DISTRUZIONE DI ATLANTIDE ALLA FINE DEL PLEISTOCENE
Stando a Platone, Atlantide fu distrutta da un evento naturale circa 9.000 anni prima del suo tempo, proprio in coincidenza con la fine del Pleistocene. Possiamo quindi presumere che la sua distruzione sia strettamente collegata agli eventi che hanno posto termine alla glaciazione di Würm e provocato l’estinzione in massa della megafauna pleistocenica e la subitanea scomparsa della cultura paleolitica magdaleniana. Per capire cosa sia realmente accaduto è necessario conoscere con precisione la situazione climatica e geografica di allora e quali siano le cause che ne hanno provocato il cambiamento.
LA TERRA UN PIANETA INSTABILE
La stabilità della Terra è assicurata dai suoi rigonfiamenti equatoriali, che hanno uno spessore massimo di circa 14 km, il 30% del quale costituito da acqua. Le superficie liquide libere sono un ben fattore di instabilità: un semplice tsunami può far basculare in maniera apprezzabile l’asse terrestre. Alla fine del Pleistocene si sono verificate “onde di marea” di 400 metri alle Haway, 700 in Alaska, facendo oscillare l’asse di rotazione di una ventina di gradi, sufficienti a provocare una quasi istantanea deformazione della crosta, che ha raggiustato i rigonfiamenti intorno ad un nuovo equatore.
SPOSTAMENTI PERMANENTI DEI POLI
Esistono fenomeni in grado di provocare tsunami dell’ordine delle centinaia o migliaia di metri? Se l’impatto di un asteroide o di una cometa sviluppa una coppia tale da eguagliare, anche per un breve istante, la coppia stabilizzatrice dei rigonfiamenti equatoriali, si innesca un processo che nel giro di alcuni giorni provoca una “marea” di centinaia di metri intorno ad un nuovo asse, costringendo alla fine la crosta a deformarsi riaggiustando i rigonfiamenti equatoriali, spostando così i poli in maniera permanente. Semplici calcoli dimostrano che una coppia di valore sufficiente può essere sviluppata da un asteroide relativamente piccolo (alcune centinaia di metri di diametro), che impatti la Terra ad altissima velocità e con un angolo appropriato.
VARIAZIONI DEL TILT E LORO EFFETTI SUL CLIMA
Uno spostamento dei poli è accompagnato normalmente da una variazione dell’inclinazione dell’asse terrestre, cioè del “tilt”. Questo è dovuto al fatto che la Terra non è un corpo omogeneo, ma è costituita da tre diversi strati: un nucleo solido di ferro-nichel (2.780 km), circondato da uno strato (2080 km) di metallo liquido, a sua volta circondato dal mantello, uno strato “plastico” di 2.900 km, in cima al quale “galleggiano” i continenti e gli oceani. Il movimento di precessione interessa soltanto lo strato esterno, mentre gli assi di rotazione dei due strati interni vengono “trascinati” per attrito soltanto con grande ritardo. I tre assi di rotazione, quindi, non sono mai coincidenti e la loro inclinazione reciproca varia in continuazione. Di conseguenza se l’asse dello strato esterno (coincidente coi poli) si sposta, anche il tilt dovrà trovare un diverso punto di equilibrio.
Il tilt ha una grande influenza sul clima, in particolare per quello che concerne l’accumulo dei ghiacci. Un basso valore del tilt (asse quasi verticale) causerebbe un enorme accumulo di ghiacci permanenti ai poli e sulle montagne, sottraendo acqua agli oceani. D’altra parte il clima sarebbe stabilmente primaverile, consentendo la sopravvivenza di grandi erbivori al limite stesso delle calotte glaciali. Un alto valore del tilt, invece, (diciamo più di 30°) causerebbe variazioni climatiche stagionali molto forti, con inverni lunghi e freddi ed estati molto calde, che scioglierebbero i ghiacci anche ai poli. Il livello degli oceani sarebbe al massimo, ma le condizioni climatiche estreme limiterebbero la diffusione delle specie animali.
POSIZIONE DEI POLI ALLA FINE DEL PLEISTOCENE
Il polo nord doveva trovarsi in posizione più meno baricentrica rispetto alle calotte glaciali canadese e scandinava, da qualche parte tra la Groenlandia e il Canada. Di conseguenza il polo sud si doveva trovare spostato di una ventina di gradi verso l’Australia. La parte dell’Antartide rivolta verso l’oceano Pacifico era coperta dai ghiacci come e più di ora. La costa di fronte all’America e all’Africa, invece, era libera dai ghiacci (non esiste, infatti, ghiaccio più vecchio di 10.000 anni da questo lato) e godeva di un clima mite.
