezechiele. Pochi anni dopo Ezechiele si autoproclamò “profeta di Jahweh” e cominciò a pronunciare una lunga serie di oracoli e profezie, raccolte nel libro che porta il suo nome. Più che per gli oracoli, però, che rientrano negli schemi normali delle invettive profetiche, il libro è noto al grande pubblico per la accurata descrizione, nel primo capitolo, di quattro incredibili macchine volanti e, negli ultimi otto capitoli, per quella del tempio e della città ideale di Gerusalemme.
Si tratta di descrizioni uniche, nella letteratura biblica, per cui appare legittimo ritenere che esse siano state tratte da documenti, inediti fino ad allora alla classe sacerdotale ebraica, dei quali Ezechiele è venuto a conoscenza durante il suo soggiorno babilonese. Di particolare interesse sono gli ultimi otto capitoli del libro, che si distinguono nettamente dal resto dell’opera, tanto da essere noti come “Torah di Ezechiele”. La rivelazione che sta alla base di questo libro avvenne in una imprecisata città babilonese lungo il fiume Necar, nel 562 a.C.: “Nel 25mo anno dall’inizio dell’esilio, 14 anni dopo la distruzione di Gerusalemme, venni portato su di un monte molto alto; intorno ad esso, rivolta a sud, c’era una città …” (Ez. 40.2).
Di che monte e di che città si trattava? Ezechiele, alla fine dell’opera, dichiara che si tratta della Gerusalemme “celeste”; ci si aspetterebbe che egli abbia in qualche modo idealizzato la città che conosceva benissimo, essendovi nato e cresciuto, mantenendone però intatte le caratteristiche essenziali. Quella che lui descrive, invece, è una città santa che non ha nulla in comune con la Gerusalemme reale.
Appare evidente, dal testo, che la descrizione di Ezechiele non è basata su ricordi personali, o su un modello ideale esistente soltanto nella sua mente. Chi ha scritto quel testo doveva necessariamente avere di fronte una mappa dettagliata ed in scala precisa della città, del monte e del tempio che si erigeva sulla sua cima e ne riporta con pignoleria tutte le misure e le caratteristiche. Qual era la città rappresentata in quella mappa? Date le caratteristiche, possiamo escludere che si tratti di Babilonia, o di una qualsiasi altra città conosciuta di quell’area. Possiamo ipotizzare che si trattasse di una città “ideale”, frutto della fantasia di un qualche ignoto urbanista babilonese, che aveva voluto mettere per iscritto un suo sogno grandioso. Ma sogni del genere non nascono dal nulla: doveva essersi ispirato ad un qualche modello, ad una città realmente esistita.
Quale? Vediamone le caratteristiche. Innanzitutto era una città che sorgeva in una grande pianura, che si estendeva per almeno duecento kmq. Al centro della città si ergeva un monte isolato, sulla cui sommità sgorgava una sorgente, che scendeva poi lungo i fianchi, formando un vero e proprio fiume. La cima del monte era spianata e vi sorgeva un tempio grandioso, circondato da una spessa muraglia. Il monte era a sua volta circondato da “fossati”, distanziati fra loro, ed oltre quello più esterno si stendeva, immensa, la città, suddivisa a sua volta in settori da larghi “fossati” e circondata da un “fossato” esterno.
Per la precisione Ezechiele non parla di “fossati”, ma di “strisce lasciate a pascolo”. E’ un ulteriore indizio che egli stesse descrivendo una mappa, la quale evidentemente riportava delle strisce vuote di abitazioni, come si conviene a dei canali, ma che egli, privo com’era di istruzioni verbali, dovette interpretare in maniera soggettiva. Se lasciamo perdere l’interpretazione di Ezechiele e guardiamo alla pianta della città, come risulta dalla sua descrizione, ci si rende conto che presenta lo stesso impianto di un’altra città, comunemente ritenuta frutto della fantasia: la capitale di Atlantide, descritta da Platone nel Timeo.
Ovviamente Ezechiele non dice che si tratta della capitale di Atlantide; e certamente ignora questa nome. Egli doveva semplicemente disporre di una mappa, molto dettagliata, con piante degli edifici e vari altri particolari; ma se scritte vi erano riportate, esse dovevano essergli incomprensibili. Ezechiele, infatti, si limita a descrivere pedantemente quella mappa, come lui la interpreta e capisce.
Il risultato lascia letteralmente sbalorditi, perché sia il tempio che la città intorno sono talmente simili a quelli descritti da Platone, da far ritenere che egli stia descrivendo la stessa cosa.
Descrivono entrambi la stessa cosa? Ezechiele evidentemente non aveva la più pallida idea della provenienza di quella mappa, e a quanto pare neppure chi gliela aveva fornita, verosimilmente sacerdoti babilonesi. Ma era cosciente che quel disegno rappresentava un archetipo di origine divina, sul quale erano modellati i templi e loro adiacenze dell’area babilonese; tanto che lo assunse egli stesso a modello di una ipotetica futura Nuova Gerusalemme, che, per quanto ne sapeva, all’epoca in cui scrisse il libro, poteva non essere mai più ricostruita. Doveva essere quindi un documento conservato in ambiente sacerdotale, probabilmente l’archivio di un tempio, ma di provenienza ignota ai suoi possessori.
Una mappa del genere presuppone un supporto “cartaceo”, inusuale nell’area mesopotamica, dove venivano di preferenza impiegate tavolette di argilla. E’ un indizio in favore di una sua provenienza dal vicino Egitto, che per secoli, fin dal tempo dei Mitanni, aveva intrattenuto con la Mesopotamia rapporti privilegiati, con continui scambi di spose reali e di doni di inestimabile valore. Fra questi è verosimile ci fosse la riproduzione su papiro della pianta della capitale di Atlantide. Un’altra ipotesi è che la mappa al tempo di Salomone (che sposò una principessa egiziana), o in qualche occasione successiva, fosse entrata a far parte dell’archivio del Tempio di Gerusalemme, portato a Babilonia da Nabuccodonosor.
Ovviamente la provenienza doveva essere la stessa, e cioè il tempio di Sais, dove sappiamo che era conservato del materiale bibliografico relativo alla storia dell’impero Atlantide, comprensivo di mappe e disegni della capitale ed in particolare della cittadella con il tempio e la reggia. Lo afferma Platone nel suo dialogo “Timeo”, dove riporta le parole dei sacerdoti di Sais, secondo cui: “quante cose sono avvenute qui, o anche in altro luogo, le quali sappiamo per fama, se qualcuna ve ne sia di bella o grande o altrimenti insigne, sono state scritte tutte fin dall’età antica qui nei templi e così conservate”. Questi documenti vengono indicati dai sacerdoti come “sacre scritture” e da esse affermano di aver tratto il racconto relativo ad Atlantide e alla sua storia, che essi fecero al grande legislatore ateniese Solone, in occasione di una sua visita in Egitto.
