Fino a pochi secoli fa la scienza aveva una visione del cosmo nella quale credeva non meno fermamente di quanto gli scienziati moderni credono al modello attuale dell’universo.
Allora al centro del cosmo c’era la Terra, attorno a cui ruotava la volta celeste, la cui natura perfetta e incorruttibile era dimostrata dalla perfetta circolarità del moto dei corpi che popolano il firmamento. La forza di questa visione stava nel fatto che essa spiegava in maniera per quei tempi molto precisa tutti i movimenti e le variazioni di luminosità dei corpi celesti (cosa che le teorie eliocentriche, che già allora erano state proposte da vari autori, non riuscivano a fare), grazie alla teoria degli epicicli. Elaborata dai greci del periodo classico, raggiunse la sua forma più compiuta per opera di Tolomeo, nel primo secolo d.C., e da allora per quasi un millennio e mezzo fu accettata come verità dogmatica da tutto il mondo scientifico occidentale.
Come una teoria del genere potesse essere tanto precisa è presto detto. Tutti i corpi si muovevano attorno alla Terra con moto circolare; ma a questo moto si sovrapponeva un altro moto, anch’esso circolare, l’epiciclo per l’appunto, intorno ad un altro corpo, ad esempio il sole, o ad un centro virtuale, che rendeva ragione delle periodiche variazioni di luminosità e di posizione del corpo stesso visto dalla Terra. Quando si notava uno scostamento dalle previsioni si aggiungeva un altro epiciclo che metteva le cose a posto. E così, di epiciclo in epiciclo, si raggiunse la quasi perfezione.
La teoria cominciò a scricchiolare sotto la spinta di Copernico, prima, e di Keplero poi; e fu messa definitivamente in soffitta in seguito alle osservazioni di Galileo e alla teoria della gravitazione di Newton, che aprirono le porte ad una più corretta comprensione della realtà che ci circonda e iniziarono un’epoca di grande sviluppo scientifico.
La Terra perdette la sua centralità nell’universo, per diventare un insignificante pianeta di una fra le cento miliardi di stelle che formano una fra le miriadi di galassie che lo popolano.
Chi non ha perso la sua centralità nell’universo, invece, è l’uomo e questa sua centralità è stata ancor più evidenziata quando la Scienza ha cominciato a studiare la natura della materia e l’origine dell’universo stesso. In questo campo si è riproposto ancora una volta, ed anzi potenziato all’ennesima potenza, il metodo degli epicicli, che ha consentito di mettere a punto (quasi) quella che è nota in campo scientifico come la “Teoria Standard”.
Si è cominciato con il modello atomico di Bohr, che ha introdotto i concetti di protone ed elettrone e si è continuato ipotizzando l’esistenza di forze, particelle, leggi fisiche ad hoc e così via tutte le volte che le osservazioni sperimentali e i calcoli matematici imponevano di modificare o completare il modello messo a punto fino a quel momento.
La differenza fondamentale con gli antichi è che mentre questi introducevano concetti compatibili con la logica, gli “epicicli” moderni sono compatibili soltanto con la matematica, ma non con la logica, vale a dire con il senso comune. E così abbiamo i quanti di luce, che sono contemporaneamente onde elettromagnetiche e corpuscoli, abbiamo particelle che si trovano in posti diversi nello stesso momento, buchi neri che inghiottono la materia circostante per farne non si sa cosa, uno spazio-tempo chiuso in se stesso al di fuori del quale non c’è né spazio né tempo, un universo che si autogenera da un punto singolare e così via dicendo: una collezione di assurdità incomprensibili da un punto di vista logico, costituita da un castello di “epicili” tenuto in piedi dal cemento della matematica.
Gli scienziati sono (o almeno dovrebbero essere) concordi che si tratta soltanto di un “modello” della realtà. Ma è un modello che spiega in maniera ritenuta soddisfacente ciò che osserviamo e consente di fare previsioni e applicazioni tecniche inimmaginabili nei tempi antichi, per cui molti lo considerano prossimo al vero.