La situazione climatica della Terra alla fine del Pleistocene era la seguente: un enorme accumulo di ghiacci su tutto il pianeta, con conseguente abbassamento degli oceani di circa 120 metri; grandi calotte polari spostate rispetto alla posizione attuale dei poli; una imponente comunità ecologica, costituita da una megafauna, che prosperava fino al limite delle masse glaciali. Questo suggerisce che i poli si trovassero in posizione diversa rispetto ad oggi ed il tilt fosse molto più ridotto.
L’ANTARTIDE OMBELICO DEL MONDO
L’Antartide si trova al centro dei tre oceani e dell’intera massa continentale della Terra. Essendo il livello del mare più basso e la costa atlantica deglaciata, il profilo dell’Antartide era più o meno come appare nella figura di destra, orientata con il polo sud in alto (cerchietto bianco)
Sulla destra il mondo come appariva alla fine del Pleistocene, con i poli spostati. Tra 50 e 40 mila anni fa l’uomo aveva sviluppato in Indonesia mezzi di navigazione d’alto mare che consentirono loro di colonizzare l’Australia. Inevitabilmente alcune di queste imbarcazioni dovettero essere state trascinate dalle correnti verso l’Antartide.
LA PRIMA CIVILTÀ UMANA
A quell’epoca la costa atlantica dell’Antartide godeva di un clima mite, ma era prima di quei vegetali che assicuravano la sopravvivenza di quei navigatori paleolitici nel loro paese d’origine. Questo fatto probabilmente li costrinse a effettuare i primi esperimenti di agricoltura, con la conseguenza adozione di nuovi strumenti di lavoro, nuovi tipi di abitazione e una nuova organizzazione sociale: i primi passi verso una civiltà tecnologica.
Una caratteristica particolare dell’Antartide di allora è che poteva essere raggiunta da oggetti galleggianti provenienti da tutto l’arco dell’oceano Indiano e dal Sud America, ma non viceversa. Una zattera che fosse sfuggita dalle coste dell’Antartide veniva trascinata in circolo intorno all’isola, per finire in mezzo al Pacifico. La prima civiltà, pertanto, dovette svilupparsi nell’Antartide in completo isolamento dal resto del mondo, perché nessuno poteva lasciare l’isola ed esportare altrove le prime fondamentali conquiste verso la civilizzazione. Soltanto quando fu raggiunto un livello tecnologico tale consentire di costruire grandi battelli oceanici, quelle popolazioni furono in grado di raggiungere i continenti dirimpetto, in particolare il Sud America. A quel punto, però, la distanza tecnologica fra essi e le popolazioni paleolitiche, che continuavano ad abitare l’intero emisfero settentrionale, era troppo grande per consentire reciproche influenze.
LA DIASPORA DEI SOPRAVVISSUTI
Fu allora che accadde il disastro. La costa antartica fu dapprima sommersa dalle acque, anche se temporaneamente, ma subito dopo cominciò ad essere coperta da uno spesso strato di neve e ghiaccio. Sopravvissero soltanto quelli che avevano trovato rifugio sulle navi, delle quali, secondo Platone, esisteva un gran numero. La maggior parte di esse naufragò nella tempesta, ma un certo numero riuscirono a riparare sulle coste dell’America, dell’Africa e dell’Asia. Ciascuna di esse dette origine in completa autonomia e isolamento ad una nuova popolazione, la cui cultura derivava da quella di Atlantide. Nei millenni successivi queste popolazioni si diffusero in tutto il resto del mondo.
Diverse navi sopravvissero
alla catastrofe che pose fine al Pleistocene e raggiunsero i continenti che
circondano l’Antartide (eccetto l’Australia, che si trovava dal lato coperto
dai ghiacci)
Le 6 aree del mondo dove l’agricoltura ebbe inizio più o meno contemporaneamente, subito dopo la fine del Pleistocene (da Cavalli Sfroza).
vedi successivo:
Nascita e diffusione della civiltà
vedi anche:
I planisferi medievali rappresentano l'Antartide pleistocenica
vedi anche:
Poster dei planisferi medievali
Torna a:
pagina iniziale