Solone prese degli appunti, con l’intento di farne un poema, che finirono in mano a Crizia, nonno materno di Platone, il quale, infine, li riportò nei suoi dialoghi “Crizia” e “Timeo” ( Questi manoscritti erano presso il nonno e ora sono in casa mia e … li studiai diligentemente – Crizia VI (b)). Solone morì ultra ottantenne nel 558 a.C., per cui la sua visita in Egitto si svolse più o meno nello stesso periodo in cui Ezechiele, sulle rive del Necar, a Babilonia, studiava la mappa della sua città santa. Non è inverosimile che si trattasse di una copia di quegli stessi documenti che si trovavano allora in Egitto. Da un punto di vista storico, quindi, è perfettamente plausibile che Platone ed Ezechiele descrivano entrambi la stessa cosa.
Quanto alle differenze fra le loro descrizioni, esse si spiegano bene ed in maniera coerente, se si considera la diversa origine e grado di completezza delle loro informazioni. Platone afferma esplicitamente che i sacerdoti egizi fecero a Solone un resoconto verbale sommario, senza mostrargli alcuno scritto o disegno, perché si riservarono di tornare sull’argomento dopo essersi documentati: “un’altra volta poi accuratamente esporremo tutte queste cose per ordine a nostro agio, con l’aiuto delle stesse scritture”. La sua descrizione, quindi, è necessariamente vaga ed approssimativa per quanto riguarda i dettagli topografici della città, in particolare forme e misure; mentre è chiara e completa per quel che riguarda gli aspetti generali e storici. Ezechiele, invece, descrive con precisione e pignoleria una mappa, che con tutta evidenza non era in grado di interpretare correttamente e senza sapere a cosa si riferisse. (Questo si spiega facilmente nell’ipotesi che documento fosse un dono proveniente dall’Egitto: i destinatari, ebrei o Babilonesi che fossero, non potevano capirne il significato e la storia, non essendo in grado di decifrare le annotazioni riportate su di esso in scrittura geroglifica, o altra scrittura ad essi ignota).
Le due descrizioni, quindi, sono in certo qual modo complementari e possono integrarsi a vicenda, chiarendo reciprocamente i punti oscuri. E’ un’ipotesi suggestiva, che ci consente di ricostruire con notevole precisione e grande verosimiglianza l’aspetto fisico della mitica capitale di Atlantide. Vediamolo.
Elemento caratterizzante e centrale della città era il monte che sorgeva nel mezzo e sul quale era costruito il tempio alla divinità. Si trattava, con tutta verosimiglianza, di un monte di origine vulcanica. Questo si desume dal fatto che, stando a quanto riporta Platone, sulla sua sommità, all’interno del tempio, sgorgavano due fonti, una calda e l’altra fredda, le cui copiose acque confluivano in un unico ruscello, che scendeva lungo il monte. Il particolare è confermato da Ezechiele, il quale dice che dall’interno del tempio usciva un ruscello, che scendeva lungo il monte. Ezechiele non parla di due sorgenti, ma di una soltanto (Ez. 47, 1-3); questa differenza si spiega facilmente, tenendo conto che egli non si basava su un resoconto verbale, come Platone, ma su un disegno, che evidentemente non riportava il numero delle sorgenti e la loro temperatura.
Il fatto che si trattasse di un monte di origine vulcanica ci consente di valutare con buona approssimazione anche la sua forma ed altezza. Quanto alla forma, essa doveva essere grosso modo tronco/conica, con una pendenza iniziale compresa fra i 40° ed i 60°. L’altezza si ricava di conseguenza, sulla base delle altre misure riportate dai due autori. Platone dice che il monte era circondato da due cinte di terra e tre “fossati” di acqua. La terza cinta di acqua era in comunicazione con il mare, tramite un canale di 50 stadi (9 km circa) e fungeva da porto marittimo per la cittadella. Il bordo interno del fossato era piuttosto alto sul livello dell’acqua, perché vi erano scavati dei tunnel, che consentivano alle navi di accedere a due bacini, veri e propri porti sotterranei, scavati sotto il monte (“e le cinte di terra che separavano quelle di mare, le perforarono lungo i ponti, tanto che potesse passarvi una trireme per volta, e le copersero con tetti in modo che la navigazione potesse compiersi di sotto: perché gli orli delle cinte terrestri si elevavano abbastanza sopra il mare … e scavarono nell’interno dell’isola due bacini profondi, con la stessa roccia per copertura”).
Stando alle cifre riportate da Platone, il monte misurava alla base, in corrispondenza del fossato esterno, una larghezza di circa 4.000 metri (23 stadi). Ezechiele riporta, per la stessa misura, un dato inferiore: circa 2.500 metri (4500 cubiti – Ez. 48,16; 48,30 e seg.).
Per quel che riguarda le misure c’è da osservare quanto segue: anche ammesso che esistesse una pianta in scala esatta della città, nessuno poteva conoscere il valore delle unità di misura impiegate per disegnarla. Necessariamente doveva fare una stima soggettiva, traducendola poi nelle proprie unità di misura. Un secondo errore veniva poi introdotto arrotondando le cifre che esprimono le varie misure, tanto maggiore, quanto più grande era l’unità di misura impiegata. Entrambi, Platone ed Ezechiele, infatti, impiegano sempre cifre “piene” (2, 3, 5, 50 e 100 stadi, Platone; 50, 100, 500, 4.500, 10.000 e 20.000 cubiti, Ezechiele). Il che significa che entrambi arrotondavano le cifre. Platone, inoltre, impiega un’unità di misura 350 volte superiore a quella di Ezechiele, si basa su una descrizione essenzialmente verbale e mostra una tendenza eccessiva alla schematizzazione (cinte di mare e di terra uguali, di larghezze decrescenti di 3, 2 e 1 stadio e così via). Gli errori di scala da lui introdotti sono senza dubbio superiori a quelli di Ezechiele. Per contro, Ezechiele interpreta in maniera soggettiva, spesso errata, i segni riportati dalla pianta, per cui Platone risulta senz’altro più attendibile per quanto riguarda la descrizione generale dell’insieme.
Dobbiamo quindi riferirci a Platone per capire con precisione come l’intero complesso era strutturato, ma riferirci ad Ezechiele per quanto concerne forme e dimensioni. Possiamo dunque ritenere che la larghezza del monte alla base, fino al limite del terzo fossato, fosse all’incirca di 2.500 metri. Supponendo che il monte avesse la forma di un cono vulcanico regolare, con pendenza iniziale compresa fra i 40° ed i 60°, via via degradante fino al piano, si trova che l’altezza totale doveva aggirarsi tra i 500 ed i 600 metri. Secondo entrambi gli autori, la città si estendeva tutt’intorno al monte, oltre il terzo fossato, in pianura. Abbiamo quindi un profilo ben preciso e coerente.