Che sia sempre l’uomo al centro dell’universo lo si capisce proprio da come questo modello concepisce le dimensioni spaziali e temporali. L’uomo e le unità di misura da lui create sono il termine di paragone per le dimensioni e i tempi del cosmo. La grandezza dimensionale più piccola ritenuta possibile in natura è di 1,616.10 -35 metri “terrestri” (la cosiddetta "lunghezza di Planck", considerata la più piccola distanza al di sotto della quale il concetto di dimensione perde ogni significato fisico); le dimensioni massime dell’universo sono stimate in 13,8 miliardi di anni-luce “terrestri”. Da un punto di vista concettuale (e anche matematico) non c’è differenza fra queste due dimensioni: sono entrambi sia infinite che infinitesime. La differenza sta nel fatto che in mezzo, al punto “giusto”, c’è l’uomo, termine di paragone dell’universo.
Universo che ha avuto origine 13,8 miliardi di anni fa da un punto singolare, da cui è scaturita tutta la massa e l’energia che lo costituisce. È un “epiciclo” fondamentale, introdotto per spiegare il “red shift” delle galassie scoperto dall’astronomo Edwin Hubble. Ma per completare la teoria è stato necessario introdurre altri epicicli, fra cui essenziale è la cosiddetta “inflazione”, che nei primissimi istanti ha fatto espandere la microscopica pallina in cui era rinchiuso l’intero universo ad una velocità miliardi di volte superiore a quella della luce. Che senso abbia parlare di secondi “terrestri”, metri “terrestri” e velocità della luce in un universo in quelle condizioni non è affatto chiaro; ma anche in questo caso non è la logica, ma la matematica a imporre le sue condizioni.
Alcuni scienziati non fanno mistero di ritenere che questo
modello sia certamente errato, ma sono costretti a tenerselo fino a che non
verrà proposto un modello migliore.
La teoria degli epicicli di tolemaica memoria è stata superata rovesciando il
suo presupposto principale: la centralità della Terra. Esiste nella concezione moderna
dell’universo un qualche presupposto che debba essere “rovesciato” per
superare la Teoria Standard? Ebbene, c’è una concezione che è fondamentale sia
nella fisica newtoniana che in quella di Einstein e di ogni altro modello che
venga proposto, dalla teoria delle stringhe a quelle che teorizzano l’esistenza
di infiniti universi: il concetto dello spazio-tempo.
Newton concepisce lo spazio-tempo come una sorta di “contenitore” inerte della realtà fisica, in cui spazio e tempo sono infiniti e isotropi. È la concezione più accessibile alla comprensione umana, perché esprimibile in coordinate cartesiane, quelle che costituiscono il nostro riferimento naturale.
Einstein modifica profondamente questa concezione, introducendo il concetto della relatività. Lo spazio-tempo è sempre un contenitore, ma non inerte, perché interagisce con la realtà in esso contenuta e viene modificato sia dalla massa che dall’energia. Inoltre non è infinito, ma si chiude su se stesso, come la linea di un cerchio o la superficie di una sfera. Cosa ne sia di questo “contenitore” in assenza di materia o di energia, e cosa ci sia al di fuori di esso sono domande legittime, che molti si pongono, fornendo risposte fantasiose, per non dire fantascientifiche.
Probabilmente è proprio rovesciando il concetto dello spazio-tempo che si potrà dare inizio alla costruzione di quel nuovo modello della realtà che è negli auspici di molti. Perché “contenitore” e non “campo”?
Se consideriamo lo spazio-tempo come un “campo” della massa otteniamo sviluppi sorprendenti in grado non solo di giustificare i presupposti fondamentali della teoria della relatività, ma anche di rispondere alle obiezioni e interrogativi di tanti “dissidenti” dalla teoria standard. È quanto propongo nel mio lavoro “Lo spazio-tempo come campo della massa – Una proposta per un nuovo modello della realtà”.
Naturalmente sono ben lungi dall’avere costruito un modello completo della realtà, che renda conto di tutti gli aspetti della realtà sperimentale e dia una risposta esauriente a tutte le domande. Ci sono voluti più di due secoli e gli sforzi coordinati di migliaia di scienziati di prim’ordine per mettere a punto la teoria standard. Non è certo un singolo individuo, per di più non specialista, che potrà costruire un edificio concorrente. Una qualche idea di come sia fatto questo nostro mondo, però, me la sono fatta, e in esso la Terra e l’Uomo perdono qualsiasi parvenza di centralità.