Veniamo ora alla descrizione della cittadella compresa all’interno del terzo fossato, vera e propria isola artificiale fortificata, posta al centro della città. Innanzitutto stabiliamo quale dovesse essere la sua forma. Platone, descrivendo le "cinte di terra e di mare" intorno al monte dice che erano condotte ““quasi” in circolo”. L'iconografia tradizionale, infatti, le rappresenta sempre come perfettamente circolari fin dai tempi della prima, grossolana e assolutamente schematica, ricostruzione effettuata da Ignatius Donelly (vedi fig. ). Questa rappresentazione appare poco attendibile, innanzitutto perché lo stesso Platone avverte che le cinte erano condotte non in circolo, ma “quasi”; in secondo luogo perché, all’inizio dell’opera, egli dice che “Poseidone spezzò il monte da ogni lato”, lasciando chiaramente intendere che lo abbia in qualche modo “squadrato”. Egli, inoltre, descrive il tempio sulla cima del monte in forma squadrata, circondato da una muraglia che dobbiamo ritenere delimitasse una spianata di forma quadrangolare. Ragioni se non altro di carattere estetico inducono a presumere che la forma del monte sottostante sia stata in qualche modo ritoccata per riprendere il profilo del tempio.
Quanto ad Ezechiele, che come si è detto descriveva direttamente una mappa, egli dice in maniera esplicita che il tempio, le cinte di mura ed i fossati all’intorno erano a pianta quadrata, e fornisce le loro misure lato per lato. Verosimilmente il monte centrale e le cinte di acqua scavate intorno ad esso, dovevano essere state sagomate secondo una forma intermedia fra le due: quadrata a spigoli arrotondati. Quel che Platone (o chi per primo riferì il suo racconto) intendeva dire, probabilmente, è che i fossati erano stati scavati da ogni lato alla stessa distanza dalla cima del monte, che veniva così a trovarsi esattamente al centro dell’isola artificiale così formata.
Ciò stabilito, vediamo in dettaglio il monte ed i suoi immediati dintorni, fino al terzo fossato. Partiamo da quella che Platone, probabilmente in omaggio all’esempio ateniese che aveva sotto gli occhi, definisce “l’acropoli”, la quale occupava la parte centrale dell’isola. Egli descrive la reggia, il tempio, i palazzi degli alti dignitari civili e religiosi, le caserme della guardia reale, i giardini di Poseidone, spianate, vasche, fossati e muraglie rivestite di metallo. Il tutto in maniera apparentemente chiara e precisa, ma in realtà contraddittoria e largamente indeterminata e confusa. Ce se ne rende conto quando si cerca di mettere assieme quelli che appaiono come altrettanti pezzi di un puzzle, che Platone descrive singolarmente in modo nitido, ma che non è in grado egli stesso di posizionare correttamente gli uni rispetto agli altri.
>Alcuni di questi pezzi, però hanno una posizione ben definita, partendo dalla quale si vede che anche tutti gli altri vengono ad assumere una posizione obbligata, consentendo così di ricomporre il puzzle, fino a formare un quadro perfettamente nitido e del tutto coerente con la narrazione. Anzi con entrambi le narrazioni, compresa quella di Ezechiele.
Elemento centrale di tutto l’insieme era il “Tempio a Clito e Poseidone che vi era stato lasciato inaccessibile, circondato da una muraglia aurea, al centro dell’isola”. Era quindi costruito esattamente sulla cima del monte centrale, come conferma esplicitamente Ezechiele (Ez. 40,2). Platone lo descrive in maniera piuttosto dettagliata, fornendo anche le misure fuori tutto: 180 metri di lunghezza (1 stadio) per 90 di larghezza (300 piedi). Intorno c’era una larga zona di rispetto, dove si trovavano numerose statue di dei e sovrani. Il tutto era circondato da una muraglia ricoperta d’oro, che delimitava un’area quadrangolare, il cui lato maggiore doveva necessariamente misurare almeno 250 metri. Ezechiele descrive quest’area in maniera assai precisa, riportando pignolescamente tutte le misure ed in particolare quella del perimetro esterno, che è appunto di circa 250 metri (“Poi, terminate le misure del complesso del tempio all’interno, mi fece uscire per la porta rivolta ad oriente e misurò tutto attorno ... ai quattro lati lo misurò. Aveva la muraglia tutt’attorno, lunga cinquecento e larga cinquecento” cubiti, Ez. 42, 16-20).
Secondo entrambi gli autori, quindi, sulla cima del monte centrale era stata ricavata una spianata di forma quadrangolare, con lato dell’ordine dei 250 metri. Possiamo ritenere questa cifra abbastanza attendibile, perché su un’area di dimensioni così limitate, gli errori compiuti dai due autori non possono essere eccessivi. Il tempio sorgeva là dove sgorgavano le sorgenti termali e cioè esattamente al centro dell’antico cratere. Viste le dimensioni del monte esso doveva occupare interamente la cima, per cui al di fuori del muro che lo circondava non poteva esserci spazio in piano per nessun altro edifico di grandi dimensioni. Il monte, infatti, doveva scendere da ogni lato, con pendenza regolare fra i 40° ed i 60°, fino ad una spianata sottostante, quella che Platone definisce la “prima cinta di terra”, che aveva il “bordo molto elevato rispetto al livello del mare”. E’ questa spianata nel suo complesso che deve identificarsi con “l’acropoli” citata da Platone. Era stata a suo tempo costruita, come afferma Platone, a scopo difensivo; i bordi, quindi dovevano essere stati tagliati quasi a strapiombo, con un salto dell’ordine delle decine di metri, e tutt’intorno vi era stato scavato un fossato (la seconda "cinta di mare"), largo 360 metri (2 stadi), secondo Platone, 25 metri circa (50 cubiti) secondo la misura assai più affidabile di Ezechiele (Ez. 45, 2), riempito sempre dall’acqua che scendeva dal tempio.
Essa costituiva una sorta di grande piattaforma quadrangolare sopraelevata, avente un lato di circa 1500 metri, al cui centro sorgeva il cono vulcanico con il tempio. Ai piedi del cono centrale, tutt’intorno, c’era un fossato, o un sistema di vasche, formato dall’acqua delle fonti che sgorgavano nel tempio e scendevano lungo i fianchi del monte stesso. Tutt’intorno doveva esserci una fascia pianeggiante, la prima “cinta di terra”, di larghezza fra i 200 ed i 300 metri. La reggia grandiosa e gli altri edifici che Platone afferma si trovavano sull’acropoli (“ai più insigni di tutti erano state date abitazioni dentro l’acropoli, vicino agli stessi re”), dovevano necessariamente sorgere su questa spianata, ai piedi del complesso templare.
Quanto ai fianchi del monte centrale, non potendovi sorgere edifici di un qualche respiro, dovevano essere stati lasciati ed adattati come area di rispetto intorno al tempio. E’ questo l’unico luogo dove può collocarsi uno dei più importanti pezzi del puzzle di Platone, il “bosco di Poseidone”, irrigato dall’acqua che sgorgava sulla cima del monte e che veniva fatta scorrere lungo i suoi fianchi, fino a riversarsi nei fossati circostanti. Il fertile terreno vulcanico, l’acqua abbondante ed il clima mite e costante rendevano la vegetazione eccezionalmente rigogliosa (Platone: “l’acqua corrente la conducevano nel bosco di Poseidone, che per la fecondità della terra aveva alberi di ogni genere, di bellezza e altezza meravigliosa, e parte ne derivavano nelle cinte esteriori, mediante canali lungo i ponti.” Crizia IX (b) –- Ezechiele: “Sul torrente, sulle sue sponde, cresce di qua e di là ogni albero da frutto, le cui foglie non avvizziscono mai né si esauriscono i suoi frutti; essi maturano ogni mese, perché le sue acque vengono dal tempio” – Ez. 47,12-).
Il nome stesso, “giardini di Poseidone”, suggerisce che dovessero trovarsi negli immediati dintorni del tempio. Essi quindi dovevano occupare tutto il pendio del monte, che dalla muraglia che circondava il tempio scendeva fino al fossato che si trovava ai suoi piedi. La collina centrale, quindi, doveva necessariamente essere terrazzata, come tutti i pendii coltivati di questo mondo. Essa doveva avere quindi l’aspetto di una grande piramide a gradoni, avente una base di larghezza compresa fra i 900 e i 1.000 metri. Platone riporta una misura di 5 stadi ( circa 925 mt), mentre dalla descrizione di Ezechiele, anche se non esplicitamente, si può dedurre una misura di poco superiore ai mille metri (Ez. 47, 3). Altezza probabilmente fra i 300 e i 400 metri.
L’acropoli, e cioè la spianata che circondava il monte a gradoni centrale, si è detto, precipitava con un muro quasi verticale, rivestito anch’esso di metallo, su un fossato largo 20 o 30 metri, al di la del quale si stendeva una seconda spianata, quella che Platone definisce la seconda “cinta di terra”. Essa costituiva a sua volta una piattaforma quadrangolare di 2500 metri di lato, elevata di almeno una decina di metri sul livello dell’acqua (perché gli orli delle cinte terrestri si elevavano abbastanza sul livello del mare), e circondata da un largo fossato (540 metri –tre stadi- secondo Platone; 130 metri – 250 cubiti – secondo il più attendibile Ezechiele , Ez. 48,17), che fungeva da porto di servizio per la cittadella centrale, essendo collegato direttamente al mare.
Al centro della spianata si elevava la piattaforma dell’acropoli, con al centro il monte ed il tempio. Tutt’intorno all’acropoli c’era quindi una fascia pianeggiante larga circa 500 metri, dove “erano stati costruiti molti templi consacrati a molte divinità, molti giardini e ginnasi e anche vasche, quali a cielo scoperto, quali coperte... e un ippodromo largo uno stadio e nella sua lunghezza per tutto il giro dell'isola... Intorno a questo, dall'una parte e dall'altra v’erano caserme destinate alla moltitudine degli armati". Anche il bordo di questa spianata precipitava sul fossato sottostante con un muro quasi a picco, rivestito a sua volta di metallo.
Oltre il porto-fossato, tutto intorno alla cittadella centrale, si stendeva, immensa, la città, circondata a sua volta da un muro, e da larghi canali navigabili, che, oltre a circondarla, attraversavano la città, consentendo il rifornimento da ogni dove dell’immensa pianura che si stendeva a perdita d’occhio all’intorno. L’estensione della città viene stabilita in 50 stadi (9 km) tutt’intorno al monte, da Platone, mentre Ezechiele riferisce che essa costituiva un quadrilatero di 25.000 cubiti (13 km) di lato (Ez. 48, 8-27).
In conclusione: la cittadella centrale di Atlantide era formata da una grande spianata quadrangolare, che si elevava di almeno una decina di metri sul piano della città, con un lato di circa 2500 metri, circondata da un fossato di oltre cento metri. Al centro di questa si elevava una seconda spianata, avente un lato di circa 1500 metri ed un bordo sopraelevato di qualche decina di metri, circondata a sua volta da un fossato di 20-30 metri. Al centro di quest’ultima, infine, si elevava una piramide a gradoni, con una base di circa 900 metri ed un’altezza di circa la metà. Sulla spianata superiore della piramide, di 250 metri di lato, sorgeva il tempio a Poseidone, circondato da una muraglia rivestita di metallo aureo.
Un’altra delle caratteristiche uniche di questo monte, sono i canali navigabili coperti, che conducevano ai due porti sotterranei scavati sotto le due piattaforme: il primo, presumibilmente, al servizio della “cinta di terra” esterna; il secondo, che doveva spingersi fin sotto la reggia, al servizio esclusivo della corte.
Ci sono infine alcuni particolari di cui né Platone né Ezechiele parlano direttamente, ma che tuttavia rivestono una certa importanza ai fini della caratterizzazione di quel monte, per cui è giocoforza formulare qualche ipotesi in merito. Il primo è quello dell’accesso al tempio, che sorgeva isolato sulla cima del monte centrale terrazzato, con l’ingresso principale ad oriente. Data l’imponenza del complesso, dobbiamo presumere che l’accesso dalla spianata inferiore, quella dove sorgeva la reggia ed i principali palazzi governativi, fosse assicurato tramite una grandiosa scalinata, che partiva dalla base della piramide a gradoni, sul lato orientale, e saliva lungo i fianchi fino all’ingresso del tempio. Ezechiele dice che esistevano altri due varchi nella cinta muraria del tempio, l’uno a settentrione, l’altro a sud. Anche su questi lati della piramide è ipotizzabile l’esistenza di scalinate.
Altro particolare assai più importante è quello delle tombe reali. Né Platone né Ezechiele accennano mai alla loro esistenza, per cui a rigore non si dovrebbe trarre alcuna conclusione in proposito. Ma è indubbio che i reali di Atlantide approntassero la tomba propria e quella dei loro più stretti familiari nell’ambito della cittadella stessa, e che questi sacrari dovevano essere molto importanti ai loro occhi e dovevano quindi rivestire un ruolo di primo piano nell’architettura generale dell’insieme. La cosa più verosimile è che le tombe fossero posizionate nella parte più sacra ed inviolabile di essa: il complesso della piramide a gradoni centrale e del tempio. Sia Platone che Ezechiele descrivono il tempio in modo accurato, soffermandosi su particolari come statue, altari e ornamenti vari, ma non fanno il minimo accenno a tombe, che pure avrebbero dovuto costituire l’elemento più importante dell’edificio, se i reali atlantidi lo avessero utilizzato a questo scopo. Lo stesso possiamo dire per i giardini che si trovavano intorno, lungo i fianchi del monte. L’ipotesi più probabile, quindi, è che le tombe reali fossero scavate all’interno della piramide a gradoni centrale e vi si accedesse tramite corridoi il cui ingresso si trovava alla base o lungo i fianchi della piramide stessa.
Questa dunque la ricostruzione più attendibile, sulla base delle due descrizioni verbali che la concernono, della capitale dell’impero atlantide, e in particolar modo della cittadella sacra, che racchiudeva al suo interno il “monte degli dèi”. A questo punto la domanda cruciale è: si tratta di una città realmente esistita o è soltanto il parto della fantasia di un qualche ignoto autore? E’ opinione diffusa, fra gli archeologi e gli storici moderni, che Atlantide sia esistita soltanto nella mente di Platone. Il primo ad insinuare questo dubbio fu lo stesso lo stesso Aristotele, contemporaneo e rivale del grande filosofo.
Il fatto stesso, però, che oltre a Platone ci sia una seconda fonte, del tutto indipendente, che descrive lo stesso modello di città, prova che nessuno dei due autori è “l’inventore” di quel modello. Il che non esclude che esso sia stato “inventato” da qualcun altro. Escluso Platone quale inventore del mito, diventa del tutto credibile la sua affermazione che il racconto di Atlantide sia stato originato da documenti scritti, conservati nel tempio di quella città egizia. Quindi delle due l’una: o l’intera storia è stata inventata da sacerdoti egizi, i quali per renderla più credibile l’hanno corredata di piante dettagliate, oppure essi si sono limitati, a guisa dei monaci europei medioevali, a ricopiare antichi codici, giunti a loro chissà da dove e chissà quando, e a conservarli per i posteri.
Questa seconda ipotesi appare di gran lunga la più credibile. Nessun sacerdote egizio, infatti, poteva possedere le conoscenze necessarie per produrre dal nulla un modello come quello descritto da Platone ed Ezechiele. Non perché mancassero loro le capacità tecniche e intellettuali per farlo, ma perché quel particolare modello, quale risulta dalla loro descrizione, costituisce un archetipo che assomma in sé tutte le caratteristiche che sono proprie delle piramidi, dei templi montagna e delle tombe reali dell’intero mondo antico. Per produrre un modello del genere, quindi, essi avrebbero dovuto conoscere la struttura di piramidi, tombe e templi non solo di ogni parte del mondo, compresa la Polinesia, ma anche di ogni epoca storica, dal neolitico fino a mille anni or sono. E avrebbero dovuto essere in grado di operare una sintesi geniale di tutte le loro caratteristiche, incorporandole in un unico modello.
Ciò appare improponibile. I documenti egizi, riferiti ad Atlantide, devono descrivere una cittadella reale, costruita da una antichissima civiltà, che in qualche modo ha originato, o comunque influenzato profondamente, le culture che sono sorte in tutto il mondo antico, dal neolitico compreso in poi. Il che ci riporta più o meno all’epoca dichiarata da Platone per l’Atlantide (la cui distruzione, contrariamente a quanto riportato quasi universalmente, sulla base di una erronea interpretazione di un passo di Platone, sarebbe avvenuta non 9000, ma 8000 anni prima del suo tempo, e cioè all’incirca 10.500 anni fa. La cifra 9.000 è riferita all’epoca in cui l’impero atlantide è sorto e prosperato, non a quella della catastrofe che l’ha distrutto; questa va posta immediatamente prima del sorgere del nuovo “ordinamento” egizio, che i sacerdoti di Sais pongono a 8.000 anni prima del loro tempo ( Timeo, 23 (e)).
Non è mia intenzione in questo articolo parlare della realtà di Atlantide e della sua ubicazione, ma soltanto dimostrare che il sacro monte che sorgeva al centro della sua capitale costituisce un archetipo, al quale praticamente i popoli antichi del mondo intero si sono ispirati per costruire le loro mitologie, edificare i templi ai loro dei, costruire le loro tombe reali e pianificare l’urbanistica delle loro città. Di questo modello ogni popolo ha preso gli elementi più caratterizzanti, in relazione agli scopi che di volta in volta si prefiggeva, e cioè se voleva costruire un tempio, una tomba reale o semplicemente rappresentare il centro dell’universo; il tutto realizzato in base alle capacità tecnologiche, alla ricchezza delle fonti tradizionali, alla manodopera disponibile, alla cultura dei realizzatori e così via.
Ma in ogni caso la fonte dell’ispirazione risulta evidentemente sempre la stessa. L’elenco delle costruzioni che sono chiaramente derivate da questo modello è impressionante:
a. Cominciamo con l’osservare che Platone assimila i sovrani di Atlantide agli dèi: il dio Poseidone in persona era il loro capostipite. Anche per Ezechiele il tempio sul monte era la dimora della divinità. Quindi, la caratteristica più saliente di questo monte, posto al centro dell’isola, ricavata al centro della città, che sorgeva al centro della pianura, che si stendeva al centro dell’impero Atlantide, situato su una grande isola al centro del mondo, era quella di essere la dimora degli dei. Ebbene, gran parte delle mitologie antiche ritiene che gli dei avessero la propria dimora su una mitica montagna, a volte individuata in un monte locale, come l’Olimpo dei greci e varie altre montagne sacre sparse in tutto il mondo. Più spesso si tratta di un monte mitico, di cui si sa soltanto che era posto al centro del mondo, come il monte su cui sorgeva il palazzo del dio Odino, nella mitologia nordica, o il monte Meru, “ombelico del mondo”, della mitologia indiana, e così via. E che queste mitologie siano ispirate ad Atlantide è provato dalla struttura dei templi che rappresentano la dimora degli dei: i templi-montagna.
b. I templi montagna costituiscono il modello di architettura religiosa antica più diffusa e comune sulla Terra, e sono, per esplicita dichiarazione dei loro costruttori, la rappresentazione fedele della «Montagna Cosmica» o «Montagna Sacra» o «Meru», situata in un non meglio identificato «ombelico del mondo», dove avevano sede gli dèi, che da qui governavano il tempo e lo spazio. Ritroviamo questa struttura praticamente immutata (a parte ovviamente le profonde differenze stilistiche e tecniche proprie di ciascun popolo) in tutto il mondo. Innumerevoli piramidi a gradoni elevano la loro mole nelle pianure del Messico, Stati Uniti, Honduras, Guatemala, Perù, Cile, Mesopotamia, Africa, India, Indonesia, Indocina, Cina e perfino Polinesia. E si continua a scoprirne in continuazione in ogni parte del mondo, anche qui in Italia, come in Sardegna, o in Sicilia, o addirittura in Lombardia. Di innumerevoli altre non rimangono che informi colline, erose dagli agenti atmosferici. Che essi rappresentino proprio il monte descritto da Platone ed Ezechiele è evidente anche ad una semplice confronto visivo, qualunque sia la regione e l’epoca presa in considerazione. Basta prendere a caso strutture piramidali a gradoni di una qualsiasi parte del mondo, per rendersene conto. La struttura tipica del tempio-montagna è esattamente quella del monte centrale di Atlantide: una piramide a gradoni, con una spianata sulla cima, dove sorge il tempio alla divinità. Una imponente scalinata sale normalmente dalla base della piramide fino al tempio, sul lato orientale. Nei templi più raffinati, come quelli dell’India, Indocina ed Indonesia, la “montagna” centrale è spesso circondata da cinte di terra e da fossati, esattamente come nel modello descritto da Platone. Allo stesso concetto rispondono i grandi mounds di terra, vere e proprie montagne artificiali, che costellano a centinaia l’intero nord America e sulla cui cima sorgevano di norma rudimentali templi alla divinità. Mounds simili si ritrovano anche in Europa, come quello imponente di Avebury, in Inghilterra, ed altre parti del mondo.
c. Tombe reali realizzate all’interno di vere e proprie montagne artificiali. Spesso nelle viscere dei templi-montagna sono ricavate tombe di re e gran sacerdoti (in America è una norma, sia nelle piramidi Maya e Azteche che in quelle Incas). Ma in occidente di norma le tombe reali sono disgiunte dal tempio alla divinità: del modello atlantide è stato ritenuto soltanto il concetto della tomba scavata nelle viscere del monte sacro. Che si tratti proprio di quel monte è evidente in una moltitudine di casi in cui il tumulo centrale è circondato da due fossati (come a Nintoku in Giappone) o da una duplice cinta muraria o altre strutture che simulano le due cinte di terra e tre di mare, descritte da Platone. Ogni cultura ha riprodotto il modello in maniera più o meno completa e fedele, da quella integrale del tempio-montagna delle aree indocinese e indonesiana, a quella stilizzata, ma pur sempre completa in ogni particolare, delle grandi piramidi egizie e cinesi. Ma anche le grandi tombe a tumulo delle civiltà megalitiche rispondono allo stesso identico concetto: sono vere e proprie montagne artificiali innalzate sopra cunicoli e stanze sepolcrali, dall’impressionante cumulo di pietre che copre la tomba di Antioco Commagene, nell’Anatolia, agli enormi mounds megalitici del Nord Europa, fino all’espressione più umile e semplificata di questo genere di tomba, costituita da un semplice tumulo di pietre. Tombe di questo genere costellano a migliaia i deserti nordafricani, asiatici ed europei e per quanto ridotti allo stato più elementare rappresentano sempre ed inequivocabilmente lo stesso concetto: una tomba scavata sotto un monte.
d. Costruzioni e rappresentazioni graffite, evidentemente di carattere sacro, che rappresentano classicamente una piattaforma circolare centrale circondata da due cerchi (visione circolare, come quella di Platone) oppure un quadrato centrale circondato da due quadrati, con collegamenti radiali (visione di Ezechiele – assomiglia al gioco della trea). Rappresentazioni del genere si trovano ovunque, sia costruite con circoli e piattaforme di pietre, spesso associate con tombe centrali di forma conica o piramidale; sia graffite sulla roccia. Rappresentano con ogni evidenza le due cinte di terra e tre di mare che circondano il sacro monte di Atlantide.
L’universalità di queste costruzioni e rappresentazioni nel mondo antico e la loro univocità di ispirazione, sono evidenti anche ad un esame superficiale da parte di un profano. Eppure nessuno ha mai affrontato seriamente il problema di scoprire quale sia il modello a cui si ispirano. Perché un modello deve pur esserci stato. Non è accettabile, infatti, la posizione corrente del mondo scientifico secondo cui i templi-montagna, che sorgono nelle più svariate parti del mondo, sarebbero stati concepiti separatamente da ciascun popolo, e l’universalità ed unità di concezione che li caratterizza sarebbero dovute semplicemente alla “naturale tendenza dell'uomo a vedere la divinità sulla cima dei monti” (come afferma il Ceram).
E’ una spiegazione talmente semplicistica da apparire stupefacente. Se un qualche storico dovesse sostenere, tanto per fare uno di innumerevoli esempi possibili, che le cattedrali gotiche sono state ideate e realizzate in maniera del tutto autonoma in Francia, Inghilterra, Germania, Spagna e Italia e così via, come passaggio obbligato nel naturale sviluppo della civiltà Europea, verrebbe unanimemente giudicato dai suoi colleghi quanto meno un incompetente assoluto. Lo stesso dicasi per i costruttori dei templi greci e così via. Eppure quegli stessi storici e archeologi sostengono l’origine del tutto autonoma in varie parti del mondo di quella che è la concezione più diffusa nel mondo antico di tempio alla divinità, quella del tempio-montagna e della tomba-montagna.
È evidente che tutti i templi-montagna, e le tombe reali in qualunque parte del mondo sorgano, sono ispirati ad uno stesso modello, che non poteva essere un monte ideale, nato dalla fantasia di un qualche poeta o sacerdote. Doveva essere un monte vero realmente esistito, di straordinaria importanza per una qualche antichissima civiltà che deve aver svolto un ruolo fondamentale nell’origine di tutte le civiltà che lo hanno adottato come modello dei loro templi.
Tutte le civiltà antiche, in qualche modo devono aver tramandato il ricordo di quel monte; noi, però, conosciamo Atlantide, esplicitamente con questo nome, soltanto da documenti egizi. In Egitto, quindi dovremmo trovare le riproduzioni in qualche senso più fedeli di questo monte.
Gli studiosi hanno sempre rifiutato l’accostamento delle piramidi egizie con il tempio montagna babilonese o di altre parti del mondo, sostenendo che si tratta di due concetti profondamente diversi, sorti in maniera del tutto indipendente. Le prime, infatti, sarebbero state adibite esclusivamente a tombe, e soltanto dagli egizi, mentre i secondi avevano soltanto funzione di culto. Entrambi le affermazioni sono discutibili.
Niente di tutto ciò che veniva costruito in Egitto era casuale, come pure nulla dei rituali della sepoltura. Tutto doveva rispondere a precise tradizioni, di cui non viene indicata l’origine, ma che ritroviamo descritte pari pari nel racconto di Platone relativo ad Atlantide.
Quella che viene evidenziata come una differenza sostanziale fra i templi montagna e le piramidi egizie è la forma: piramidi terrazzate le prime, regolari le seconde. In realtà si tratta di un dettaglio stilistico secondario, che non altera il concetto di base e cioè che quella costruzione rappresenta una montagna sacra. Altre culture, come quella cinese, sono arrivate allo stesso grado di stilizzazione. Le grandi piramidi tolteche e azteche hanno terrazzature appena accennate, mentre le tombe imperiali cinesi sono costituite da enormi piramidi regolari tronche.
Che si tratti di un processo di stilizzazione dell’antico modello descritto da Platone è provato dall’evoluzione stessa delle piramidi egizie.
Le prime “piramidi” egizie, infatti, non avevano la forma regolare classica che ci è familiare, ma erano a gradoni. La prima in assoluto è quella costruita a Saqqara dal faraone Djoser, della terza dinastia; è un grande monumento a sei gradoni sovrapposti, ma quanto al resto, l’impianto generale e la simbologia evocativa sono praticamente gli stessi di tutte le piramidi successive. Non c’è una evoluzione progressiva di elementi, come dovrebbe esserci se questo genere di monumento, e la simbologia che ne sta all’origine, si fossero imposti a poco a poco. Nasce già interamente compiuto nella sua impressionante complessità architettonica e simbolica. E i complessi funerari successivi, a parte la forma e dimensioni della piramide, rimangono pressoché invariati. Anche quando la costruzione delle piramidi fu abbandonata, le tombe reali continuarono ad essere scavate nelle viscere di una montagna, con una serie di cunicoli e sale del tutto simili a quelle ricavate sotto e nel corpo delle piramidi. Segno che è la riproduzione di un originale antico che svolgeva la stessa funzione, di tomba reale.
L’impianto base della piramide è il seguente:
- il complesso cominciava sempre con una costruzione lungo le rive del Nilo, detto dagli egittologi “Tempio a Valle”. Struttura e funzioni di queste costruzioni non sono affatto chiari, anche perché la maggior parte di essi sono andati distrutti. Sopravvive in condizioni leggibili soltanto quello della piramide di Chefren: un grande edificio costruito coi materiali più pregiati che l’Egitto potesse offrire: rivestimenti di granito rosa ed alabastro e pavimenti in alabastro. Posto sulla riva del fiume, il Tempio a Valle aveva dei moli per l’attracco delle barche che trasportavano il materiale per la costruzione della Piramide e i sistemi per scaricare le imbarcazioni dei loro enormi blocchi. Qui veniva sbarcato il faraone dopo morto e qui probabilmente veniva sottoposto alle prime operazioni del processo di imbalsamazione, come ad esempio il lavaggio .
- dal Tempio a Valle partiva la “Via Cerimoniale”, che arrivava al cosiddetto “Tempio funerario”. La via cerimoniale è una vera e propria strada lastricata, che all’inizio dei lavori si ritiene servisse per portare i materiali dal Nilo al cantiere della piramide. Una volta ultimati i lavori essa veniva chiusa fra due spesse mura coperte di figure, dipinte o incise, e coperta, almeno nella sua parte terminale, a rappresentare un lungo tunnel, entro cui il faraone veniva trasportato dal Tempio a Valle fino al Tempio Funerario.
- Il Tempio Funerario sorgeva normalmente a fianco della piramide, sul lato est. Era spesso addossato al muro di cinta interno, con locali da entrambi i lati del muro. Vi si svolgevano probabilmente le ultime operazioni dell’imbalsamazione e le cerimonie funebri. Era anche adibito al culto del faraone successivamente alla sepoltura.
- la piramide era invariabilmente circondata da una cinta muraria imponente, con spessori del muro incredibili. Spesso è presente una seconda cinta murararia esterna. Tra le due cinte ci sono varie costruzioni e tombe di dignitari. All’interno della prima cinta, a fianco della piramide principale, sono normalmente costruite piramidi minori e tombe destinate alle regine.
- Al centro della cinta muraria sorge la piramide e sotto di essa c’è un vero e proprio labirinto di cunicoli e sale, tra cui la tomba reale, scavati nella roccia sottostante, ma ricavati anche nel corpo della piramide
- A fianco della piramide, nei pressi del tempio funerario e lungo la via cerimoniale, sono ricavate delle vasche coperte, che contengono grandi imbarcazioni. Talvolta sono le vasche stesse ad avere la forma di barche. Nel complesso di Chefren ci sono ben cinque vasche sotterranee per barche funerarie.
Questo è l’impianto classico della piramide, sia essa a gradoni che regolare. Non si può non rilevare la corrispondenza con l’impianto del monte di Atlantide descritto da Platone:
- La piramide rappresenta ovviamente il monte centrale di Atlantide. Si obietterà che in cima alle piramidi egizie non compare il tempio, ma questo non è del tutto vero: c’era sempre un simulacro che lo rappresentava. Sulla sommità della piramide a gradoni di Saqqara, infatti, ci sono i resti di una costruzione che gli egittologi hanno voluto identificare con un altare, ma che più verosimilmente era un simulacro del tempio. Anche sulle piramidi regolari veniva posto il cosiddetto “piramidion”, una specie di “cappuccio” terminale di metallo lucente, che doveva pur rappresentare qualcosa: probabilmente la muraglia ricoperta di oricalco che circondava il tempio di Poseidone sulla cima del monte.
- Due “cinte di terra”, circondate ciascuna da una muraglia. Sono rappresentate dalle due muraglie che circondano la piramide centrale. Queste muraglie hanno spesso spessori eccezionali (8/10 metri e più) inutili per scopi pratici
- Costruzioni tra le due cinte: strettamente collegate al defunto all’interno della prima cinta (il cosiddetto tempio funerario, dove si trovavano molte statue del faraone e che probabilmente simulava il palazzo reale di Atlantide).
- Un canale che dal mare giungeva fin sotto la montagna passando sotto terra, rappresentato dalla via cerimoniale, che era coperta e lungo la quale venivano trascinate le imbarcazioni del defunto. Non è ipotizzabile alcuna ragione di carattere pratico o cerimoniale per cui la via Cerimoniale dovesse essere coperta, almeno nei pressi della piramide. L’unica ragione, quindi, è quella di rispettare la tradizione, che conosciamo in parte da Platone, che afferma che il canale era stato coperto in alcuni punti e si addentrava nel cuore della montagna.
- I porti sotterranei sotto il monte, descritti da Platone, sono rappresentati dalle vasche sotterranee, scavate nei pressi delle piramidi, contenenti vere e proprie navi, in grandezza naturale.
- Infine, sotto la piramide e spesso nel suo interno, sono ricavate le sale in cui veniva sepolto il faraone, unite da una lunga serie di cunicoli.
I sovrani della terza dinastia costruirono tutti le proprie tombe nello stesso modo, con piramidi a gradoni (si conoscono tre grandi complessi funerari del genere). L’ultimo sovrano della dinastia, Huni, costruì anch’esso una piramide a gradoni, che venne però modificata dal suo successore Snofru, primo sovrano della IV dinastia, il quale fece colmare e livellare i gradoni, facendone così la prima piramide a facce piane triangolari. Snofru fece costruire altre due piramidi e la terza, detta Piramide Rossa, è la prima progettata e costruita come piramide geometrica regolare; le successive rispetteranno sempre questa forma. E’ la grande innovazione della IV dinastia: non più montagna di dio, con la sua forma a gradoni ed il tempio sulla cima, ma montagna che rappresenta essa stessa, con la sua forma, la divinità; il tempio rimane simboleggiato dal piramidion che la sormonta.
Partiti dal solito modello della piramide a gradoni , a Saqqara, gli egizi devono essersi accorti che mancava qualcosa di essenziale alle loro tombe reali: qualcosa che caratterizzasse quella “montagna” come sacra e come centro dell’universo, come voleva il modello atlantide. La soluzione: una forma che esprimesse il concetto stesso di divinità e che potesse rappresentare l’essenza stessa dell’universo. Il triangolo, infatti, è sempre stato rappresentativo, in qualche modo, della divinità, del Grande Architetto dell’Universo, concetto a cui ritengo gli egizi credessero fermamente, al di là di quelle che erano le manifestazioni esteriori della loro religiosità. La piramide, colla sua base quadrata ed i quattro triangoli isosceli che si uniscono in un vertice è l’espressione più alta e completa di questa divinità, capace di rappresentarla nella sua totalità e nella sua essenza, che è poi l’essenza stessa dell’universo.
Quanto al resto, l’impianto di base rimane invariato. E’ interessante notare che questo impianto è riprodotto quasi uguale da altre piramidi, come quelle cinesi.
E’ difficile spiegare il fenomeno delle piramidi, non solo in Egitto, ma nel mondo intero, se non si tiene conto di che cosa esse rappresentavano agli occhi di chi le eresse, a prezzo di inimmaginabili sforzi e sacrifici E non si capisce una tale profusione di risorse economiche, fisiche e mentali, se non si ammette che quelle costruzioni rappresentavano fedelmente un modello di importanza cosmica.
Subito dopo l’innovazione di Snofru, si raggiunge il top con le piramidi della piana di Giza. Benché costruite da faraoni successivi, esse sembrano rispondere ad un disegno unitario. Ciascuna di esse ha il solito impianto: tempio a valle, via cerimoniale coperta, due cinte murarie, tempio funerario, tomba scavata sotto e nel corpo dell’enorme massa piramidale, con lunghi corridoi e sale varie, molte delle quali, probabilmente, ancora da scoprire. Barche funerarie varie. Tombe di dignitari fra le due cinte; tombe di regine all’interno della prima cinta.
Le piramidi del complesso di Giza rappresentano il vertice della civiltà egizia. Decine di studiosi le hanno studiate e misurate in tutti i modi possibili e immaginabili, trovando, tra lo scetticismo e lo scherno degli egittologi, rapporti e numeri sbalorditivi, che rappresenterebbero conoscenze matematiche ed astronomiche segrete dei sacerdoti egizi, ereditate da un’antica civiltà scomparsa. E’ possibile che ci sia stata ingenuità o esagerazione nel valutare i risultati di questi rilievi. Di una cosa, però, si può essere ragionevolmente certi e cioè che non tutti i parametri di queste piramidi sono casuali, dettati solamente da ragioni tecniche, come vorrebbero certi egittologi.
Una critica che si può muovere a chi ha effettuato quelle misure, tuttavia, è che spesso essi hanno ricercato nelle piramidi concetti, simbolismi, misure propri della scienza moderna, partendo dal presupposto che i costruttori delle piramidi abbiano voluto con esse “trasmettere” ai posteri le loro concezioni e conoscenze scientifiche, perché non andassero perdute; di una Scienza, però, intesa in senso moderno, come noi la intendiamo. Niente di più lontano dalla realtà.
Dietro il complesso delle piramidi di Giza c’è un’idea informatrice, che ha dato luogo ad un progetto, realizzato nella sua interezza nel corso di generazioni successive. Un progetto così grandioso non può essere stato concepito e realizzato da generazioni successive di architetti, spinti unicamente dalle ambizioni e dalla frusta di sovrani dispostici e megalomani, il cui unico scopo era di superare in “grandezza” i loro predecessori. Sarebbe come dire che ogni capitolo della Divina Commedia di Dante Alighieri sia stato scritto da autori diversi, spinti ciascuno dalla necessità di guadagnarsi la pagnotta, e che mettendoli insieme, miracolosamente ne sia risultato il divino poema.
Il riferimento alla Divina Commedia non è casuale. Quest’opera immortale costituisce la summa dello scibile medioevale. Essa è nata dall’idea di un uomo geniale che ha voluto con essa rappresentare tutto il suo mondo e la sua concezione dell’universo. Da un lato ha cercato la perfezione “tecnica”, nell’arte del poetare e nell’uso degli strumenti linguistici a sua disposizione, dando al suo poema una struttura che fosse contemporaneamente espressione del suo virtuosismo tecnico e rappresentasse contemporaneamente la struttura dell’universo quale egli la concepiva. Dall’altro ha immesso nei suoi canti tutte le sue conoscenze teologiche, scientifiche, storiche, le sue passioni politiche, i suoi ideali, le sue aspirazioni. E’ l’intero mondo medioevale che viene rappresentato in maniera drammatica e potente nei suoi versi.
Qualcosa del genere, a mio avviso, è rappresentato dalle piramidi del complesso di Giza. Ci sono altre piramidi, beninteso, grandiose e cariche di significati; come ci sono altri grandi poemi che rappresentano in qualche modo il mondo medioevale, oltre alla Divina Commedia. Ma nel complesso di piramidi di Giza è racchiusa la summa delle conoscenze tecnologiche, filosofiche, storiche e scientifiche della civiltà egizia. Esse sono la realizzazione pratica di un’idea grandiosa, che ha saputo coalizzare attorno a sé tutte le risorse umane più valide dell’Egitto. Un gruppo di sacerdoti, ingegneri, artigiani che insieme rappresentavano quanto di più elevato e completo l’Egitto potesse esprimere in campo storico, scientifico, filosofico, tecnico ed organizzativo ed ha saputo coordinarlo ed indirizzarne le energie alla realizzazione di quella che doveva essere l’espressione più alta delle capacità tecnologiche, ingegneristiche ed organizzative dell’Egitto e nel contempo rappresentare nella maniera più completa possibile la propria concezione e conoscenze dell’universo e della Divinità.
Possiamo arrivare a comprenderlo fino in fondo? Le ricerche antiche e recenti, fatte da uomini come Antony West, Hancock, Bauval ed altri che si muovono al di fuori dell’ortodossia ufficiale, sembrano andare in questa direzione. Sono emersi aspetti sorprendenti, sui quali è inutile che mi soffermi, dal momento che sono stati trattati su queste pagine dagli autori stessi.
Ma a mio avviso siamo ancora lontani dall’aver capito veramente quel mondo, semplicemente perché non abbiamo capito a fondo l’idea che sta dietro il progetto delle piramidi di Giza. Un’idea che ci porta lontano, all’origine stessa del concetto di tomba- montagna: ad Atlantide. Se vogliamo capire le piramidi non dobbiamo partire da Galileo, Newton, Einstein e così via, ma piuttosto da Platone.
Lo stesso vale per le piramidi e templi montagna che a centinaia si innalzano nel mondo e costituiscono le testimonianze più comuni e grandiose della concezione che i popoli antichi avevano dell’universo e della divinità.
Le piramidi di Giza, insieme agli innumerevoli altri monumenti del genere sparsi per il mondo, sono ampiamente in grado a convincerci che Atlantide è veramente esistita e che il piccolo monte che sorgeva al centro della sua capitale è servito da modello alla quasi totalità dei monumenti sacri e funerari del mondo antico.
vedi successivo:
Planisferi medievali e carte rinascimentali
Torna a:
Poster planisferi
Torna a:
pagina iniziale
profilo del monte vulcanico originale